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LE SACRE SCRITTURE SONO ISPIRATE

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2012 18:23
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ISPIRAZIONE della Bibbia

ISPIRAZIONE.II termine esprime la qualità unica dei libri elencati nel canone (v.) del Vecchio e del Nuovo Testamento: cioè la loro origine divina; l'astratto deriva dall'aggettivo verbale qeopneustoV "ispirato da Dio" adoperato da s. Paolo (II Tim. 3, 16) appunto per i libri del Vecchio Testamento. Non c'è verità dommatica più di questa universalmente e concordemente attestata dalle fonti bibliche, dalla tradizione giudaica (per il V. T.) e cristiana.


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Consiglia  Messaggio 2 di 6 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/07/2003 17.01

In I Mach. 12, 9, in Flavio Giuseppe, Ant., inizio, nel Talmud (Sabbath, 16, 1) si parla esplicitamente di "libri santi", "sacri", di "scrittura divina". Nostro Signore e gli Apostoli parlano di "parola di Dio" (= le prescrizioni della Legge: ton logon tou qeou Mc. 7, 13), "i detti di Dio" (s. Paolo chiama così tutto il Vecchio Testamento: Rom. 3, 2: ta logia tou qeou); "le sacre scritture" (Rom. 1, 2), "le lettere sacre" (II Tim. 3, 15). Esplicitamente se ne dichiara autore Dio: Mt. 22, 43 per il Ps. 110 (109); Act. 4, 25: «O Signore, tu sei colui che ha fatto il Cielo... e che mediante lo Spirito Santo, per bocca del padre nostro e tuo servo David, hai detto: A che pro cospirano le genti... ecc.» Ps. 2; Hebr. 3, 7 «Perciò dice lo Spirito Santo...» = Ps. 95 (94), 18 ss. ecc.<o:p></o:p>

E se ne afferma ripetutamente l'autorità indiscussa e divina, sia direttamente (Lc. 18, 31; 24, 44-47: «bisogna si adempia quanto di me sta scritto — dice Gesù Risorto — nella Legge, nei Profeti, nei Salmi»), sia nelle argomentazioni (Io. 10, 34 dal Ps. 82 [81], 6: «la Scrittura non può essere smentita); Rom. 1, 16 da Hab. 2, 4; ecc.).<o:p></o:p>

Formalmente, l'i. divina è affermata in II Tim. 3, 15 s. e in II Pt. 1, 20 s. S. Paolo così scrive: «Quanto a te, rimani fedele (contro le pericolose novità nell'insegnamento della dottrina) alle cose che hai appreso e di cui hai riconosciuto la certezza. Tu sai da chi le hai imparate, e fin da fanciullo tu conosci le Sacre Scritture; esse possono darti la saggezza che mediante la fede nel Cristo Gesù conduce alla salvezza. Ogni Scrittura (nell'insieme e in ogni parte = le Sacre Scritture del v. precedente) è qeupneustoV ispirata da Dio e (pertanto) utile per insegnare, ammonire, correggere, educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia perfettamente armato per ogni opera buona».

S. Pietro ammonisce i fedeli che la sua predicazione si fonda su basi solidissime, indiscusse: la sua stessa autorità di teste oculare della divina maestà del Cristo, nella Trasfigurazione (1, 12-18) e l'autorità ancora maggiore (di quella soggettiva), delle profezie messianiche, alle quali si deve aderire come a luce che risplende tra il ternebrore di questa terra fino a che non risplenda per ciascuno il giorno del suo incontro con Gesù. Prima di tutto, tengano però presente che «nessuna profezia della scrittura va lasciata all'interpretazione di ciascuno ("è cosa d'interpretazione privata" - G. Luzzi; o "è frutto d'interpretazione privata" - De Ambroggi); perché nessuna profezia fu mai proferita per volontà d'uomo, ma gli uomini, portati (mossi, completamente in balia, sotto l'influsso, jeromenoi; lo stesso verbo è usato in Act., 27, 15 per la nave che non potendo resistere al vento lascia che esso la spinga come e dove vuole) dallo Spirito Santo, han parlato da parte di Dio».

