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dal dialogo: Il canone biblico fu fatto dai protestanti?

Ultimo Aggiornamento: 06/09/2009 23:58
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06/09/2009 23:36
 
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Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 27/01/2004 10.24
La trasmissione del testo del N.T.
Sicurezza di possedere il testo originario
Poiché i testi originali del Nuovo Testamento sono andati persi, per ricostruire il testo, ricorriamo ai manoscritti antichi.
Sono più di 5200, prodotti tra il II e il XV secolo.
Considerazioni sui manoscritti
In base al materiale da cui sono formati, i manoscritti possono essere papiri o pergamene.
-     I papiri del Nuovo Testamento sono i documenti più antichi che possediamo (ne abbiamo alcuni del III sec. ed uno del II) e, quantunque non siano completi, sono tuttavia testimoni molto importanti del testo, a causa della loro antichità.
Attualmente ne esistono 72 e vengono classificati con la sigla P n.
Tra essi i più importanti sono:
P52 papiro Rylands dell'anno 125 circa, contenente Gv 18,31b-33a sul recto, e 37b-38 sul verso, si trova a Manchester.
P45, P46, P47  papiri di Chester Beatty del III secolo 1, contenenti insieme quasi tutto il Nuovo Testamento.
Si trovano a Dublino.
- Le pergamene (il nome deriva dalla città di Pergamo nella Misia-Turchia) sono pelli di pecora o di capra trattate. Sono molto resistenti e perciò si prestano bene per la stesura di documenti importanti, destinati a durare nel tempo. I libri scritti su pergamena si chiamano CODICI.
I più importanti sono:
B: codice Vaticano del IV-V secolo, quasi completo (Roma)
S: codice Sinaitico del secolo IV-V, completo (Londra).
A: codice Alessandrino del V secolo, quasi completo (Londra).
C: codice di Efrem, palinsesto del V secolo, quasi completo (Parigi).
D: codice di Beza del V-VI secolo; ha vangeli e Atti (Cambridge).
F: codice di Koridethi del IX secolo, completo (Tiflis).
La ricostruzione del testo originale del N.T.
Poiché il testo originale del N.T. è andato perso, per ricostruirlo ci serviamo dei seguenti documenti:
      a)   le copie del testo greco originale
Sono lo strumento principale per la ricostruzione del testo. Ognuna è ricavata da un manoscritto più antico.
Si noti che ogni manoscritto è un’entità autonoma, dipendente da un modello, che però non viene riprodotto fedelmente. Di solito il copista, quando non abbia la tendenza ad introdurre correzioni volontarie, introduce nella copia degli errori dovuti a distrazione o fraintendimento del modello («errore progressivo»).
A volte, per creare il manoscritto, lo scrivano si è servito di due o più manoscritti precedenti, confrontandoli fra di loro (collazione).
A volte in fondo al manoscritto troviamo il colofone: è una frase che contiene informazioni sull’editore, sul luogo e sull’anno in cui la copia è stata fatta, e sui manoscritti «predecessori» da cui essa deriva (una sorta di genealogia della copia).
  b)   le versioni antiche
Del Nuovo Testamento greco possediamo anche versioni in lingue antiche.
Tra le molte conservate, ricordiamo:
- la siriaca, detta «Peshitta», del II secolo
- le versioni copte del II secolo
- la Vetus Latina del 150 circa
- la Vulgata fatta da Gerolamo verso il 400 in latino.
Poiché gli antichi traducevano alla lettera, analizzando una traduzione e supponendo che sia stata fatta bene, riusciamo a risalire al testo greco usato dal traduttore.
c) le citazioni dei Padri della Chiesa
Il Nuovo Testamento è stato molto citato e commentato dagli scrittori cristiani dei primi secoli (II - IX), i Padri della Chiesa.
È stato scritto che se si perdesse il testo del Nuovo Testamento, lo si potrebbe ricostruire in base alle citazioni dei Padri.
È vero che questi scrittori sono vissuti a volte parecchi secoli dopo, però ci presentano il testo come veniva letto ai loro tempi e cioè prima di molti codici a nostra disposizione.
d)      Conclusione
Per ricostruire il testo, possiamo risalire coi documenti scritti fino al III sec. e forse fino al II.
Passò dunque un tempo abbastanza limitato tra la stesura dei testi originali e le loro prime copie complete in nostro possesso.
Si noti che il periodo di tempo che separa i manoscritti originali del N.T. dalla prima copia in nostro possesso è inferiore rispetto a quello di qualsiasi altro testo antico.
Le "varianti" dei documenti
Questi documenti, pur così vicini nel tempo agli originali, non presentano tutti lo stesso testo, al contrario, ci sono tra di essi numerose differenze, dette varianti.
La cosa è del tutto normale se si pensa che i testi antichi erano scritti a mano ed in generale sotto dettatura.
In tutto il Nuovo Testamento si rilevano complessivamente circa 250.000 varianti su circa 150.000 parole che esso contiene. Però questa cifra così alta va molto ridimensionata, se si pensa che spesso di un’unica parola o frase esistono parecchie varianti, la maggior parte delle quali sono solo di forma letteraria e non alterano il pensiero. Varianti che toccano il senso della frase sono circa 200 e di queste soltanto una quindicina sono davvero importanti.
