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Le iniziative organizzate dalla Congregazione per il Clero per questo Anno di Grazia

Ultimo Aggiornamento: 11/03/2010 09:39
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Le iniziative organizzate dalla Congregazione per il Clero

Un Anno per i sacerdoti
e non solo




di Marta Lago

Unisce necessità e riconoscimento. L'Anno sacerdotale chiede infatti il rigoroso rinnovamento interiore di tutto il clero mondiale; ma rappresenta anche l'abbraccio e la gratitudine corale del Papa e della Chiesa per la fedeltà e la sofferenza di tanti preti di fronte alle incomprensioni e alle difficoltà che possono incontrare.
Un Anno che già raccoglie dei frutti e continua a prepararne di nuovi, come ha descritto lo scorso venerdì, in un incontro-colloquio con un gruppo di giornalisti, il segretario della Congregazione per il Clero, l'arcivescovo Mauro Piacenza. Con realismo e speranza, in un periodo storico non precisamente generoso con i sacerdoti. E anche a dispetto del peso che hanno, attraverso l'amplificazione dei media, figure sacerdotali "che in genere sono quelle del dissenso". Mentre i mezzi d'informazione - afferma il presule - generalmente hanno scarsa attenzione per le figure "del grande consenso, della grande comunione, che sono quelle della quasi totalità dei preti che fanno il loro dovere".

L'arcivescovo apre le porte del dicastero e manifesta la sua preoccupazione per la cultura attuale che tende a omologare il sacerdote e ad appiattirlo il più possibile allo spirito del mondo, il quale elude la solidità del riferimento morale e preferisce il soggettivismo. "C'è continuamente bisogno di remare contro nel senso evangelico del termine; facendo anche guerre, ma "guerre di santità". La muscolatura interiore di un prete - preghiera, vita interiore e motivazione profonde - deve essere in un cero senso da Rambo se vuole resistere lui e se vuole che la sua azione pastorale sia incisiva". La Congregazione per il Clero moltiplica gli sforzi per promuovere questo rinnovamento interiore - "non una rivoluzione" - che permetta di ridare entusiasmo di fronte a tante nuove sfide.

Riannodandosi a quel convincimento espresso da Paolo vi, secondo il quale il mondo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri. "Ciò che insegna il sacerdote - osserva monsignor Piacenza - acquista valore attraverso la propria testimonianza; è così che diventa credibile. E per essere credibile il prete deve essere profondamente credente".

L'Anno sacerdotale parla a tutta la comunità di fedeli, non soltanto ai sacerdoti. A questi spetta una pastorale, come "arte della comunicazione della salvezza e della grazia di Dio", che risponda alle necessità del presente, aiutando i laici a instillare forza morale nelle realtà terrene. Il fatto è che le grandi sfide del mondo contemporaneo chiamano in causa direttamente i laici, non i "preti politicanti, i preti che fanno comizi o i preti "star". Ognuno faccia il suo. E il sacerdote che fa il prete fino in fondo è il primo agente di promozione" dell'evangelizzazione nella società. "Questa è la grande sinfonia della comunione cattolica", sottolinea il presule.

Per questo il sacerdote è "dono" e "segno", non soltanto per la Chiesa, ma anche per la società civile, che può vedere in lui un riferimento utile "di pacificazione, di comprensione, di misericordia, di umanizzazione". Com'è d'aiuto, per lo stesso sacerdote e per gli altri, il segno esteriore della sua identità presbiteriale, che "in alcuni ambienti serve per essere insultati, ma anche per essere cercati". Un'identità che bisogna saper comprendere e apprendere, e che si definisce attraverso la configurazione a Cristo. È la ragione dell'obbedienza, del celibato, della povertà. Perché "il Buon pastore non riserva niente per sé.

E il sacerdote, nonostante tutti i suoi difetti umani, è stato eletto da Cristo, non si è autoproposto"; egli deve essere "sempre il megafono del buon Dio che parla al suo popolo; il canale attraverso il quale circoli l'acqua in modo puro e arrivi così la salvezza che è Gesù Cristo".

