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Le BEATITUDINI

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2010 09:27
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30/03/2010 09:26
 
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Da: Soprannome MSN°Gino¹  (Messaggio originale) Inviato: 17/10/2004 9.06
Le Beatitudini sono state un grande e importante discorso che Gesù come ci descrive Matteo nel suo Vangelo al capitolo 5 ha lasciato a tutti noi... diciamo che è uno dei miei temi preferiti... uno di capitoli del Vangelo che leggo sempre con attenzione e perciò ho deciso di approfondirlo in questo forum.  Buona meditazione a tutti.

 
BEATI I POVERI
 
1. Gesù ha iniziato la predicazione del Regno annunciando le disposizioni spirituali necessarie per conseguirlo; la prima riguarda la povertà: « Beati i poveri nello spirito, perchè di loro è il regno dei cieli » (Mt 5,3).
Il Signore, nella sinagoga di Cafarnao aveva già letto e applicato a sé la profezia di Isaia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me... mi ha mandato ad annunciare ai poveri la buona novella » (Lc 4,18). Nell'Antico Testamento, i poveri non sempre erano circondati di stima e di simpatia, ma piuttosto tenuti in nessun conto, mentre le ricchezze erano stimate un segno della benedizione di Dio.
Un po' alla volta però questa mentalità materialistica si è trasformata fino a considerare i poveri particolarmente protetti da Dio e suoi amici: « Porgi, Signore, il tuo orecchio -canta il salmista - rispondimi, perchè io sono misero e povero » (Sl 86, 1). 

I poveri sui quali Dio si china con amore e che Gesù proclama beati, sono coloro che non solo accettano la loro condizione di diseredati, ma ne fanno un mezzo per avvicinarsi al Signore con umiltà e fiducia, attendendo unicamente da lui ogni loro bene. La Madonna appartiene alla loro schiera, anzi, come dice il Concilio, « essa primeggia fra gli umili e i poveri del Signore, i quali attendono con fiducia e ricevono da lui la salvezza » (LG 55). La semplice povertà materiale non costituisce quella disposizione interiore che Gesù vuol vedere nei suoi discepoli. Chi essendo povero, non finisce mai di lamentarsi, detesta il suo stato e forse covar odio e invidia verso i più abbienti, non è povero nello spirito. Il Signore vuole la povertà umile e contenta, come quella che S. Francesco ha scelto per sé e per i suoi figli, e che Giovanni XXIII ha praticato con tanta semplicità anche durante il suo pontificato. La povertà materiale è preziosa agli occhi di Dio in quanto ha la funzione di richiamo e di mezzo al distacco dai beni terreni, in quanto diventa riconoscimento della propria indigenza non solo materiale ma anche spirituale e perciò sgombra il cuore dalla presunzione, dalla boria, dall'orgoglio. Allora la povertà diventa disponibilità a Dio, apre a lui il cuore dell'uomo: e per riscontro Dio apre all'uomo il suo Regno.
 