. Il lavoro per ricostruire il testo
Data la presenza di queste varianti, è lecito domandarsi: è possibile ricostruire il testo originale così come è uscito dalle mani degli autori?
Si chiama critica testuale la scienza-arte che cerca di ricostruire il testo originale supposto alterato o, almeno, di arrivare il più vicino possibile all’originale. Per fare questo gli studiosi del testo lavorano in questo modo:
a)   cercano di ridurre l'enorme numero di manoscritti a pochi, ma sufficientemente autorevoli;
Per fare questo studiano le varianti del testo contenute nei manoscritti, in modo da raggrupparle   per "famiglie" e poi cercano di stabilire i manoscritti "capostipiti", da cui molti altri sono derivati. Giungono così ad una settantina di manoscritti "capostipiti", che servono come base per la ricostruzione del testo.
b)   confrontano questi "capostipiti":
- se presentano tutti lo stesso testo, esso viene accolto;
- se ci sono differenze, cercano di stabilire, mediante opportuni criteri, quale potrebbe essere il testo scritto dall'autore (ma indicano in nota, ad uso degli altri studiosi, le varianti degli altri manoscritti);
c)   producono un'edizione "critica"
 
Ultime in ordine di tempo sono quelle del protestante E. Nestle - 1a edizione 1898; 27a edizione 1969 - e del cattolico A. Merk.
I risultati

Applicando alcuni criteri ormai comunemente accettati dagli studiosi, possiamo oggi affermare di avere un alto grado di probabilità di leggere il testo del Nuovo Testamento così come è uscito dalle mani degli autori e la sicurezza quasi totale di possedere il testo come girava nel III secolo 1.
I vari tentativi fatti sia dai protestanti e sia dai cattolici in questi ultimi 150 anni, hanno portato a risultati quasi del tutto concordi.
Tuttavia chi veramente assicura che il testo si sia conservato sostanzialmente integro è la Chiesa (= l'insieme di tutti i cristiani), la quale fin dalla metà del II sec. si è preoccupata di controllare le copie che venivano man mano confezionate, in modo da verificarne la conformità ai testi più antichi, quegli stessi testi che venivano costantemente letti nelle varie comunità ed erano quindi assai ben conosciuti.

E che la Chiesa abbia usato un ottimo controllo è dimostrato anche dal fatto che i numerosi manoscritti riscoperti in questo secolo non hanno fatto che confermare il testo ricostruito precedentemente dagli studiosi.
La tradizione ecclesiastica conserva anche le biografie degli apostoli, e custodisce le notizie riguardanti la loro vita oltre naturalmente ad averle sempre rese pubbliche. Diamo qui di seguito dei brevi cenni sulla vita degli apostoli, perché essi sono le 12 colonne della Chiesa che si basa su Cristo.
 

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Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 28/01/2004 10.31
Informazioni  sugli  APOSTOLI
Cerchiamo di dare qualche informazione sommaria sulla vita degli Apostoli.
Fonte: Biblioteca Sanctorum, Città Nuova - 13 vol.
Gli apostoli sono così citati nei seguenti documenti canonici
Dopo il suicidio di Giuda Iscariota, il collegio dei Dodici fu reintegrato con l’elezione di Mattia, narrata in At 1,15-26
Li presentiamo in ordine alfabetico
ANDREA
Nacque a Betsaida (Gv 1,44) in ambiente ellenistico. Questo spiega il nome, molto raro per un ebreo.
Secondo Mt 4,18 e Mc 1,29 esercitava il mestiere di pescatore con il padre Giona e il fratello Simone-Pietro.
Seguace del Battista, quando questo indicò Gesù come  "l'agnello di Dio", incuriosito lo seguì. Quell'incontro fu decisivo: Andrea credette in lui e gli condusse Simone, che fu denominato Pietro (Gv 1,35-42).
Nel gruppo dei Dodici Andrea non fu un elemento di spicco; non sono molti gli episodi evangelici che si riferiscono esplicitamente a lui. Solo qualche volta appare distinto dagli altri (Mc 13,3; Gv 6,8-9; 12,20-23). In At 1,13 è citato con gli altri apostoli come presente nel cenacolo dopo l’Ascensione di Gesù.
Non si posseggono elementi storici del tutto sicuri per ricostruire la sua attività dopo la Pentecoste:
-     nel Frammento Muratoriano si dice che Giovanni sarebbe stato indotto proprio da Andrea a scrivere un racconto dei fatti e dei detti di Gesù;
-     Origene, citato dallo storico Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl. III,1) afferma che Andrea svolse il suo apostolato nella Scizia, regione posta fra il Danubio e il Don, nel Ponto Eusino, nella Cappadocia, nella Galazia e nella Bitinia;
-     secondo san Girolamo, da queste regioni sarebbe passato in Acaia, regione privilegiata della sua attività; inoltre sarebbe stato consacrato vescovo a Patrasso, dove avrebbe subito il martirio, inchiodato a una croce a forma di X.