Un modello eminente di questa formazione è il curato di Ars, che domina un anno al termine del quale il Papa lo proclamerà patrono di tutti i sacerdoti del mondo. Figura straordinaria perché, semplicemente, egli agì sempre come sacerdote. "Fece soltanto questo, e niente di meno che questo!", afferma l'arcivescovo Piacenza. San Giovanni Maria Vianney "si realizzò" nell'eucarestia e nella confessione, donandosi totalmente alla sua parrocchia, nella quale non si poteva dire che inizialmente ci fosse molto amore per Dio. Fu la sua missione a trasmetterlo, in mezzo al "vento del deserto sahariano" del secolarismo; la stessa difficoltà che oggi sperimenta la Chiesa. Ma il curato d'Ars "trasformò tutto attraverso la sua santificazione".

È un forte richiamo e anche una grande consolazione per il sacerdote del XXI secolo, oberato di compiti. Già lo sottolineò il concilio Vaticano ii - spiega monsignor Piacenza - in linea con la tradizione che risplende nel curato di Ars: la chiamata a santificarsi non malgrado il ministero, ma attraverso lo stesso ministero sacerdotale. "La buona volontà, l'impegno, e lasciarsi guidare dal Divino Maestro" plasmò la cattedra d'insegnamento del curato di Ars, la cui pastorale fu eccezionale perché la apprese "amando il Signore, lasciandosi amare da Lui e non ponendo ostacoli all'azione dello Spirito Santo". Una lezione d'attualità, prosegue il segretario della Congregazione per il Clero: "Un santo è sempre un grande pastore", che "rivolge la sua preoccupazione a tutti" facendo il suo "apostolato incisivo".

Questi elementi delineano l'anima dell'Anno sacerdotale e l'urgenza di comunicarlo adeguatamente. Sono, inoltre, il motore delle iniziative del dicastero per il Clero. Per questo esso ha innanzitutto raccomandato nei cinque continenti l'adorazione eucaristica, possibilmente perpetua, per la santificazione dei sacerdoti. "La rispondenza è veramente al di sopra di quello che si penserebbe", conferma monsignor Piacenza. Inoltre, sull'esempio di santa Teresa de Lisieux, è stata proposta una forma di "maternità spirituale" per fare sì che i laici si uniscano agli sforzi e alle difficoltà apostoliche dei sacerdoti e per sensibilizzare i fedeli ad accogliere i propri pastori, veri padri d'ogni comunità.

In rete con tutte le diocesi del mondo, la congregazione vaticana diffonde, attraverso internet (www.clerus.org e www.annussacerdotalis.org ) lettere mensili del prefetto, il cardinale Cláudio Hummes, e dell'arcivescovo Piacenza, insieme a materiale di studio, di riflessione e a comunicazioni. Tra i documenti frutto dell'Anno sacerdotale c'è la prossima pubblicazione - sempre a cura del dicastero - di un vademecum per la confessione e la direzione spirituale.

A marzo si celebrerà - specialmente per i vescovi, primi formatori dei sacerdoti, e formatori in genere - il congresso teologico "Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote" sugli aspetti umani, spirituali, teologici e pastorali che configurano la vita sacerdotale.

L'Anno sarà chiuso il prossimo 11 giugno, con la tre-giorni dell'Incontro internazionale dei sacerdoti. Porte spalancate anche a seminaristi, diaconi permanenti, religiosi e religiose e fedeli laici. Un appuntamento mondiale che, con l'appoggio tecnico-logistico dell'Opera romana pellegrinaggi (www.josp.com) si svolgerà nella basilica di San Paolo fuori le Mura - per sottolineare il dinamismo evangelizzatore e la conversione personale dell'apostolo delle Genti - e nella basilica di Santa Maria Maggiore - come un cenacolo per invocare lo Spirito Santo con Maria. E trovando spazio, tra l'altro, per la confessione, messaggio tangibile dell'importanza di questo sacramento per gli stessi sacerdoti e della necessaria disponibilità di sacerdoti per il suo esercizio.

