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Intercessione di Santi e Angeli

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2009 16:53
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01/11/2009 16:43
 
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Libro ventiduesimo

LA RISURREZIONE DELLA CARNE E LA VITA ETERNA

 Verità di fede e criteri apologetici (1-10)Argomento del libro e concetto di eternità.
1. 1. Come ho stabilito nel libro precedente, questo, che è l'ultimo di tutta l'opera, tratterà l'argomento della felicità eterna della città di Dio, la quale non ha avuto l'appellativo d'eterna a causa di una lunga successione di tempo per indefiniti periodi, che comunque avrebbe avuto fine, ma perché, come è scritto nel Vangelo: Del suo regno non si avrà la fine 1. E non è che in essa si manifesti l'apparenza della perennità col cessare di alcuni di tali periodi e col subentrare di altri, come in un albero che si riveste di fronde in continuazione può sembrare che persista il medesimo colore verde mentre, scomparendo e cadendo le foglie, le altre che spuntano conservano l'apparenza della ombrosità. Nella città di Dio invece tutti i cittadini saranno immortali perché gli uomini conseguiranno ciò che gli angeli santi non hanno mai perduto. Lo porrà in atto Dio sommamente onnipotente suo fondatore. L'ha promesso e non può mentire e per coloro, ai quali offriva di ciò una garanzia, ha posto in atto molti eventi promessi e non promessi.Provvidenza, essere spirituale e libero arbitrio.
1. 2. Egli infatti all'origine ha creato il mondo, provvisto di esseri visibili e intelligibili e tutti buoni. In esso nulla ha stabilito di più perfetto degli esseri spirituali, ai quali ha dato l'intelligenza, che ha reso abili a conoscerlo nella sua trascendenza e idonei a possederlo e ha riunito in una società che consideriamo la santa città dell'alto. In essa l'essere, da cui sono conservati nell'esistenza e resi felici, è per loro Dio stesso come vita e sostentamento comune. E ha conferito a questa creatura ragionevole il libero arbitrio in modo che essa, se voleva, poteva abbandonare Dio, sua felicità, con immediata successione della infelicità. Ed egli, pur nella prescienza che alcuni angeli, mediante l'arroganza, con cui pretendevano di essere autosufficienti alla propria felicità, sarebbero divenuti rinunziatari di un bene così grande, non tolse loro questa facoltà perché giudicò che era di maggior potere e bontà trarre il bene dal male che non permettere il male. Ma il male non vi sarebbe se, peccando, non lo avesse operato per sé la natura stessa, soggetta al divenire, sebbene buona e ideata da Dio, Bene sommo e non soggetto al divenire, che ha creato buone tutte le cose. E proprio dall'attestato di questo suo peccato la natura si rende cosciente d'essere stata creata buona; se non fosse anch'essa un bene grande, sebbene non eguale al Creatore, l'abbandonare Dio come sua luce non potrebbe essere il suo male. Infatti la cecità è un male dell'occhio e proprio questo male dimostra che l'occhio è stato creato per vedere la luce e perciò proprio da questo suo male si ravvisa come il più nobile di tutti gli altri organi l'organo percipiente la luce, poiché il male di essere privo della luce non ha altra provenienza. Allo stesso modo una natura, che si allietava in Dio, fa intendere che era stata creata sommamente buona proprio da questo suo male, per cui è infelice, appunto perché non si allieta in Dio. Egli ha punito la volontaria defezione degli angeli con la giustissima pena di una eterna afflizione e agli altri che erano rimasti fedeli, affinché fossero certi della propria fedeltà senza fine, diede, per così dire, il premio di tale fedeltà. Ed Egli ha creato l'uomo, anche lui capace di bene mediante il libero arbitrio, quantunque fosse un essere animato sulla terra, ma degno del cielo se rimaneva unito al suo Creatore, ed egualmente, se lo avesse abbandonato, della infelicità che sarebbe sopraggiunta quale sarebbe convenuta a siffatta natura. E sebbene avesse egualmente avuto prescienza che avrebbe peccato con la trasgressione della legge di Dio mediante la defezione da lui, neanche a lui sottrasse il potere del libero arbitrio perché con un medesimo atto previde il bene che Egli avrebbe operato dal male di lui. Ed Egli dalla discendenza soggetta a morire, debitamente e giustamente condannata, raduna con la sua grazia un grande popolo per riparare e rinnovare con esso la parte di angeli che è caduta, sicché la diletta città dell'alto non è privata del numero dei suoi cittadini, che anzi forse è allietata da un numero più abbondante.Analogia dell'idea di provvidenza...