      La leggenda si impadronì della sua vita: già tra la fine del II secolo e l’inizio del III circolavano “Atti di sant’Andrea”, giunti rimaneggiati fino a noi (citati da Eusebio - Hist. Eccl. III, 25,16). Si tratta però di racconti romanzeschi, di contenuto prevalentemente ereticale, sorti tra gli Encratiti e diffusi anche tra i Manichei (s. Agostino, De fide contra Manich.).
BARTOLOMEO
Riguardo a questo apostolo va rilevata una singolarità: il suo nome ricorre nei Sinottici (Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14) associato a Filippo, e in At 1,13, mentre nel vangelo di Giovanni troviamo, come amico di Filippo, Natanaele (chiamato da Gesù dopo Andrea, Simone-Pietro e Filippo), mentre non vi compare il nome Bartolomeo.
Probabilmente Bartolomeo è da identificare con Natanaele: si tratterebbe della stessa persona con due nomi, come accadeva frequentemente in quei tempi: Natanaele era il nome personale e Bartolomeo il “cognome” (Bartolomeo = Bar-Talmai: figlio di Talmai, come Simone Bar-Jona).
Di Cana in Galilea (Gv 21,2), dove ancora oggi gli è dedicata una chiesa crociata, la sua chiamata è narrata in Gv 1,45-51.
Gesù ha per lui un’espressione di elogio (Gv 1,47) e gli si rivela come conoscitore dei suoi pensieri. Bartolomeo/Natanaele risponde con una dichiarazione di riconoscimento della figliolanza di Dio e della regalità di Gesù (Gv 1,49).
Secondo la tradizione, il suo apostolato fu molto attivo in quanto gli sono attribuiti lunghi viaggi missionari, ma nulla di preciso e documentato è a nostra disposizione:
-       Eusebio di Cesarea afferma che Panteno, del Didaskaleion di Alessandria, trovò in India il vangelo di Matteo in aramaico, dove sarebbe stato portato da questo apostolo.
-       Un riscontro di questa notizia si ha in Girolamo (“De viris illustribus”). Tuttavia, è da stabilire se per “India” si intendessero le regioni prossime all’Etiopia (Rufino e Socrate) o l’Arabia Felice (Pseudo-Girolamo):
-       Lo Pseudo-Crisostomo racconta che Bartolomeo convertì gli Licaonicesi; altri di una sua missione in Asia Minore, da dove si sarebbe spostato in Mesopotamia e Partia; giunto in Armenia, dopo avere convertito il fratello del re ed esorcizzato la di lui figlia, sarebbe stato martirizzato per ordine del successore re Astiage.
      Diverse sono le tradizioni sul tipo di supplizio: crocifissione, decapitazione, scuoiamento (cui si riferiscono le numerose rappresentazioni artistiche di questo apostolo).
FILIPPO
Originario di Betsaida come i due fratelli Simone-Pietro e Andrea. Dei quattro vangeli canonici, soltanto quello di Giovanni ci dà informazioni sulla sua vita:
-      1,43-51: discepolo del Battista (come sembra), fu tra i primi ad essere chiamato da Gesù, al quale presentò Natanaele-Bartolomeo;
-      6,5 segg.: Gesù si rivolge a lui per la prima moltiplicazione dei pani;
-      12,21 segg.: alcuni pagani si rivolgono a lui per essere presentati a Gesù;
-      14,7-12: dopo l’ultima cena, nel discorso di addio, chiede a Gesù di mostrare il Padre agli apostoli.
      Da At 2,1 risulta che è tra coloro che ricevono lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste.
      Da questo momento possiamo utilizzare soltanto le notizie, non sempre concordanti, fornite dalla tradizione. Alcune fonti lo confondono con Filippo diacono di Cesarea di cui si parla in At 6,5; 8,5-40; 21,9.
      Alcuni studiosi, dal fatto che di lui parla solo il 4° vangelo, hanno dedotto che egli abbia dimorato e sia morto in Asia Minore, particolarmente ad Efeso, dove Filippo era onorato come uno dei luminari dell’Asia.
      Esiste però una tradizione più sicura, secondo la quale egli evangelizzò la Frigia dopo avere predicato in Scizia e Lidia.
      Tutti sono concordi nel porre a Gerapoli (oggi Pamùkkale), in Frigia, la sua ultima dimora insieme a due delle tre figlie. Una conferma di ciò è data da Polìcrate, vescovo di Efeso nella 2a metà del II secolo, in una sua lettera a papa Vittore.
Con lui concordano Teodoreto di Ciro, Niceforo, Girolamo.
Papia, vescovo di Gerapoli, conobbe le figlie di Filippo e da esse apprese (secondo Eusebio) che un morto era stato risuscitato da lui. Su questa notizia concordano Niceforo e Clemente di Alessandria.
Quanto alla morte, contrariamente a ciò che afferma Clemente di Alessandria, ossia che Matteo, Tommaso e Filippo morirono di morte naturale, la maggior parte dei documenti antichi attestano che questo apostolo fu martirizzato a Gerapoli sotto Domiziano, crocifisso a testa in giù e lapidato, all’età di circa 87 anni.
GIACOMO il Maggiore
Di Betsaida, pescatore, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni apostolo, l’autore del 4° vangelo. Insieme al fratello e a Simone-Pietro fu testimone di alcune della più importanti azioni di Gesù (risurrezione della figlia di Giairo, trasfigurazione, agonia nel Getsemani).