Alla vigilia - ha annunciato ancora l'arcivescovo Piacenza - piazza San Pietro ospiterà una veglia alla presenza di Benedetto XVI: orazione, colloquio, canto e festa lasceranno spazio a esperienze di prima mano che non ometteranno le persecuzioni per causa della fede e il "martirio della coerenza" che subiscono non pochi sacerdoti. La solennità del Sacro Cuore di Gesù si celebrerà ugualmente "con Pietro, in comunione ecclesiale" nella basilica vaticana, con l'eucarestia presieduta dal Papa. E la conclusione dell'Anno sacerdotale segnerà anche il punto di partenza del rinnovato impegno universale della vocazione sacerdotale.



(©L'Osservatore Romano - 2 dicembre 2009 )

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Messaggio del Prefetto della Congregazione per il Clero. La Preghiera nella vita del sacerdote

Dicembre 2009.
Cari Presbiteri,

Nella vita del Presbitero, la preghiera occupa necessariamente uno dei posti centrali. Non è difficile capirlo, perché la preghiera coltiva l’intimità del discepolo col suo Maestro, Gesù Cristo. Tutti sappiamo che, quando essa viene meno, la fede si indebolisce e il ministero perde contenuto e senso. La conseguenza esistenziale per il Presbitero sarà avere meno gioia e meno felicità nel ministero di ogni giorno. È come se, sulla strada della sequela di Gesù, il Presbitero, che cammina insieme a tanti altri, cominciasse ad arretrarsi sempre più e così si allontanasse dal Maestro, fino a perderLo di vista all’orizzonte. Da allora, egli resta smarrito e vacillante.

San Giovanni Crisostomo, in un’omelia, commentando la Prima Lettera di Paolo a Timoteo, avverte con saggezza: “Il diavolo infierisce contro il pastore […]. Infatti, se uccidendo le pecore il gregge diminuisce, eliminando invece il pastore, egli distruggerà l’intero gregge”. Il commento fa pensare a molte situazioni odierne. Il Crisostomo ci ammonisce che la diminuzione dei pastori fa e farà calare sempre più il numero dei fedeli e delle comunità. Senza pastori, le nostre comunità saranno distrutte!

Ma qui vorrei anzitutto parlare della necessaria preghiera affinché, come direbbe il Crisostomo, i pastori vincano il diavolo e non vengano meno. Veramente, senza il cibo essenziale della preghiera, il Presbitero si ammala, il discepolo non trova la forza per seguire il Maestro, e così muore per denutrizione. In conseguenza, il suo gregge si disperde e, a sua volta, muore.

Infatti, ogni Presbitero ha un riferimento essenziale alla comunità ecclesiale. Egli è un discepolo molto speciale di Gesù, il quale lo ha chiamato e, per il sacramento dell’Ordine, lo ha configurato a Se, come Capo e Pastore della Chiesa. Cristo è l’unico Pastore, ma ha voluto fare partecipare a Suo ministero i Dodici e i loro Successori, mediante i quali anche i Presbiteri, sebbene in grado inferiore, sono fatti partecipi di questo sacramento, cosicché anche loro partecipano in modo proprio al ministero di Cristo, Capo e Pastore. Ciò comporta un legame essenziale del Presbitero con la comunità ecclesiale. Egli non può fare a meno di questa sua responsabilità, dato che la comunità senza pastore muore. Anzi, sull’esempio di Mosé, deve restare con le braccia alzate verso il cielo, in preghiera, affinché il popolo non perisca.

Perciò, il Presbitero per restare fedele a Cristo e fedele alla comunità, ha bisogno di essere un uomo di preghiera, un uomo che vive nell’intimità del Signore. Ha bisogno inoltre di essere confortato dalla preghiera della Chiesa e di ogni cristiano. Le pecore preghino per il loro pastore! Quando, però, lo stesso Pastore si rende conto che la sua vita di preghiera si indebolisce, è ora di rivolgersi allo Spirito Santo e chiedere coll’animo del povero. Lo Spirito riaccenderà il fuoco nel suo cuore. Riaccenderà la passione e l’incanto verso il Signore, che è sempre là e con lui vuole cenare!

In quest’Anno Sacerdotale, vogliamo pregare, con perseveranza e tanto amore, per i Preti e con i Preti. A tal proposito, la Congregazione per il Clero, ogni primo Giovedi del mese, durante l’Anno Sacerdotale, alle ore 16, celebra un’Ora eucaristico-mariana, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma, per i Preti e con i Preti. Molta gente viene, con gioia, a pregare con noi.