2. I poveri che Gesù loda, non sono i fannulloni, gli inetti o i pigri, ma quelli che lavorando per migliorare in modo lecito la loro condizione, non sono però avidi di guadagno e di ricchezze al punto di riporre in esse il loro tesoro, dimenticando che beni più alti li attendono. D'altra parte, quando Gesù, quasi capovolgendo le beatitudini, ha detto: « Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» (Lc6,24), non ha condannato i beni materiali, ma il possesso e l'uso sregolati, ingiusti che fanno naufragare il cuore dell'uomo nell'unica ansia dei beni terreni, chiudendolo al desiderio di Dio e alla carità versi i bisognosi. È la triste storia del ricco Epulone che, dato ai piaceri della mensa, non aveva un pensiero per il povero Lazzaro mendicante alla sua porta (Lc 16,19-31).
Gesù chiede a tutti i suoi discepoli - abbiano poco o molto - di essere « poveri nello spirito » in modo che la preoccupazione per la penuria dei mezzi o l'attaccamento alle ricchezze non diventi mai un ostacolo alla ricerca di Dio, non ritardi l'amicizia con lui, non appesantisca il cuore con cure eccessive per il benessere materiale, Per questo la Chiesa ammonisce tutti i suoi figli che, « mentre svolgono attività terrestri, conservino il retto ordine, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dallo spirito delle beatitudini, specialmente dallo spirito di povertà » (GS 72).
Ma Gesù chiede a tutti anche una povertà più alta che è distacco dai beni morali e perfino spirituali. Chi ha pretese circa la stima e la considerazione delle creature, chi è attaccato alla propria volontà, alle proprie idee o è troppo amante della propria indipendenza, chi cerca in Dio gusti e consolazioni spirituali, non è povero nello spirito, ma ricco possessore di se stesso. « Se vuoi essere perfetto - gli dice Giovanni della Croce - vendi la tua volontà..., vieni a Cristo nella mansuetudine ed umiltà e seguilo fino al Calvario e al sepolcro» (Par 5,6). Non è niente di più di quanto ha chiesto il Signore: « Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16, 24 ).
PREGHIERA: O Signore, fa' che io comprenda quale grande pace e sicurezza ha il cuore che non desidera cosa alcuna di questo mondo. Infatti se il mio cuore brama di ottenere i beni terreni, non può essere né tranquillo né sicuro, perché o cerca di avere quello che non ha o di non perdere quello che possiede e mentre nell'avversità spera la prosperità, nella prosperità teme l'avversità; è sballottato qua e là dai flutti in continua alternativa. Ma se tu, o Dio, concedi alla mia anima di attaccarsi saldamente al desiderio della patria celeste, resterà assai meno scossa dai turbamenti delle cose temporali. Fa che di fronte a tutte le agitazioni esteriori essa si rifugi in questo suo desiderio come in un ritiro segretissimo, che vi si attacchi senza smuoversi, che trascenda tutte le cose mutevoli e nella tranquillità della sua pace si trovi nel mondo e fuori del mondo.
SAN GREGORIO MAGNO, Moralia XXII, 35


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Da: Soprannome MSN°Gino¹ Inviato: 17/10/2004 9.10
BEATI GLI AFFLITTI
 
1. Gesù, venuto ad annunciare la buona novella ai poveri, è venuto anche « a predicare ai prigionieri la liberazione... a rimettere in libertà gli oppressi » (Lc4, 18 ). Ecco il segno inconfondibile della salvezza promessa da Dio al suo popolo e annunciata dai profeti: il Messia si china su tutte le miserie umane per salvarle, per dare sollievo e gioia agli afflitti, per consolare chi piange. Tuttavia gli afflitti, come i poveri, non mancheranno mai nel mondo. Le guarigioni miracolose operate dal Signore - « ciechi  riacquistano la vista, zoppi camminano, lebbrosi vengono mondati, sordi odono » (Lc 7,22) - non sono che il simbolo di una salvezza più profonda ed essenziale. L'opera di Gesù non si ferma ai corpi, ma va più a fondo: tocca i cuori e li sana dal più grande dei mali: il peccato. Le afflizioni fisiche e mentali, le malattie, i lutti, le oppressioni, gli affanni della vita diventano il veicolo attraverso il quale l’opera della salvezza raggiunge più facilmente l'uomo.
« Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete », ha detto Gesù (Lc 6,25). Chi vive nel godimento, chi ha tutto ciò che vuole e non manca di nulla, corre un rischio tremendo. Soddisfatto di sé e della vita terrena, non avverte la precarietà della sua situazione, non sente il bisogno di essere salvato, non apre il cuore alla Speranza, delle cose celesti. Al contrario l'afflitto, impotente a liberarsi dalle sue tribolazioni, si rende conto che Dio solo può aiutarlo: da lui solo può essere salvato per il tempo e per l'eternità. Gli afflitti che, come i poveri, accettano dalle mani di Dio la loro sorte, che si sottomettono a lui con umiltà, e pur soffrendo non cessano di credere al suo amore di Padre e alla sua provvidenza infinita, sono proclamati beati da Gesù « perché saranno consolati» (Mt5,4). E se la consolazione piena sarà soltanto nella vita eterna, qui in terra, in mezzo alle loro angustie, non saranno privi del conforto di sentirsi più vicini a Cristo che porta con loro e per loro la croce.
 