Abbiamo tradizioni contrastanti sulla sua attività missionaria in Spagna. La fonte più sicura a questo proposito è il “Breviarium Apostolorum” bizantino, divulgato nella versione latina nel VII secolo, dove compare un’aggiunta (che non c’è nell’originale greco) attestante tale attività.
Fu decapitato per ordine di Giulio Agrippa I, nipote di Erode Antipa, intorno all’anno 42 (Atti 12,2).
Antica è la venerazione per questo apostolo in Spagna: del trasferimento del suo corpo da Gerusalemme alla Galizia spagnola parla per la prima volta il Martirologio di Floro (IX secolo), facendosi eco di precedenti tradizioni locali relative alla predetta venerazione.
GIACOMO di Alfeo
Nel Nuovo Testamento sono nominati due “Giacomo”: l’uno, figlio di Alfeo e l’altro denominato “fratello del Signore” (Mt 13,55; Mc 6,3).
In ambiente orientale si ritenne che Giacomo “fratello del Signore”, e Giacomo figlio di Alfeo, l’apostolo, fossero due persone distinte. La distinzione, forse introdotta, fra il II e il III secolo, dagli scritti pseudo-clementini, fu poi seguita da Eusebio (Hist. Eccl. I, 12), da Giovanni Crisostomo e, fra i latini, da Girolamo nei suoi ultimi scritti.
I Padri greci sostennero invece l’identità dei due Giacomo (Ireneo, Clemente Aless., Didimo cieco, Atanasio, Cirillo di Gerusal., Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro).
In Occidente si ammise quasi all’unanimità che fossero la stessa persona.
Dell’apostolo Giacomo figlio di Alfeo, considerato come personaggio distinto dal Giacomo “fratello del Signore”, non si sa praticamente nulla. Se invece lo si identifica con il parente di Gesù, molti particolari della sua vita e della sua morte sono offerti dalla tradizione ecclesiastica (Eusebio, Egesippo), dove sono evidenziati soprattutto la sua santità e il suo zelo anche in favore degli ebrei.
Resse la chiesa di Gerusalemme fino al 62, quando fu martirizzato dal sommo sacerdote Hanan II, che approfittò dell’intervallo fra la morte del procuratore romano Festo e l’arrivo del successore Albino per processarlo e farlo uccidere, precipitandolo dal pinnacolo del tempio e poi finendolo a sassate (Eusebio).
Un riferimento alla sua morte è riportato anche da Giuseppe Flavio (Ant. Giud. XX, 9,1).
GIOVANNI
Fratello di Giacomo il maggiore, figlio di Zebedeo, pescatore; autore/fonte del quarto vangelo, di tre lettere e dell’Apocalisse.
Giudicato come illetterato e popolano (At 4,3), sembra tuttavia che avesse conoscenze nelle alte sfere sacerdotali (Gv 18,15-16).
Secondo Girolamo e Agostino restò vergine. Già discepolo del Battista, fu tra i primi che seguirono Gesù (Mt 4,20 e forse Gv 1,35-42).
Ebbe un posto speciale fra i Dodici insieme a Simone-Pietro e il fratello Giacomo; come tale assistette ad alcuni dei fatti più importanti dell’attività di Gesù, che ebbe per lui una particolare predilezione. Nel 4° vangelo è da identificare con quello che l’autore designa come “il discepolo che Gesù amava”.
Merita ricordare soprattutto alcuni dati:
-          con Pietro seguì Gesù al processo;
-          unico fra gli apostoli e discepoli, assistette alla morte di Gesù vicino a Maria, che gli fu affidata da Gesù stesso;
-          con Pietro ricevette da Maria di Màgdala il primo annuncio della risurrezione (Gv 20,2), accorse al sepolcro e per la disposizione dei lini credette alla risurrezione (Gv 20,6-9);
-          all’apparizione di Gesù sul lago di Tiberiade fu il primo a riconoscere il Risorto (Gv 21,1-13);
-          nella stessa occasione assistette alla conferma del primato a Pietro (Gv 21,15-18) e ascoltò la risposta di Gesù alla domanda di Pietro circa la durata della propria vita (vv. 21-23). Ne parla anche il libro degli At:
-          At 3,1-8: guarigione di uno storpio da parte di Pietro
-          At 4,19 segg.: fatto catturare con Pietro dal Sinedrio
-          At 5,18-42: nuovamente incarcerato a causa della predicazione, poi flagellato
-          At 8,14 segg. inviato con Pietro in Samaria per consolidare la fede già diffusa dal diacono Filippo. In Gal 2,9 è qualificato da Paolo come una delle colonne della chiesa di Gerusalemme.
Dopo pochi anni lasciò Gerusalemme e andò ad evangelizzare l’Asia Minore, dove resse la chiesa di Efeso e le comunità circostanti (Ireneo, Clemente Aless., Polìcrate vescovo di Efeso, Giustino, Eusebio).
Non subì il martirio, ma fu colpito dalla persecuzione di Domiziano intorno al 95 (Ireneo): si narra che a Roma fu gettato in una botte di olio bollente, da cui uscì illeso (Tertulliano, Girolamo).