Carissimi Sacerdoti, il Natale di Gesù Cristo si avvicina. Vorrei fare a tutti voi i migliori e più fervidi auguri di un Buon Natale e Felice Anno 2010. Nel presepe il Bambino Gesù ci invita a rinnovare riguardo a Lui quell’intimità di amico e discepolo, per rinviarci come i suoi evangelizzatori!

Cardinale Cláudio Hummes
Arcivescovo Emerito di São Paulo
Prefetto della Congregazione per il Clero




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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A metà dell'Anno sacerdotale
Realtà e metodo dell'Incarnazione

di Mauro Piacenza
Arcivescovo titolare di Vittoriana
Segretario della Congregazione per il clero


Sono trascorsi sei mesi dall'inizio dell'Anno sacerdotale, che è stato inaugurato da Benedetto XVI lo scorso 19 giugno 2009 e che, silenziosamente ma con efficacia, prosegue il proprio cammino nella Chiesa in tutto il mondo, vedendo la semina e già qualche fioritura, che lascia sperare buoni frutti. A metà di questo anno, il solo bilancio in sintonia con il vero spirito dell'indizione di tale provvida iniziativa è quello che riguarda la conversione di ciascuno, soprattutto in ordine alla focalizzazione dell'identità sacerdotale e all'immedesimazione con tale identità, che tanto determina del ministero che ci è affidato, sia come realtà accolta dalla grazia sacramentale dell'ordinazione, sia come metodo prima esistenziale e poi di evangelizzazione.

In questi giorni, già nella novena di Natale, siamo chiamati a fare memoria del mistero dell'Incarnazione del Verbo, il Dio con noi; mistero che eccede la nostra capacità di comprensione e la nostra stessa attesa di salvezza: se partecipiamo, come sacerdoti, all'anelito umano universale alla salvezza ed alla rivelazione, intese anche come compimento e accoglienza del significato pieno dell'esistenza, non di meno il modo scelto da Dio per rivelarsi oltrepassa ogni possibile aspettativa umana, e abbraccia, dilatandola enormemente, la stessa capacità umana di domanda.

Contempliamo, in questi giorni così densi di attività, cioè di servizio di fede ai fratelli, il mistero straordinario dell'Incarnazione, non limitandoci a concepirlo come, appunto, mistero, ma andando al fondo di ciò che la fede, da sempre, ci dice: il mistero è ciò che, una volta incontrato e compreso, non è esauribile dalla nostra intelligenza.

Quello che, probabilmente con maggiore efficacia, possiamo tradurre in esperienza esistenziale e in modo di servizio pastorale è il metodo inaugurato nel mondo dall'Incarnazione del Verbo. Dio non ha scelto di inviarci un libro, non si è rivelato in visioni strane ed incomprensibili, non ha imposto regole morali. Dio si è fatto uomo! Ha scelto di entrare nella storia, nella carne, condividendo dal di dentro l'esperienza della sua creatura, di quella che egli stesso ha posto a custodia di tutto il creato, costituendola quale unico punto di autocoscienza del cosmo.

Il nostro ministero sacerdotale, soprattutto in questo tempo che vede tanti fratelli avvicinarsi a noi, per le ragioni talvolta più diverse, deve essere, almeno come tentativo e desiderio, esattamente questo: aiutare quanti incontriamo a fare l'esperienza di un Dio vicino, implicato realmente con la pasta umana e, nel contempo, proprio perché implicato, capace di innalzare, elevare la miseria e la debolezza umana, alle altezze più inattese, alla stessa sua vita divina. La preghiera, il concepirsi del sacerdote come incessante preghiera per l'umanità tutta, il vivere la propria esistenza come offerta totale al Signore, nella radicalità del celibato e nella fedeltà all'ininterrotta tradizione della Chiesa, sono elementi costitutivi della possibilità stessa di condurre i fratelli al Signore: essi guarderanno colui a cui noi guardiamo, ameranno chi noi amiamo.

