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DIFENDERE LA VERA FEDE

Quale Diritto Canonico per la Liturgia Tradizionale? Gli abusi contro la Messa antica

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    Caterina63
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    00 08/03/2010 19:16

    Quale codice di diritto canonico si applica alla Liturgia tradizionale?


    Siamo lieti di offrirvi un commento canonistico del prof. Michael Gurtner Mag. Theol., su una questione giuridica dibattuta ed importante per la liturgia tradizionale.


    Sin da quando è stato completamente liberalizzato l’uso dei libri liturgici che furono in uso nel 1962, si pone sempre più spesso la questione relativa al diritto in vigore per la risoluzione di alcuni problemi pratici che di tanto in tanto appaiono nella prassi quotidiana.

    Da un lato è ben chiaro, che il diritto canonico occidentale vale principalmente per tutta la chiesa occidentale (cf. can. 1 CIC 1983), a cui appartiene ovviamente anche il Rito Romano, sia nella sua forma ordinaria, sia nella forma straordinaria. Dall’altra parte però ci troviamo davanti ad alcuni problemi che non sembrano risolvibili applicando le leggi attuali del diritto canonico, semplicemente perché sia il CIC del 1983 sia gli altri documenti di carattere liturgico pubblicati dalla Santa Sede dopo l’ultimo concilio, presuppongono la liturgia secondo i riti nuovi e non pensano nemmeno all’uso delle vecchie usanze, benché non fossero mai state abrogate, e che in più erano, in fondo, sempre in uso, anche col consenso della Sede Apostolica (cf. per esempio la lettera “Quattuor abhinc annos” del 3 ottobre 1984, oppure il motu proprio “Ecclesia Dei” del 2 luglio 1988). Insomma, in non pochi casi si crea una certa insicurezza legislativa, perché mancano leggi in vigore per l’uso vecchio.


    Validità e intento del CIC 1983 per le vecchie usanze


    Una delle regole fondamentali per l’interpretazione di ogni legge dice che bisogna sempre considerare anche l’intenzione del legislatore – ed essa, nel caso del CIC 1983 così come delle altre pubblicazioni apostoliche, è ovviamente la nuova usanza della liturgia. Perciò non possiamo semplicemente applicare le nuove leggi alle vecchie usanze liturgiche. Ciò fa pensare ad alcuni, che per le usanze che furono in costume nel 1962 valga anche la legge in vigore nel 1962, cioè il CIC 1917.

    Questo, però, non è affatto così, anzi, le nuove leggi devono sempre essere il punto di partenza per ogni tentativo di una risoluzione di un problema canonistico, anche se esso riguarda le vecchie usanze della liturgia. In altre parole: dove il CIC non si riferisce ad una cosa inapplicabile al vecchio rito, in quanto incompatibile, vale senz’altro il nuovo diritto e va applicato. Ciò vale, per dare solo un esempio, per il libro IV del CIC, che tratta il diritto sacramentale.

    Questo, però, significa che non si possono cambiare le vecchie usanze in sé riferendosi al nuovo diritto canonico, semplicemente perché esso si riferisce alla prassi dopo la riforma, e non considera nemmeno le vecchie forme del Rito Romano; il che impedisce un’applicazione ad esse.

    Dove il CIC 1983 tratta di cose generali che non toccano i vecchi riti e usanze, vale naturalmente anche nel loro ambito (per esempio: valgono gli impedimenti matrimoniali del CIC 1983 anche per i matrimoni secondo i libri in uso nel 1962, ma dall’altro canto non si può applicare per gli istituti tradizionali il can. 266 §1 che dice: “Uno diviene chierico con l'ordinazione diaconale”, perché questo canone si riferisce ovviamente ad un’altra usanza di quella del 1962). In più è il CIC stesso che dice al can. 2 di non voler cambiare i riti in sé, anzi, che non si riferisce nemmeno ad essi: “Il Codice il più delle volte non definisce i riti, che sono da osservare nel celebrare le azioni liturgiche; di conseguenza le leggi liturgiche finora vigenti mantengono il loro vigore”.

    Questo, formalmente, vale per ogni rito (latino/occidentale) che per sé è in vigore legittimamente, quindi non solo per i riti di Paolo VI, ma anche per le varie celebrazioni liturgiche nel Rito Ambrosiano, i riti particolari di diversi ordini religiosi, e anche per le varie funzioni nel Rito Romano che erano in uso nel 1962, ma in realtà il CIC non si riferisce a quell’ultimo per gli stessi motivi già spiegati: il legislatore ha in mente le nuove usanze, perciò intende e si riferisce ad esse.

    Un certo problema però pone la frase seguente dello stesso can. 2 del CIC 1983: “… a meno che qualcuna di esse non sia contraria ai canoni del Codice”. Qui vale lo stesso: formalmente è valido per tutti i riti occidentali in vigore (“le leggi liturgiche finora vigenti” – ad esse appartiene, formalmente, anche il Rito Romano nel suo usus antiquior, perché non è mai stato abolito o abrogato), ma bisogna considerare sempre anche le intenzioni del legislatore, che ovviamente non considerava le vecchie usanze ma quelle post-riforma.

    Inoltre bisogna anche sottolineare che non si deve pensare che questo canone 2 del CIC 1983, più precisamente la seconda parte di esso, sia un attacco contro i vecchi riti: il can 2 del CIC 1917 stabilì nella sua essenza lo stesso, quando dice: “Codex, plerumque, nihil decernit de ritibus et caeremoniis quas liturgici libri, ab Ecclesia Latina probati, servandas praecipiunt in celebratione sacrosancti Missae sacrificii, in administratione Sacramentorum et Sacramentalium aliisque sacris peragendis. Quare omnes liturgicae leges vim suam retinent nisi earum aliqua in Codice expresse corrigatur.”

    Questo fatto però non toglie il problema in sé: perché in fondo il can. 2 non dice nient’altro che: la liturgia e le sue leggi non sono toccate, a meno che non siano incompatibili col CIC 1983.

    Ciò dimostra che il CIC di 1983 richiede per se stesso una certa priorità in confronto alle leggi liturgiche che lo precedevano. Dove si tratta di regole disciplinari che non riguardano direttamente la celebrazione liturgica in sé (per esempio le leggi relativa alla privazione degli esequie) è, di solito, abbastanza chiaro che si deve procedere secondo il regolamento del CIC 1983, perché non si riferisce alla forma della liturgia, ma si tratta di leggi disciplinari generali.


    In non pochi casi le vecchie leggi sono più severe in confronto alle nuove, nel senso che quelle nuove permettono delle cose che non furono concesse prima, ma non le obbligano. In tali casi ciascuno è libero di seguire, volontariamente, le norme vecchie, più severe di prima. In questi casi le nuove leggi liturgiche sono il minimo, che però può essere esteso senz’altro per una pietà privata. La materia diventa però più complessa, quando va oltre il livello della pietà personale.



    Le fonti del diritto liturgico in generale


    Al contrario di numerose altre materie riguardanti la legge ecclesiastica, il diritto liturgico non è stabilito dal CIC, almeno non in primo luogo, ma soltanto quando si tratta di questioni generali e di circostanza. I vari riti in sé non sono toccati dal CIC, ma seguono sempre le loro proprie leggi, che sono, in primo luogo, le rubriche della relativa cerimonia; anche il rituale sarebbe da nominare ed è da considerare come legge liturgica, e poi anche pubblicazioni apostoliche in merito che valgono sempre per ciò a cui si riferiscono. Tali pubblicazioni apostoliche di carattere legislativo possono essere costituzioni apostoliche, lettere apostoliche, e specialmente anche leggi in forma di un Motu Proprio. Sempre però va considerata anche l’intenzione del legislatore per quanto è evidente.

    Sopratutto il Motu Proprio Summorum Pontificum del Santo Padre feliciter regnans ha portato tanta luce nelle buie tenebre delle incertezze canonistiche che esistevano fino alla sua pubblicazione il 07.07.07, ancora più di oggi. Grazie a quel Motu Proprio è diventato evidente, che tutte le usanze liturgiche del 1962 godono di piena validità. Il Motu Proprio, insieme alla sua lettera accompagnatoria, rende più che ovvio quale è l’intenzione della Sede Apostolica: che la liturgia del 1962, insieme alle regole e usanze che la accompagnavano, non sia toccata dalle nuove regole liturgiche, ma che siano e rimangano in pieno vigore. Questi due documenti papali hanno reso ben chiaro, che il rito tradizionale non si deve adattare alle nuovi leggi liturgiche, ma che possono e devono seguire alle loro proprie leggi e regole. Per mezzo di quel Motu Proprio sono state tolte anche tante incertezze che si erano create in riguardo can 2 del CIC 1983.

    La dichiarazione, che il Missale Romano del 1962 è in pieno vigore (e che non fu mai diversamente) include anche tutte le rubriche e direttive presenti in esso. Quindi possiamo dire, almeno dopo la promulgazione del testo legislativo Summorum Pontificum, che i riti della vecchia usanza non sono toccati dal can. 2 del CIC 1983, ma sono validi come lo furono nel 1962.

    Il valore del CIC 1917 per l’uso tradizionale

    Come già detto, il Codice del Diritto Canonico ha solo un ruolo secondario per il diritto liturgico. Trattandosi di un fatto generico, questo vale non soltanto per il CIC 1983, ma valeva (e vale) anche per quello promulgato da Papa Benedetto XV nel 1917. Già questa circostanza limita molto un eventuale vigore del CIC 1917 per le usanze tradizionali, che eventualmente sarebbe da prendere in considerazione. In più leggiamo il can 6 § 1 No. 1 del CIC 1983: “Entrando in vigore questo Codice, sono abrogati: il Codice di Diritto Canonico promulgato nell'anno 1917”. Quindi il CIC dell’anno 1917 è stato definitivamente abrogato. Questo, però, non vuol dire che non abbia più nessun valore per la prassi di oggi: perché rimane sempre un’istanza importante per l’interpretazione autentica delle nuove leggi, soprattutto in caso di un eventuale dubbio legale. Questo stabilisce lo stesso canone del CIC 1983 in § 2: “I canoni di questo Codice, nella misura in cui riportano il diritto antico, sono da valutarsi tenuto conto della tradizione canonica.”

    In conseguenza di certo non si può affermare che il CIC 1917 sia di nuovo in vigore per l’ambito tradizionale: anche per un ristabilimento soltanto parziale ci vorrebbe necessariamente un relativo atto legale del sommo legislatore, cioè del Sommo Pontefice stesso: visto che è chiaro che il CIC 1917 è stato abrogato dal CIC 1983 e quindi non più in vigore, ci vorrebbe, seguendo il can. 7 del CIC 1983, una ri-promulgazione, anche se si trattasse soltanto di certi parti del CIC 1917. Il CIC 1917, così possiamo dire, non ha più nessuna potenza legislativa, neanche per gruppi tradizionali o liturgie secondo i riti in uso nel 1962.

    Nonostante ciò esistono sì dei casi, per cui il CIC 1917 ha un certo valore: ma non si tratta di un valore legislativo in quanto gli manca la validità e la potenza ad essa connessa, ma un valore piuttosto “disciplinare”: essendo in vigore anche oggi le rubriche, le regole e le leggi liturgiche per le celebrazioni dei sacri riti secondo le usanze del 1962, quando il CIC 1917 era in vigore, esse rimangono legate alle relative leggi di quel tempo, che anche per l’interpretazione autentica sono da considerare.

    Perché se il Santo Padre desidera, come dimostrano i documenti papali del 07.07.07, che la liturgia tradizionale sia in vigore secondo le usanze di quel tempo, vuol dire che sono in vigore le usanze che corrispondono al CIC 1917. Solo così rimangono le usanze del 1962, senza alterazioni. In altre parole: anche se nessun canone del CIC 1917 è più in vigore, nemmeno per i riti tradizionali, rimane comunque la regola interpretativa per le usanze del 1962, che non possono essere interpretati bene senza avere le vecchie leggi del CIC 1917 in sottofondo, che ormai non sono più leggi vincolanti, ma che nonostante questo rimangono regole liturgiche.

    Questo vale, per dare un’ esempio, per gli ordines minores: essi non sono più previsti dal CIC 1983, anche se sono ancora conferiti nelle comunità tradizionali; dall’altra parte il CIC 1917, che li regolava, non è più in vigore come legge. Allora, quali regole sono da applicare? Formalmente non esiste nessuna legge che regoli, per esempio, i tempi che sono da rispettare fra una e l’altra ordinazione minore. Ciò, però, non vuol dire che uno possa agire come gli pare, conferendo, per esempio, gli ordini tutti insieme, soltanto perché non esiste più nessuna legge che lo proibisce. In questo caso, nel senso della continuità legale, vanno rispettate le vecchie leggi, ma non come leggi, bensì come semplici regole liturgiche: perché nessun’altra usanza di quella dell’anno 1962 è stata concessa dalla Santa Sede, perciò a volte le usanze tradizionali implicano anche alcune vecchie leggi, da rispettare come semplici regole.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 20/04/2011 12:40

    La Messa antica non si può più negare


    di Andrea Tornielli 08-04-2011

    Nel 2007 Benedetto XVI pubblicò il motu proprio Summorum Pontificum, un documento che liberalizzava l’uso del messale antico, quello preconciliare del 1962, concedendone l’uso e stabilendo che laddove un gruppo di fedeli ne facesse richiesta, i parroci erano chiamati a venire loro incontro con una celebrazione ad hoc.


    Con quella decisione, il Papa voleva venire incontro sia ai fedeli tradizionalisti rimasti sempre in comunione con Roma, i quali non senza molte difficoltà e avversità - nonostante l’indulto concesso da Giovanni Paolo II - erano rimasti legati al vecchio rito.

    Mentre Papa Wojtyla aveva legato la concessione alla decisione del vescovo, Benedetto XVI è andato molto oltre, stabilendo che accanto alla forma ordinaria del rito romano vi fosse quella straordinaria rappresentata dal messale preconciliare. L’intento di Ratzinger, esplicitato nella lettera ai vescovi che accompagnava il motu proprio, era quello di favorire una riconciliazione tra le comunità e far sì che le due sensibilità liturgiche si aiutassero a vicenda: il rito antico avrebbe aiutato a sottolineare una maggiore sacralità nelle celebrazioni di quello postconciliare, quest’ultimo avrebbe aiutato a sottolineare la ricchezza di riferimenti biblici che rappresenta una delle maggiori novità introdotte dal Concilio Vaticano II.

    Poco a poco, in diverse comunità sparse per il mondo, la Messa antica ha preso a essere celebrata. Non sono mancate le difficoltà: ci sono stati vescovi che hanno posto condizioni restrittive (non previste dal motu proprio papale, che è legge universale della Chiesa).

    Proprio per chiarire i dubbi e permettere una più consapevole applicazione delle direttive di Benedetto XVI, sta per essere pubblicata un’istruzione della commissione Ecclesia Dei (dal 2009 messa sotto l’egida della Congregazione per la dottrina della fede e presieduta dal Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il cardinale William Levada). Il testo, approvato dal Papa, è finalmente ultimato e viene tradotto in questi giorni nelle varie lingue. Dovrebbe essere pubblicato nella prima decade di maggio e portare la data del 30 aprile, memoria di san Pio V.

    L’istruzione con i suoi contenuti conferma che il motu proprio è legge universale della Chiesa e che tutti sono tenuti ad applicarla e a garantire che venga applicata. Afferma inoltre che va assicurata la possibilità della celebrazione in rito antico dovunque vi siano dei gruppi di fedeli che la richiedono. Nel testo non viene precisato alcun numero minimo di fedeli che devono costituire il gruppo.