Dopo la morte dell’imperatore, ritornò a Efeso, dove morì vecchissimo, sotto Traiano (Girolamo).
MATTEO
È denominato Matteo in Mt 9,9-13, Levi in Mc 2,14-17 e Lc 5,27-32. L’identità di Matteo con Levi è fuori discussione.
Nello stesso testo di Matteo 9,9-13 si dice che esercitava a Cafarnao la professione di pubblicano, ossia di esattore delle imposte. In quanto tale era considerato un peccatore, sia  perché maneggiava denaro di pagani (i Romani occupanti) e quindi impuro, sia perché i pubblicani esercitavano la loro attività in modo esoso, con cupidigia e vessazioni.
Secondo Eusebio di Cesarea, Origene, Papia e Ireneo, Matteo-Levi compose un vangelo nella lingua parlata dagli ebrei del tempo. Eusebio scrive: “...Matteo infatti, che predicò dapprima agli ebrei, donò ad essi il suo vangelo, composto nell’idioma patrio, quando fu in procinto di recarsi in altri paesi, e con esso supplì alla sua presenza personale presso coloro che lasciava”.     L’originale di tale vangelo, andato perduto, fu poi tradotto in greco, non si sa da chi.
Non si conoscono con esattezza le regioni evangelizzate da Matteo, né le modalità della sua morte:
-       circa la sua attività evangelizzatrice, secondo alcune fonti (Rufino, Euterchio, Socrate, Breviario Romano) andò in Etiopia; secondo altri (Ambrogio, Paolino da Nola) predicò in Persia; secondo altri ancora, nel Ponto, in Siria, Macedonia, Irlanda;
-       circa la morte, lo gnostico Eracleone (la cui affermazione è riportata senza contestazioni da Clemente Alessandrino) Matteo morì di morte naturale; molti invece, pur non concordando sul genere di supplizio, ritengono che sia stato martirizzato. A tale proposito esistono diverse “passioni” apocrife: una di queste (Legenda Aurea) sostiene che Matteo sia stato fatto uccidere dal re di Etiopia Hirtaco mentre celebrava l’eucaristia.
Secondo il Martirologio Romano, evangelizzò l’Etiopia e vi subì il martirio.
MATTIA
È ricordato soltanto in At 1,15-26 come colui che fu estratto a sorte per sostituire Giuda il traditore e così ricostituire il collegio dei Dodici.
Certamente fu al seguito di Gesù fin dall’inizio della sua attività pubblica, secondo il criterio di scelta indicato nel testo di Atti sopra citato. Probabilmente faceva parte dei 72 discepoli di cui parla Lc 10,1, come afferma Eusebio, ed era uno dei più in vista se fu scelto come candidato insieme a Giuseppe Barsabba soprannominato Giusto.
Alcune fonti lo identificano erroneamente con Zaccheo o Barnaba o Natanaele, o altri.
Il suo nome, non si sa perché, fu molto in onore negli ambienti gnostici d’Egitto, che gli attribuirono la paternità di alcuni scritti apocrifi, di cui ci sono pervenuti frammenti citati da alcuni Padri. Esistono anche “Atti” apocrifi che lo riguardano. Infine, nel 1945, nell’antica borgata di Kenoboskion nell’alto Egitto, presso la cittadina di Nag Hammadi, fu scoperta una biblioteca gnostica di cui faceva parte anche un’operetta intitolata “Libro di Tommaso: parole segrete dal Salvatore a Giuda Tommaso e consegnate da Mattia”.
Circa la sua morte, si hanno notizie contrastanti: secondo lo gnostico Eracleone, citato da Clemente Alessandrino, morì di morte naturale; invece secondo Niceforo (Hist. Eccl. II, 40) predicò e subì il martirio in Etiopia; secondo altri ancora, dopo avere predicato agli ebrei di Palestina, fu lapidato come nemico della legge mosaica.
Nelle rappresentazioni pittoriche compare spesso con una scure: secondo una leggenda, non essendo morto per la lapidazione, sarebbe stato decapitato da un soldato romano.
SIMONE - PIETRO
Data la notorietà di questo apostolo, diamo soltanto alcune notizie essenziali.
Nato a Betsaida in Galilea, sposato, esercitava la pesca nel lago di Tiberiade, con residenza a Cafarnao, insieme al fratello Andrea, quando, già discepolo di Giovanni Battista (Gv 1,40-42) fu chiamato da Gesù, che gli diede il nome di Pietro.
Dopo il banchetto di Cana (Gv 2,1-11) e una pesca miracolosa (Lc 5,1-11) non lasciò più Gesù, fece parte di un ristretto gruppo di prediletti insieme a Giovanni e Giacomo e, come tale, assistette agli episodi più importanti dell’attività di Gesù (risurrezione della figlia di Giairo, trasfigurazione, agonia nell’orto degli ulivi).