Potremo fare ciò, ben lo sappiamo, soltanto se, innanzitutto per noi, l'Incarnazione non sarà soltanto una verità di fede imparata, ma diverrà esperienza quotidiana e concreta di ogni giorno, nella certezza di una compagnia guidata, la Chiesa, che è garanzia, proprio attraverso la sua struttura sacramentale, così splendidamente umana, del permanere e dell'agire del Signore tra noi. Per noi infatti il Verbo si è fatto carne, per noi in Gesù di Nazareth Signore e Cristo abita corporalmente la pienezza della divinità, per noi l'Incarnazione è anche il metodo, il cammino con il quale il Signore ha deciso di raggiungerci e ci raggiunge adesso.

Sia questo metodo, l'unico direttamente divino e quindi certamente efficace, ad animare ogni scelta missionaria e ogni gesto sacramentale. Sia l'Incarnazione la vera misura della nostra pastorale, in un difficile, ma irrinunciabile equilibrio tra umano e divino, sempre ricordando che l'uomo Gesù non è mai esistito separato dal Logos eterno e che quindi la legittima distinzione tra umano e divino, lungi dal giustificare ingenui sociologismi da un lato o fughe spiritualistiche dall'altro, ci chiama costantemente a quella unità, in se stessa unica e irripetibile, ma spiritualmente desiderabile e ripresentabile, che è l'equilibrio e la prossimità dell'esperienza del Dio con noi.

Potrebbe essere questo il frutto buono che a metà dell'Anno sacerdotale domandiamo al Signore: una conversione autentica, un rinnovamento spirituale, che sia anche conversione di metodo, sia nel concepire la Chiesa come il reale proseguimento dell'Incarnazione, nel permanere del triplice ministero di annuncio, salvezza e guida di Cristo stesso, sia nel vivere il sacerdozio ministeriale come autentica possibilità, innanzitutto per gli stessi sacerdoti e poi per tutto il popolo di Dio, di fare esperienza della vicinanza del mistero.

In definitiva, siamo ministri dell'Assoluto; nelle nostre mani il pane e il vino divengono corpo e sangue di Cristo, per la nostra assoluzione i peccatori vengono riconciliati con il Padre e con la Chiesa: chi più del sacerdote può rendersi conto di cosa significhi, come realtà e come metodo, l'Incarnazione del Verbo?



(©L'Osservatore Romano - 19 dicembre 2009)

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21/01/2010 14:42
 
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Come dipingere un'omelia a regola d'arte

La pessima qualità di tante prediche domenicali penalizza l'ascolto della Chiesa in tutto il mondo. Una via alternativa è quella di spiegare il Vangelo con i capolavori dell'arte cristiana. In tre magnifici volumi, Timothy Verdon mostra come fare

di Sandro Magister




ROMA, 21 gennaio 2010 – Hanno fatto rumore qualche tempo fa le critiche rivolte dal vescovo Mariano Crociata alla qualità scadente di tante omelie domenicali.

Crociata è il segretario generale della conferenza episcopale italiana. Parlando a fine anno a un convegno sulla liturgia, ha definito una "poltiglia" insulsa, quasi una "pietanza immangiabile" e comunque "ben poco nutriente" buona parte delle omelie pronunciate ogni domenica dai pulpiti.

Le sue critiche sono state rilanciate da "L'Osservatore Romano" e dalla Radio Vaticana. C'è chi ha ripescato una battuta di Joseph Ratzinger quand'era cardinale: "Il miracolo della Chiesa è di sopravvivere ogni domenica a milioni di pessime omelie".

Da papa, Ratzinger ha abbondantemente mostrato di ritenere un dovere primario della Chiesa quello di elevare la qualità delle omelie.

Le omelie che lui stesso tiene nelle celebrazioni pubbliche sono ormai un elemento caratterizzante del suo pontificato. Le prepara personalmente con estrema cura. Le propone, di fatto, a modello. Persino i messaggi che legge ogni domenica mezzogiorno all'Angelus, dalla sua finestra su piazza San Pietro, li costruisce come delle piccole omelie sul Vangelo della messa del giorno.

*

Ma c'è una via particolare per dar seguito a questo proposito di Benedetto XVI. Ed è la via dell'arte sacra.

