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Quale Diritto Canonico per la Liturgia Tradizionale? Gli abusi contro la Messa antica

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2013 10:57
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08/03/2010 19:16
 
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Quale codice di diritto canonico si applica alla Liturgia tradizionale?


Siamo lieti di offrirvi un commento canonistico del prof. Michael Gurtner Mag. Theol., su una questione giuridica dibattuta ed importante per la liturgia tradizionale.


Sin da quando è stato completamente liberalizzato l’uso dei libri liturgici che furono in uso nel 1962, si pone sempre più spesso la questione relativa al diritto in vigore per la risoluzione di alcuni problemi pratici che di tanto in tanto appaiono nella prassi quotidiana.

Da un lato è ben chiaro, che il diritto canonico occidentale vale principalmente per tutta la chiesa occidentale (cf. can. 1 CIC 1983), a cui appartiene ovviamente anche il Rito Romano, sia nella sua forma ordinaria, sia nella forma straordinaria. Dall’altra parte però ci troviamo davanti ad alcuni problemi che non sembrano risolvibili applicando le leggi attuali del diritto canonico, semplicemente perché sia il CIC del 1983 sia gli altri documenti di carattere liturgico pubblicati dalla Santa Sede dopo l’ultimo concilio, presuppongono la liturgia secondo i riti nuovi e non pensano nemmeno all’uso delle vecchie usanze, benché non fossero mai state abrogate, e che in più erano, in fondo, sempre in uso, anche col consenso della Sede Apostolica (cf. per esempio la lettera “Quattuor abhinc annos” del 3 ottobre 1984, oppure il motu proprio “Ecclesia Dei” del 2 luglio 1988). Insomma, in non pochi casi si crea una certa insicurezza legislativa, perché mancano leggi in vigore per l’uso vecchio.


Validità e intento del CIC 1983 per le vecchie usanze


Una delle regole fondamentali per l’interpretazione di ogni legge dice che bisogna sempre considerare anche l’intenzione del legislatore – ed essa, nel caso del CIC 1983 così come delle altre pubblicazioni apostoliche, è ovviamente la nuova usanza della liturgia. Perciò non possiamo semplicemente applicare le nuove leggi alle vecchie usanze liturgiche. Ciò fa pensare ad alcuni, che per le usanze che furono in costume nel 1962 valga anche la legge in vigore nel 1962, cioè il CIC 1917.

Questo, però, non è affatto così, anzi, le nuove leggi devono sempre essere il punto di partenza per ogni tentativo di una risoluzione di un problema canonistico, anche se esso riguarda le vecchie usanze della liturgia. In altre parole: dove il CIC non si riferisce ad una cosa inapplicabile al vecchio rito, in quanto incompatibile, vale senz’altro il nuovo diritto e va applicato. Ciò vale, per dare solo un esempio, per il libro IV del CIC, che tratta il diritto sacramentale.

Questo, però, significa che non si possono cambiare le vecchie usanze in sé riferendosi al nuovo diritto canonico, semplicemente perché esso si riferisce alla prassi dopo la riforma, e non considera nemmeno le vecchie forme del Rito Romano; il che impedisce un’applicazione ad esse.

Dove il CIC 1983 tratta di cose generali che non toccano i vecchi riti e usanze, vale naturalmente anche nel loro ambito (per esempio: valgono gli impedimenti matrimoniali del CIC 1983 anche per i matrimoni secondo i libri in uso nel 1962, ma dall’altro canto non si può applicare per gli istituti tradizionali il can. 266 §1 che dice: “Uno diviene chierico con l'ordinazione diaconale”, perché questo canone si riferisce ovviamente ad un’altra usanza di quella del 1962). In più è il CIC stesso che dice al can. 2 di non voler cambiare i riti in sé, anzi, che non si riferisce nemmeno ad essi: “Il Codice il più delle volte non definisce i riti, che sono da osservare nel celebrare le azioni liturgiche; di conseguenza le leggi liturgiche finora vigenti mantengono il loro vigore”.

Questo, formalmente, vale per ogni rito (latino/occidentale) che per sé è in vigore legittimamente, quindi non solo per i riti di Paolo VI, ma anche per le varie celebrazioni liturgiche nel Rito Ambrosiano, i riti particolari di diversi ordini religiosi, e anche per le varie funzioni nel Rito Romano che erano in uso nel 1962, ma in realtà il CIC non si riferisce a quell’ultimo per gli stessi motivi già spiegati: il legislatore ha in mente le nuove usanze, perciò intende e si riferisce ad esse.