2. Quando i mali fisici o morali tormentano l'uomo e sembrano inchiodarlo in situazioni irrimediabili, non è facile credere alla beatitudine proclamata dal Signore. Eppure il dolore nasconde sempre un mistero di vita e di salvezza. « Quanti seminano fra le lacrime mieteranno nel giubilo - dice il salmo -. Chi all'andare cammina in pianto, portando il seme da spargere, al ritorno viene con giubilo, portando i suoi covoni » (Sal 126, 5-6). Come il chicco di grano deve marcire nel solco per dar vita a nuove spighe, così l'uomo deve essere macerato nella sofferenza per dare frutti di letizia eterna. Ma bisogna aspettare e sperare la propria consolazione solo da Dio. Bisogna attendere lui, l'Unico che salva e cambia il pianto in gioia vera. Bisogna avere il coraggio di abbracciare la croce non solo con rassegnazione, ma con amore, con volontà decisa di seguire Gesù sofferente fino al Calvario, fino al sepolcro, perché soltanto dalla morte può fiorire la risurrezione. E questo farlo con cuore dilatato dalla carità che accetta di patire e di morire anche per la risurrezione dei fratelli. Allora si capisce perché S. Paolo ha potuto dire: « Sono ricolmo di consolazione, pervaso di gioia nonostante ogni nostra
tribolazione
» (2 Cr 7,4). È là beatitudine della sofferenza che incomincia ad avverarsi quaggiù per chi sa patire con Cristo per la salvezza del mondo.
Ma per coloro che amano Dio ci sono altri motivi di pianto. Sono le lacrime roventi di S. Agostino che non cessa di lamentarsi: « Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato » (Conf. X, 27, 38 ). Sono le lacrime della Maddalena penitente e di Pietro che piange il suo fallo. Sono le lacrime di chi, pur amando sinceramente Dio, deve ogni giorno rimproverarsi qualche debolezza, qualche infedeltà; lacrime sante di compunzione, dono dello Spirito Santo, che purificano dal peccato e uniscono a Dio. E lacrime ancora per tutto il male che, dilagando nel mondo, fa tante vittime, travolge tanti innocenti, fa deviare dalla fede, travaglia la Chiesa, offende Dio. Anche queste lacrime, che sono una partecipazione al pianto di Cristo su Gerusalemme e alla sua agonia nell'orto del Getsemani, saranno consolate, perché chi soffre con Cristo sarà con lui glorificato (Rm 8, 17).
 

PREGHIERA: Mio Dio, eccomi davanti a te, povero, piccolo, spoglio di tutto. lo non sono nulla, non ho nulla, non posso nulla... Tu sei il mio tutto, tu sei la mia ricchezza.
Mio Dio, ti ringrazio di aver voluto che io non fossi nulla davanti a te... Ti ringrazio delle delusioni, delle ingiustizie, delle umiliazioni. Riconosco che ne avevo bisogno. O mio Dio, sii benedetto quando mi provi. Annientami sempre più. Che io sia nell'edificio non come la pietra lavorata e levigata dalla mano dell'artista, ma come il granello di sabbia oscuro, sottratto alla polvere della strada.
Mio Dio, ti ringrazio di avermi lasciato intravedere la dolcezza delle tue consolazioni. Ti ringrazio di avermene privato. Non rimpiango nulla se non di non averti amato abbastanza. Non desidero nulla se non che la tua volontà sia fatta. O Gesù, la tua mano è dolce, perfino nel culmine della prova. Che io sia crocifisso, ma crocifisso per te.

GENERAL DE SONIS, Vie (par A. Bessières) p 248

Tu, o Signore, mi hai consolato nella tristezza. Nessuno infatti cerca la consolazione se non è nella miseria... Questa, purtroppo, è la regione degli scandali, delle tentazioni, di tutti i mali; ma se qui gemiamo, meriteremo di godere lassù; se qui soffriamo, meriteremo di essere consolati lassù... Questa è la regione dei morti. Scompare la regione dei morti, viene la regione dei viventi. Nella regione dei morti c'è la fatica, il dolore, la paura, la sofferenza, la tentazione, il gemito, il sospiro; Qui ci sono i felici all'apparenza e gli infelici nella realtà, perché falsa è quaggiù la felicità mentre vera è la miseria. Ma riconoscendo di essere ora nella vera miseria, sarò poi nella vera felicità; E appunto perché ora sono misero, ascolto te, o Signore, che dici: « Beati coloro che piangono ».
Si, veramente beati quelli che piangono! Niente è tanto affine alla miseria come il pianto; nulla è tanto lontano e contrario alla miseria quanto la beatitudine; eppure tu parli di piangenti e li chiami beati... Ma perché sono beati? Per ciò che sperano. Perché invece piangono? Per ciò che sono attualmente. Fa', o Signore, che io pianga in questa vita mortale, nelle tribolazioni della vita presente, nel mio esilio; ma poiché riconosco di essere in tali miserie e ne gemo, fa' che io sia beato.