2. 1. Molte azioni certamente sono compiute dai cattivi contro la volontà di Dio, ma Egli è di tanta sapienza e potere che tutti gli avvenimenti, che sembrano contrari alla sua volontà, tendono a quegli scopi e fini che Egli ha previsto come buoni e giusti. Perciò quando si dice che Dio ha mutato la volontà, sicché, ad esempio, si rende sdegnato verso coloro con i quali era indulgente, sono essi che sono cambiati, non lui, e in un certo senso lo trovano mutato nelle avversità che subiscono. Allo stesso modo cambia il sole per gli occhi contusi e in qualche modo si rende da blando irritante, da dilettevole sgradito, sebbene in sé rimanga quel che era. Si considera volontà di Dio anche quella che Egli pone in atto nel cuore di coloro che obbediscono ai suoi comandamenti, e di essa dice l'Apostolo: È Dio che opera in voi anche il volere 2, come si considera giustizia di Dio non solo quella per cui Egli è considerato giusto, ma anche quella che Egli pone in atto nell'uomo che da lui viene reso giusto 3. Così si considera sua anche la legge che invece è degli uomini, ma data da lui perché erano uomini coloro ai quali Gesù disse: Nella vostra Legge è stato scritto 4, sebbene in un altro passo leggiamo: La legge del suo Dio è nel suo cuore 5. Secondo questa volontà, che Dio opera negli uomini, si dice che Egli vuole non ciò che vuole ma ciò di cui rende volenti i suoi, come si considera che Egli ha conosciuto ciò che ha fatto conoscere da coloro da cui era ignorato. Infatti dalle parole dell'Apostolo: Ora poi conoscendo Dio, anzi essendo conosciuti da Dio 6, non è consentito dedurre che Dio abbia conosciuto allora quelli che erano conosciuti prima della creazione del mondo 7, ma è stato detto che li ha conosciuti quando ha fatto sì che fosse conosciuto. Ricordo di aver discusso di questi modi di parlare nei libri precedenti 8. Dunque secondo questa volontà, per cui noi diciamo che Dio vuole quello che fa in modo che vogliano coloro che ignorano il futuro, Dio vuole molte cose ma non le attua.... e prescienza di Dio.
2. 2. I suoi santi chiedono che si avverino molti eventi ispirati da lui con una volontà santa, però non si avverano come essi con fede e devozione pregano per determinate persone ed Egli non pone in atto ciò che chiedono nella preghiera, sebbene nello Spirito Santo ha suscitato in essi questa volontà di pregare. Perciò quando i santi chiedono e pregano che ognuno sia salvo, possiamo dire con quel modo figurato di esprimersi: "Dio vuole e non fa", per dire che Egli vuole perché attua che costoro chiedano. Però in virtù della sua volontà, che è eterna unitamente alla sua prescienza, ha già posto in atto, in cielo e sulla terra, tutti gli eventi che ha voluto, non solo passati o presenti, ma anche futuri 9. Nondimeno, prima che giunga il tempo in cui Egli vuole che si avveri l'evento, che prima di tutti i tempi ha preordinato nella sua prescienza, noi diciamo: "Avverrà quando Dio vorrà". Però se ignoriamo non solo il tempo in cui avverrà, ma anche se avverrà, diciamo: "Avverrà se Dio vorrà", non perché Dio avrà un nuovo atto di volontà che non aveva, ma perché allora avverrà quel che dall'eternità è stato preordinato nella sua volontà non soggetta al divenire.Predizione della felicità eterna.