    Si dice ancora che è bene - in accordo anche con l’esortazione postsinodale sull’Eucaristia - che i seminaristi studino il latino. Ma il documento prevede anche che conoscano la celebrazione secondo la forma antica. Il “sacerdos idoneus” per la celebrazione con il messale preconciliare non occorre che sia un latinista provetto, ma che sappia leggere e capisca ciò che legge ed è chiamato a pronunciare durante il rito.

    Una delle novità più importanti contenuta nel documento è questa: la Pontificia commissione Ecclesia Dei viene giuridicamente costituita con l’istruzione come l’organismo chiamato a dirimere le questioni e le controversie. Avrà la facoltà di decidere in nome del Papa, e rappresenterà dunque l’istanza a cui ricorrere per quei gruppi di fedeli che incontreranno difficoltà nell’ottenere la celebrazione della messa antica.

    I vescovi non non dovranno né potranno promulgare norme che restringano le facoltà concesse dal motu proprio, o ne mutarne le condizioni, come invece è accaduto in qualche diocesi. Sono chiamati invece ad applicarlo.

    Secondo l’istruzione può essere celebrato anche il Triduo pasquale in rito preconciliare là dove ci sia un gruppo stabile di fedeli legati alla liturgia antica. Gli appartenenti agli ordini religiosi possono usare i messali con i rispettivi riti propri preconciliari.

    Il rito ambrosiano non viene citato nell’istruzione: il motu proprio infatti si applica soltanto al rito romano (Ecclesia Dei non è competentesul rito ambrosiano, sul quale ha invece giurisdizione la Congregazione del Culto divino). Ciò però non significa che il motu proprio, o meglio, che la chiara ed esplicita volontà papale non sarà applicata nella diocesi di Milano.

    È sempre accaduto, con la riforma liturgica, ma prima ancora con i cambiamenti introdotti nei riti della Settimana Santa del 1954 da Pio XII, che il rito ambrosiano abbia fatto proprie istanze e modifiche, seppure in tempi successivi. Ed è possibile che - stante l’evidente volontà del Papa di rendere disponibile per tutti i fedeli il rito antico, visto l’inquadramento giuridico precisato nel documento sull’applicazione del motu proprio di imminente pubblicazione, in considerazione del fatto che anche l’ambrosiano è un rito latino riformato nel postconcilio - possa essere studiato in un prossimo futuro un documento analogo che estenda il motu proprio Summorum Pontificum anche alla diocesi di Milano.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 17/11/2011 16:09

    [SM=g1740720] Il "caso Gnocchi" e lo sfregio al Papa

    Pubblichiamo un articolo uscito sul Foglio. Viene raccontato un fatto scandaloso, successo altre volte in passato, per carità, ma al quale non ci si può abituare: calpestare con arroganza e cattiveria le volontà di un defunto. Un episodio che rimarca per l'ennesima volta la distanza del cattolicesimo dal post-cattolicesimo e che conferma quello che si intuisce, cioè lo scarso potere di intervento da parte del Vaticano, in queste e altre situazioni. Un vescovo, insomma, può contraddire il Papa. Nel silenzio delle gerarchie e del clero.

    Qui si parla di un fatto personale, ma il lettore non tema importune ondate emotive. Il vantaggio di lavorare in due è che uno racconta quanto gli è accaduto e l’altro ci mette le opinioni, così si salvaguarda il necessario distacco professionale.
    Il fatto
    Ci fosse stato il Peppone di Guareschi, mio padre avrebbe compiuto l’ultimo viaggio con la sua Messa, quella in latino ricamata di Oremus, Dominusvobiscum e Kyrieleison splendidi e secolari. Ma ci voleva giusto quel Peppone che, infischiandosene del consiglio comunale al completo, in piena Repubblica, come capo dei comunisti ordinò di portare al cimitero la vecchia maestra del paese nella bara coperta dalla sua bandiera, quella ricamata con lo stemma del re.
    Purtroppo, mio padre non ha avuto la fortuna di morire sotto l’amministrazione del comunista Giuseppe Bottazzi. Mio padre è morto nella bianca e cattolica terra bergamasca, parrocchia di Sant’Andrea apostolo in Villa d’Adda. E così si è imbattuto in un certo don Diego, il quale non ha saputo che farsene della volontà di un defunto e neppure di quella della famiglia. Che poi quella volontà fosse legittima e sostenuta da un Motu proprio del Santo Padre ha contato meno di zero. Eppure il Motu proprio, l’ormai celebre quanto inapplicato “Summorum Pontificum” che regolamenta la celebrazione della Messa in rito gregoriano, all’articolo 5, paragrafo 3, parla chiaro: “Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi”.
    Onestamente, va riconosciuto che il parroco non poteva essere toccato dal documento del Santo Padre dato che, candidamente, ha confessato di non conoscerlo. Così come non era al corrente del fatto che il testo applicativo del Motu proprio, l’istruzione “Universae Ecclesiae”, in simili casi invita il parroco a lasciarsi “guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza”.
    Tutto inutile: “In curia mi hanno detto…”. E’ stato questo il filo conduttore delle discussioni con don Diego. Questi sacerdoti si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e come “autonomia”, e poi non sono in grado di opporsi al palese sopruso ordinato dall’alto perché “in curia mi hanno detto…”. Si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e “autonomia”, denigrano un passato a loro dire prepotente e clericale e poi si prestano a calpestare la volontà di un morto e della sua famiglia, quella della Chiesa e del Santo Padre perché “in curia mi hanno detto…”.
    Da troppo tempo, nella diocesi di Bergamo, come in grandissima parte delle diocesi dell’Orbe cattolico, comanda dispoticamente l’autorità più prossima, quella che mette paura perché minaccia di intervenire direttamente sulle persone. Roma, che sarebbe l’autorità suprema, non conta nulla. Da Bergamo a Piazza San Pietro ci vogliono un’ora di aereo e mezz’ora di taxi, ma è come se fosse su un altro pianeta. Il vescovo Francesco o chi per lui può ordinare ciò che vuole, in aperto contrasto con il Santo Padre, e non deve temere nulla.
    Così, anche nella bianca terra bergamasca, il parroco raccoglie una richiesta dei suoi fedeli, la trasmette al vicario generale, il vicario generale si confronta con chi ritiene opportuno, poi, in nome e per conto del vescovo decide come agire e il parroco esegue. E, se si fa notare all’esecutore materiale la palese ingiustizia a cui si sta prestando, rispunta la solita spiegazione: “In curia mi hanno detto…”.
    Il contrario sarebbe stato un miracolo troppo grande. Eppure don Diego, al primo incontro, aveva espresso una considerazione di assoluto buon senso e di naturale umanità: “Credo che davanti alla morte e per un funerale non ci siano problemi”. Ma, quando i problemi si sono manifestati in tutta la loro evidenza, ha tentato di dare veste teologica al sopruso con quanto gli hanno messo in testa in seminario sostenendo testualmente la seguente tesi: “Se ci fosse stata la richiesta, per esempio, di un rito bizantino, allora, in virtù dell’ecumenismo, si sarebbe fatto. Perché, in quel caso, io con il mio rito incontro te con il tuo rito e ci arricchiamo a vicenda. Ma voi chiedete un rito della Chiesa cattolica e siccome non concorda con lo stile celebrativo della comunità si può dire di no”. A questo proposito, va detto che lo “stile celebrativo” della comunità in oggetto, in materia di funerali, ha toccato uno dei suoi vertici con l’esecuzione di “C’è un grande prato verde dove nascono speranze” accompagnata dalle chitarre.
    Naturalmente, su tutti i colloqui con il parroco aleggiava lo spirito del Vaticano II e la consegna di difenderlo a oltranza inculcata nell’animo dei poveri sacerdoti formati in questi decenni: “Perché voi dovete sapere che il Vaticano II…”, “Non vorrete mettere in dubbio il Vaticano II…”, “Dovete capire che la Chiesa, a partire dal Vaticano II…”, eccetera, eccetera.
    Tutto quello che si è compreso da quello sproloquio sul Vaticano II è che mio padre, in nome del suddetto Vaticano II, non avrebbe avuto ciò a cui aveva sacrosanto diritto. Povero papà, troppo cattolico per usufruire almeno delle attenuanti generiche previste dall’ecumenismo, delle quali, oltre tutto, giustamente non avrebbe voluto saperne. Così come non avrebbe saputo che farsene della “Messa con la condizionale” proposta in extremis dalla curia per interposto parroco: Messa in latino sì, ma in una chiesa di Bergamo deputata a mezzo servizio a tale rito. Più che una mediazione, il tentativo di sgravarsi la coscienza potendo far ricadere la colpa di “aver preteso troppo” su una famiglia che invece non ha acconsentito a chiedere niente di meno del giusto. Un sopruso nel sopruso che avrebbe costretto mio padre a una Messa semiclandestina, a venti chilometri dalla parrocchia per cui ha lavorato una vita intera e in cui avrebbe invece avuto il sacrosanto diritto che venisse concesso ciò che aveva chiesto. In tal modo, salvo pochi intimi, nessuno avrebbe visto nulla e la comunità, nuova divinità del pantheon neocattolico, non sarebbe lesa nel suo “stile celebrativo”.
    Perché la vera ragione pastorale del divieto l’ha spiegata bene don Diego: “Se la Messa viene concessa qui, poi bisogna concederla anche dalle altre parti”. Insomma, bisogna evitare il contagio. Ma mio padre, anche se non ha compiuto l’ultimo viaggio con la sua Messa, continua a essere contagioso: si chiama Vittorino Gnocchi e sono orgoglioso di lui.
    Le opinioni
    Andare contro le volontà di un defunto è atto che richiede argomenti fortissimi. Sì può farlo, quando il morto chiede cose impossibili, o bislacche, o sconvenienti, o contro legge. Ma ci vuole sempre un motivo oggettivo per tradire le sue attese, un motivo che metta al riparo dal sospetto di compiere una prevaricazione irreparabile e particolarmente odiosa. Il sopruso consumato dai vivi contro i morti. Infatti, il de cuius non può difendersi, non può ricorrere in appello, non può chiedere aiuto. Ciò basta a spiegare perché di norma le ultime volontà siano eseguite con particolare fedeltà: esse sono sacre.
    Ora, si tratta di capire se un cattolico che chiede un funerale con la Messa Antica, stia pretendendo qualche cosa di impossibile, o di bislacco, o di sconveniente, o contro legge. La risposta è molto semplice: il Papa felicemente e faticosamente regnante ha scritto di sua iniziativa, in totale libertà e in pieno possesso delle sue facoltà mentali, che un cattolico può eccome chiedere e ottenere un rito funebre che è ancora pienamente legittimo nella Chiesa, e che nella Chiesa è stato utilizzato per accompagnare al camposanto milioni di fedeli per centinaia di anni. Il Motu Proprio Summorum Pontificum non lascia scampo ad alcuna interpretazione di segno opposto. Sotto il profilo del diritto della Chiesa cattolica, il diritto canonico, non si capisce come sia possibile rifiutare di adempiere a una simile richiesta, soprattutto quando sia perfettamente possibile adempierla. Nel caso specifico, il sacerdote in grado di celebrare in quella forma era stato subito trovato – ché molti preti oggi non sono più capaci di celebrare secondo il rito antico – e i familiari non avevano espresso la benché minima riserva sull’argomento, ma anzi condividevano l’istanza del defunto.
    In questa tristissima storia c’è un lato grottesco e insieme paradossale: il dispregio dimostrato dal clero interpellato nei confronti dell’autonomia del singolo. A partire dal 2008, la Conferenza Episcopale Italiana ha “aperto” la strada – per voce del suo autorevole presidente – alle cosiddette “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento”, le ormai famose DAT: un documento scritto nel quale la persone dice quali trattamenti sanitari intende o non intende ricevere, qualora cada in stato di incoscienza. A noi (e anche al direttore di questo giornale) queste DAT non piacciono, perché offrono un comodo scivolo alla cultura eutanasica. Ma ai fini del nostro ragionamento, la “svolta” della Cei sulle DAT serve a dimostrare che nella cultura contemporanea tutti – e la Chiesa stessa – riconoscono un valore molto importante alla volontà espressa da ogni singola persona. Questa volontà non può essere arbitraria, ma se è conforme al bene deve essere assecondata.
    Ora, il paradosso del “caso Gnocchi” sta in questo fatto: se un fedele chiede, attraverso la voce di suo figlio, un funerale secondo il rito tridentino, non viene esaudito. Se invece redige le DAT rifiutando magari certe cure, agisce in conformità alla Conferenza Episcopale Italiana. Che cosa deve fare, allora, un cattolico, per ottenere quello che il Papa ha stabilito come suo pieno diritto? Forse deve chiedere le esequie in forma antica redigendo le DAT e consegnandole al parroco finché è in grado di farlo.
    Dunque, nel “caso Gnocchi” è stato consumato un sopruso. Ma il movente qual è? Niente di personale: non c’era l’intenzione di nuocere alla persona e alla famiglia. Il punto è un altro: fare resistenza all’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, ostacolando in ogni modo le celebrazioni nella forma antica. In questo, come in molti altri casi, si è voluto colpirne uno per educarne cento. Ciò che fa paura a certi ambienti cattolici non è la celebrazione sporadica della Messa di San Pio V: si potrebbe in fondo tollerarla come folkloristica manifestazione di nobili decaduti un po’ snob e vecchie dame velate di nero. La preoccupazione è un’altra: e cioè che, cedendo nel singolo caso, la prassi dilaghi. E che, a quel punto, non il signor Vittorino Gnocchi di Villa d’Adda, ma decine, centinaia di fedeli mettano nero su bianco le loro DAF, le Dichiarazioni Anticipate di Funerale. E che parrocchie e diocesi, per rispetto verso i fedeli defunti e per ossequio verso il Papa vivente, siano costrette ad abbozzare e a lasciar celebrare. A questo punto, il “contagio” sarebbe incontrollabile: altri fedeli, partecipando a funerali esteticamente belli e dignitosi, resterebbero colpiti favorevolmente, e direbbero: “lo voglio anche io”. Altri fedeli, incuriositi dall’originale stile liturgico, si avvicinerebbero alla Messa di San Pio V, e alcuni magari inizierebbero a frequentarla. Sarebbe la realizzazione su scala planetaria di quella “democrazia dei defunti” di cui parla G.K. Chesterton, in base alla quale hanno diritto di voto anche i morti, quando si deve decidere qualcosa di veramente importante. Insomma: un vero disastro. Un disastro, s’intende, dal punto di vista di chi vuole seppellire per sempre l’antico rito.
    Quello che abbiamo appena scritto non appartiene al genere letterario della dietrologia o della complottistica, ma nasce dalla constatazione che esiste nella Chiesa cattolica un ampio fronte che non ha mai digerito le decisioni di Benedetto XVI sulla Liturgia. E che non ne fa mistero. Il Papa celebra il nuovo rito sempre con un crocifisso sull’altare e una fila di candelabri, e distribuisce la comunione sulla bocca di fedeli inginocchiati, affiancati da chierichetti con il piattino. Bene: nella quasi totalità delle chiese del mondo il clero fa esattamente il contrario, altari (e chiese) senza Crocifisso, particole nelle mani dei fedeli, inginocchiatoi al rogo e piattini chiusi negli armadi. E buona notte al Primato di Pietro.
    Sul fronte della Messa Antica, le barricate sono ancora più alte e il fuoco “amico” – si fa per dire – è fitto e spietato. Al punto che non poche diocesi si sentono autorizzate ad agire in spregio alle indicazioni che provengono da Roma. Nel “caso-Gnocchi”, il parroco è stato raggiunto tempestivamente da una telefonata dell’ Ecclesia Dei, organismo istituito in Vaticano per occuparsi della spinosa materia. Una volta di diceva: Roma locuta, causa soluta. E invece non è bastato l’intervento telefonico dal Vaticano a sgomberare il campo dagli ostacoli opposti alla celebrazione del funerale vecchio stampo: i motivi pastorali, la volontà del vicario episcopale, e via cavillando in un crescendo ben più intricato del latinorum di don Abbondio. Dove si vede un ulteriore paradosso della Chiesa post conciliare: le diocesi agiscono in una sorta di semifederalismo dottrinale e gerarchico, nel quale Roma non comanda più. E dove un qualunque prete di provincia conta di più della Commissione Pontificia Ecclesia Dei. Così può accadere, come è accaduto a Napoli qualche giorno prima del “caso Gnocchi”, che un fedele chieda il funerale in rito antico e si senta rispondere che no, non potrà averlo in quella parrocchia perché non frequentava la tal parrocchia. Dal che si potrebbe desumere che allora la Chiesa stia per escludere dal funerale tutti i cattolici che, a suo insindacabile giudizio, ritiene tiepidi e non praticanti: cosa che, nei fatti, grazie a Dio non risulta. E anzi, assai ampia si è fatta la porta che oggi accoglie chiunque richieda esequie religiose, in nome del dialogo e della tolleranza. Gli unici che sembrano non meritare tale attenzione pastorale sono i cattolici pacelliani, quelli insomma che amano la tradizione e che vorrebbero un funerale nel rito di sempre. Tutto qui.

    Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro
    Il Foglio - 17 novembre 2011

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    [SM=g1740733]
    Carissimi Alessandro e Mario,  
    forse non dovrei raccontare la medesima avventura perchè grazie a Dio abbiamo superato il momento, ma non mi sembra corretto lasciarvi da soli e, dopo averla conosciuta di persona (il sig. Alessandro, qui a Venezia per l'incontro con il prof. De Mattei per la presentazione del suo libro), ritengo più giusto unimirmi a voi con questa triste e breve testimonianza, privata dei dettagli e dei nomi, perchè per amore della pace (di quale non sappiamo) decidemmo di non sporgere formale denuncia.  
     
    Mia zia materna è deceduta il 13 agosto e per il giorno 17, dopo l'Assunta, si è pensato ai funerali anche per dare tempo ai parenti di raggiungerci.....  
    mia zia  da ragazza aveva cantato nel coro di santa Cecilia ed oggi, ad 81 anni, per quanto in grave decadenza senile, ricordava con piacere sia la Messa antica quanto il canto gregoriano, e così a casa le mettevo le musiche gregoriane e lei le ricordava, cantandole con un fil di voce.... mi chiese così che le sarebbe piaciuto che il suo funerale fosse stato avvolto da questo clima e da quella Messa che ricordava quando vi andava con mia nonna.... Presto fatto, tutta la situazione che si era venuta a creare faceva presagire che avremmo potuto soddisfare tale desiderio.  
    Era tutto pronto.... avvisato chi di dovere ed ottenuto ogni permesso.... nessun ostacolo!  
    Ma come si suol dire: troppo liscio!  
    Giunti a mezz'ora dai funerali arriva la sorpresa.... la Messa è vietata... si tenta in tal modo di screditare il Sacerdote perchè avrebbe dovuto avvisare, mentre a noi venne detto che era tutto a posto...  
    La bara stava arrivando in Chiesa e per evitare sceneggiate, abbiamo ceduto alla prepotenza, allo strapotere di chi ha fatto della Casa di Dio una proprietà attraverso la quale imporre le proprie decisioni....  
    Grazie ai Cantori che sono ugualmente rimasti ed all'amico sacerdote venuto da Roma per condividere con noi questo  lutto, che ci ha celebrato una Messa, seppur moderna, dignitosamente accettabile per quanto umanamente è possibile fare in certe condizioni, e con certi ricatti, zia ha potuto avere il Dise Irae e i canti gregoriani.... anche se il responsabile della Chiesa stava sempre con l'orologio davanti pur non avendo alcuna Messa dopo la nostra....  
    Terminate le esequie e le questioni di circostanza abbiamo poi chiamato chi di dovere senza ottenere giustizia, ma se non altro percependo l'imbarazzo di chi ha compreso che ci era stato fatto un grave torto, che era stato commesso un abuso.... ancora una volta ci si chiedeva di TOLLERARE IL FATTO non come volutamente e perversamente accaduto, ma come una imbarazzante INCOMPRENSIONE.....  
     
    La sensazione che abbiamo avuto è questa che traggo dal vostro scritto:  
    Ciò che fa paura a certi ambienti cattolici non è la celebrazione sporadica della Messa di San Pio V: si potrebbe in fondo tollerarla come folkloristica manifestazione di nobili decaduti un po’ snob e vecchie dame velate di nero. La preoccupazione è un’altra: e cioè che, cedendo nel singolo caso, la prassi dilaghi.  
    Embarassed  
    Pertanto sto sempre più comprendendo che la cosa migliore da fare è FAR DILAGARE IL RITO ANTICO, ma per farlo non illudiamoci, Cristo ci chiede di salire su quel Calvario con Lui e fino alla fine, passando ovviamente prima lungo il Calvario della Passione, e via  fino alla Morte di Croce.... Wink


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    Gnocchi racconta il "caso Gnocchi"

    I lettori di messainlatino.it sono rimasti choccati all’unanimità dal “caso Gnocchi”: nella diocesi di Bergamo sono stati vietati i funerali in rito antico al padre del noto giornalista e scrittore cattolico, vicenda che è stata raccontata dal quotidiano il Foglio. Una bruttissima storia sulla quale ci sembra giusto non mollare, per amore di verità. Un sopruso sul quale non è giusto stendere il velo dell’oblio e che speriamo possa fare "giurisprudenza". Alessandro Gnocchi ha gentilmente accettato l’invito di messainlatino.it di scrivere una sorta di “diario della crisi” dopo il “caso Gnocchi”. Lo ringraziamo. Alessandro Gnocchi è autore di numerosi libri, scritti con Mario Palmaro, l'ultimo dei quali è il notevole "La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la chiesa è entrata in crisi. Perché si riveglierà (Vallecchi). Altri titoli: "L'ultima Messa di padre Pio. L'anima segreta del Santo delle stigmate"(Piemme), "Viva il Papa. Perché lo attaccano. Perché difenderlo" (Vallecchi), "Contro il logorio del laicismo moderno. Manuale di sopravvivenza per cattolici" (Piemme).




    Ma questa Messa s'avrà da fare



    Ho ricevuto tante lettere, tante e-mail, tanti messaggi e tante telefonate che testimoniano una fraterna vicinanza per quanto è accaduto al funerale di mio padre. Davvero tante, che non posso fare a meno di ringraziare anche pubblicamente. Lo faccio volentieri su invito di messainlatino.it che mi chiede di tenere una sorta di diario che aggiorni il procedere della vicenda.
    Perché la vicenda, naturalmente, non si ferma qua. Non può fermarsi qua perché non riguarda solo un singolo signore un po’ bizzarro che ha chiesto un rito un po’ bizzarro per il suo funerale un po’ bizzarro. E non riguarda neanche solo la sua famiglia un po’ bizzara invaghita dello stesso rito un po’ bizzarro. Riguarda qualsiasi cattolico battezzato soggetto ai doveri e anche ai diritti del Diritto Canonico. Insomma, riguarda tutti noi.
    Se non fosse così, giunto a questa riga, potrei dire “Grazie a tutti” e tornarmene alle mie occupazioni. Invece si va avanti, compiendo tutti i passi necessari sia in sede pubblica, sia in sede istituzionale, sia in sede privata.
    Per questo è necessario l’aiuto di tutti coloro che credono nella buona battaglia e comincio col proporre due azioni semplicissime:
    1) Far conoscere il più possibile il fatto, anche attraverso la diffusione dell’articolo che lo racconta. Non solo nel nostro ambiente, ma anche nelle parrocchie e nelle associazioni, dove nessuno immagina neppure che esista gente come noi che subisce quanto subiamo noi.
    2) Scrivere, rispettosamente ma con grande fermezza al parroco di Villa d’Adda e alla curia bergamasca per dire quello che si pensa sull’accaduto.

    Questo è importante anche perché mi risulta che qualcuno sta facendo circolare la voce che la mia famiglia sarebbe stata contenta di come “si sono aggiustate le cose”: e cioè Messa con rito nuovo nella quale si sono semplicemente evitati gli orrori che si vedono di solito durante i funerali. Insomma, fatto credito con grande magnanimità della loro buona fede, questi signori ritengono che sulla questione della Messa ci si possa venire incontro come al mercato e concludere con uno sputo sulla mano prima stringersela davanti al sensale.
    Bisogna dir loro, da parte di chiunque tenga alla Messa di sempre, che non è così. Scriviamoglielo.
    Dal bollettino parrocchiale, ho ricavato l’indirizzo e-mail del parroco (che si chiama don Diego Nodari); dunque, trascrivendolo, non svelo nulla di segreto o di privato:
    d.diegonodari@virgilio.it

    l’indirizzo postale è:
    Parrocchia di Sant’Andrea apostolo
    Via del Borgo, 2
    24030 VILLA D’ADDA
    (Bergamo)

    gli indirizzi della curia sono
    cancelleria@curia.bergamo.it


    liturgia@curia.bergamo.it


    vicariogenerale@curia.bergamo.it


    segrvesc@curia.bergamo.it


    del.formazione@curia.bergamo.it


    Ma una ricerca più attenta nei meandri del web curiale può dare anche altri risultati.

    Prima di ringraziare ancora, voglio comunque dire che ci vuole sempre un padre per spiegare a un figlio le cose della vita. E un padre lo fa anche quando muore. Ci ritorneremo sopra, quando sarò riuscito a cavarmi dall’anima il magone che non va né su né giù. Ma quello che posso dire si da ora è che, anche questo si trova nella Messa di sempre.
    Grazie a tutti



    [SM=g1740717] [SM=g1740720]


    [Modificato da Caterina63 18/11/2011 18:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 23/11/2011 09:43

    Ancora sulle esequie negate in Diocesi di Bergamo. "Gnocchi racconta il 'caso Gnocchi' - II parte"

    Alessandro Gnocchi, giornalista e scrittore, torna a scrivere per messainlatino.it il diario della crisi del caso "caso Gnocchi". Ricordiamo la vicenda: nella diocesi di Bergamo sono stati vietati i funerali in rito antico al padre del noto giornalista e scrittore cattolico (si legga qui e qui). Il caso, bisogna dire, ha suscitato l'indignazione generale, anche di quei cattolici lontani dalle nostre posizioni e dal tradizionalismo, fra i quali Tornielli. Molti commenti e considerazioni sono stati fatti. Ne aggiungiamo uno. Come mai dopo tante belle parole sull'apertura al mondo e alla modernità, nessuna delle gerarchie ecclesiastiche coinvolte (Vaticano, Ecclesia Dei, curia di Bergamo, vescovo di Bergamo) ha sentito la necessità non diciamo di una parola di conforto, di umanità (lo so che piace questa parola...) e vicinanza alle persone coinvolte, ma semplicemente di replicare in questa infuocata e importante questione? Comunque sappiamo benissimo che neppure questa domanda avrà risposta.
    Alessandro Gnocchi è autore di numerosi libri, scritti con Mario Palmaro, l'ultimo dei quali è il notevole "La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà (Vallecchi). Altri titoli: "L'ultima Messa di padre Pio. L'anima segreta del Santo delle stigmate"(Piemme), "Viva il Papa. Perché lo attaccano. Perché difenderlo" (Vallecchi), "Contro il logorio del laicismo moderno. Manuale di sopravvivenza per cattolici" (Piemme).



    Visto che questo appuntamento periodico minaccia di andare per le lunghe, mi piacerebbe dargli una forma che non permetta di cadere nel lamento. Vorrei raccontare i fatti miei, e nostri, anche dolorosi, con un po’ di leggerezza e brio. E con questo sono sicuro di non fare un torto a mio padre, che per parte sua era un eccellente scrittore di teatro e un altrettanto eccellente attore e capocomico.
    Ecco perché la scrittura di queste note copia in maniera evidente e dichiarata quella che il maestro Giovannino Guareschi impiegava su “Candido” nella rubrica “Giro d’Italia”.
    La pagina guareschiana era un fluire tumultuoso spezzettato da frammenti di frase riportati in neretto al centro della colonna a mo’ di titoletto. Mi rendo che è una tecnica difficile da spiegare teoricamente. Dunque, passiamo alla pratica. Con l’avvertenza che Guareschi la maneggiava da maestro e il sottoscritto la maneggia da allievo.


    MA QUESTA MESSA S’AVRA’ DA FARE - SECONDA PUNTATA
    di Alessandro Gnocchi

    Per mestiere mi occupo di giornali, dunque non leggo l’Avvenire. Però mi dicono che domenica 20 novembre, un certo Pier Giorgio Liverani ha commentato l’articolo con cui Palmaro e io abbiamo raccontato sul Foglio la vicenda del “Funerale latino negato”. Evidentemente, questo Liverani deve essere

    un giovanotto di buona volontà, ma inesperto,

    visto che la sua argomentazione è la seguente: “TRA DAT E DAF Potrebbe anche darsi che abbiano ragione i due buoni cristiani, che su un'intera pagina del Foglio protestano (giovedì 17 novembre) perché, in un paese della bergamasca, il loro parroco non ha concesso al padre di uno di loro la celebrazione del funerale secondo il rito latino nonostante il Motu proprio Summorum Pontificum. Ciò che lascia perplessi è la motivazione della richiesta: il defunto voleva «la sua messa, quella in latino ricamata di oremus, dominusvobiscum e Kyrie eleison splendidi e secolari», insomma come quel funerale che «il Peppone di Guareschi» volle «per la vecchia maestra del paese, nella bara coperta dalla sua bandiera, quella ricamata con lo stemma del re». Con tutta la pietà per il defunto e per suo figlio, va ricordato che il Motu proprio pontificio ha motivazioni più consistenti di un ricamo, anche se di "oremus" in fili d'oro. Né è giustificato il paragone satirico tra Dat e «Daf, le Dichiarazioni anticipate di funerale». Caro Liverani, se “potrebbe darsi che abbiano ragione i due buoni cristiani che scrivono sul Foglio”, a rigor di logica il suo pezzullo avrebbe dovuto fermarsi proprio lì. Non c’era bisogno sciupare con le restante povere considerazioni l’otto per mille con cui tanti buoni cattolici pagano il suo inchiostro. Ma il giovanotto, in barba al principio di non contraddizione, spiega poi che

    i “due buoni cristiani” hanno ragione, ma hanno torto

    perché chissà quali ragioni ci sono dietro la richiesta di una Messa in latino. Insomma tutta robetta inconsistente trita e ritrita, ma scritta con tale livore da far pensare che Liverani sia uno pseudonimo ispirato allo stile. Argomenti e toni a cui si è ormai abituati, ma trovarli sul bollettino dei vescovi italiani fa sempre un certo effetto. Anche perché, alla fine

    nel mirino di Avvenire, finisce il Papa

    che, con il Motu Proprio “Summorum Pontificum”, ha dato la stura a richieste di Messe che chissà quali ragioni avranno. Spieghiamo subito al giovanotto che la ragione è una sola e si chiama fede cattolica. Ma, col tempo, imparerà anche lui. Siamo stati tutti giovani e inesperti. In ogni caso, è tutto regolare: Avvenire ha difeso senza argomenti un rappresentante dell’azionista di riferimento, come fanno anche tanti giornali veri, e tutto dovrebbe essere a posto.

