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Ultimo Aggiornamento: 02/03/2015 13:02
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23/05/2011 12:47
 
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DISCERNIMENTO TEOLOGICO

La nascita del dissenso organizzato nella Chiesa Cattolica

Un articolo di Massimo Introvigne, fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), sugli effetti della contestazione iniziata col movimento del 1968 e che si è infiltrata anche all'interno della Chiesa.

 

1. La contestazione conto l’Humanae vitae

Il 31 luglio 1968 i lettori del New York Times trovano a pagina 16 del loro quotidiano preferito — ma con un richiamo a pagina 1 — qualche cosa che cambia per sempre la storia della Chiesa Cattolica. Non si tratta di una nuova dichiarazione antireligiosa dei protagonisti delle lotte studentesche del 1968 in Europa. Con il titolo «Contro l’enciclica di Papa Paolo» («Against Pope Paul’s Encyclical» 1968) il quotidiano statunitense pubblica un appello datato 30 luglio, e firmato da oltre duecento teologi, che invita i cattolici a disubbidire a un’enciclica pontificia. Si tratta di qualche cosa che non si è mai visto nella lunga — e pur tormentata — storia della Chiesa.

Certamente ci sono sempre stati dissidenti che hanno lasciato la Chiesa di Roma. Ma mai teologi, quasi tutti con cattedre in università cattoliche — che non hanno nessuna intenzione di abbandonare — e in molti casi sacerdoti, hanno esortato pubblicamente i fedeli a seguire il loro insegnamento e a schierarsi «contro» quello del Sommo Pontefice. Se l’essenza della rivoluzione culturale emblematicamente rappresentata dalla data 1968 è la contestazione in ogni ambito del principio di autorità, questo episodio segna in modo clamoroso l’esplodere del Sessantotto della Chiesa.

Infatti, dalla contestazione per la prima volta organizzata, da parte di un numero non maggioritario ma non modesto di docenti e di sacerdoti, dell’enciclica Humanae vitae (datata 25 luglio 1968 e pubblicata il successivo 29 luglio) di Paolo VI (1897-1978), che ribadisce l’illiceità per i cattolici della contraccezione artificiale, nasce l’idea, diffusa non solo in ristrette cerchie di cultori di teologia ma sui media internazionali, che dopo il Vaticano II (che è finito tre anni prima) i cattolici — o almeno, per usare un’espressione non solo italiana, i «cattolici adulti» — possano scegliere fra il magistero del Papa e il «magistero parallelo» dei teologi, un’espressione che sarà ripresa nel 1990 dall’Istruzione Donum Veritatis della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo (Congregazione per la Dottrina della Fede 1990). I teologi, in quanto più «progressisti» e avanzati, anticiperebbero semplicemente oggi quanto il magistero finirà fatalmente per accettare domani, e quindi potrebbero e dovrebbero essere seguiti con fiducia dai fedeli più maturi.

Dal momento che — per dire il meno — il Papa e la gerarchia non condividono questo punto di vista, ecco che nella Chiesa Cattolica vi sono dal 1968 due fonti di autorità (da una parte il Papa, dall’altra i gruppi di teologi che riescono a farsi percepire come maggioritari, lo siano o no), le quali certamente non sono sullo stesso piano dal punto di vista della dottrina insegnata dalla Chiesa stessa (e dal Concilio Ecumenico Vaticano II) ma sono presentate come se lo fossero dai media. La sociologia c’insegna che un’organizzazione dove i membri sono, per così dire, tirati in direzioni diverse da fonti di autorità percepite come alternative è un’organizzazione che non può funzionare in modo ottimale: di qui la sua crisi, che nei decenni successivi diventa sempre più evidente.

Ralph McInerny, uno dei più autorevoli filosofi cattolici contemporanei, in un piccolo ma importante libro — dal significativo titolo Che cosa è andato storto con il Vaticano II?Humanae vitae è confermata da un dato che riguarda la persona stessa di Papa Paolo VI: dopo la reazione a quel documento, il Pontefice — che pure regna ancora fino al 1978 —, evidentemente amareggiato, non pubblica per tutta la sua vita, cioè nei successivi dieci anni, alcun’altra enciclica (un fatto del tutto inconsueto per un Papa moderno) dopo che ne aveva pubblicate sette fra il 1964 e il 1968. (McInerny 1998) — insiste sul fatto che la questione decisiva nel 1968 non riguarda solo gli anticoncezionali, ma chi esercita l’autorità nella Chiesa e quale autorità i fedeli devono seguire. La gravità del caso

Il teologo (poi cardinale) Leo Scheffczyk (1920-2005) — intervenendo nel 1988 a Roma a un congresso nel ventennale della Humanae vitae, ai cui partecipanti rivolge un importante discorso lo stesso Pontefice Giovanni Paolo II (1920-2005) — spiega, in un modo particolarmente chiaro, il meccanismo (illustrato in termini analoghi anche da altri autori) utilizzato dai teologi dissidenti per costituirsi come magistero parallelo. Si tratta di un lento e ultimamente devastante lavorio teologico intorno alla nozione d’infallibilità definita dal precedente Concilio Vaticano I. Si «mette accanto al magistero infallibile un cosiddetto magistero fallibile, cosicché la fallibilità apparterrebbe a tale magistero quasi come un attributo permanente» (Scheffczyk 1989, 283). Posto che il magistero invoca molto raramente la sua infallibilità, e normalmente richiede l’assenso dei fedeli nei confronti della sua espressione in forma «autentica», da parte dei dissidenti «si costruisce l’equazione: infallibilità è incapacità di errore, autenticità invece è capacità di errore, e perciò anche incertezza e di per sé più esposta al rifiuto» (ibidem). Mentre i teologi dissidenti dal Vaticano I se la prendevano con l’infallibilità, i dissidenti del dopo-Vaticano II se ne fanno scudo per dichiarare che nell’insegnamento della Chiesa, tranne il pochissimo che è infallibile, tutto il resto è «fallibile» e si ha quindi il diritto di rifiutarlo. Beninteso, «secondo le regole della conoscenza questa equazione non è ammissibile» e il magistero, così, «ha perduto il suo significato» (ibidem). Né insegna questo il Vaticano II, anzi insegna precisamente il contrario: anche il magistero «autentico» è «rivestito dell’autorità di Cristo» e pertanto l’assenso è obbligatorio (ibidem; cfr. Lumen Gentium, n. 25).