3. Perciò, per passare sopra a molti altri eventi, come ora notiamo che in Cristo si è adempiuta la promessa fatta ad Abramo: Nella tua discendenza saranno benedetti tutti i popoli 10, così si adempirà ciò che alla medesima discendenza ha promesso con le parole del profeta: Risorgeranno coloro che erano nei sepolcri 11, e con queste altre: Vi saranno un cielo nuovo e una terra nuova e non si ricorderanno più dei passati e la vecchia terra non verrà più loro in mente, ma troveranno in essa gioia e giubilo. Ecco, io faccio di Gerusalemme un giubilo e del mio popolo una gioia e salterò di giubilo in Gerusalemme e gioirò nel mio popolo e non si udrà più in essa una voce di pianto 12. Ha preannunziato l'evento mediante un altro profeta con parole rivolte a lui: In quel tempo avrà la salvezza tutto il tuo popolo, che sarà trovato scritto nel libro, e molti di coloro che dormono nella polvere della terra (o come molti hanno tradotto: in un mucchio 13) risorgeranno, gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e all'infamia eterna 14. In un altro passo del medesimo profeta si ha: I santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, oltre il tempo 15, e poco dopo dice: Il suo regno è eterno 16. Altri eventi, attinenti all'argomento, che ho allegato nel libro ventesimo 17 o che non ho allegato, ma sono riferiti in quella profezia, si avvereranno anch'essi, come si sono avverati questi, che gli infedeli non pensavano si avverassero. Ha preannunziato gli uni e gli altri, ha predetto che si avvereranno gli uni e gli altri il medesimo Dio, di cui gli dèi dei pagani hanno orrore, anche per la testimonianza di Porfirio, il più illustre filosofo dei pagani 18.I pagani contro la credibilità del corpo in cielo.
4. Ma naturalmente vi sono individui, letterati e filosofi, che sono in opposizione al prestigio di sì grande autorevolezza, la quale ha volto tutte le categorie di persone a credere e sperare nella risurrezione, come aveva predetto tanto tempo prima. A costoro sembra di ragionare con finezza contro la risurrezione dei corpi e di poter citare quel che è riferito nel terzo libro su Lo Stato di Cicerone. Difatti nell'affermare che Ercole e Romolo da uomini erano diventati dèi, dice: Non i loro corpi sono stati elevati perché la natura non tollererebbe che ciò che è della terra non rimanga se non nella terra 19. Questo è il grande criterio dei filosofi, dei cui pensieri il Signore conosce che sono privi di significato 20. Se fossimo soltanto anima, cioè spirito senza corpo, e avendo dimora in cielo non conoscessimo gli esseri animati della terra e ci si dicesse che in futuro avverrà che saremo congiunti con vincolo mirabile ad animare corpi terrestri, ragioneremmo molto più attendibilmente se ci rifiutassimo di crederlo e dicessimo che la natura non tollera che un essere incorporeo sia avvinto da un legame corporeo. E tuttavia la terra è piena di anime che vivificano le parti terrestri di un corpo, congiunte fra di loro in modo mirabile e influenti l'una sull'altra. Perché dunque nella volontà di Dio, che ha creato questo essere animato, un corpo terrestre non potrà essere sublimato a un corpo celeste, se l'anima spirituale, più nobile di ogni corpo e quindi anche di un corpo celeste, ha potuto essere unita a un corpo terrestre?. Forseché un pezzetto di terra, tanto meschino, ha potuto avere in sé un essere più nobile di un corpo celeste, in modo da avere la conoscenza e la vita, e il cielo rifiuterà di accoglierlo, pur dotato di conoscenza e vita, o non lo potrà conservare se accolto, quando esso conosce e vive mediante un essere migliore di ogni corpo celeste? Ma ora non avviene perché non è ancora il tempo in cui ha voluto che avvenisse colui che ha creato, molto più mirabilmente di quel che dai pagani non è ammesso, quel che ora è divenuto usuale alla nostra esperienza. Perché non ammiriamo di più che le anime spirituali, più nobili di un corpo celeste, sono unite ai corpi terrestri, anziché ammirare che i corpi, sebbene terrestri, sono elevati a dimore, sebbene celesti, tuttavia corporee? La ragione è che siamo abituati a percepire questo stato e questo siamo; non siamo ancora quello e non l'abbiamo ancora percepito. Adottando un criterio assennato si rinviene che è di una operazione divina più mirabile congiungere in qualche modo esseri corporei a incorporei che unire corpi a corpi, sebbene diversi perché gli uni sono celesti, gli altri terrestri.Il mondo crede alla Sacra Scrittura.