Questi due testi si completano a vicenda; il 1° afferma formalmente l'i. per tutti i libri del V.T., il 2°, meno  esplicito per l'estensione a tutti i libri, ha un chiaro riferimento alla natura stessa dell'i. Essi, con gli altri, sono un argomento storico del pensiero degli Apostoli e di Gesù N. S. sull'i. Per i libri del Nuovo Testamento non abbiamo argomento biblico di eguale portata. In I Tim. 5, 18 s. Paolo cita come S. Scrittura Deut. 25, 4 insieme a una frase che riscontriamo in Lc. 10, 7; ma non si può asserire con certezza tale riferimento al Vangelo scritto. Chiaramente invece II Pt. 3, 16 pone le lettere di s. Paolo sul piano delle "altre Scritture".<o:p></o:p>

È inutile trascrivere testimonianze dai Padri; fin dagli scritti della stessa epoca apostolica, essi unanimemente affermano l'i. di tutta la S. Scrittura; non solo, ma dicono trattarsi di verità di fede, predicata in modo chiarissimo nella Chiesa (cf. Origene, De Principiis I, 4, 8).

In ordine alla natura dell'i., possiamo così classificare il loro insegnamento.
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Consiglia  Messaggio 3 di 6 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/07/2003 17.02

1°) I primi apologeti in particolare, per descrivere l'azione di Dio su l'agiografo, riprendono le espressioni ed immagini bibliche (II Tim.; II Pt.; Am. 3, 8; Ier. 20, 9: v. Profetismo), con la terminologia che Platone (Tim. 71 E - 72 B; Menon 99 CD; Ion. 533 Dss.), Virgilio (En. VI, 45-51.77-80), Lucano (Farsalia V, 161 ss.) ecc., adoperano per il fenomeno estatico: il profeta è strumento, organo di Dio (Atenagora, Leg. 7, 9, s. Teofilo, Ad Autol. 1, 14; 3, 23; Cohort. 8; PG 6, 904 ss.; 1045.1156; 256).<

Precisando però energicamente, contro i Montanisti, i quali con i citati autori pagani ammettevano l'incoscienza dell'ispirato, che l'autore umano rimane assolutamente conscio e libero sotto l'azione di Dio (cf. Miltiades in Eusebio, Hist. Eccl. V. 17).<


2°) Dio "detta", "dice" i libri sacri; s. Ireneo: «le Sacre Scritture sono perfette perché dettate dal Verbo di Dio e dallo Spirito Santo» (Adv. haer. II, 28.2; cf. IV, 10.1; s. Girolamo, Ep. 120, 10; s. Agostino, in Ps. 62, 1, ecc. PL 22, 997; 36, 748).<

 <

3°) Dio è "autore" (auctor nel latino = scriptor) o scrittore della S. Scrittura (Clemente Alessandrino, Strom. 1, 5: PG 8, 717; s. Ambrogio, s. Agostino, s. Gregorio M.: PL. 16, 1210; 42, 157; 75, 517), che viene detta «lettera mandataci da Dio dalla patria lontana» (s. Crisostomo, PG 53, 28; s. Agostino, PL 37, 1159. 1952; s. Gregorio M., PL 77, 706).<

Cosi s. Gregorio : «Ma è del tutto inutile domandar chi le abbia scritte (queste lettere di Dio all'umanità, che sono le sacre Scritture; chi, cioè di quale strumento Dio si sia servito) quando tuttavia fedelmente si crede che l'autore del libro è lo Spirito Santo. Quegli dunque scrisse che dettò quanto era da scrivere. Quegli scrisse che in quel lavoro fu l'ispiratore e mediante la voce (l'espressione) di colui che scriveva trasmise a noi le di lui vicende perché le imitassimo» (In Iob, praef.).<