Nutrite dall'arte che adorna innumerevoli chiese del mondo, le omelie possono introdurre ai sacri misteri più efficacemente che con le sole parole (e anche immedesimare ad essi, come nella "Maria Annunziata" di Antonello da Messina riprodotta sopra, dove lo spettatore guarda la Vergine dalla stessa parte, fuori quadro, dell'angelo Gabriele).

La prova è nei tre splendidi volumi con i quali Timothy Verdon – storico dell'arte, sacerdote, professore alla Stanford University e direttore a Firenze dell'ufficio diocesano per la catechesi attraverso l'arte – commenta il lezionario delle messe domenicali e festive grazie a capolavori dell'arte cristiana scelti in funzione del Vangelo del giorno.

I tre volumi sono usciti anno dopo anno in Italia – in attesa di traduzioni in altre lingue – in corrispondenza con il ciclo triennale del lezionario di rito romano. Il terzo è uscito poche settimane fa, all'inizio dell'Avvento.

Il testo che segue è un estratto della presentazione di quest'ultimo volume, fatta a Firenze da don Massimo Naro, professore di teologia sistematica nella Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, a Palermo.

__________



La via artistica ai sacri misteri

di Massimo Naro



Il valore del libro di Timothy Verdon è soprattutto metodologico. In mano a predicatori che si ritrovano circondati, nelle loro chiese, da opere d’arte, il libro suggerisce un metodo di predicazione che può e deve essere applicabile da parte di tutti, in luoghi diversi, in ogni luogo, in riferimento a patrimoni artistici anche differenti da quelli a cui fa riferimento, nelle sue pagine, Verdon.

Che cosa significa e dove conduce la scelta di commentare la liturgia con l’arte? Verdon fa notare nella premessa al libro che le opere d’arte cristiana, specialmente quelle destinate a costituire, oltre che ad adornare, le chiese ove si celebra la liturgia, sono sempre state dei commenti al messaggio biblico proclamato all’interno della liturgia stessa. Leggere il racconto genesiaco della creazione del mondo e dell’uomo, o rievocare le vicende dei patriarchi d’Israele, o narrare i miracoli compiuti da Gesù e proclamare la memoria della sua Pasqua in una chiesa, ad esempio, come la cattedrale di Monreale, i cui interni sono completamente ricoperti di mosaici che a loro volta illustrano la Bibbia, significa precisamente incontrarsi con un grandioso commento delle "storie di Dio", che fascia il fedele da ogni lato, mentre questi se ne sta lì ad ascoltare ma anche a guardare l’annuncio evangelico.

Per Verdon l’arte cristiana è da secoli "parte del processo d’ascolto da cui scaturiscono la fede e le opere dei credenti", cioè fattore integrante della tradizione ecclesiale e della vita cristiana, che trovano da sempre nella liturgia la loro fonte e il loro culmine. È traduzione di ciò che la Parola biblica annuncia e celebra: l’immagine − viva e vitale − di Cristo stesso.

Non è un caso che sin dal IV-V secolo si sia affermata nella Chiesa antica la leggenda secondo cui l’evangelista Luca fu anche pittore. Verdon sceglie di introdurre il suo commento al messale dell'anno C − nelle cui domeniche si proclama il Vangelo secondo Luca − proprio con il "San Luca" dipinto da El Greco: l’evangelista ha nella mano destra una penna che somiglia molto a un pennello e nella sinistra un evangeliario spalancato in corrispondenza di un'immagine di Maria, quasi a voler dire che la traduzione figurale è come l’esito, la "meta", della lettura credente del testo evangelico.

A questa leggenda si ricollega probabilmente l’anatema del concilio Niceno II, secondo cui "se qualcuno non ammette le narrazioni evangeliche fatte con stilo di pittore, dev’essere scomunicato". Dipingere il volto di Cristo, di Maria, dei santi è considerato un modo di scrivere il suo Vangelo, e perciò di tramandarlo, di proclamarlo, di permetterne la lettura e, quindi, la meditazione e la conoscenza da parte dei fedeli. A Nicea, nel 787, la dogmatica acquisisce la leggenda e le dà dignità dottrinale, includendo nel deposito della Tradizione non solo la tradizione scritta e orale ma anche quella dipinta.