Di carattere impulsivo e passionale, riconobbe in Gesù il Cristo, il Figlio di Dio (Mt 16,16). Per questa confessione, avvenuta a Cesarea di Filippo, Gesù lo definì Kefa = pietra/roccia, gli attribuì una posizione di preminenza sugli altri apostoli con la promessa delle chiavi del Regno dei cieli e il potere di “legare e sciogliere”, e gli diede una preparazione speciale e privilegiata rispetto agli altri, che andò intensificandosi sul finire della vita terrena di Gesù.
Quando Gesù fu catturato, lo rinnegò. Quando Maria di Màgdala portò la notizia del sepolcro vuoto, andò con Giovanni al sepolcro e constatò che vi erano soltanto i lini sepolcrali ed il sudario, ma a quella vista tornò indietro perplesso, a differenza di Giovanni, che invece credette alla risurrezione.
Da Lc 24,34 e 1 Cor 15,5 sappiamo che Gesù risorto apparve a lui solo almeno una volta.
Prima di ascendere al cielo Gesù gli chiese per tre volte di pascere le sue pecore e di confermargli il suo amore; inoltre gli predisse, in modo un po’ oscuro, di quale morte sarebbe morto (Gv 21).
Dai primi 12 capitoli degli Atti e dalla lettera di Paolo ai Gálati si ricavano notizie sul ruolo di Pietro nel collegio apostolico e nell’attività missionaria. In sintesi ricordiamo che Pietro:
-       fu ispirato ad ammettere nella comunità cristiana i pagani (At 10: battesimo di Cornelio );
-       nel concilio di Gerusalemme affermò il principio della libertà evangelica di fronte alla legge mosaica (At 15,7-11);
-       da lui si recò Paolo, dopo una lunga permanenza nel deserto, per avere conferma circa l’ortodossia della propria predicazione, confrontandola con quella di Pietro (Gal. 1,18);
-   tuttavia, proprio sulla pratica applicazione di quel principio fondamentale egli si scontrò con Paolo ad Antiochia (Gal 2).
Circa la sua attività missionaria, da Gal 2,7 sembra potersi dedurre che Pietro operò soprattutto in ambiente ebraico. La sua notorietà doveva essere molto grande, perché è conosciuto a Corinto (1 Cor 1,12) e in Galazia (Gal 2), dove probabilmente non era andato.
La tradizione antica non gli ha riconosciuto un primato nella comunità di Gerusalemme, retta per molti anni da Giacomo il Minore, “fratello del Signore”, mentre ha sempre visto Pietro come apostolo missionario ad Antiochia e a Roma. Di lui come primo vescovo di Antiochia parla per la prima volta san Girolamo (De viris Ill.), che probabilmente riprese una notizia molto meno esplicita contenuta nel “Chronicon” di Eusebio di Cesarea. Questa notizia fu ripresa da più fonti latine e greche, ma sembra essere senza solido fondamento.
Piuttosto, Pietro ha legato il proprio nome a Roma. Oggi, dopo lunghe polemiche, il fatto della venuta di lui in questa città, quando già esisteva una comunità cristiana il cui fondatore è ignoto, è un dato storico sicuro. Su questo punto la tradizione è veramente imponente e risale agli inizi della letteratura cristiana.
Così pure, la tradizione cristiana antica ha collegato l’attuale vangelo di Marco a Pietro, nel senso che egli fornì all’autore gran parte delle notizie, o, addirittura, nel senso che egli stesso ne sia stato l’autore (Carmignac).
Il suo martirio è affermato da una tradizione antichissima (Clemente Rom., Ad Corinthios 5,1-5; Dionigi vescovo di Corinto, citato da Eusebio di Cesarea in Hist. Eccl. II,25,8); sussistono dubbi circa l’anno, ma è certo che la sua morte avvenne sotto Nerone mediante crocifissione a testa in giù (Eusebio, Hist. Eccl. III,1,2; Origene, san Girolamo, De viris Ill. I). Ne parla anche il pagano Porfirio nella sua confutazione del Cristianesimo.
SIMONE il Cananeo o lo Zelota
È denominato “il cananeo” in Mt 10,4 e Mc 3,18, e “lo zelota” in Lc 6,15 e At 1,13.
Il significato dei due appellativi è identico: “ardente di zelo” per la legge e per la pratica del culto. Va infatti precisato che il termine “cananeo” non significa “di Cana”.
Molti lo identificano con il Simone “fratello del Signore” citato in Mt 13,55 e Mc 6,3 come Simeone, fratello di Giacomo il Minore, denominato anch’egli “fratello del Signore”, al quale sarebbe succeduto alla guida della chiesa di Gerusalemme; invece, bizantini e copti lo identificano con Natanaele di Cana e con il direttore di mensa alle nozze di Cana.
Secondo i bizantini avrebbe predicato in Africa e in Inghilterra, ma si tratta di fonti prive di autorità.
I latini e gli armeni lo fanno operare e morire in Armenia; Fortunato (VI secolo) scrive che Simone e Giuda sono sepolti in Persia, dove, secondo le storie apocrife degli apostoli, sarebbero stati martirizzati a Suanir. Conforme è il “Martirologio” di Gerolamo.