I documenti della Chiesa si susseguono dal sec. V in poi (EB, n. 28. 30 ecc.).<

Contro i Manichei che attribuivano, rigettandolo, il Vecchio Testamento al Principio del male, essi professano e sanciscono l'unità dei due Testamenti e l'identità del loro autore divino. Così ancora il Concilio Fiorentino (EB, n. 48).<

II Concilio di Trento (EB, n. 59-60), contro i Protestanti che all'inizio ritenevano l'i. biblica, estendendola anzi indebitamente financo agli apici e agli accenti che sono posteriori agli originali, ma rigettavano come non sacri alcuni libri, definì il Canone (v.), e confermò l'i. divina di tutti i libri che lo compongono.<o:p></o:p>

La definizione dommatica di questa verità fu data in modo solenne dal concilio Vaticano (24 apr. 1870; EB, n. 79), contro i razionalisti (da Ioh. Sal. Semler, 1725-91, G. Paulus, D. Strauss in poi) e i semirazionalisti (Schleiermacher, Rothe ecc.), che consideravano e trattavano ormai i libri sacri alla stregua di ogni altro libro. Definizione ripetuta da Leone XIII nella Providentissimus; da Pio X (decr. Lamentabili, in EB, n. 200 s.) nella condanna dei modernisti che dell'i. ritenevano soltanto il nome (Loisy: «Dio è autore della S. Scrittura, come è architetto della basilica di s. Pietro»); da Pio XII nella Divino afflante Spiritu in AAS, [1943] 297-326).<o:p></o:p>

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Consiglia  Messaggio 4 di 6 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/07/2003 17.03

Natura della ispirazione

S. Tommaso, specialmente nella IIa-IIae, qq. 171-174, ha ordinato sistematicamente gli elementi biblici e patristici, illustrando luminosamente l'azione di Dio su l'uomo, suo strumento, e l'effetto che ne risulta. Egli tratta direttamente dell'i. profetica, o influsso divino sul profeta perché parli in suo nome (v. Profetismo), e non dell'ispirazione in ordine alla composizione dei libri sacri. Ma l'identità tra le due i. è sostanziale; sicché la trattazione di s. Tommaso viene ripresa integralmenle per l'i. biblica.<o:p></o:p>

L'Aquinate enunziò principi fondamentali così sodi, sicuri e decisivi che, per lunghi secoli, quasi più nulla fu aggiunto d'importante alla sua esposizione.<o:p></o:p>

Leone XIII nell'Encicl. Providentissimus (EB, nn. 81-134), basilare e determinante specialmente al riguardo, riprende integra la dottrina di s. Tommaso, applicandola dettagliatamente alla i. biblica in ordine alla composizione dei libri sacri; ricondusse così all'unità e alla chiarezza tomistica, quanti, tra i cattolici, se n'erano allontanati per seguire nuove vie. Tale dottrina è ripresa, confermata e su qualche punto chiarita dall'enc. Spiritus Paraclitus di Benedetto XV (EB, nn. 44-495), dalla Divino Afflante Spiritu, e dalla Humani Generis (AAS, [1950] 563.568 ss. 575 ss.).<o:p></o:p>

L'i., come azione divina in se stessa considerata, è un dono, un "carisma" elargito da Dio non per la santificazione personale dell'ispirato (grazia santificante), ma per il bene della Chiesa. È un carisma dell'ordine intellettuale: essenzialmente è un lume soprannaturale, infuso da Dio, sotto il quale l'uomo emette i suoi giudizi. Non è pertanto stabile nell'uomo, ma solo è infuso in ordine al libro da scrivere, e in periodi a ciò destinati. Non è necessariamente connesso con la santità dell'individuo; Dio sceglie chi vuole. Né l'ispirato è cosciente di tal dono.<o:p></o:p>