SANT’AGOSTINO, In Ps 85


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Da: Soprannome MSN°Gino¹ Inviato: 17/10/2004 9.12
BEATI I MITI
 
1. « Beati i miti, perché erediteranno la terra » (Mt 5, 5). I miti di cui parla Gesù si identificano con i poveri e con gli afflitti che egli ha già proclamato beati perche nelle loro angustie non si ribellano, non reagiscono con violenza, ma si sottomettono con cuore mite e umile. Gesù, che è stato unto dallo Spirito Santo per compiere nel mondo una missione di mitezza, di bontà (Lc 4, 18), e si è presentato agli uomini come modello di mansuetudine (Mt 11,29), ha tutto il diritto di chiedere ai suoi discepoli di imparare da lui, di seguire il suo esempio. E perche possano farlo ha partecipato ad essi l'unzione dello Spirito Santo.
L'uomo non riuscirà mai a spegnere completamente in sé tutti gli impulsi e le reazioni della violenza senza l’intervento dello Spirito la cui azione, nei cuori che l'assecondano, produce il frutto squisito della mitezza (Gl 5, 22). Il mite, forgiato dallo Spirito Santo a imitazione di Cristo, è l'uomo che ha imparato a dominare tutte le manifestazioni scomposte del suo io: irritazione, sdegno, collera, spirito di gelosia o di vendetta; ed è pure l'uomo che ha rinunciato alla tentazione di imporsi, di farsi valere, di dominare gli altri con la prepotenza, Impresa ardua per una natura ferita dal peccato, in cui l'egoismo e l'orgoglio tentano sempre di affermarsi, di accampare diritti. Finche c'è vita, la vittoria non sarà mai completa; tuttavia il cristiano non deve cedere le armi, ma deve ogni giorno riprendere di buon volere i suoi sforzi invocando umilmente l'aiuto dello Spirito Santo perché distrugga in lui tutti i residui della violenza, del risentimento e sciolga ogni traccia di durezza. Vieni, Spirito Santo, piega ciò che è rigido, sciogli ciò che è duro, placa ogni collera, smussa ogni asprezza. È il Divino Paraclito, Spirito di dolcezza, che piega interiormente e soavemente la volontà dell'uomo, la inclina alla bontà, alla umiltà, alla mansuetudine. Chi ha lo Spirito agisce con dolcezza, direbbe San Paolo (Gl 6, 1),
 
 
2. Gesù ha promesso ai poveri il regno dei cieli, agli afflitti la consolazione e ai miti promette la terra. La diversità del premio è solo apparente, in realtà si tratta sempre e solo del regno dei cieli, presentato ai poveri come loro possesso, agli afflitti come loro consolazione, ai miti come loro eredità adombrata nella terra promessa. La terra promessa, era stata per lungo tempo l'oggetto dei vivi desideri di Israele, ma un po' alla volta essa venne a significare non tanto il territorio destinato da Dio al suo popolo, quanto l'eredità eterna, preparata ai giusti. Gesù ne parla in questo senso.
Chi nella vita preferisce rimanere indietro anziché farsi avanti e conquistarsi un posto con la violenza, ha il suo posto assicurato nel regno di Dio. D'altra parte è vero che, anche in questo mondo, la mitezza conferisce all'uomo una particolare capacità di dominio e di conquista. Anzitutto di se stesso, padroneggiando tutti i moti dell’ira e conservando la calma anche nelle contraddizioni, e poi degli altri perché la mitezza attira e conquista i cuori. Cosi il mite, che ha rinunciato ad ogni forma di violenza, proprio in virtù di questa rinuncia si trova ad avere un particolare ascendente sugli altri. Perché mentre la violenza respinge e chiude gli animi, la mitezza li apre alla confidenza, alla fiducia, li piega, li ammansisce. Gesù vuole che i suoi discepoli siano questi miti che vanno alla conquista del mondo non con mezzi che inaspriscono e provocano reazioni, ma con la dolcezza, la pazienza, la longanimità, « Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi » ( Lc 10,3) dice loro, mentre egli, Agnello innocente, li precede insegnando con l'esempio che per fare il bene bisogna soffrire e pagare di persona, piuttosto che imporsi o difendersi con la forza.
Proprio in questo senso S. Paolo scrive a Timoteo: « Ma tu, o uomo di Dio, mira alla giustizia, alla pietà,  alla carità, alla fortezza e alla mitezza » (1 Tm 6, 11); e il Concilio Vaticano Il esorta tutti i fedeli a diffondere nel mondo « lo spirito da cui sono animati quei poveri, miti e pacifici, che il Signore nel Vangelo proclamò beati » (LG 38).
 