    In realtà non è a posto niente

    perché, la vicenda rimane aperta. Da giorni la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha in mano la relazione dettagliata della vicenda, che è stata spedita per conoscenza anche al vescovo di Bergamo. In calce si chiede che cosa deve fare un cristiano battezzato per avere ciò che il Papa ha stabilito essere un suo diritto, che cosa intende fare Ecclesia Dei per difendere tale diritto dai soprusi di episcopato e clero apertamente in opposizione al Santo Padre, come Ecclesia Dei intende intervenire presso il vescovo di Bergamo per dirgli che così proprio non va. In effetti

    Eccellenza, così proprio non va,

    non può essere vero che un vescovo frapponga tanti ostacoli a chi vuole andare a Messa. Guardi, Eccellenza, che segnaliamo tutto a Pier Giorgio Liverani, così saprà ben lui mettere al suo posto chi non fa il proprio dovere. Racconteremo magari al giovanotto di Avvenire che la sigla BG, oltre che Bergamo, ricorda tanto la Bulgaria dei tempi d’oro. Si deve sapere, per esempio, che a un fedele bergamasco della Messa in rito gregoriano

    è stata proposta la “seconda comunione”

    con rito tradizionale previa Prima Comunione riparatoria in rito nuovo. Se lo è sentito dire un fedele che frequenta abitualmente la Messa antica nella chiesetta della riserva indiana per cattolici tradizionali istituita in città. L’amico Roberto ha chiesto che i figli ricevessero la Prima Comunione durante la cerimonia con Messa antica. In via confidenziale gli è stato detto che sì, si può fare, ma prima i bambini fanno la prima Comunione con rito nuovo nella Comunità-di-appartenenza, poi fanno “un’altra Prima Comunione” nella chiesetta della riserva tradizionale. Ma, come insegna la logica

    dopo la prima, c’è solo la seconda.

    Ecco questa è la non-logica che governa la diocesi di BG (Bergamo, non Bulgaria). L’amico Roberto ha risposto che accetta volentieri se i bambini della Comunità-di-appartenenza che ricevono la Prima Comunione con rito nuovo, poi, si trasferiscono per la “seconda Prima Comunione” nella chiesetta della riserva tradizionale per dimostrare di essere in comunione con quei poveretti della Messa in latino. Risultato, i figli di Roberto riceveranno la Prima Comunione con rito antico a Venezia.

    [SM=g1740733]

    Caro Alessandro,  
    l'argomento in questione, proprio perchè esiste un senso di giustizia che vogliamo ragionevolmente portare avanti, continuerà a provocare in lei (ed anche in me) amarezza e dolore, persino derisione mascherata da parole dette per l'occasione nel tentativo di giustificare la presa di posizione di un Clero, o di un Vescovo, solo per partito preso!  
     
    Al sig. Pier Giorgio Liverani..... autore dell'articolo di Avvenire, vorrei aggiungere - a quanto da lei detto - che li "due boni cristiani" non sono solo "due", già in questa vicenda siamo in 4, in 6, in 8, in 100..... ma mentre li "due boni cristiani" hanno potuto far uscire allo scoperto certe magagne, gli altri 98 "boni cristiani", gentile Liverani, SUBISCONO senza potersi esprimere perchè il giornale dei Vescovi, Avvenire, non darà mai ad essi lo spazio necessario per rivendicare, con dovizia di termini e con santa ragione, l'abuso di una Messa antica negata....  
     
    Gentile Liverani... come "buona cristiana" non solo mi sono ritrovata 12 anni fa con mia figlia OBBLIGATA a ricevere la sua Prima Comunione nelle mani, e come "buona cristiana" OBBLIGATA a tacere e a sopportare.... ma anche noi ci siamo visti negare una Messa nella Forma Straordinaria per una anziana di 81 anni che ha avuto la malagurata idea di richiedere la sepoltura con tale Rito dopo che ricordava con gioia il periodo giovanile in cui faceva parte del Coro di santa Cecilia a Roma così da ricordare a memoria tutti i canti gregoriani per i quali non si perdeva neppure una Messa (antica), la mente nonostante l'offuscamento della senilità, non le aveva intaccato questi ricordi che, cari alla suo cuore di Cristiana, desiderava fossero ora per lei nell'estremo saluto da questo mondo all'altro mentre, appare evidente, che molti Vescovi l'hanno dimenticato...  
     
    Allora, gentile Liverani,  
    non sono solo "due" li boni cristiani.... non si presti al gioco della politica corretta perchè di tutto dovremmo rendere conto a Dio, di ogni virgola, di ogni parola, di ogni pensiero!  
    Non dipingeteci come un gregge insignificante, nostalgico, che sta appresso ai "fili d'oro" senza motivo o per puntiglio... no Liverani, dietro c'è molto di più: c'è la nostra identità di Cattolici che se è vero come dice il santo Padre essa è in quell'ermeneutica della continuità, a ragion veduta non si comprende perchè, le motivazioni adottate da questi "boni cristiani" debbano essere per forza viziate, maldestre, insignificanti, nostalgiche.... anzichè  adurre, molto più semplicemente, che in voce a quell'ermeneutica della continuità, si desidera cristianamente TRAMANDARE una Tradizione soprattutto VISIVA, visibile nel Forma di una Messa che, al contrario, continua a subire odio mascherato da certe penne del politicamente corretto!  
    No, Liverani! no!  
    Non ci sono altre motivazioni, lo scriva dal suo giornale dei Vescovi! Abbia il coraggio di dire la verità e non di interpretare, distortamente, i sentimenti di "due boni cristiani".... accanto ai quali, se solo lei ci conoscesse meglio, ci sono altri 100 ed altri tanti "boni cristiani" che subiscono, senza alcuna ragionevolezza, questi ed altri abusi, e spesso dando la colpa al Papa che con il suo MP avrebbe scatenato la guerra e la divisione....  
    Ma prima o poi arriverà il giudizio di Dio!  
    Io ci credo, e Lei?  
     
    firmato: un'altra "buona cristiana" che non si accontenta di essere "buona"...  
    LDCaterina63  
    (Dorotea)


    [SM=g1740733] molto interessante la riflessione che segue:

    Gnocchi, la messa negata: 6 riflessioni in margine.

    Pubblicato ilnovembre 21, 2011

    0


    Interrompo la letargite – che in realtà è un silenzio causato dal sormontare di troppi impegni in poco tempo, e dalla forza zero di aggiornare il blog – stimolato dal fatto tristissimo e recente destinato a passare alla storia della Chiesa come il “Caso Gnocchi”: quando un parroco di provincia nega le esequie a un defunto, causa la cattolicità del defunto che eccede gli ideologismi della canonica. La vicenda è nota e per le fonti rimando all’articolo di cronaca pubblicato su Riscossa Cristiana.

    A me piacerebbe fare 6 brevi appunti in margine al “Caso” e all’articolo, per vedere se siamo già arrivati al tragico “in Ecclesia nulla salus” o se facciamo in tempo a scamparlo.

    *

    Ma, prima di tutto, per i meno aggiornati dobbiamo fare un salto indietro di qualche anno, fino a quel fatidico 7 luglio 2007  in cui

    il Papa felicemente e faticosamente regnante ha scritto di sua iniziativa, in totale libertà e in pieno possesso delle sue facoltà mentali, che un cattolico può eccome chiedere e ottenere un rito funebre che è ancora pienamente legittimo nella Chiesa, e che nella Chiesa è stato utilizzato per accompagnare al camposanto milioni di fedeli per centinaia di anni. Il Motu Proprio Summorum Pontificum non lascia scampo ad alcuna interpretazione di segno opposto.

    Meglio, il papa ha scritto che qualsiasi prete può celebrare nel rito tradizionale (tecnicamente: nella forma extraordinaria dell’unico rito latino), e che gruppi di almeno 30 fedeli possono richiedere una messa stabile nella medesima forma del rito, etc. Per i dettagli rimando direttamente al Summorum Pontificum, e al successivo Universae Ecclesiae – 30 aprile 2011 – che ne precisa le condizioni di attuazione.

    Da allora si è smascherata una falla di sistema nel mondo cattolico, per cui è stato facile vedere chi fosse realmente fedele al papa e al cattolicesimo, e chi invece ritenesse, e ritenga, di poterne realizzare una versione fai-da-te, basata su disinformazione e pressing psicologico, prima sui preti e poi sui laici. Il tutto in nome dell’ideologia vaticanosecondista brillantemente burlata proprio da Gnocchi&Palmaro nel recente La bella addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà, Editore Vallecchi  2011.

    La situazione francamente imbarazzante dell’era post-motu-proprio (anno V del Summorum) si tocca con mano leggendo che

    il parroco non poteva essere toccato dal documento del Santo Padre dato che, candidamente, ha confessato di non conoscerlo. Così come non era al corrente del fatto che il testo applicativo del Motu proprio, l’istruzione Universae Ecclesiae, in simili casi invita il parroco a lasciarsi «guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza».

    Chiaramente dell’ignoranza del clero dovremmo chieder conto ai debiti formatori, e il cerchio è presto chiuso. Però su questo non mi dilungo.

    Veniamo ai 6 brevi appunti, emersi dalla lettura dell’articolo: 6 agghiaccianti strabismi.

    Primo strabismo: l’ideale soppianta il reale

    Il primo conflitto a emergere dalla cronaca è uno sguaiato cambio di prospettive. Se di regola la realtà si offre come base a partire dalla quale proporre con sobrietà ideali di miglioramento e perfezionamento, dalla testimonianza del don Abbondio bergamasco scopriamo che oggi le cose viaggiano alla rovescia. La realtà sparisce dall’orizzonte mentre ci viene propinato con insistenza un nuovo mondo virtuale, un mondo fatto di ideali partoriti da non-si-sa-bene-chi, il quale così – fieramente sprezzanti delle più banali regole di logica minor – pretende di edificare le uniche nuove verità in cui incubare i docili christifideles laici, o almeno i pochi rimasti. Stalin prenda nota:

    Ma, quando i problemi si sono manifestati in tutta la loro evidenza, ha tentato di dare veste teologica al sopruso con quanto gli hanno messo in testa in seminario sostenendo testualmente la seguente tesi: “Se ci fosse stata la richiesta, per esempio, di un rito bizantino, allora, in virtù dell’ecumenismo, si sarebbe fatto. Perché, in quel caso, io con il mio rito incontro te con il tuo rito e ci arricchiamo a vicenda. Ma voi chiedete un rito della Chiesa cattolica e siccome non concorda con lo stile celebrativo della comunità si può dire di no”. A questo proposito, va detto che lo “stile celebrativo” della comunità in oggetto, in materia di funerali, ha toccato uno dei suoi vertici con l’esecuzione di “C’è un grande prato verde dove nascono speranze” accompagnata dalle chitarre.

    In questo modo guastiamo in principio quanto di buono si potrebbe trovare nell’ideale, che non ha mai alcun senso al di fuori di un regime di realtà. Vale anche per la delicata faccenda dell’ecumenismo, quel poco di buono che esso aveva da darci sprofonda nell’assenza di ogni fondamento valido: come a dire, non per nulla viviamo nel cosiddetto “inverno ecumenico” (Kasper) – cosa che può rallegrare parecchi vecchio-realisti.

    Ma soprattutto qui perdiamo il reale in se stesso, e allora non veniamo poi a stupirci se la gente dotata più di buon senso che di spirito di sacrificio diserta messe e dintorni – e questo nonostante l’allettante offerta di brani da Top Ten che i liturgisti alla moda sbandierano. Procedamus.

    Secondo strabismo: l’opinione zittisce il Magistero

    La seconda freddura potrebbe intitolarsi: il tracollo della verità. In questo caso non si invertono reale e ideale, bensì si commuta l’ordine degli asserti. Ora, se è vero che mutando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, è più vero che qui non si tratta di somme ma di ragionamenti logici, appunto quei ragionamenti che ci portano dalla conoscenza meno nota a quella più nota e così via fino alla verità. Ma forse il pretame medio preferisce dedicarsi a forme di conoscenza – come dire? – sommaria (peraltro in perfetto disdegno della Summa Th). In questa zuppa la verità fa la fine dell’ospite indesiderato, e il suo posto viene subito riempito da una pletora di qualunquismi subito dogmatizzati. È così che al fedele dabbene – quello cui piace Mario Monti, se tanto mi dà tanto –  capita di vedersi pressoché imposti dalle bianche agenzie di informazione a senso unico opinionismi patenti travestiti da neo-dogmi vincolanti.

    In questa tristissima storia c’è un lato grottesco e insieme paradossale: il dispregio dimostrato dal clero interpellato nei confronti dell’autonomia del singolo. A partire dal 2008,la Conferenza EpiscopaleItaliana ha “aperto” la strada – per voce del suo autorevole presidente – alle cosiddette “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento”, le ormai famose DAT: un documento scritto nel quale la persone dice quali trattamenti sanitari intende o non intende ricevere, qualora cada in stato di incoscienza. A noi (e anche al direttore di questo giornale) queste DAT non piacciono, perché offrono un comodo scivolo alla cultura eutanasica. Ma ai fini del nostro ragionamento, la “svolta” della Cei sulle DAT serve a dimostrare che nella cultura contemporanea tutti – ela Chiesastessa – riconoscono un valore molto importante alla volontà espressa da ogni singola persona. Questa volontà non può essere arbitraria, ma se è conforme al bene deve essere assecondata.

    Ora, il paradosso del “caso Gnocchi” sta in questo fatto: se un fedele chiede, attraverso la voce di suo figlio, un funerale secondo il rito tridentino, non viene esaudito. Se invece redige le DAT rifiutando magari certe cure, agisce in conformità alla Conferenza Episcopale Italiana. Che cosa deve fare, allora, un cattolico, per ottenere quello che il Papa ha stabilito come suo pieno diritto? Forse deve chiedere le esequie in forma antica redigendo le DAT e consegnandole al parroco finché è in grado di farlo.

    Per carità, l’aggancio è letterario, se si vuole, ma il messaggio di fondo passa lo stesso: dove l’opinione è sovrana, la verità ha già fatto le valigie da un pezzo.

    Terzo strabismo: l’indefinito offusca le certezze

    Il processo di cappottamento esistenziale – una volta de-ontologicizzato il reale e  de-razionalizzata la verità – non può se non precipitare nello schiavismo dei proclama. E, si noti bene, sono tutti proclama mendicati fuori dal suolo cattolico. “Libertà”, “autonomia”, “dialogo”, “uguaglianza”, “accoglienza”, “straniero” e chi più ne ha più ne metta (e chi non ne ha più si rivolga a Fratelenzo Bose che ne ha magazzini e magazzini stipati). Ora, già è difficile uscire indenni dagli eccessi germinati in casa propria, figuriamoci che ne viene quando si corre alla cieca dietro gli errori altrui. Appunto, che ne viene? Il minimo è che non sappiamo neppure cosa fare di certi slogan. Il peggio è che li usiamo a beneficio sempre e solo degli altri – di quegli “altri” che li coniarono a loro pro. In mezzo ci finiscono i “nostri”, a patire tutte le contraddizioni e le ingiustizie della situazione.

    Questi sacerdoti si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e come “autonomia”, e poi non sono in grado di opporsi al palese sopruso ordinato dall’alto perché “in curia mi hanno detto…”. Si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e “autonomia”, denigrano un passato a loro dire prepotente e clericale e poi si prestano a calpestare la volontà di un morto e della sua famiglia, quella della Chiesa e del Santo Padre perché “in curia mi hanno detto…”.