A quest'azione divina, l'uomo reagisce vitalmente. Se Am. 3, 8 («il leone ruggisce, chi non trema; Dio parla, chi non profetizza?») e II Pt. 1, 21 potrebbero far pensare ad una mancanza di libertà, Is. 6, 5-8. 11; Ier. 20, 9 con 1, 6; Ez. 1, 3; 3, 22 con 3, 17-21; specialmente Lc. 1, 1-5; II Mach. 2, 24-33, attestano chiaramente la piena coscienza, la vitale corrispondenza e pieno funzionamento della mente e della volontà dell'ispirato (A. Bea, in Studia Anselmiana, 27-28 Roma 1951, pp. 47-65). Si pensi alla diversità di stile, alle manchevolezze di forma ecc.<o:p></o:p>

Il grande merito di s. Tommaso è, principalmente, nel metodo. Non procede astrattamente, costruendo sui termini intesi genericamente. Ma poggia solidamente sui dati biblici e patristici. Dio è autore (scrittore), l'uomo è autore; Dio ha adoperato dell'uomo come strumento; gli ha dettato (dictare = ispirare), ispirato tutto il libro. Tutto il libro è di Dio, tutto il libro è dell'uomo; principalmente di Dio, come ogni effetto che procede insieme dalla causa prima e da una causa seconda strumentale.

Non possiamo scostarci da questi dati; non possiamo creare un sistema che, per quanto razionale, neghi o sminuisca la parte di Dio o quella dell'agiografo, così come è affermata in modo indiscusso dalla tradizione ed è definita dalla Chiesa.<o:p></o:p>

Basti considerare l'energia con cui i Padri rigettarono i Montanisti che esageravano la parte di Dio, riducendo l'ispirato ad un incosciente; eguale errore commisero i primi Protestanti, parlando di dettatura nel senso più rigoroso e riducendo l'ispirato ad una macchina.

Autori cattolici, invece, per difendere la libertà e la vitalità dell'uomo sotto l'i., e, più recentemente, per spiegare eventuali imprecisioni o errori fisico-storici, cercarono di restringere quanto più possibile la parte di Dio. Si disse che alcuni libri storici potevano dirsi ispirati (Lessio e Bonfrère) o realmente lo erano (D. Haneberg) solo perché dichiarati immuni da errore, e approvati dalla Chiesa (la cosiddetta i. susseguente). Ma non si badava che in tal modo il libro, scritto dal solo uomo, per quanto approvato rimaneva libro umano e nient'affatto divino; Dio non ne era l'autore.<

G. Iahn ritenne che bastasse per l'i. la semplice assistenza dello Spirito Santo, concessa ad es. al Sommo Pontefice quando definisce solennemente una verità di fede, per preservarlo da ogni errore. Ma è chiaro che tale assistenza negativa rende il libro infallibile, ma nient'affatto divino, come esigono i dati biblici e tradizionali. Nessuno ha mai chiamato divine le definizioni solenni e infallibili del Sommo Pontefice; nessuno può mai avvicinarle alla parola di Dio, alla S. Scrittura.

Il Franzelin, seguito da molti, fino all'Encicl. Providentissimus, per assicurare la libertà dell'agiografo, credette di dividere i compiti assegnando le idee a Dio, e il loro rivestimento con le parole, con la forma letteraria, all'agiografo. Era una vivisezione illogica, contraria alla psicologia: in noi non esistono idee pure, in tutto separate dalle parole. Ma principalmente era una incomprensione della Tradizione: autore = scrittore.<

Si ricordi quanto ho trascritto da s. Gregorio: Quegli scrisse che dettò (ispirò). Il Franzelin volle procedere in una maniera astratta: Dio è autore. Vediamo un po' se può dirsi tale, anche se ha soltanto dato le idee, immettendole nella mente dell'uomo, come dei quadri incompleti si immettono in una pinacoteca, perché vi siano rifiniti e conservati. I Padri invece insistono (sulla scia degli Apostoli) a considerare anche le parole, come divine o comunque connesse con Dio; ad argomentare pertanto da esse (Hebr. 8, 13; 12, 26 ecc.). E quanto alle stesse idee, esse sono di Dio e dell'uomo insieme. Praticamente non c'è un solo istante in cui l'uomo agisce da solo, come nulla è realizzato da parte di Dio se non per mezzo dell'uomo.