Verdon dà conto di tutto ciò nelle pagine del suo libro. Per esempio, commentando la liturgia della IV domenica di Avvento fa ricorso a una miniatura della natività tratta dal Salterio danese di Ingeborg del XIII secolo, che è una vera e propria riscrittura del Vangelo dell’infanzia ma anche di un brano della lettera agli Ebrei che in questa domenica costituisce la seconda lettura. Vi leggiamo che "entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato". E, appunto, la miniatura scelta da Verdon  raffigura il Bimbo di Betlemme adagiato in una greppia che ha la foggia di un altare. La miniatura ha la stessa qualità esegetica di Ebrei 10, 5-7 rispetto al racconto di Betlemme.

L'arte non è dunque semplice illustrazione del brano biblico proclamato nella liturgia, ma riconfigura con libertà il dirsi di Dio nella Bibbia. Verdon lo spiega, nell’introduzione al libro, con un dipinto di Jacopo Bassano del 1557: "Il buon samaritano", oggi conservato alla National Gallery di Londra. Verdon fa notare come Jacopo Bassano, "evocando nella figura dell’uomo seminudo aiutato dal samaritano il Cristo deposto dalla croce", colleghi la parabola di Luca alle parole di Gesù nel Vangelo di Matteo: "Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me". E così il pittore invita chi ammira il suo quadro a immaginare il Cristo non più nel buon samaritano che si china sul malcapitato, ma nel malcapitato stesso, rispetto al quale chi guarda deve compiere lo stesso atto d’amore del buon samaritano, ogni volta che si ritrova davanti a un “povero cristo”.

Verdon intercetta tanti altri casi emblematici di questa "interpretazione originale" che l’arte realizza del racconto biblico. Commentando la liturgia della II domenica di Avvento, il cui Vangelo ricorda la predicazione del Battista, Verdon chiama in causa un dipinto di Jacopo da Empoli del 1610 circa: la "Predica del Battista", che si trova in San Niccolò Oltrarno a Firenze. Il paesaggio evoca la campagna toscana e se il Battista è ancora avvolto delle pelli tipiche del profeta antico i suoi ascoltatori sono ormai raffigurati con gli abiti dell’inizio del Seicento, come per insistere sull’attualità dell’invito del Battista a convertirsi. Questo stesso “gioco delle parti” emerge nella bellissima "Maria Annunziata" di Antonello da Messina, citata da Verdon nell'introduzione: l’artista e lo spettatore si mettono al posto dell’angelo Gabriele, che nel dipinto non compare, e sperimentano a loro volta la meraviglia credente di Maria, espressa dal gesto della sua mano alzata a mezz’aria.

Qui emerge la valenza relazionale dell’arte che commenta, riconfigura, reinterpreta il racconto biblico: quest’arte è una sorta di relazione, esprime la capacità di mettersi in rapporto con Colui che viene raffigurato, permette di coinvolgersi nell’evento rappresentato. Entra qui in gioco il meccanismo dell’immedesimazione, che è una pedagogia artistica efficacissima. In essa e per essa la Bibbia non è più soltanto il "grande codice" − come ha scritto Northrop Frye citando il poeta e pittore settecentesco William Blake − al quale attingere motivi e temi, simboli e immagini, miti e metafore, vocaboli e colori. Nell’arte che riesce a far scattare la molla dell’immedesimazione, la Parola biblica non è un mero elemento culturale. È piuttosto profezia.

In realtà, l’arte che tematizza il dirsi di Dio è una sorta di esegesi spirituale, capace di farci vedere il Signore e, di più, di farci vedere col Signore, accanto a lui, ravvivati dallo stesso suo santo Spirito, che ispirò già gli “agiografi” e che ispira continuamente gli “iconografi”.