    E buona notte a qualsiasi certezza. Perché quando si costruisce su principi non ben definiti, in odio alle definizioni del cattolicesimo classico, e in vagheggiamento di qualsiasi vento di dottrina un poco nuovo, tutto si fa opaco e non si capisce più che strada prendere. Generalmente a questo punto si va per la tangente.

    Quarto strabismo: il buonismo vanifica la carità

    Se i primi tre strabismi hanno toccato la parte teorica del credere, gli ultimi tre ne mostrano gli effetti pratici. Il primo è l’intorbidamento della carità. Fuori da criteri certi, ben ordinati, e saldamenti ancorati al reale, qualsiasi desiderio di fare del bene è costretto presto o tardi ad arenarsi su sterili manifesti di buonismo. Ma al nostro prossimo non serve buonismo di sorta, gli serve la carità di Cristo, che si trova pienamente nel cattolicesimo di sempre. Punto. Ah, dimenticavo: il buonismo non è mai un bene in sé.

    Eppure don Diego, al primo incontro, aveva espresso una considerazione di assoluto buon senso e di naturale umanità: “Credo che davanti alla morte e per un funerale non ci siano problemi”. Ma, quando i problemi si sono manifestati in tutta la loro evidenza…

    Così, anche nella bianca terra bergamasca, il parroco raccoglie una richiesta dei suoi fedeli, la trasmette al vicario generale, il vicario generale si confronta con chi ritiene opportuno, poi, in nome e per conto del vescovo decide come agire e il parroco esegue. E, se si fa notare all’esecutore materiale la palese ingiustizia a cui si sta prestando, rispunta la solita spiegazione: “In curia mi hanno detto…”.

    Quinto strabismo: il servo al potere tradisce il padrone in servizio

    A livello un po’ più alto scatta il patatrac. Volta la carta e scopri il puzzo di interessi che forse era meglio ignorare. Scopri cioè che il fallimento di tanti ideali, buonismi, slogan e quant’altro non è nemmeno dovuto a un inceppo logico nascosto chissà dove, ma piuttosto nasce da una malizia depositata alla radice della pianta. Scopri che è in atto uno scontro di potere tra fazioni dalla tempra più federalista di quella bossiana, roba che il senatùr c’avrebbe solo da imparare come si fa. Se per secoli la dottrina politica della Chiesa ha sviluppato l’idea di un potere e di una autorità che agisse sì con forza, ma al solo scopo di salvaguardare la sana unità dei cattolici in Cristo; ecco che ora s’innalza lo spettro di una ben diversa moda. Le diocesi rivendicano autonomia e potere, e sentono Roma come minaccia.

    Da troppo tempo, nella diocesi di Bergamo, come in grandissima parte delle diocesi dell’Orbe cattolico, comanda dispoticamente l’autorità più prossima, quella che mette paura perché minaccia di intervenire direttamente sulle persone. Roma, che sarebbe l’autorità suprema, non conta nulla.

    Nel “caso-Gnocchi”, il parroco è stato raggiunto tempestivamente da una telefonata dell’ Ecclesia Dei, organismo istituito in Vaticano per occuparsi della spinosa materia. Una volta di diceva: Roma locuta, causa soluta. E invece non è bastato l’intervento telefonico dal Vaticano a sgomberare il campo dagli ostacoli opposti alla celebrazione del funerale vecchio stampo: i motivi pastorali, la volontà del vicario episcopale, e via cavillando in un crescendo ben più intricato del latinorum di don Abbondio. Dove si vede un ulteriore paradosso della Chiesa post conciliare: le diocesi agiscono in una sorta di semifederalismo dottrinale e gerarchico, nel quale Roma non comanda più. E dove un qualunque prete di provincia conta di più della Commissione Pontificia Ecclesia Dei.

    Adesso si capisce come mai il fallimento di idee quali “servizio”, “comunità”, “conciliarità”, “accoglienza” e simili panettoni, perché essi han solo fatto da maschera a desideri più profondi e inconfessati: “indipendenza”, “autogestione”, “controllo”, etc. Insomma, una volta congedato il potere a beneficio dei molti e a tutela dei più deboli, spalanchiamo le porte ai servetti che amano spadroneggiare in nome della diaconia. Si dice: “Quando il gatto non c’è…”, ma appunto qui sta il misfatto: il gatto c’è e fa quel che può. Ma è chiaro che i motu proprio felini non piacciono nella terra del papa buono e oltre.

    Sesto strabismo: il paternalismo ha cacciato il Padre

    Infine restiamo noi. Detronizzate la realtà, la logica e la verità. Deposte la carità e la legittima autorità. Restiamo noi in balìa degli omini di burro delle curie. Parroci sorridenti che si trasformano in arpie se gli tocchi i loro miti (tra i quali a volte non figura nemmanco il Cristo – almeno non quello dei Concili e dei dogmi cattolici). Macchiette del perfetto post-bolscevismo le quali sanno cosa è bene per te, prima ancora che te ne sorga il bisogno. Per te è bene il vaticanosecondismo.

    Naturalmente, su tutti i colloqui con il parroco aleggiava lo spirito del Vaticano II e la consegna di difenderlo a oltranza inculcata nell’animo dei poveri sacerdoti formati in questi decenni: “Perché voi dovete sapere che il Vaticano II…”, “Non vorrete mettere in dubbio il Vaticano II…”, “Dovete capire chela Chiesa, a partire dal Vaticano II…”, eccetera, eccetera.

    E allora perché stupirsi dell’apostasia mica tanto silenziosa della Chiesa post-conciliare? La gente chiede il Padre, e gli propinano i paternalismi delle ideologie conciliari. Una super carità, però non tanto caritatevole con la tradizione; un super servizio, però non tanto docile al papa; un super dialogo, però non tanto chiaro con i riti di sempre. E la solfa continua, tutta uguale. E poi coinvolgimento dei laici, sì, ma solo dopo avergli ostruito tutta una serie di esperienze ed occasioni.

    Perché la vera ragione pastorale del divieto l’ha spiegata bene don Diego: “Sela Messaviene concessa qui, poi bisogna concederla anche dalle altre parti”. Insomma, bisogna evitare il contagio. Ma mio padre, anche se non ha compiuto l’ultimo viaggio con la sua Messa, continua a essere contagioso: si chiama Vittorino Gnocchi e sono orgoglioso di lui.

    Orwell sorride, ma anche Chiappino. Perché poi la gente si stufa di ricevere carezzine e mezze-verità; e purtroppo spesso preferisce andarsene altrove; e buona notte alla salus animarum prima preoccupazione della Chiesa.

    Conclusione

    “In Ecclesia nulla salus?” È la nuova domanda che mi porto appresso, chiaramente in modo retorico, essendo egualmente allergico ai due termini allitteranti “sedevacantismo” e “vaticanosecondismo”.

    Una domanda cui si affiancano le scene dei funerali del Sic, dove la dottrina lascia spazio a possibili fenomeni di channelling, con le moto da corsa a surrogare la vita dello sportivo, «una alla destra e una alla sinistra» del feretro mondanizzato; il prete accondiscendente in nome del “dialogo” e della “accoglienza”; la curia agiata nelle sue bambagie; e migliaia di fedeli a salutare il transito della morte in ottemperanza a loro più prossimo maestro, Steve Jobs probabilmente.

     

    Caro Gnocchi, lei si consoli, papà certo ora vive la gloria del Paradiso, e quella non c’è ideologia né diocesi che possa cambiarla. Intanto preghiamo perché Qualcuno cambi le ideologie e le diocesi, e chissà che proprio papà non interceda meglio da lassù.





    [Modificato da Caterina63 23/11/2011 20:22]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 26/11/2011 12:38

    Le esequie negate in diocesi di Bergamo. Gnocchi racconta il "caso Gnocchi" - III parte

    Torna su messainlatino.it il diario della crisi del "caso Gnocchi", scritto dallo stesso Alessandro Gnocchi. Ricordiamo la vicenda: nella diocesi di Bergamo sono stati vietati i funerali in rito antico al padre del noto giornalista e scrittore cattolico (si legga qui, qui e l'articolo del Foglio). Il caso, ricordiamo, ha suscitato l'indignazione generale, anche di quei cattolici lontani dalle nostre posizioni e dal tradizionalismo, fra questi ricordiamo Tornielli sul suo blog.
    Vengono in mente alcuni passaggi del bellissimo libro del professor Roberto de Mattei, "Apologia della Tradizione" (Lindau). Citiamo un passo, fuori dal contesto: "Il sensus fidei può spingere i fedeli, in casi eccezionali, a rifiutare il loro assenso verso alcuni documenti ecclesiastici e persino a porsi, di fronte alle supreme autorità, in una situazione di resistenza o di apparente disobbedienza. La disobbedienza è solo apparente perché in questi casi di legittima resistenza vale il principio per cui bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At. 5, 29)". E il professor de Mattei non è certo un rivoluzionario...
    Alessandro Gnocchi è autore di numerosi libri, scritti con Mario Palmaro, l'ultimo dei quali è il notevole "La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà (Vallecchi). Altri titoli: "L'ultima Messa di padre Pio. L'anima segreta del Santo delle stigmate"(Piemme), "Viva il Papa. Perché lo attaccano. Perché difenderlo" (Vallecchi), "Contro il logorio del laicismo moderno. Manuale di sopravvivenza per cattolici" (Piemme).




    MA QUESTA MESSA S’AVRA’ DA FARE - TERZA PUNTATA
    di Alessandro Gnocchi

    Qui a Villa d’Adda (VdA), ridente perla della ridentissima diocesi di BG (Bergamo, non Bulgaria) tutto bene. Anzi, tutto benissimo visto che

    TUTTO TACE

    su tutti i fronti. Non un cenno dal parroco di VdA, non un buffetto dal vicario generale di BG, non un paterno richiamo dal vescovo di BG. E neanche un piccolo messaggio trasversale dal delegato-episcopale-a-quasi-tutto e che tanto timore incute nel clero della diocesi. Insomma, niente di niente. Eppure, parroco di VdA, vicario generale di BG, vescovo di BG e il quasi onnipotente delegato-episcopale-a-quasi-tutto sono stati sommersi da lettere e da e-mail di dissenso non sempre sommesso. Forse che stiano pensando a

    UNA LETTERINA ARRIVATA DA ROMA

    nella quale si chiede conto di quanto è accaduto? Perché questa risulta essere la procedura. Il fedele battezzato che ritiene di aver subito un torto dall’autorità ecclesiastica territoriale ricorre alle istanze superiori. Le istanze superiori prendono contatto con l’autorità territoriale per capire cosa sia accaduto e valutare la situazione. Quindi, le istanze superiori traggono una conclusione: A) aveva ragione il fedele battezzato e l’autorità territoriale viene messa al suo posto; B) aveva ragione l’autorità territoriale e viene messo al suo posto il fedele battezzato. In linea di principio, e anche in linea di fatto,

    NON DOVREBBERO ESSERE CONTEMPLATE LA SOLUZIONE C E LA SOLUZIONE D

    e cioè: C) hanno ragione tutti e due; D) hanno torto tutti e due. Questo non potrebbe avvenire in rispetto del principio di non contraddizione che, dentro la Chiesa cattolica, pare in qualche modo sopravvivere. Ma la lunga frequentazione di diocesi dove il federalismo dottrinale e disciplinare è anni luce avanti a quello fiscale, e pure la conoscenza di realtà locali dove sono sempre più evidenti uno spirito e un piglio da dittatura burocratica lasciano intendere che in questo caso potrebbe essere applicata

    LA FAMIGERATA SOLUZIONE E

    che consisterebbe nello scaricare tutto sul povero parroco di VdA, il quale, dopo aver messo inflessibilmente in pratica il diktat della curia, verrebbe rimproverato per non aver saputo valutare pastoralmente la situazione. Che, tradotto in lingua corrente, significa:

    RAGAZZO, LO VEDI IN QUALE AFFARE CI HAI INFILATO?

    E si dice affare, per usare un linguaggio da personcine perbene. A soli cinquant’anni di distanza, ecco a che cosa si è ridotto l’afflato pastorale che tanto riscaldò i cuori dei padri conciliari e dei figli postconciliari: per favore niente problemi. Naturalmente, dai meandri della pastorale dei nostri giorni, che funziona come il cappello di un prestigiatore, si possono estrarre tante altre soluzioni. Ma rimane il fatto che le uniche praticabili senza prendere a calci la ragione, la logica, il buon senso, le regole, le leggi, eccetera, eccetera, sono le prime due. Diversamente, il documento che il Santo Padre ha voluto per il bene di tutta la Chiesa verrebbe depotenziato fino a sgonfiarsi. E sul punto in questione

    IL DOCUMENTO PARLA CHIARO.

    Parla chiaro, ma non per tutti in quanto il parroco di VdA ha anche tentato di spiegare agli interessati che la Messa in rito antico ha senso soltanto se viene celebrata in certe chiese e non in altre: cioè va bene nelle riserve indiane per cattolici tradizionali, ma non nelle parrocchie. Insomma, se uno la sente dove impone abusivamente e prepotentemente la curia assolve il suo dovere di cattolico

    FIGLIO DI UNA CURIA MINORE,

    se invece la sente in una chiesa frequentata da fratelli adulti nella fede e incamminati verso il radioso avvenire di una Chiesa più nuova e più bella deve sentirsi fuori posto. Tutto questo per dire che si attende dagli organi competenti una risposta chiara nella quale si spieghi se i fedeli battezzati sono tutti uguali. Ma, nel frattempo, nella parrocchia di VdA, ridente perla della diocesi di BG (Bergamo, non Bulgaria)

    TUTTO TACE

    e fa una certa impressione pensare che, a tacere, sia proprio questa cosiddetta chiesa del dialogo. Evidentemente, come ha scritto un confratello al parroco di VdA, è proprio difficile dialogare con certi “lontani” che non hanno l’appeal dei musulmani, degli ebrei, dei luterani, dei calvinisti, dei buddisti, degli induisti, dei taosti, degli scintoisti, degli animasti, degli atei agnostici e razionalisti. Eppure, il dialogo sarebbe imposto proprio questa lontananza: chi c’è di più lontano, da certo clero e da certo episcopato, dei cattolici che continuano a credere quello in cui si credeva cinquant’anni fa?







    [SM=g1740733] ...e già: ragazzo! ma in quale pasticcio ci hai infilato? Laughing    
    Si Alessandro, è così che si ragiona nella Chiesa del post Concilio.... anzi, non TUTTA la Chiesa, ma nelle Diocesi nelle quali non pochi Vescovi usano il Papa solo come LEADER - IL PAPA-IMMAGINE.... la cui IMMAGINE è indiscutibile, tutto il resto è "affare nostro", non del Papa....    
       
    Tutto tace?    
    è ovvio! secondo una prassi non nuova per la verità, la Gerarchia spera sempre che più il tempo passa e più si dimenticherà la ferita aperta.... nel frattempo che questa si cicatrizzi, bisogna TACERE, NON FARE NULLA!    
    il ferito che parla, sarà così scambiato per un povero Cristo IN AGONIA.... "PERDONATELO, NON SA QUELLO CHE DICE".... ciò che c'è di nuovo è la presa in giro.... una volta infatti, il Vescovo ti mandava a chiamare e tu nel solo a vederlo, ti piegavi sulle ginocchia per il santo e sacro timore sapendo chi avevi davanti, ma oggi non sappiamo più chi abbiamo davanti! Resta il sacro timore, ma tanto questi non ti chiamano, non vogliono parlare, NON VOGLIONO TOLLERARE, non vogliono cedere alle loro posizioni personali, non vogliono mettere in discussione la loro supremazia su Roma, la vera minaccia, il vero pericolo per le Diocesi di oggi dopo che, da 50 anni hanno ritenuto bene ottenere la licenza, la indipendenza da Roma, tranne che nell'immaginario collettivo....    
       