5. Però questo sarebbe stato incredibile una volta; ma ora il mondo ha creduto che il corpo terrestre del Cristo è stato elevato al cielo. Individui dotti e ignoranti, esclusi pochissimi istupiditi, tanto dotti che ignoranti, hanno creduto la risurrezione della carne e l'ascensione nelle dimore celesti. Se hanno creduto una cosa credibile, riflettano quanto sono stolti quelli che non credono; se invece è stata creduta una cosa incredibile, anche questo è incredibile, che sia stato creduto ciò che è incredibile. Dunque il medesimo Dio, prima che uno dei due eventi si avverasse, ha predetto che si sarebbero avverati tutti e due questi eventi incredibili, cioè la risurrezione del nostro corpo nell'eternità e che il mondo avrebbe creduto una cosa così incredibile 21. Costatiamo che uno dei due eventi incredibili si è già avverato, cioè che il mondo avrebbe creduto ciò che era incredibile. Non v'è ragione dunque di dubitare che si avveri anche l'altro, che il mondo ha ritenuto incredibile, come si è avverato ciò che è stato egualmente incredibile, cioè che il mondo credesse una cosa tanto incredibile. Difatti nella sacra Scrittura, mediante la quale il mondo ha creduto, è stato predetto l'uno e l'altro evento incredibile, uno che costatiamo, l'altro che crediamo. E il modo stesso, col quale il mondo ha creduto, se vi si riflette attentamente, appare più incredibile. Cristo, con le reti della fede, sul mare di questo mondo, ha mandato pochissimi pescatori, non istruiti nelle discipline liberali e inoltre, per quanto attiene agli insegnamenti dei pagani, del tutto incolti, non acculturati nella grammatica, non muniti nella dialettica, non ampollosi nella retorica, eppure ha preso molti pesci di ogni specie e tanto più degni di meraviglia quanto più rari e perfino gli stessi filosofi. Se fa piacere, anzi perché deve far piacere, a questi due fatti incredibili aggiungiamone un terzo. Dunque sono tre i fatti incredibili che tuttavia sono avvenuti. È incredibile che Cristo sia risorto nella carne e che con la carne sia salito in cielo; è incredibile che il mondo abbia creduto una cosa tanto incredibile; è incredibile che uomini di bassa estrazione, senza mezzi, pochissimi, illetterati abbiano potuto rendere attendibile con tanta evidenza al mondo e in esso anche ai dotti una cosa tanto incredibile. I pagani, con i quali stiamo dibattendo, non vogliono credere al primo di questi tre fatti incredibili; sono costretti a costatare il secondo, ma non riscontrano come sia avvenuto se non credono al terzo. In tutto il mondo si annunzia e si crede alla risurrezione di Cristo e alla sua ascensione al cielo con la carne in cui è risorto; se non è credibile, perché è stato ormai creduto in tutto il mondo?. Se molti, famosi, altolocati, dotti avessero detto di averla vista e si fossero impegnati a divulgare quel che avevano visto, non sarebbe da meravigliarsi se il mondo avesse creduto, anzi sarebbe difficile non voler credere ad essi. Se invece, come è accaduto, il mondo ha creduto a pochi, ignoti, di bassa estrazione, ignoranti che dicevano e scrivevano di aver visto la risurrezione, perché i pochi ostinatissimi, che sono rimasti, non credono ancora al mondo che ormai crede? E il mondo ha creduto appunto a un piccolo numero di uomini ignoti, di bassa estrazione, illetterati perché attraverso testimoni così poco attendibili la divinità molto più mirabilmente si manifestò con