Le tradizioni conservate dal Breviario Romano affermano che Simone predicò in Egitto e, con Giuda, in Mesopotamia, dove insieme subirono il martirio; conformi sono i Bollandisti. Il monaco Epìfane (IX secolo) afferma che in Bòsforo esistevano delle reliquie di questo apostolo e a Nicopsis (Caucaso occidentale) c’era un’altra sua tomba, in una chiesa a lui dedicata, eretta dai greci tra il VI e il VII secolo.
Circa il supplizio, nelle molte raffigurazioni pittoriche appare segato in due, anziché sgozzato come affermano alcune tradizioni; per questo ha come attributo una sega.
TADDEO/GIUDA
Secondo gli antichi commentatori è da identificare con Giuda, fratello di Giacomo e di Simone/Simeone, citati in Mt 13,55 e Mc 6,3.
È nominato particolarmente in Gv 14,22, dove egli chiede a Gesù perché si sia manifestato soltanto agli apostoli e non a tutto il mondo.
Secondo la più consolidata tradizione, avrebbe predicato in Palestina e nelle regioni vicine. Notizie più tardive ne pongono la predicazione in Arabia, Mesopotamia, Armenia e Persia.
Secondo alcune fonti, sarebbe morto di morte naturale a Edessa; secondo altre, specialmente siriache, sarebbe stato martirizzato a Beirut.
TOMMASO
Detto “didimo”, cioè “gemello” (Gv 11,16; 20,24; 21,2). Ci dà particolari della sua vita soltanto il vangelo di Giovanni, che lo presenta come un uomo ricco di slancio, attaccamento a Gesù e senso pratico:
-             Gv 11,16: episodio della morte di Lazzaro
-             Gv 14,5: interroga Gesù circa la via per arrivare al luogo in cui Gesù stesso sta per recarsi, ossia il Padre
-             Gv 20,24 sgg.: non crede all’apparizione di Gesù risorto
-             Gv 20,26-29: professa la propria fede in Gesù “Signore e Dio” quando egli riappare otto giorni dopo
-             Gv 21: è tra gli apostoli che stanno pescando quando Gesù appare sul lago di Genezareth.
Secondo Eusebio, egli è uno degli apostoli che Papia, vescovo di Gerapoli, interrogava sulla dottrina di Gesù; inoltre, a lui sarebbe stata assegnata la Persia come regione da evangelizzare.
La tradizione più comune (Gregorio di Nazianzo, Orazione 33 “Ad Arianos”; Niceforo, Eusebio, Hist. Eccl. II, 40) gli attribuisce la predicazione e il martirio in India, forse trafitto da una lancia.
Conformi a questa tradizione sono alcune notizie fornite da Marco Polo e dal poeta portoghese Camoens.
Nei pressi della città indiana di Madràs esiste una località denominata “san Tommaso di Mailapur”, in cui si trova una croce con un’iscrizione del VII secolo in antico persiano, che indica il luogo del suo martirio.
Con il nome di questo apostolo sono stati composti alcuni scritti apocrifi di ambiente gnostico: un vangelo sull’infanzia di Gesù, un libro di “Atti”, un’apocalisse.
Secondo alcune fonti antiche (Efrem, “Cronaca di Edessa”; Egeria; gli storici Socrate, Rufino, Sozomeno) le sue reliquie furono traslate dall’India a Edessa in Mesopotamia. Conforme è il “Martirologio” di Gerolamo.
 
 

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Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 28/01/2004 10.40
 La Bibbia nelle varie traduzione cattoliche
 
Dopo aver dato brevi cenni sulla vita degli apostoli può essere significativo ripercorrere, in questa sede, le principali traduzioni cattoliche in italiano degli ultimi 100 anni.
- Negli anni 1923-1958 viene editata La Sacra Bibbia in 10 volumi curata dal Pontificio Istituto Biblico di Roma. Si tratta di una traduzione dai testi originali, coordinata da A. Vaccai, con introduzioni e note di carattere scientifico-divulgativo.
- Un’altra traduzione appare a partire dal 1947. Si tratta de La Sacra Bibbia in vari volumi, diretta da S. Garofalo e G. Rinaldi con ampie introduzioni e note a carattere scientifico. Opera di consultazione e di studio, viene raccolta in tre volumi nel 1961 e pubblicata da Marietti.
- Nel 1956 viene data alle stampe e ampiamente diffusa La Sacra Bibbia, in volume unico, curata da Castoldi - Nardoni - Pasquero – Robaldo con brevi introduzioni e note. Pubblicata dalla Società San Paolo, è la prima Bibbia ad essere diffusa in Italia in milioni di copie, nota come “la Bibbia da mille lire”.
- Tra il 1963 e il 1973 l’Utet pubblica La Sacra Bibbia in tre volumi sotto la direzione di Galbiati – Penna – Rossano. Su di essa si baserà la Conferenza Episcopale italiana per la Bibbia ad uso liturgico, pubblicata nel 1971 e ristampata con alcune correzioni nel 1974. Attualmente in revisione, essa costituirà il testo base di diverse edizioni della Bibbia, che però avranno introduzioni e note proprie: si pensi alla Bibbia di Gerusalemme (con introduzioni, note e passi paralleli dell’originale francese), alla Bibbia della Civiltà Cattolica, alla Bibbia TOB (traduzione ecumenica in tre volumi), alla Bibbia Piemme.