Un certo problema però pone la frase seguente dello stesso can. 2 del CIC 1983: “… a meno che qualcuna di esse non sia contraria ai canoni del Codice”. Qui vale lo stesso: formalmente è valido per tutti i riti occidentali in vigore (“le leggi liturgiche finora vigenti” – ad esse appartiene, formalmente, anche il Rito Romano nel suo usus antiquior, perché non è mai stato abolito o abrogato), ma bisogna considerare sempre anche le intenzioni del legislatore, che ovviamente non considerava le vecchie usanze ma quelle post-riforma.

Inoltre bisogna anche sottolineare che non si deve pensare che questo canone 2 del CIC 1983, più precisamente la seconda parte di esso, sia un attacco contro i vecchi riti: il can 2 del CIC 1917 stabilì nella sua essenza lo stesso, quando dice: “Codex, plerumque, nihil decernit de ritibus et caeremoniis quas liturgici libri, ab Ecclesia Latina probati, servandas praecipiunt in celebratione sacrosancti Missae sacrificii, in administratione Sacramentorum et Sacramentalium aliisque sacris peragendis. Quare omnes liturgicae leges vim suam retinent nisi earum aliqua in Codice expresse corrigatur.”

Questo fatto però non toglie il problema in sé: perché in fondo il can. 2 non dice nient’altro che: la liturgia e le sue leggi non sono toccate, a meno che non siano incompatibili col CIC 1983.

Ciò dimostra che il CIC di 1983 richiede per se stesso una certa priorità in confronto alle leggi liturgiche che lo precedevano. Dove si tratta di regole disciplinari che non riguardano direttamente la celebrazione liturgica in sé (per esempio le leggi relativa alla privazione degli esequie) è, di solito, abbastanza chiaro che si deve procedere secondo il regolamento del CIC 1983, perché non si riferisce alla forma della liturgia, ma si tratta di leggi disciplinari generali.


In non pochi casi le vecchie leggi sono più severe in confronto alle nuove, nel senso che quelle nuove permettono delle cose che non furono concesse prima, ma non le obbligano. In tali casi ciascuno è libero di seguire, volontariamente, le norme vecchie, più severe di prima. In questi casi le nuove leggi liturgiche sono il minimo, che però può essere esteso senz’altro per una pietà privata. La materia diventa però più complessa, quando va oltre il livello della pietà personale.



Le fonti del diritto liturgico in generale


Al contrario di numerose altre materie riguardanti la legge ecclesiastica, il diritto liturgico non è stabilito dal CIC, almeno non in primo luogo, ma soltanto quando si tratta di questioni generali e di circostanza. I vari riti in sé non sono toccati dal CIC, ma seguono sempre le loro proprie leggi, che sono, in primo luogo, le rubriche della relativa cerimonia; anche il rituale sarebbe da nominare ed è da considerare come legge liturgica, e poi anche pubblicazioni apostoliche in merito che valgono sempre per ciò a cui si riferiscono. Tali pubblicazioni apostoliche di carattere legislativo possono essere costituzioni apostoliche, lettere apostoliche, e specialmente anche leggi in forma di un Motu Proprio. Sempre però va considerata anche l’intenzione del legislatore per quanto è evidente.

Sopratutto il Motu Proprio Summorum Pontificum del Santo Padre feliciter regnans ha portato tanta luce nelle buie tenebre delle incertezze canonistiche che esistevano fino alla sua pubblicazione il 07.07.07, ancora più di oggi. Grazie a quel Motu Proprio è diventato evidente, che tutte le usanze liturgiche del 1962 godono di piena validità. Il Motu Proprio, insieme alla sua lettera accompagnatoria, rende più che ovvio quale è l’intenzione della Sede Apostolica: che la liturgia del 1962, insieme alle regole e usanze che la accompagnavano, non sia toccata dalle nuove regole liturgiche, ma che siano e rimangano in pieno vigore. Questi due documenti papali hanno reso ben chiaro, che il rito tradizionale non si deve adattare alle nuovi leggi liturgiche, ma che possono e devono seguire alle loro proprie leggi e regole. Per mezzo di quel Motu Proprio sono state tolte anche tante incertezze che si erano create in riguardo can 2 del CIC 1983.