evidenza. Infatti i linguaggi fautori d'evidenza che usavano furono fatti meravigliosi, non parole. Coloro i quali non avevano visto che il Cristo era risorto con la carne e che con essa era salito al cielo credevano a quelli i quali narravano di averlo visto, non solo perché parlavano ma anche perché operavano stupendi prodigi. Difatti all'improvviso udivano parlare miracolosamente le lingue di tutti i popoli individui che sapevano intenditori di una sola lingua, al massimo di due 22. Vedevano che uno storpio dal grembo della madre, a una loro parola nel nome di Cristo, dopo quarant'anni si era alzato in piedi pienamente guarito 23, che i fazzoletti tolti via dal loro corpo servivano a guarire gli infermi. Vedevano che gli innumerevoli individui, afflitti da varie malattie, posti in fila sulla via, in cui stavano per sopraggiungere gli Apostoli, affinché si riflettesse su di essi l'ombra di loro che passavano, spesso ricevevano immediatamente la guarigione 24. Scorgevano anche molte altre opere stupende da loro compiute nel nome di Cristo e infine anche la risurrezione dai morti 25. Se ammettono che tali fatti sono avvenuti come sono stati tramandati, ecco che a quei tre incredibili ne aggiungiamo tanti altri. Perciò, affinché sia creduto un solo avvenimento incredibile, relativo alla risurrezione della carne e ascensione al cielo, raccogliamo valide testimonianze di molti fatti incredibili e ancora non induciamo a credere coloro che per spaventosa durezza non credono. Se poi non credono che per mezzo degli Apostoli di Cristo sono stati operati quei miracoli affinché si credesse a loro, che annunziavano la sua risurrezione e ascensione al cielo, a noi basta soltanto questo grande miracolo: che senza miracoli il mondo l'ha creduto.Confronti con Romolo e Roma.
6. 1. Riportiamo a questo punto anche ciò che per Cicerone è degno di meraviglia sulla creduta divinità di Romolo. In Romolo, egli dice, desta soprattutto meraviglia il fatto che gli altri, di cui si tramanda che da uomini sono divenuti dèi, vissero in periodi meno civili in modo che il pensiero era più disposto al mito, poiché gli individui ignoranti erano facilmente spinti a credere; notiamo invece che l'età di Romolo, a meno di sei secoli addietro, fu caratterizzata da cultura ed erudizione già progredite, essendo stato eliminato del tutto un antico pregiudizio proveniente dalla condizione incivile degli uomini 26. E poco dopo, in relazione all'argomento in parola, così parla sempre di Romolo: Da ciò si può arguire che Omero visse moltissimi anni prima di Romolo sicché, essendo progrediti nella cultura uomini e tempi, v'era appena un qualche spazio per favoleggiare. Difatti l'antichità ha accolto favole formulate talora anche grossolanamente; questa età invece, già acculturata, prevalentemente con la satira ha respinto tutto ciò che non può avvenire 27. Uno del numero degli uomini più dotti e il più eloquente di tutti, Marco Tullio Cicerone, afferma appunto che la divinità di Romolo fu creduta come fatto prodigioso perché i tempi erano progrediti nella cultura in modo da non ammettere la menzogna delle favole. Ma chi ha creduto Romolo un dio se non Roma, ancora piccola e agli inizi?. In seguito ai posteri era stato necessario mantenere quel che avevano ricevuto dagli antenati, affinché assieme a questa superstizione, succhiata, per così dire, con il latte della madre, la città crescesse a un dominio così