    Ciò che sperano, caro Alessandro, è che lei sia lasciato SOLO! Wink    
    sperano che in questo tempo di cicatrizzazione, il resto del gregge perda la presa e come agnellini si rimettano in riga.... lasciando lei, pecora nera del gregge, al di fuori della cerchia degli eletti....    
    Auspico di cuore che da Roma possa essere giunta qualche missiva, ma non si faccia troppe illusioni, con Paolo VI si decise di sacrificare la Tradizione in nome dell'Ecumenismo, e a questo non si fa marcia indientro!    
    In questo caso si sacrificherà ben volentieri persino una parte di piccolo gregge tradizionale, pur di non perdere punti dicendo pubblicamente: perdonateci! "abbiamo sbagliato!"    
    No! l'unico Mea Culpa valido è e resterà quello del Papa contro i cattivi Cattolici tridentini, quei cattivi Cattolici si permisero di ostacolare Lutero rispondendo, alle sue stravaganti idee contro il Sacerdozio, con il Rito del Messale detto san Pio V.... di questo caro Alessandro, dobbiamo chiedere perdono, e non sia mai che un Vescovo, oggi, possa dare ragione ad un Tradizionale di quella Messa che divise nettamente i Luterani dai Cattolici!    
    E' per questo che nelle Parrocchie normali, come spiega il parroco, NON si deve celebrare questa Liturgia, non sia mai!!    
    e chi gliela spiegherebbe ai cattolici se i sacerdoti dal dopo concilio non ne sanno più nulla?    
       
    Coraggio!    
    Noi siamo dentro come lei in questa storia, non si scoraggi e chieda giustizia anche per noi!    
    Sono sempre più convinta che non è un caso che il Signore abbia permesso proprio a lei di subire questa enorme cattiveria ed ingiustizia! 
     
    Wink

    Embarassed Invochiamo anche san Michele Arcangelo, l'Alòtro grande sfrattato dalle Chiese moderne e dalla Messa....  
    Angelus pacis Michael in aedes  
    Coelitus nostras veniat, serenae  
    Auctor ut pacis lacrimosa in orcum  
    Bella releget.
     
     
    Presto Michele, l'angelo di pace,  
    Scenda da l'alto sopra i lari nostri,  
    Nel cupo abisso a ricacciar, pugnace,  
    Di guerra i mostri.
     
     
     
    http://www.gloria.tv/?media=219710 



    Leggevo questa intervista su ZENIT....  
     
    Don Fabio Rosini, Biblista, Direttore del Servizio per le Vocazioni in Vicariato di Roma, è molto conosciuto per aver iniziato il progetto di Catechesi su I Dieci Comandamenti, diffusosi a macchia d’olio in tutta Italia. Ha rilasciato all’agenzia Zenit una intevista, che qui riportiamo di seguito. In un mondo secolarizzato, in una società quasi totalmente lontana dalla fede, dove i giovani per primi sono pronti ad attaccare il Papa e la Chiesa, sembra quasi impossibile che un ragazzo, al giorno d’oggi, possa sentire il desiderio di affidare la propria vita a Cristo, di rispondere ad una chiamata del Signore. Riguardo a questa situazione di “crisi” delle vocazioni, ZENIT ha intervistato don Fabio Rosini, direttore del Servizio diocesano per le vocazioni del Vicariato di Roma.  
     
     
    *************  
     
    Quanto è importante far parte di un cammino di fede per la nascita di una vocazione? Rosini: Sia benedetto Dio per qualsiasi esperienza che possa esser fatta nella Chiesa, l’importante è che sia cattolica! Sia benedetto Dio per i movimenti, le associazioni e tutto il resto! Tutto quello che c’è internamente alla Chiesa sia incoraggiato e portato avanti, sicuramente non sono questi il nemico.  
    Spesso invece vengono definiti chiese parallele, sette…. Rosini: Purtroppo ci sono critiche, problemi di discomunione, ma queste, però, non sono indicative del valore delle cose in sé. L’importante è essere cattolici, stare in comunione con la Chiesa; l’eredità che Cristo ci ha lasciato è di costruire e mandare avanti la Chiesa, e questo di solito è l’opera più difficile da compiere su questa terra. Abbiamo problemi di fragilità e peccati autentici riguardo alla fraternità, problemi esterni, ma anche interni. Questi ultimi sono più dolorosi perché, mentre i problemi esterni si affrontano con maggior coraggio, quelli interni non te li aspetti.  
    A cosa si riferisce in particolare? Rosini: A tutto, dal fatto che alcune volte ci può essere un clima di sfiducia reciproca ai giudizi e via dicendo. Ma sono cose normali che succedono in tutte le famiglie, l’importante è superarle. Soprattutto bisogna lasciarsi guidare dallo Spirito Santo e credere che è Dio che guida la Chiesa, non siamo noi che dobbiamo mettere a posto le cose o stabilire se una cosa è buona o meno. Comunque l’importante è far parte tutti di un’unica Chiesa e ricordarci che tutte le esperienze interne ad essa devono essere benedette ed incoraggiate. Tra l’altro non è che ci sia chissà quanta gente nella Chiesa, se mandiamo via pure quella che sta dentro….  
     
     
    Undecided mimble mumble... i conti non mi tornano.....  
    tante belle parole ma completamente assenti sul piano non solo pratico, ma anche di quella presunta COMUNIONE....  
    "non siamo noi che dobbiamo mettere a posto le cose o stabilire se una cosa è buona o meno. " Surprised  
    e allora il DISCERNIMENTO che ce lo abbiamo a fare?  
    senza dubbio che la parte più tosta spetta a Gesù che fa crescere ciò che si è seminato, e che dobbiamo convivere con la zizzania senza estirparla.... ma appunto, occorre riconoscere e giudicare ciò che è gramigna da ciò che non lo è....  
    se abortire NON E' COSA BUONA, LO DEVO SAPERE E LO DEVO GRIDARE DAI TETTI.... deve essere stabilito ciò che è peccato da ciò che non lo è...  
     
    Infine.... dove sta tutta questa comunione verso i gruppi Tradizionali e la benevolenza verso la richiesta della Messa nella Forma Straordinaria?  
     
    In conclusione, qual è l’augurio che lei si fa? Rosini: L’augurio che cresca la formazione cristiana, che aumenti il numero di esperienze, di qualsiasi tipo, in cui le persone possano “educarsi” cristianamente, diventare discepoli di Cristo in maniera più compiuta. Allora avremo le vocazioni naturalmente!  
     
     
    educare a tutto, fuorchè educare i Fedeli alla Tradizione ed alla Messa di sempre....

    [SM=g1740771]



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 06/12/2011 10:43

    Il caso della Messa tradizionale negata (dalla Curia) all'Università di Verona prosegue. Male

    Vi ricorderete senz'altro l'affaire della S. Messa Tradizionale richiesta, concessa ma poi mai celebrata (de facto negata e vietata) presso l'Università di Verona.
    Ricorderete anche l'atteggiamento omertoso e vergognosamente silente della Curia a fronte anche di Organi Accademici.
    Ricorderete anche che nell'Università di Verona Vengono seguiti e celebrati discussi riti sciamanici (per alcuni aspetti finiti anche sulle pagine della cronaca locale).
    Non vi ricordate? Ebbene, vi aiutiamo noi indicandovi i link ai nostri numerosi post in cui i nostri corrispondenti "scaligeri" hanno esposto le vicende e stigmatizzato il comportamento del Vescovo e di quanti da quest'ultimo incaricato di (non)occuparsi della faccenda.





    Di seguito l'ennesimo, triste, intollerabile aggiornamento che ci hanno fatto pervenire dall'Ateneo veronese.
    Ormai però gli strumenti ci sono! Siete stati sin troppo pazienti e misericordiosi nei confronti della Curia.
    Con risolutezza ora potete impiegare i mezzi che il Diritto e la Legge canonica Vi mette a disposizione: scrivete all'Ecclesia Dei! Anzi: dall'Ecclesia Dei facciano qualcosa spontaneamente, giacchè "sospettiamo", peccando di superbia e vanità (ma con una punta di compiacimento ed orgoglio), che ci leggano anche loro
    infra aedes Vaticanae!
    Le motivazioni presentate da don Mariano Ambrosi (direttore del Centro Pastorale) e da Mons. Masina (Vicario) sono evidentemente pretestuose e infondate -oltre che illecite perchè contrarie al Motu Proprio- e mostrano come il reverendi offendano non solo il sentimento religioso ma anche l'intelligenza degli studenti.
    La "scusa" che vi è già una S. Messa in Verona non è sufficiente per negarla all'Università. E la carenza dei presupposti da cosa sarebbe supportata?
    L'istruzione esplicativa parla chiaro!
    Se "loro" rispondono con argomenti capziosi, Voi rispondete con la denuncia.
    Non bisogna demordere e ottenere quanto spetta di diritto.
    Se si demorde, si convinceranno che siamo disposti a cedere per sfinimento! Invece, avendo il Papa e il Signore dalla Vostra, continuate e insistete!

    Roberto


    Questa mattina martedì 22 novembre 2011 il vicepresidente del Consiglio Studentesco dell'Università di Verona, Omar Rahman, si è recato da don Mariano Ambrosi , direttore del Centro di Pastorale dell'Università di Verona, per avere delle delucidazioni in merito alla Santa Messa in rito antico nell'Università di Verona.
    Don Mariano ha dichiarato che non ha concesso una Messa mensile (che non sarebbe nemmeno lui a dover celebrare) nella cappella Universitaria d'Ateneo, la chiesa di San Paolo, perchè la Messa in rito antico vi è già a Santa Toscana.
    La questione di Santa Toscana non ha attinenza con San Paolo, nonostante la vicinanza delle due chiese; l'Università di Verona è composta in gran parte da pendolari, per cui non ha senso recarsi in altre chiese che non siano quella preposta a questo scopo.
    Ed è in quella che è stata richiesta la Messa di San Pio V in base al Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI; dopo l'assenso del Vescovo e del Vicario Mons. Antonio Masina, durante l'udienza del 10 giugno, don Mariano Ambrosi, che prima aveva detto di uniformarsi alla volontà del suo ordinario, ora dice che non vi può essere una Eucarestia secondo il Motu Proprio (nonostante la richiesta sia stata accettata e approvata) perchè vi è già Santa Toscana in diocesi. Oltre a dimenticare che i due riti sono stati equiparati, a non rispondere alle lettere di sollecito provenienti dagli organi accademici studenteschi, ci troviamo di fronte ad un atteggiamento ambiguo della Curia veronese.
    Monsignor Masina aveva affermato che a San Paolo non vi erano le condizioni , mentre don Mariano risponde che i richiedenti devono recarsi da un'altra parte.
    Si spera che coloro che assistono alla liturgia riformata nella chiesa di San Paolo in Campo Marzio non si debbano recare altrove essendoci moolte chiese che celebrano messe in italiano nelle vicinanze!


    **********



    [SM=g1740733] riflettiamo:

    Don Mariano ha dichiarato che non ha concesso una Messa mensile (che non sarebbe nemmeno lui a dover celebrare) nella cappella Universitaria d'Ateneo, la chiesa di San Paolo, perchè la Messa in rito antico vi è già a Santa Toscana.  
     
    ***********************  
     
    a parte il fatto che ci dovrebbero spiegare dove sta scritto che la Messa nella forma Straordinaria debba o possa essere celebrata solo ed esclusivamente in una chiesa per città o diocesi.... ??? .... ma poi in seconda analisi è quanto spiegava Alessandro Gnocchi nel suo triste caso: la paura piuttosto che se si concede ad uno, poi, questa Messa, potrebbe PERICOLOSAMENTE DILAGARE e contagiare altri.... non sia mai!!! meglio limitarne l'uso e i permessi....  
     
    ma questo LIMITARE I PERMESSI è ciò che sta proprio all'origine di una gravissima disobbedienza al Pontefice il quale ha voluto invece TOGLIERE IL PESO DEI PERMESSI e LIBERALIZZARE questa forma della Messa, lasciando ai vescovi LA VIGILANZA a che tutto si faccia bene... e non l'onere di VIETARNE L'APPLICAZIONE.... [SM=g1740730]


    [SM=g1740771]



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 23/12/2011 15:13

    "Caso Gnocchi" e non solo: puntata straordinaria: Prima S. Comunione V.O. negata

    Edizione straordinaria del "caso Gnocchi", a cui si aggiunge un altro caso purtroppo. No comment. Leggete.

    di Alessandro Gnocchi

    Qui a Villa d’Adda (VdA), ridente perla della ridentissima diocesi di BG (Bergamo, non Bulgaria) tutto bene, anzi benissimo. Tutto tace, ma fino a un certo punto, tanto che questo appuntamento, da adesso in avanti dovrà intitolarsi
    “IL CASO BG (BERGAMO NON BULGARIA)”
    perché la situazione si sta complicando, i soprusi sui fedeli legati alla Messa antica si moltiplicano e i fedeli suddetti hanno deciso che è ora di smetterla di tacere confidando nella cosiddetta benigna paternità del Vescovo, del Vicario Generale, del delegato-episcopale-a-quasi-tutto & Compagni. Che tanto benigna e tanto paterna non deve essere se, come attestato dalla lettera riportata qui sotto, un fedele di Bergamo è stato costretto a recarsi fino a Venezia per avere ciò che gli sarebbe spettato anche nella ridentissima diocesi di BG. Sempre che, nella ridentissima diocesi di BG, la pratica della fede cattolica venga intesa come a Venezia. Ma si sa che oggi va di moda

    IL FEDERALISMO DOTTRINALE,
    arrivato molto prima di quello fiscale. Così, il signor Roberto Foresti ha dovuto portare la figlia Chiara a Venezia per avere la Prima Comunione con il rito antico. Poi, una volta tornato a casa, a preso carta e penna e ha scritto al Vescovo di BG decidendo di render pubblica la sua lettera. In certi casi si sa, è sempre meglio avere testimoni. E più testimoni ci sono meglio è. E la lettera eccola qua

    Reverendissima Eccellenza
    Monsignor Roberto Beschi
    P.zza Duomo n 5 24129 Bergamo

    Oggetto: lettera per Prima Comunione

    Reverendissima Eccellenza,

    vogliamo informarLa che, visto il suo rifiuto a concedere la celebrazione della prima Comunione nella forma straordinaria di nostra figlia Chiara presso il Santuario della Madonna della Neve a Bergamo, abbiamo dovuto provvedere presso la chiesa di San Simeon Piccolo in Venezia.
    Precisiamo che, da sempre, frequentiamo la Messa antica e che, quando è possibile e richiesto, i nostri altri due figli Francesco e Stefano servono all’altare con funzione di “chierichetto”. Inoltre a questo Santo Sacrificio assistono regolarmente la domenica e il venerdì sera i nostri genitori, fratelli, cognati - quindi nonni e zii di Chiara -.
    Credo che Lei possa capire la nostra sofferenza per quanto siamo stati costretti a fare. La nostra piccola Chiara ha sempre frequentato queste celebrazioni, perciò considera il Santuario della Madonna della Neve la “sua parrocchia” e gli altri fedeli sua “comunità” viva di appartenenza. Non possiamo capire con quali motivazioni Lei ci abbia obbligato ad affrontare i gravi disagi logistici (la nonna è purtroppo obbligata su una sedia a rotelle) di una trasferta tanto onerosa per la nostra famiglia e, cosa ancor più grave, a privare Chiara di quella festa comunitaria che sarebbe stata la giusta corona di questo giorno.
    Vogliamo anche segnalarle che una ventina di fedeli, per festeggiare la prima Comunione di Chiara, hanno affrontato il viaggio facendosi trovare con noi a Venezia. Tanto si parla di comunità: eccola! Veramente ci siamo commossi. Un grazie a Dio per l’affetto con cui ha abbracciato la nostra Chiara.