Per introdurre al tempo di Natale, Verdon riproduce una tavola di Francescuccio Ghissi, del 1360 circa, che raffigura nella parte superiore Gesù come uomo dei dolori, con i segni della passione, e nella parte inferiore la natività. Il valore spirituale di una tale raffigurazione artistica è proprio quello della sincronia e della sinossi, in forza delle quali il racconto biblico, diventando visione, supera i condizionamenti della successione nel tempo e ci riconduce immediatamente a Cristo e alla totalità della sua vicenda. Egli è sempre lo stesso che ha patito, che è morto e che è risorto, ed è lo stesso che è nato Bimbo a Betlemme. In questo orizzonte metastorico, pasquale, noi pure entriamo spiritualmente, anche attraverso la porta della bellezza artistica: diventiamo contemporanei di Cristo.

Il racconto biblico, così, si dimostra performativo, penetra cioè di più e più a fondo in chi lo ascolta e lo prega e lo celebra; e imprime una trasformazione più incisiva nel vissuto dei credenti, che vengono introdotti e ospitati, trasposti quasi, nell’orizzonte raffigurato, collocati al posto dei pastori illuminati dalla stessa luce che illumina il Bambino di Betlemme, come è nella tavola di Giovanni di Paolo usata da Verdon per commentare il Vangelo della notte di Natale; oppure collocati al posto dell’apostolo Tommaso, che sembra davvero infilare il dito nella piaga del petto del Risorto, nella suggestiva tela del Guercino, che Verdon usa per commentare il Vangelo della II domenica di Pasqua.

La pedagogia dell’immedesimazione spirituale è e rimane il pregio più importante, l’esito principale di questa bella esegesi artistica. Il senso del titolo del libro di Verdon sta proprio qui: la "bellezza" è rintracciata nella Parola e distillata dalla Parola.

__________


Il libro:

Timothy Verdon, "La bellezza nella Parola. L’arte a commento delle letture festive dell’Anno C", San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009.

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Il servizio di www.chiesa con la presentazione del primo volume dell'opera:

> Come dipingere un'omelia, col pennello di Luca evangelista e pittore
(20.11.2007)

__________


Su Benedetto XVI come "maestro" di omelie:

> Le omelie di Benedetto XVI: un modello per una Chiesa confusa
(27.11.2009)

__________


Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

17.1.2010
> Nella sinagoga di Roma il papa rilegge le "Dieci Parole"
Ha riproposto il decalogo di Mosé come "stella polare" per Israele, i cristiani e l’intera umanità. Ma le parole di Benedetto XVI agli ebrei cadono su un terreno molto accidentato. Anna Foa e Mordechay Lewy: anche l'ebraismo deve fare autocritica

14.1.2010
> La rete diplomatica della Santa Sede. Ultimo acquisto la Russia
In mezzo secolo gli ambasciatori del papa nel mondo sono raddoppiati. Le relazioni diplomatiche bilaterali sono triplicate. Mancano all'appello Cina, Arabia Saudita e pochi altri Stati. Il doppio gioco del Vietnam: mentre tratta col Vaticano, aggredisce i cattolici

11.1.2010
> Benedetto XVI ai diplomatici: tre leve per sollevare il mondo
Ecologia della natura ma soprattutto dell'uomo, laicità positiva, libertà di religione. I punti salienti dell'annuale discorso del papa ai rappresentanti degli Stati

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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11/03/2010 09:39
 
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[SM=g1740722] due video stupendi ed importanti....fateli conoscere ai vostri Sacerdoti....

Alter Christus: videomeditazioni sul sacerdozio dalla Congregazione per il Clero

La Congregazione per il Clero è senz'altro la più attiva in Vaticano nello sperimentare nuove forme di comunicazione e di utilizzo dell'Internet. Dopo gli sforzi per offrire una biblioteca telematica a preti e diaconi, ora lancia tre video, tradotti in cinque lingue, per spiegare ai cattolici (soprattutto i giovani che frequentano Youtube) quale sia l'identità e la funzione del sacerdote nella Chiesa e nei confronti dell'Eucaristia: Alter Christus. I video sono realizzati da HM television.

Preghiamo per le Vocazioni e aiutiamo i Sacerdoti nella loro missione...

1- www.youtube.com/watch?v=GDbkfV8yTAg&feature=player_embedded#

2- www.youtube.com/watch?v=-I2JuKpiV90&NR=1

3- www.youtube.com/watch?v=Fv1kmSJnOVI&feature=related











[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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