Quanti poi tra i recenti vollero restringere l'i. alle sole verità dogmatiche (F. Lenormant, S. Di Bartolo) per ammettere nelle altre parti l'errore, oltre a quanto ora osservato andavano direttamente contro il principio universalmente attestato dai Padri e dal Magistero infallibile che tutta la S. Scrittura è ispirata e nessun errore può in essa trovarsi.

Per questi ultimi autori specialmente, ma anche per molti dei precedenti, causa di errore fu la mancata distinzione tra i. e rivelazione. Tutto nella Bibbia è ispirato, ma non tutto è rivelato (Synave-Benoit, pp. 277-82.300-309.335-38). La rivelazione importa la comunicazione da parte di Dio dell'oggetto, della materia stessa da esporre. Invece, ordinariamente l'agiografo scrive quanto conosce con le sue forze, ha appreso con diligenza (Lc. 1, 1-5; II Mach. 2, 24-30). L'essenziale, come diceva s. Tommaso, è il lume divino per giudicare la materia comunque percepita, sia per rivelazione, sia per via naturale, con lo studio e la ricerca. Così gli evangelisti ci narrano quanto essi stessi (Mt., Io.) hanno visto e sentito o quanto hanno appreso (Mc., Lc.) a viva voce dagli Apostoli.

Già s. Tommaso poneva una netta distinzione tra la raccolta, la preparazione del materiale, e la redazione scritta. L'azione di Dio incomincia con l'inizio della composizione; la preparazione previa non appartiene all'i. In altri termini, la S. Scrittura non va considerata come un libro creato e dato all'uomo, quasi comunicazione, sia pure parziale, della divina onniscienza; Dio invece ha voluto parlare agli uomini, comunicare con loro per iscritto, per mezzo di un loro simile, adattandosi alla di lui, alla nostra mentalità.

S. Tommaso ha ben sintetizzato tutta la dottrina cattolica nel principio: Dio autore principale, l'agiografo autore strumentale (Quodl. 7, a. 14, ad 5). Per spiegare il processo dell'azione di Dio sulle facoltà dell'agiografo basta  svolgere  il principio ontologico di causa strumentale.

La causa agente può essere duplice: principale e strumentale. La prima opera per sola virtù propria; la seconda solo in forza di una mozione previa che riceve dalla precedente. Per tale mozione, lo strumento viene elevato ad una capacità superiore alla sua natura e adeguata alla virtù dell'agente principale, ed applicato all'azione. Il pennello ha una sua virtù propria, quella di stendere i colori; per dipingere un quadro è necessario che l'artista lo applichi e gli comunichi la sua capacità (stendere i colori secondo determinati disegni e regole). In tal modo lo strumento oltre alla propria capacità ne viene ad acquisire, quando è in mano dell'artista, una più alta, superiore alla sua natura. Non c'è attimo in cui il pittore da solo e, ancor di più, il pennello da solo, operino per l'effetto; il quale pertanto è tutto dell'uno e dell'altro, sebbene in modo diverso, che allo strumento appartiene solo per virtù comunicatagli dall'agente principale.<o:p></o:p>

Si badi ancora: lo strumento in mano all'artista, non muta natura: se è difettoso rimane tale; e attua la virtù ricevuta dall'agente principale, esplicando intera la propria capacità. Nessuna meraviglia quindi se nell'effetto si riscontrano le tracce dei due che hanno insieme concorso a produrlo; e quindi gli eventuali difetti dello strumento.

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