    In seguito a tutto questo e a una serie di altri fatti avvenuti in questi anni, siamo costretti a portare alla Sua conoscenza il clima di oppressione in cui versa il clero diocesano che, alle legittime richieste supportate dal motu proprio “Summorum Pontificum” allargano le braccia rispondendo “..io sono favorevole e, ma in Curia….”. Lei stesso, nell’unico incontro avuto con noi fedeli legati alla Messa in rito antico alla presenza di Don Ferrari, ha detto “di ritenere il rito antico un grande arricchimento per la Diocesi ". Stando così le cose, sorge il sospetto che il problema non sia se chi frequenta la Messa nella forma straordinaria riconosca la validità del rito ordinario, ma se la Curia riconosca la validità della Messa antica. Evidentemente, centinaia di anni d’uso e molteplici Papi che l’hanno nei secoli celebrata non sono bastati a validarla come cattolica!
    Reverendissimo padre Lei ha l’autorità per imporre che queste ingiustizie abbiano termine e in questo confidiamo.
    Nella speranza che questa nostra lettera trovi miglior accoglienza della prima da noi inviata , evidentemente, rivelatasi non degna di risposta (ci rimane il sospetto che Lei non l’abbia mai ricevuta e da qui la decisione di inviare questa lettera e di renderla publica) Le assicuriamo le nostre preghiere e offriamo tutte le sofferenze patite per il bene della Diocesi Bergamasca.
    Auguri di un felice Natale

    Suoi in Cristo e Maria
    Famiglia Foresti

    Non pare che servano commenti. In ogni caso, ancora

    BUON NATALE





    *******************************



    Una breve riflessione...... [SM=g1740720] e appello al Vescovo di Brescia....

    Vorrei essere una piccola voce qual sono sia per la piccola Chiara quanto per i suoi genitori....  
    Ero a quella Santa Messa in san Simeon a Venezia pur non conoscendo questa Famiglia "in trasferta" e vorrei sottolineare l'autentico clima di fraternità e di familiarità che ci ha coinvolto tutti e senza che avessimo saputo prima di questa lettera, e questo è bene sottolinearlo perchè il clima che abbiamo vissuto era del tutto sereno e festoso...  
    Leggendo oggi questa lettera ho capito solo ora chi era questa Famiglia perchè nessuno, in quel dì di Festa, ha usato l'evento per denunciare una ingiustizia così grave....  
    All'inizio dell'Omelia il sacerdote ha esordito chiedendoci di unirci a questa Festa, pregando per la giovane Chiara che si accostava per la prima volta alla Santa Eucarestia, ognuno di noi ha girato lo sguardo usandolo come un'abbraccio fraterno, verso Chiara e i suoi familiari, tutti compostamente sistemati nei primi banchi ricoperti di un drappo rosso, a rammentarci il Sangue prezioso di Cristo, sul quale rifletteva il bianco vestito e il bianco velo della giovane comunicanda!  
    Tutto qui!  
    Chiara si è unita poi a noi nella Comunione, in ginocchio alla balaustra, nel suo bellissimo vestito da sposa di Gesù Eucaristia, era davvero una bellissima contemplazione e non certo visione nè immaginazione.... era tutto vero, mentre i coristi elevavano Inni Sacri al Signore....  
    Nessun battimano, nessuna confusione, nessuna distrazione....  
    finita la Messa si è atteso fuori per congratularci, per ringraziare, noi, di questa opportunità, senza minimamente pensare che ciò era dovuto per l'ennesimo atto di grave ingiustizia....  
     
    Eccellenza Reverendissima, mons. Beschi,  
    ma che cosa sta succedendo?  
    Perchè mettere i fedeli in queste situazioni imbarazzanti, incomprensibili, dolorose?  
    Non bastano già le pene della vita, le tasse, le pensioni, la casa, lo stipendio sempre più carente?  
    Perchè caricare i fedeli di pesi ulteriori?  
    La supplico, in Nome del Divino Bambino, ritornate sui vostri passi, ritornate e ritorniamo tutti alla gioia di un "sì" che duemila anni orsono ci permise la Redenzione, ed oggi basterebbe un altro "sì" per riveder fiorire la fede....  
    Pensi Eccellenza, ora dipende dal suo "sì"..... Maria lo disse, il santo Padre ci ha permesso di udire altri "sì" con il Summorum Pontificum, ed ora dipende da Lei...  
    che cosa Le costa?  
     
    Buon Natale Eccellenza, e Buon Natale alla piccola Chiara ed alla sua Famiglia.

    [SM=g1740738]



    Fraternamente CaterinaLD

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    00 30/03/2013 21:05

      La profezia di Lefebvre e l’alleanza di Ratzinger - da Rinascimento Sacro





    Marcel Lefebvre

    La riforma liturgica di Paolo VI, senza precedenti nella storia della Chiesa per il tenore delle innovazioni e per lo spazio lasciato all’iniziativa personale del celebrante, fu promulgata nel 1969. Immediatamente suscitò reazioni negative e resistenze da parte delle più alte sfere della Chiesa – il “Breve esame critico” dei Cardinali Ottaviani e Bacci fu fatto pervenire a Paolo VI qualche settimana prima dell’entrata in vigore del nuovo messale – come anche dai semplici fedeli. Provocò inoltre la reazione di numerose personalità del mondo delle arti, delle lettere e della scienza, che si preoccupavano del declino culturale che essa rappresentava, nel famoso appello pubblicato sul Times il 6 luglio 1971 e all’origine dell’indulto detto “Agatha Christie”.

    Infatti, dalla morte di Paolo VI, appena dieci anni più tardi, era già chiaro, persino ai suoi promotori, che questa riforma non aveva raggiunto i suoi obbiettivi e che le chiese cominciavano a svuotarsi.

    All’inizio degli anni ’80 una reazione di buon senso si manifestò in modo via via più chiaro: perché non lasciare le forme liturgiche antiche a disposizione di coloro che vi trovavano il proprio nutrimento sacramentale e spirituale? E visto che all’epoca tutto sembrava ormai libero e permesso, perché non permettere anche ciò che si faceva prima? Paolo VI stesso, prima di morire, non aveva forse dato un segno forte relegando Monsignor Annibale Bugnini, l’autore della riforma, ad una sorta di esilio a Teheran? Il papa non aveva capito che la messa che porterà per sempre il suo nome, voluta come la radiosa manifestazione della “primavera” conciliare, si rivelava in effetti un nuovo strumento di divisione in una Chiesa che si stava indebolendo?

    La questione della libertà della messa preconciliare emerse da subito nel pontificato aperto nel 1978 da Giovanni Paolo II, anche se poi ci sono voluti trent’anni perché trovasse una risposta con il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. All’epoca, in effetti, era stata già annunciata dai due personaggi che rimarranno per la storia – quali che siano le opinioni che si abbiano su l’uno e sull’altro – le figure chiave della soluzione della frattura liturgica: Joseph Ratzinger e Marcel Lefebvre.

    I – MONSIGNOR LEFEBVRE : LA « PROFEZIA » SULLA LIBERTA’ DELLA MESSA NEL 1979

    L’11 marzo 1979, davanti ai suoi seminaristi di Écône, Monsignor Lefebvre dichiarava:

    Se veramente il Papa rimettesse la messa tradizionale al suo posto nella Chiesa, credo che potremmo dire che l’essenziale per la nostra vittoria sarebbe fatto. Il giorno in cui davvero la messa diverrà nuovamente la messa della Chiesa, la messa delle parrocchie, la messa delle chiese, certo ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete, ma alla fine, la messa di sempre, la messa che è il cuore della Chiesa, la messa che è l’essenziale della Chiesa, quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza, e bisognerà evidentemente dargliene uno ancora più grande, ma alla fine comunque, il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa.

    Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà… Ecco, io credo che la Tradizione sarà salva. Il giorno in cui verrà salvata la messa, la Tradizione della Chiesa sarà salva, perché con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto… ci sono i seminari… e c’è la Tradizione che si salva. si può dire che si vedrà la luce di un’aurora nella Chiesa, che avremo attraversato una tempesta formidabile, saremo stati nell’oscurità più completa, sferzati da tutti i venti e che alla fine all’orizzonte si rivelerà di nuovo la messa, la messa che è il sole della Chiesa, che è il sole della nostra vita, il sole della vita cristiana…”

    “Il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa”: non è forse esattamente questo il contributo fondamentale del Motu Proprio del 2007? La Fraternità San Pio X si è fortemente felicitata di questo testo liberatore attraverso le parole di Monsignor Fellay. E questo non è stato che un atto di giustizia visto che proprio il fondatore della Fraternità l’aveva annunciato come “un’aurora nella Chiesa”.

    II – IL CARDINALE RATZINGER: IL PRINCIPIO DELLA LIBERTA’ DELLA MESSA SANCITO NEL 1982

    Questa della libertà liturgica, all’inizio del pontificato wojtyliano, è stata un’idea che era nell’aria. Oggi sappiamo che, appena nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – e ufficiosamente incaricato dal Papa Giovanni Paolo II di prendersi carico della questione della contestazione liturgica -, il 16 novembre 1982 il Cardinale Joseph Ratzinger organizzò una riunione presso il Palazzo del Sant’Uffizio “in materia delle questioni liturgiche” (1), ovvero per discutere sul problema liturgico in sé e contemporaneamente sul problema della Fraternità San Pio X.

    1982. Esattamente un quarto di secolo prima del Summorum Pontificum. Durante quella riunione il Cardinale Ratzinger aveva ottenuto che senza eccezioni tutti i partecipanti (2) affermassero come un’evidenza di buon senso che “il messale romano, nella forma sotto la quale è stato usato fino al 1969, deve essere ammesso dalla Santa Sede in tutta la Chiesa per le Messe celebrate nella lingua latina”. I prelati in quell’occasione parlarono anche della questione della Fraternità San Pio X e valutarono che la sua soluzione doveva avere inizio con una visia canonica (che ebbe infatti luogo cinque anni dopo).

    III – L’ALLEANZA RATZINGER/LEFEBVRE PER IL RAGGIUNGIMENTO DELLA LIBERTA’ LITURGICA

    Le tappe del processo di liberazione della liturgia antica, processo tanto inaudito quanto la riforma Bugnini stessa, hanno contrassegnato il quarto di secolo che seguì questa presa di posizione del Cardinale Ratzinger. Nei fatti questo processo si è rivelato intimamente legato al regolamento canonico delle questioni concernenti la Fraternità San Pio X, anche se, ufficialmente, tutti vogliono considerare che si trattava di due faccende distinte.

    a) Il 18 marzo 1984, il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato, scrive (su impulso del Cardinale Ratzinger) al Cardinale Casoria, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, per chiedergli di preparare il primo atto della restaurazione dell’uso del messale tradizionale: “un divieto assoluto dell’uso di quel messale non può essere giustificato né dal punto di vista teologico, né da quello giuridico”. Il 3 ottobre 1984, il successore del Cardinale Casoria al Culto Divino, Monsignor Mayer, invia dunque ai presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo la circolare Quattuor abhinc annos, detta “Indulto del 1984″, che autorizzava le celebrazioni secondo il messale del 1962 “per il gruppi che lo chiedevano”.

    b) Il 30 ottobre 1987, l’ultimo giorno dell’assemblea del Sinodo sulla “vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo”, il Cardinale Ratzinger annuncia che viene avviata una visita apostolica presso l’opera di Marcel Lefebvre. Dopo questa visita, svolta dal Cardinale canadese Édouard Gagnon, presidente del Consiglio per la Famiglia, hanno luogo in aprile e maggio 1988 delle negoziazioni tra il Cardinale Ratzinger e Monsignor Lefebvre che portano all’accordo del 5 maggio, fatto saltare alla fine da quest’ultimo – essenzialmente per la mancanza di garanzie sulla nomina e la data dell’ordinazione di un altro vescovo per la Fraternità. Successivamente Monsignor Lefebvre procede all’ordinazione di quattro vescovi a Écône il 30 giugno 1988. Come reazione, Roma pubblica il Motu Proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988 che, condannando Monsignor Lefebvre, istituiva una Commissione pontificale per “facilitare la piena comunione ecclesiale” dei sacerdoti e dei religiosi legati al messale del 1962 e per supervisionare l’applicazione dell’indilto del 1984 da parte dei vescovi.

    c) Nel gennaio 2002, l’accordo mancato del 1988 tra Monsignor Lefebvre e Roma ispira quello fatto a beneficio di Monsignor Licinio Rangel, successore di Monsignor de Castro Mayer alla testa della comunità tradizionale della diocesi di Campos. Viene creato un ordinariato personale e Roma accetta, nel giugno dello stesso anno, che venga designato un coadiutore per succedere automaticamente a Monsignor Rangel. Una comunità di più di 20.000 fedeli, una ventina di sacerdoti e altrettante scuole tornano dunque alla piena comunione con Roma conservando pienamente i propri usi liturgici preconciliari.

    d) A coronamento di questo processo, il 7 luglio 2007, il Papa Benedetto XVI promulga il Motu Proprio Summorum Pontificum che restituisce a tutti i sacerdoti l’uso privato del messale del 1962 e invita i parroci a rispondere favorevolmente ai gruppi stabili di fedeli che ne vogliono beneficiare. Salutato dal superiore della FSSPX, Monsignor Fellay, questo testo, che ha valore di “legge universale della Chiesa” come precisato dall’istruzioneUniversæ Ecclesiæ, favorisce i contatti fra Roma ed Écône e permette, nel gennaio 2009, la remozione delle scomuniche ai vescovi consacrati nel 1988.

    IV – LA LIBERTA’ LITURGIACA / LIBERTA’ TEOLOGICA: IL DISCORSO DEL LUGLIO 1988 DI JOSEPH RATZINGER SU MONSIGNOR LEFEBVRE

    Nella nostra lettera francese del 4 giugno 2010 (lettre PL 233), relativa al libro di Monsignor Brunero Gherardini “Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare” (Casa Mariana Editrice, 2009), evocavamo un discorso molto importante pronunciato dal Cardinale Ratzinger il 13 luglio 1988 davanti ai vescovi del Cile e della Colombia (3). In questa allocuzione, il futuro papa, esaminava le responsabilità di ciascuno all’indomani delle consacrazioni episcopali da parte di Monsignor Lefebvre a Écône il 30 luglio 1988.

    Quel discorso contiene due affermazioni fondamentali per comprendere l’attuale pontificato:
    a) “La verità è che lo stesso Concilio non ha definito nessun dogma e ha voluto in modo cosciente esprimersi ad un livello più modesto, meramente come Concilio pastorale; certo, molti lo interpretano come se fosse quasi il superdogma che toglie importanza a tutto il resto”;
    b) “Difendere la validità e il carattere obbligatorio del Concilio Vaticano II, nel confronto con Monsignor Lefebvre, è e continuerà ad essere una necessità”.

    Da cui una difficoltà ancora irrisolta oggi e che ha pesato sulle recenti discussioni tra la FSSPX e Roma: quale “carattere obbligatorio” possono comportare degli insegnamenti per la fede espressi “ad un livello più modesto” rispetto al Credo?