 
PREGHIERA O Dio-Uomo passionato, insegnami a considerare e meditare l'esempio della tua vita e a trarre da te la forma di ogni perfezione... Fa' che io corra dietro a te con tutto il trasporto dell'anima per giungere con la tua guida, felicemente alla Croce. Tu ti sei offerto a nostro esempio e ci solleciti a guardare a te con l' affetto dello spirito, dicendo: « Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre »... Tu hai posto l'umiltà di cuore e la mansuetudine a fondamento e ferma radice di tutte le virtù... Per questo, Signore, hai voluto che le apprendessimo principalmente da te... Fa' che io mi stabilisca: in tale fondamento, e in esso ponga le basi e mi studi di crescere. Che io sia fondata nell'umiltà, e avrò una conversazione tutta angelica; pura, benigna e pacifica, Sarò benevola e a tutti gradita, verso tutti mi mostrerò amabile... O umiltà, quanti beni rechi, tu che fai pacifici e sereni coloro che ti possiedono !
B. ANGELA DA FOLIGNO, Il libro della B. Angela Il, p 175-6. 179-80
Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come una sorgente; ottienimi un cuore semplice che non assapori le tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, sensibile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore per alcun male. Forma in me un cuore dolce e umile, amante senza esigere di essere riamato, lieto di nascondersi in altri cuori davanti al tuo Figlio divino; un cuore grande e indomabile, tale che nessuna ingratitudine lo possa chiudere, ne alcuna indifferenza stancare; un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, ferito dal suo amore, e la cui piaga non guarisca che in cielo.
L. DE GRANDMAISON, Vita (di Lebreton) p 42-3,24
 

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Da: Soprannome MSN°Gino¹ Inviato: 17/10/2004 9.16
BEATI GLI AFFAMATI