esteso. Così da questa sua sovranità, come da un luogo più alto, poteva irrorare di questa sua credenza anche gli altri popoli sui quali dominava, non perché credessero ma affinché parlassero di Romolo come di un dio. Non dovevano, cioè, ingiuriare la città, cui erano sottomessi, nel suo fondatore, non attribuendogli un appellativo riconosciutogli da Roma che lo aveva creduto non per amore di questo errore, ma tuttavia per un errore suggerito dall'amore. Invece, sebbene Cristo sia fondatore dell'eterna città del cielo, tuttavia essa non l'ha creduto Dio perché è stata fondata da lui, ma si deve costruirla appunto perché crede. Roma, già costruita e consacrata, ha adorato il suo fondatore in un tempio; questa Gerusalemme invece, per essere costruita e consacrata, ha posto sul fondamento della fede Cristo Dio suo fondatore. Quella amandolo l'ha creduto un dio, questa credendolo Dio l'ha amato. Come dunque si avverò prima che Roma amò e poi che della persona amata, ormai agevolmente, credette anche un falso bene; così si avverò prima che la Gerusalemme terrena credette affinché con la retta fede non amasse alla cieca ciò che è falso, ma ciò che è vero. A parte dunque tanti grandi miracoli, i quali hanno convinto che Cristo è Dio, si ebbero prima anche le profezie d'ispirazione divina, assolutamente degne di fede, di cui non si crede, come credettero i nostri padri, che devono adempiersi in lui, ma si dimostra che si sono già adempiute; di Romolo invece, circa l'evento che ha fondato Roma e ha regnato in essa, si ascolta e si legge che è avvenuto, non che è stato profetato prima che avvenisse. In quanto poi al fatto che è stato accolto fra gli dèi, i loro libri fanno capire che è creduto, non affermano che è avvenuto 28. Difatti non si dimostra con indicazioni di eventi prodigiosi che ciò è realmente accaduto. Anche la celebre lupa allattante, che sembrerebbe un grande portento, quale attinenza o autorevolezza ha per dimostrarlo un dio? 29. E sebbene la celebre lupa senza dubbio non fu una prostituta ma un animale, quantunque sia stata in comune per i gemelli, tuttavia il suo fratello non è considerato un dio. E chi è stato interdetto di dichiarare dèi Romolo o Ercole o altre simili personalità e ha preferito morire anziché non dichiararlo? Oppure qualche popolo onorerebbe fra i suoi dèi Romolo, se non lo costringesse la paura del nome romano? Chi potrebbe invece calcolare quanti hanno preferito essere uccisi con grande, disumana spietatezza anziché negare che Cristo è Dio? Quindi il timore, sia pure di una leggera indignazione, costringeva alcune città soggette al diritto romano a onorare Romolo come un dio. Invece la paura, non tanto di un leggero sdegno dell'animo, ma di grandi e varie pene e della morte stessa, che più delle altre si paventa, non ha potuto distogliere un grande numero di martiri, fra tutti i popoli della terra, dall'onorare ma anche dal professare Cristo come Dio. E in quel tempo la città di Dio, sebbene fosse esule in cammino sulla terra e avesse schiere di grandi popoli, non combatté per la salvezza nel tempo contro i propri persecutori pagani, ma piuttosto, per raggiungere la salvezza eterna, non oppose resistenza. Venivano incatenati, imprigionati, flagellati, torturati, bruciati, sbranati e crescevano di numero. Per loro combattere per la salvezza era lo stesso che disprezzare la salvezza per amore del Salvatore.Fede e salvezza nelle due città.