    Questo parallelo scioccherà alcuni, ma perché non applicare al Concilio ciò che il Santo Padre ha applicato alla liturgia? Per relativizzare il carattere di superliturgia della nuova messa il Papa ha in effetti ricordato con il Motu Proprio Summorum Pontificum che la messa antica non era mai stata vietata e ne ha reso libero l’uso (almeno teoricamente) ai sacerdoti ed ai fedeli.

    V – I COMMENTI DI PAIX LITURGIQUE

    1) La dichiarazione fatta l’11 maggio 1979 da Monsignor Lefebvre è stupefacente non solo in ragione della data, ma anche perché essa mette il prelato di Écône sotto una luce un po’ diversa da quella a cui siamo abituati. Niente di volutamente polemico o di rigido, ancor meno di settario, nelle sue parole del 1979. Esprime invece una speranza sulla vita concreta della Chiesa. E’ un “Lefebvre pastorale”, nel senso dato al termine dal Concilio, ma con un altro tenore: quello di un ecumenismo intra-ecclesiale appoggiato sull’esperienza concreta della libertà della messa tradizionale nelle parrocchie in vista di favorire il rinnovamento liturgico, spirituale e dottrinale.
    Il fondatore della FSSPX testimonia la sua speranza di vedere la messa tradizionale divenire liberamente “la messa delle parrocchie, la messa delle chiese”. Certo, ammette che “ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete”. Ma mira all’essenziale, molto concretamente: “quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza”. Assegna poi alla sua opera una finalità tanto più forte per quanto sembri modesta: “il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa. Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà”. E Monsignor Lefebvre prosegue, sviluppando il tema della coerenza liturgia/dottrina: “con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto…”

    2) Per quanto riguarda il processo di liberalizzazione iniziato dal Cardinale Ratzinger nel 1982, anch’esso fu assolutamente pastorale e concreto. Possiamo parlare, come per il dogma – ma in questo caso per ciò che concerne la liberalizzazione in pratica della messa detta oggi straordinaria -, di “evoluzione omogenea”:
    :: La circolare Quattuor abhinc annos, del 3 ottobre 1984: La messa tradizionale può essere autorizzata dai vescovi, ma a certe regole e comunque non nelle chiese parrocchiali;
    :: Il Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta del 2 luglio 1988: I vescovi sono invitati a dare il permesso alla sua celebrazione in modo (in teoria) largo e generoso nelle loro rispettive diocesi;
    :: L’erezione dell’Amministrazione apostolica personale Saint-Jean-Marie-Vianney a Campos nel gennaio 2002: Essa può rappresentare la sorgente unica della vita eucaristica di un’intera comunità;
    :: Il Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007: La decisione di celebrarla spetta ora (in teoria) ai parroci per le rispettive parrocchie. In particolare si dichiara che la messa antica non è mai stata abolita e la sua celebrazione diventa un diritto per tutti i sacerdoti di rito romano senza alcuna restrizione.
    :: Logicamente un ultimo testo non potrà che intervenire un giorno per constatarne la libertà. Una libertà “normale”, secondo le parole del Cardinale Cañizares, di celebrare la messa straordinaria in tutte le chiese. La “messa di sempre” sarà diventata allora, per il rito romano, la “messa di ogni luogo”.

    3) Sarà difficile che arrivi quest’ultima tappa, perché si è passati da un non-dogma del Vaticano II a un superdogma che si estende anche alla liturgia del Vaticano II; si è passati da un concilio non infallibile, che non riguarda questioni di fede, a un preteso “spirito del Concilio” tirannico che intende dogmatizzare anche le nuove forme del culto divino.

    Alla fine è una sana libertà che occorre difendere, una vera libertà teologica, non per contestare il dogma cattolico ma per spiegarlo, per difenderlo e anche per farlo “progredire”, o meglio, per far progredire la sua giusta comprensione

    Questa libertà è strettamente connessa ad una sana libertà liturgica, non da usare per ogni tipo di abuso, ma per illustrare, difendere e per far progredire la fede dei fedeli nella transustanziazione eucaristica, la fede nel sacrificio propiziatorio riprodotto dalla celebrazione della messa, la fede nel sacerdozio sacramentale e gerarchico istituito da Gesù Cristo.

    Non è forse un paradosso che oggi sia liberamente permesso tutto, e solo una libertà sia imbrigliata, quella che vuole essere esercitata nei percorsi tradizionali, libertà che viene rifiutata da coloro che stringono ancora nelle mani le leve del potere, una libertà che è talmente inquadrata nelle loro regole da essere di fatto annichilita, e tutto ciò nel nome della “spirito” di un Concilio che si è considerato come un concilio “liberatore”? © 2013 La Paix Liturgique

    ***

    (1) “Nel 1982 neanche l’alleanza Ratzinger-Casaroli riuscì a sdoganare la Messa tridentina”, Il Foglio, 19 marzo 2006.

    (2) Si trattava, oltre a lui stesso come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: dei Cardinali Sebastiano Baggio, Prefetto della Congregazione dei Vescovi; William W. Baum, arcivescovo di Washington; Agostino Casaroli, Segretario di Stato; Silvio Oddi, Prefetto della Congregazione del Clero; e di Monsignor Giuseppe Casoria, a quel tempo pro-Prefetto della Congregazione per il Culto e i Sacramenti.

    (3) Monsignor Müller, nuovo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha iniziato, quando era vescovo di Ratisbona, la pubblicazione dell’opera completa di Joseph Ratzinger in 16 volumi. Tra i volumi pubblicati fino ad ora non troviamo traccia di questo discorso pronunciato il 13 luglio 1988, mentre la sua formulazione avrebbe potuto trovare posto nel tomo 7 sull’insegnamento del Vaticano II e la sua interpretazione come nel tomo 11 sulla teologia della liturgia. Segue…

    (4) L’abbé Claude Barthe, “Rome/Fraternité Saint-Pie X : où en sommes-nous?”, in L’Homme nouveau, 5 gennaio 2013.




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 18/07/2013 10:57
    [SM=g1740733] eppure..... dal Summorum Pontificum le indicazioni del Papa erano chiarissime, non si comprende lo strapotere della Gerarchia contro le indicazioni di un MP:
    Art. 2
    Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.
    Art. 5
    § 2. La celebrazione secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una sola celebrazione di tal genere.
    § 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.

    delusione nei confronti del cardinale Scola.... ha fatto presto a dimenticarsi di Benedetto XVI....
    http://www.corrispondenzaromana.it/la-messa-in-rito-antico-mandata-in-ferie-dai-vescovi/


    La Messa in rito antico mandata in ferie dai vescovi?

    cartello-chiuso-per-ferie(di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro) La Messa in rito antico è come il gelato: d’estate si squaglia. Nel senso che in molte diocesi dove pure si celebra, quando arriva luglio, o addirittura giugno, si ordina categoricamente che la celebrazione venga sospesa. Così i fedeli che la frequentano sono costretti a farne a meno per tutta l’estate. Costoro sono dispiaciuti, ma abbozzano perché sennò ‒ si dicono sottovoce fra loro, come un manipolo di cristiani del primo secolo nascosti nelle catacombe di San Sebastiano – «sennò se ci lamentiamo poi ce la tolgono del tutto».

    Insomma, si vede che, con il caldo, ciò che è lecito ‒ in base a un Motu Proprio scritto da un Papa ‒ diventa illecito. Si vede che è un tipo di Messa che si può fare a seconda di quello che stabilisce il termometro: con la canicola, non s’ha da fare. Il fatto singolare è che questo fenomeno liturgico-meteorologico accade nelle diocesi rette da vescovi definiti “amici” della Liturgia gregoriana, che però evidentemente sono pronti a tollerarla al massimo 10 mesi all’anno. Arrivati al decimo mese, devono prendersi una pausa e diventare un po’ meno amici.

    Lo stile con cui viene ordinata la sospensione è, in alcuni casi, piuttosto odioso. Oltre che la sostanza, è infatti il modo che ancor più offende.
    A Monza, antica enclave di rito romano nella diocesi ambrosiana, le cose sono andate pressappoco nel modo che segue. La Messa antica si celebra nella città di Teodolinda ogni domenica e feste comandate esattamente da un anno, dall’1 luglio 2012. I fedeli che promossero a suo tempo la petizione hanno atteso 2 anni prima di ottenere il semaforo verde dall’Arcivescovo Angelo Scola. Avvertiti comunque dall’Arciprete del Duomo che «tutti i sacerdoti della città sono contrari».

    Nell’anniversario dalla prima celebrazione, i cattolici che frequentano la Messa antica hanno pensato bene di organizzare una celebrazione un po’ più solenne del solito, domenica 7 luglio, coinvolgendo anche un maggior numero di persone. Insomma, una piccola festa. I volenterosi hanno messo anche delle pubblicità a pagamento sul settimanale cattolico della città (che altrimenti non parla di questa Messa), Messa che non è inserita nell’elenco cittadino delle celebrazioni domenicali, è collocata alle 18.45 (d’inverno andarci è una vera impresa per i fedeli anziani e per quelli che hanno bambini), né compare negli avvisi della chiesa delle suore che la ospita. Insomma, una messa fantasma.
    Dunque, inizia la Messa di anniversario. Il celebrante, un sacerdote del capitolo del Duomo di Milano, inizia la sua predica portando i saluti personali dell’Arcivescovo Scola, e riferendo della gioia del cardinale per il celebrarsi così bello e degno del sacrificio eucaristico. Dopo la captatio benevolentiae, però, arriva il colpo di randello: sono certo ‒ dice il prete ‒ che voi tutti accetterete il piccolo sacrificio, che vi chiede il Cardinale, di interrompere la celebrazione di questa messa a partire da oggi e per tutto il periodo di luglio e agosto, fino all’1 settembre. Lo stesso sacerdote spiega poi, nel suo fervorino sul Vangelo, che l’estate è un tempo davvero propizio per stare con Gesù, per approfondire la nostra fede, per ritemprare lo spirito. Ovviamente, a patto di non continuare a frequentare la Messa Antica.

    L’annuncio è stato dato a freddo, senza alcun tipo di preavviso, e con modalità che escludono qualunque tipo di dialogo. D’altra parte si sa che questa è una Chiesa in cui c’è tempo e voglia per dialogare con tutti: fratelli delle chiese separate, sorelle pastore valdesi, suore dissidenti, cantanti rock in ricerca, astronome atee, preti di strada, fratelli musulmani devoti impegnati nel ramadan, i fratelli maggiori ebrei, i cugini di altre religioni, i diversamente credenti, politici abortisti, intellettuali omosessualisti, transessuali purché famosi. Ma se si tratta di dialogare con un gruppo di cattolici che chiedono di applicare il Motu Proprio di un Papa, ecco che improvvisamente il tempo del dialogo è scaduto. È così e basta. E la ragione è semplice: mentre i non cattolici godono del diritto all’errore, i cattolici bollati di tradizionalismo possono essere al massimo tollerati. Vengono cioè trattati così come la Chiesa trattava i non cattolici prima del Concilio Vaticano II.
    Ovviamente, il «provvedimento di sospensione» è stato accompagnato da alcune suggestive motivazioni: d’estate ci sono gli oratori feriali, le escursioni in montagna, e i preti hanno molto da fare, si assentano dalla città, non ce ne sono abbastanza; e inoltre sospendiamo anche altre Messe; e poi tutte le celebrazioni in rito antico nella diocesi di Milano vengono sospese, quindi dobbiamo sospendere anche quella di Monza.

    Di fronte alla richiesta del «piccolo sacrificio» (cioè di rinunciare al rito antico per due mesi) i fedeli che frequentano la Messa antica vanno maturando alcune domande e curiosità. Ad esempio, chissà come saranno le liturgie e le letture dei mesi di luglio e di agosto? Per ritemprare lo spirito, infatti, non le vedremo mai. E la Messa dell’Assunta? Mai la vedremo nello splendore della Messa di sempre. Altra domanda riguarda gli eventi, come dire, imprevedibili e ingovernabili. Come la morte. Se uno muore in luglio, o in agosto, e ha chiesto il funerale in rito antico, glielo faranno? Oppure risponderanno ai parenti che, se proprio voleva “la Messa in latino” doveva morire prima, quando i preti pullulano perché non vanno a popolare come stambecchi le vette alpine? Ma al di là di tutte queste considerazioni, la domanda fondamentale è: perché?

    Qual è la ratio che spinge una diocesi a decidere che una Messa, una Messa altrimenti inaccessibile, non si può celebrare nei mesi estivi? Qui si riescono a immaginare razionalmente solo quattro ipotesi:
    1. La Messa in rito antico è una cosa cattiva. Ma se così fosse, bisognerebbe non celebrarla mai, nemmeno in inverno o in primavera o quando c’è abbondanza di sacerdoti. Esortando i fedeli a tenersene bene alla larga. E concludendo che Benedetto XVI è un Papa che sbaglia.

    2. La Messa in rito antico è una cosa buona. Ma se così fosse, bisognerebbe celebrarla sempre, anche d’estate, esortando i fedeli a frequentarla.

    3. La Messa in rito antico è impossibile da celebrare d’estate per mancanza di preti: ad impossibilia nemo tenetur. Ma se così fosse, prima di sospenderla si verificherebbe se esiste un modo per risolvere il problema pratico. Nel caso di Monza, ad esempio, i fedeli frequentanti la messa antica hanno non un nome, ma una lista di sacerdoti cattolici apostolici romani pronti a celebrare il rito straordinario anche durante l’estate. Ma nessuno ha preso nella benché minima considerazione questo fatto. Che smentisce in maniera clamorosa la impossibilità di proseguire la celebrazione.

    4. La Messa in rito antico è una cosa fastidiosa, che va ostacolata se non in linea di principio almeno nei fatti. Perché celebrata d’estate, quando diminuiscono le altre messe, questa liturgia rischia di attrarre fedeli molti fedeli, che conoscendola potrebbero decidere di continuare a frequentarla.Purtroppo, questa ipotesi è la più verosimile. È evidente, infatti, che la sospensione estiva vuole depotenziare la Messa antica proprio nel periodo in cui servirebbe di più, vista l’abolizione di altre celebrazioni curriculari nel rito ordinario.

    Che male fa, infatti, una Messa in più in una città che proprio in quel periodo ha meno messe? E se servisse a permettere anche a un solo cristiano di non perder Messa in quella domenica di agosto? Non sarebbe questo motivo, nella prospettiva della legge suprema della salus animarum, motivo necessario e sufficiente per permettere che si compia un bene di tal natura?
    Queste sono solo alcune delle considerazioni che si potrebbero esprimere in amicizia, ove esistesse un dialogo con i cattolici che frequentano il rito antico. Ma questo dialogo, è evidente, non lo si vuole. Dimenticando quelle famose preoccupazioni di natura pastorale che da almeno quarant’anni sembrano essere diventate la nuova legge suprema della Chiesa. Insegnare dal pulpito che la contraccezione è peccato? Attenzione, alcuni fedeli potrebbero offendersi e non venire più a messa. Insegnare dal pulpito che il matrimonio è indissolubile? Prudenza, fratelli, perché un divorziato risposato potrebbe andarsene triste. Insegnare dal pulpito che chi mangia l’eucarestia in peccato mortale «mangia la sua condanna»? Carità, carità, sennò la gente si sente respinta dalla Chiesa che è madre.

    C’è un gruppo di fedeli che chiede, semplicemente, di celebrare la Messa in rito antico tutto l’anno. Sennò c’è il rischio che qualcuno di loro, magari, perda la Messa perché non trova un’alternativa per due mesi e non si adatta al novus ordo? Fratelli, peggio per lui: se non digerisce la riforma liturgica, che vada pure alla Fraternità San Pio X. Un tradizionalista in meno fra i piedi.

    (Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro 17.7.2013)



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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)