- Nel 1968 viene pubblicata la Bibbia concordata, attualmente edita in10 volumi in Oscar Mondatori. Curata dalla Società Biblica Italiana, è il frutto della collaborazione fra le varie confessioni cristiane (cattolici, valdesi, ortodossi, metodisti, battisti, Chiesa di Cristo) e gli ebrei. L’impostazione è di carattere scientifico-divulgativo.
- Tra il 1967 e il 1980 matura la Nuovissima Versione della Bibbia dai testi originali, un coraggioso progetto editoriale tutto italiano che valorizza il contributo di ben 29 biblisti. L’opera, con introduzioni e note di carattere scientifico, viene pubblicata dalla San Paolo in 46 volumetti. Nel 1991 essi vengono raccolti in 4 volumi con introduzioni e note riviste e ampliate. L’attuale Bibbia Emmaus e La Bibbia. E Dio disse… ne costituiscono, in volume unico una versione di studio e una versione economica.
- Da queste traduzioni si discosta la traduzione interconfessionale in lingua corrente (TILC) che la Ellenici in collaborazione con l’Alleanza Biblica Universale, ha pubblicato nel 1976 (Nuovo Testamento) e nel 1985 (Antico Testamento).
Le prime traduzioni della Bibbia
I testi di riferimento delle prime traduzioni della Bibbia sono stati:
-   Per la Bibbia ebraica il diqdouqè ha-teamim, fissato da Aaron Ben-Asher ne l930 ca, dalla scuola      di Tiberiade.
- per le Bibbie cattoliche la versione latina di san Girolamo, nota come Vulgata.
- per le Bibbie protestanti le traduzioni tedesche di Lutero (1522-1534) e di Zwingli;
Le principali recensioni di questo tempo sono quelle della Poliglotta Complutense (Alcalà, Spagna, 1514) e di Erasmo da Rotterdam (1516-1535), ed. 5) . Quest’ultima sebbene inferiore alla Complutense, fu la base di tutte le edizioni successive fino al sec. XIX: Roberto Estienne, 1546-1551); Teodoro Beza, 1565 ss. i fratelli Elzevir 1624.
Sebbene prima del Concilio di Trento (1545-1563) già esistessero alcune traduzioni della Bibbia nelle lingue volgari, fu solo con la Riforma protestante che la questione sull'opportunità della traduzione della Bibbia nei vernacoli e della sua divulgazione, piuttosto controversa nella Chiesa cattolica, fu affrontata attraverso discussioni talvolta anche aspre e vivaci.
Il Concilio di Trento confermò il primato della Vulgata come versione ufficiale della Chiesa cattolica e, se non proibì esplicitamente le traduzioni dal latino ai vernacoli, tuttavia assunse un atteggiamento estremamente cauto che non le favorì affatto, impedendo la diffusione della Bibbia tra il popolo per timore di interpretazioni private o della diffusione delle idee protestanti, scoraggiandolo al contatto diretto con la Scrittura, che rimase ancora per lungo tempo un privilegio del clero.
La questione della traduzione della Bibbia fu definitivamente affrontata e risolta in una nuova prospettiva grazie alle decisioni prese nel Concilio Vaticano II (1962-1965): “È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura… La Chiesa ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la parola di Dio dev'essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, a preferenza dai testi originali dei sacri libri. Che se queste, secondo l'opportunità e col consenso dell'autorità della Chiesa, saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere usate da tutti i fedeli” ( Dei Verbum ).
Le traduzioni della Bibbia si possono distinguere in due tipi a seconda del tipo di traduzione:
- letterali/letterarie, cioè fatte in base al principio di “equivalenza formale”, che enfatizza la corrispondenza letterale e formale del testo tradotto al testo-base da cui è tradotto.
- in lingua corrente, cioè fatte in base al principio di “equivalenza dinamica” o “equivalenza funzionale”, che mira più alla trasmissione e comprensione da parte del lettore del contenuto e del messaggio del testo di partenza, che alla sua riproduzione formale, secondo un nuovo concetto di traduzione per il quale la “fedeltà” può essere una caratteristica sia di una traduzione letterale, sia di una traduzione funzionale. In virtù di accordi tra l'Alleanza Biblica Universale e il Segretariato Pontificio per l'Unità dei Cristiani, firmati nel 1968 e rivisti nel 1987, molte traduzioni in lingua corrente sono interconfessionali, cioè fatte insieme da cattolici e protestanti.

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Da: Soprannome MSN°Cristiano Inviato: 13/02/2004 0.44
Vorrei dire due cose riguardo ai libri  deuterocanonici
Girolamo che ha tradotto la Bibbia dei Settanta non li riteneva ispirati, la sua dichiarazione è che erano solo buoni da leggere e non per stabilirvi una dottrina.
Agostino, aveva un canone differente da quello di Girolamo.
Gi Ebrei a cui sono stati affidati gli oracoli di Dio (Vecchio Testamento), non riconocono gli apocrifi.
Tutti i libri del Vecchio testamento sono scritti in Ebraico, nei deuterocanonici del Vecchio Testamento non esiste il testo Ebraico.
Infine la Società Biblica di Ginevra dice qualcosa riguardo all'argometo
Alfonso
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