6. 2. So che nell'opera su Lo Stato di Cicerone, nel terzo libro, se non sbaglio, si tratta dialogicamente che da un'ottima amministrazione civile s'imprende la guerra soltanto per la fedeltà e la salvezza. In un passo, mostrando che cosa intende per salvezza o a quale salvezza vuole che si pensi, dice: Da queste pene, che anche i più ingenui sentono, cioè la fame, l'esilio, il carcere, le verghe, spesso i privati cittadini sfuggono per il sopraggiungere inatteso della morte; per gli enti politici invece la morte stessa, che sembra garantire gli individui dalla pena, è una pena. L'ente politico infatti dev'essere organizzato in modo tale da essere perpetuo. Quindi non si ha la morte naturale dello Stato come dell'uomo, per il quale la morte non solo è inevitabile, ma spesso auspicabile. Invece un'entità politica, quando viene soppressa, è distrutta, annientata; è come se, in certo senso, tanto per paragonare le piccole cose alle grandi, tutto questo mondo scomparisse e precipitasse nel nulla 30. Cicerone ha espresso questo pensiero appunto perché con i platonici ritiene che il mondo non avrà fine. È evidente dunque la sua opinione che dal governo dello Stato sia intrapresa la guerra per quella salvezza per cui lo Stato persiste nel tempo, pur nel morire e nascere degli individui, come è perenne l'ombrosità dell'olivo, dell'alloro e di alberi consimili attraverso il cadere e il rispuntare delle foglie. La morte infatti, come egli si esprime, è una pena non dei singoli individui, ma di tutto lo Stato e invece spesso libera dalla pena gli individui. Perciò a buon diritto si pone il problema se fece bene Sagunto quando preferì la sua distruzione anziché violare la fedeltà con cui era legata allo stesso Stato romano e per questa sua determinazione è lodata da tutti i cittadini dello Stato terreno. Però io non vedo in qual modo potessero essere ottemperanti di quella teoria, con cui si afferma che si deve intraprendere la guerra soltanto o per la fedeltà o per la salvezza; infatti nel caso che questi due valori s'incontrassero in uno e medesimo pericolo, in modo che non si può ottenere l'uno senza la perdita dell'altro, non si dice quale dei due sia da preferire. Se Sagunto avesse preferito la salvezza, si doveva dai suoi cittadini rinunziare alla fedeltà; se da mantenere la fedeltà, era da lasciar perdere la salvezza, come difatti è avvenuto 31. La salvezza della città di Dio è tale che si può mantenere o piuttosto raggiungere assieme alla fede e mediante la fede, sicché perduta la fede non si può giungere ad essa. Questa riflessione di un cuore assai forte e paziente ha fruttato tanti grandi martiri, di tal fatta che neanche uno solo ne ebbe o poté averne Romolo, quando fu creduto un dio.Consenso dei credenti.
7. Ma è davvero ridicolo fare riferimento alla divinità di Romolo, quando parliamo di Cristo. Romolo è esistito circa seicento anni prima di Cicerone e si afferma che quell'età era già evoluta nella cultura 32, sicché avrebbe rifiutato tutto ciò che era inattendibile. A più forte ragione dunque, dopo seicento anni, al tempo dello stesso Cicerone, e soprattutto in seguito, sotto Augusto e Tiberio, in tempi certamente molto più addottrinati, l'intelligenza umana non avrebbe potuto accettare e, rifiutando di ascoltare e di accogliere, avrebbe rifiutato come inattendibile la risurrezione della carne di Cristo e la sua ascesa al cielo, se non l'avessero mostrata come attendibile e realmente avvenuta la testimonianza divina della verità e la verità della testimonianza divina e insieme gli attestanti criteri dei miracoli. Avvenne così che, malgrado il timore e le idee contrarie di tante e così crudeli persecuzioni, la risurrezione e l'immortalità della carne, che precede nel Cristo e seguirà negli altri fuori del tempo, fosse creduta con fede invitta, annunziata con coraggio e seminata nel mondo per germogliare più fecondamente nel sangue dei martiri. Si leggevano infatti precorritrici predizioni dei Profeti, avvenivano contemporaneamente gli straordinari esempi di virtù e si rendeva consona al modo di vivere una verità nuova, non contraria alla ragione finché il mondo, che perseguitava con furore, seguì nella fede.
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