La dichiarazione, che il Missale Romano del 1962 è in pieno vigore (e che non fu mai diversamente) include anche tutte le rubriche e direttive presenti in esso. Quindi possiamo dire, almeno dopo la promulgazione del testo legislativo Summorum Pontificum, che i riti della vecchia usanza non sono toccati dal can. 2 del CIC 1983, ma sono validi come lo furono nel 1962.

Il valore del CIC 1917 per l’uso tradizionale

Come già detto, il Codice del Diritto Canonico ha solo un ruolo secondario per il diritto liturgico. Trattandosi di un fatto generico, questo vale non soltanto per il CIC 1983, ma valeva (e vale) anche per quello promulgato da Papa Benedetto XV nel 1917. Già questa circostanza limita molto un eventuale vigore del CIC 1917 per le usanze tradizionali, che eventualmente sarebbe da prendere in considerazione. In più leggiamo il can 6 § 1 No. 1 del CIC 1983: “Entrando in vigore questo Codice, sono abrogati: il Codice di Diritto Canonico promulgato nell'anno 1917”. Quindi il CIC dell’anno 1917 è stato definitivamente abrogato. Questo, però, non vuol dire che non abbia più nessun valore per la prassi di oggi: perché rimane sempre un’istanza importante per l’interpretazione autentica delle nuove leggi, soprattutto in caso di un eventuale dubbio legale. Questo stabilisce lo stesso canone del CIC 1983 in § 2: “I canoni di questo Codice, nella misura in cui riportano il diritto antico, sono da valutarsi tenuto conto della tradizione canonica.”

In conseguenza di certo non si può affermare che il CIC 1917 sia di nuovo in vigore per l’ambito tradizionale: anche per un ristabilimento soltanto parziale ci vorrebbe necessariamente un relativo atto legale del sommo legislatore, cioè del Sommo Pontefice stesso: visto che è chiaro che il CIC 1917 è stato abrogato dal CIC 1983 e quindi non più in vigore, ci vorrebbe, seguendo il can. 7 del CIC 1983, una ri-promulgazione, anche se si trattasse soltanto di certi parti del CIC 1917. Il CIC 1917, così possiamo dire, non ha più nessuna potenza legislativa, neanche per gruppi tradizionali o liturgie secondo i riti in uso nel 1962.

Nonostante ciò esistono sì dei casi, per cui il CIC 1917 ha un certo valore: ma non si tratta di un valore legislativo in quanto gli manca la validità e la potenza ad essa connessa, ma un valore piuttosto “disciplinare”: essendo in vigore anche oggi le rubriche, le regole e le leggi liturgiche per le celebrazioni dei sacri riti secondo le usanze del 1962, quando il CIC 1917 era in vigore, esse rimangono legate alle relative leggi di quel tempo, che anche per l’interpretazione autentica sono da considerare.

Perché se il Santo Padre desidera, come dimostrano i documenti papali del 07.07.07, che la liturgia tradizionale sia in vigore secondo le usanze di quel tempo, vuol dire che sono in vigore le usanze che corrispondono al CIC 1917. Solo così rimangono le usanze del 1962, senza alterazioni. In altre parole: anche se nessun canone del CIC 1917 è più in vigore, nemmeno per i riti tradizionali, rimane comunque la regola interpretativa per le usanze del 1962, che non possono essere interpretati bene senza avere le vecchie leggi del CIC 1917 in sottofondo, che ormai non sono più leggi vincolanti, ma che nonostante questo rimangono regole liturgiche.

Questo vale, per dare un’ esempio, per gli ordines minores: essi non sono più previsti dal CIC 1983, anche se sono ancora conferiti nelle comunità tradizionali; dall’altra parte il CIC 1917, che li regolava, non è più in vigore come legge. Allora, quali regole sono da applicare? Formalmente non esiste nessuna legge che regoli, per esempio, i tempi che sono da rispettare fra una e l’altra ordinazione minore. Ciò, però, non vuol dire che uno possa agire come gli pare, conferendo, per esempio, gli ordini tutti insieme, soltanto perché non esiste più nessuna legge che lo proibisce. In questo caso, nel senso della continuità legale, vanno rispettate le vecchie leggi, ma non come leggi, bensì come semplici regole liturgiche: perché nessun’altra usanza di quella dell’anno 1962 è stata concessa dalla Santa Sede, perciò a volte le usanze tradizionali implicano anche alcune vecchie leggi, da rispettare come semplici regole.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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