1. Più volte Gesù si è occupato della fame e della sete degli uomini, e in modo tanto concreto che per saziarle ha compiuto prodigi: la moltiplicazione dei pani, la trasformazione dell'acqua in vino. Ma la fame e la sete di cui parla nelle beatitudini non sono quelle del corpo, bensì quelle dello spirito. « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati » (M t 5, 6), dice Gesù, e intende parlare degli affamati e assetati non di cibo o di bevanda materiali; ma di giustizia, ossia di perfezione, di santità.
Dio giustifica l'Uomo con la sua grazia: è la base indispensabile, il punto di partenza della perfezione cristiana, la quale peraltro non ha quaggiù termine di arrivo perché il cristiano è chiamato ad essere perfetto « come è perfetto il Padre celeste » (ivi 48 ). Chi ha coscienza dell'ideale e delle esigenze della perfezione evangelica non si sente mai soddisfatto della sua giustizia, delle sue virtù, delle sue opere buone. Anzi, a misura che procede nel cammino e si avvicina a Dio, avverte sempre più la distanza che lo separa dall'ideale e perciò diventa sempre più affamato e assetato. La sua prima fame è quella della volontà di Dio, cibo sostanzioso che deve nutrire il cristiano come ha nutrito Gesù: « Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato » (Gv 4,34); fuori della volontà di Dio non ci può essere né vera vita cristiana, né santità. La sua prima sete è quella « dell'acqua viva » della grazia, la quale, in chi la beve, « diventerà fontana d'acqua zampillante nella vita eterna » (ivi 14). Solo la grazia rende l'uomo figlio di Dio, fratello di Cristo, capace di emulare la santità del Padre celeste. Crescere nella grazia è crescere nell'amore, è entrare in più intima comunione « col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo » ( 1 Gv 1, 3) e in questa comunione abbracciare i fratelli. Dio solo può dare il cibo della volontà divina e l'acqua della grazia, perciò chi ne è affamato e assetato non cessa di invocarli tendendo la mano come un mendico verso chi può soccorrerlo. E Dio lo sazierà in proporzione della sua fame e della sua sete.
2. In genere si tende a credere che le beatitudini evangeliche siano riservate a poche creature elette, totalmente votate a Dio, Gesù invece le ha predicate alle folle e non ha fatto alcuna distinzione, come non ne ha fatte quando ha detto: « Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste » (Mt 5,48). Se le persone consacrate a Dio vi sono tenute in modo particolare, i semplici fedeli non ne sono dispensati perché, come afferma il Vaticano II, « il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini » (LG 31). Senza autentico spirito di povertà, senza amore alla croce, senza mitezza; come senza fame. e sete di giustizia, nessun cristiano può vivere con pienezza le istanze del suo battesimo e diffondere intorno a se lo spirito evangelico. Eppure non sono molti i cristiani così affamati e assetati delle cose divine per cui nella loro vita la ricerca del regno di Dio e della sua giustizia è sempre in prima linea (Mt 6,33). Spesso anche nel credente sono ancor troppo vive la fame e la sete delle cose terrene, la cui intensità fa deviare il cuore in cerca di soddisfazioni umane chiudendolo alla fame di quelle celesti. Bisogna pregare e lavorare per conseguire la grazia di una vera povertà di spirito che libera il cuore dall'impaccio di tanti legami terreni e lo dispone ad un'unica fame, ad un'unica sete, quelle lodate dal Signore.
Allora il cristiano abbandona ogni desiderio di essere satollato dai beni terreni e diventa sempre più affamato e assetato di Dio, di comunione con lui, di dedizione, di amore. Totalmente preso da questa fame e da questa sete, egli non può più concedersi riposo; per quanto faccia per Dio gli pare sempre di fare troppo poco, e mentre non tollera in se la minima infedeltà, alla grazia, s'impegna con tutte le forze per accendere in altri cuori la fame e la sete di cui soffre. « L'amore di Cristo ci spinge » (2 C, 5,14), diceva S. Paolo, e ardeva dal desiderio di prodigarsi per la gloria di Dio e per il bene delle anime (ivi 12, 15). Solo Dio sazia questa fame, inizialmente qui in terra e compiutamente nella vita eterna quando la sua presenza ne placherà ogni ansia.
 
PREGHIERA: Fa', o Signore, che desideri la giustizia con la stessa brama con cui si desidera il cibo e la bevanda quando si è tormentati dallo stimolo della fame e della sete, perché allora sarò saziato. Di che sarò saziato se non di giustizia? Sarò saziato in questa vita, perché il giusto si farà più giusto e il santo più santo... Ma la sazietà perfetta l'avrò nel cielo, dove la giustizia eterna ci sarà data con la pienezza del tuo amore. « Sarò satollo... quando si presenterà alla mia vista la tua gloria ».
[Ma in questa vita] avrò sempre sete perché non cesserò di desiderarti, o mio Bene supremo, e vorrò possederti sempre più... Avrò sempre sete, ma sempre mi disseterò perché avrò in me la fonte zampillante per la vita eterna... Sarò sempre assetato di giustizia, ma tenendo le labbra sempre attaccate alla fonte che avrò in me stesso, la sete non mi sarà penosa, né mai mi accascerà... La fonte è superiore alla mia sete, la sua ricchezza più grande del mio bisogno.
J. B. BOSSUET, Meditazioni sul Vangelo I, 5,v l ,p 24-5
 
Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco tu eri dentro di me ed io fuori. Lì ti cercavo. Deforme mi gettavo su queste cose belle che tu hai creato. Tu eri con me, ed io non ero con te. Mi trattenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi hai chiamato e il tuo grido ha sfondato la mia sordità. Hai balenato e il tuo splendore ha: dissipato la mia cecità. Hai sparso la tua fragranza, ed io l'ho respirata ed ora anelo a te. Ti ho gustato, ed ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato, e ardo dal desiderio della tua pace.                                                                S.
 
AGOSTINO, Confessioni X, 27,38
 
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