Dunque, la crisi che s’inaugura per così dire ufficialmente il 31 luglio 1968 riguarda anzitutto chi esercita l’autorità nella Chiesa. Ma riguarda anche la questione della sessualità umana. In un intervento del 3 ottobre 2008 al convegno Humanae vitae: attualità di un’enciclica, organizzato a Roma dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione dei quarant’anni del testo di Paolo VI, il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, mostra come — anche in tema di sessualità — non si tratti solo di prescrizioni morali specifiche, ma di tre grandi questioni su cui si gioca il futuro stesso della «proposta evangelica» (Caffarra 2008). La prima riguarda l’unità di materia e spirito che si esprime nella persona umana, contro tutti gli gnosticismi — per cui l’uomo è solo spirito — e tutti i materialismi, per cui l’uomo è solo materia o corpo e lo spirito non esiste. Si tratta qui di una battaglia che la Chiesa combatte fin dai primi secoli e che ha a che fare con l’equilibrio stesso fra ragione e fede.

Se l’uomo è solo spirito, la sessualità è qualche cosa di cattivo, al massimo un male necessario. Personalmente non so se siano mai state usate o se si tratti di una leggenda, ma ho sentito parlare anch’io delle camicie da notte di cui si afferma che facessero parte del corredo di nozze di qualche bisnonna con la frase ricamata «Non lo fo per piacer mio ma per dare un figlio a Dio». Ora, la negazione del ruolo positivo del piacere e della sessualità in ultima analisi non è solo ottusa: per quanto le bisnonne potessero non rendersene conto è gnostica, in quanto nega che il Dio Creatore sia il creatore anche del corpo e abbia voluto il corpo come cosa intrinsecamente buona (ancorché — ma questo vale per ogni tipo di realtà — il suo uso disordinato possa essere cattivo).

Il contributo dell’allora cardinale Karol Wojtyla — il futuro Papa Giovanni Paolo II — ai lavori preparatori per l’enciclica Humanae vitae consiste in un testo inviato a Roma che sarà alla base di un libro, Amore e responsabilità (Wojtyla 1978), il quale purtroppo non diventerà generalmente noto nella Chiesa se non dopo l’elezione del suo autore a Pontefice (in italiano, per esempio, sarà tradotto solo dieci anni dopo, nel 1978). Sull’effettiva influenza del testo di Wojtyla sulla Humanae vitae è ancora in corso un dibattito fra gli storici. Tuttavia alcune idee forza di Amore e responsabilità si ritrovano nell’enciclica (che, sia detto per inciso, pochissimi hanno letto). Vi è una valutazione positiva della sessualità umana — contro ogni gnosticismo — ma insieme la ferma difesa della dottrina tradizionale della Chiesa secondo cui questo apprezzamento, per sfuggire all’attrazione dell’errore opposto, il materialismo, deve essere radicato in una continua illustrazione della necessaria compresenza di libertà e istituzione, significato unitivo e significato procreativo dell’atto sessuale, passione e ragione.

Seguendo sempre lo schema del cardinale Caffarra, la seconda grande questione posta dall’Humanae vitae — collegata alla prima — è che i gesti umani della «dimensione fisica […] veicolano un senso spirituale». Per esempio, «se il bacio di Giuda ci sconvolge tanto profondamente è perché il gesto del baciare ha un suo significato proprio: compierlo dandogli un altro senso è avvertito come immorale e riprovevole» (Caffarra 2008). Ultimamente, la domanda qui è se i gesti umani, compresi quelli della sessualità, siano parte di un linguaggio «dotato di un significato proprio, di una sua grammatica», abbiano cioè una funzione che corrisponde allo schema naturale delle cose — e quindi, per converso, possano anche averne una contraria alla legge naturale e immorale — ovvero se ogni gesto sia accettabile se lo percepisco come utile o semplicemente se mi va di farlo in quel momento. Il mondo moderno e postmoderno è passato dall’utilitarismo al semplice anarchismo morale: «tutto alla fine è dichiarato giustificabile, purché sia liberamente voluto» (ibidem).

La pillola contraccettiva sta precisamente al centro — non alla periferia — di questo problema perché negli anni intorno al, e dopo il, 1968 è stata il veicolo della rivoluzione sessuale e del «tutto è lecito purché lo voglia liberamente». Prendendo la pillola a colazione, qualunque studentessa post-sessantottina pensa di potere «fare quello che vuole» senza porsi neppure il problema della eventuale gravidanza, cioè della responsabilità. Peraltro sbagliando: i numeri sono impietosi e dimostrano che quando Marco Pannella nel decennio successivo al 1968 sfilava con i cartelli «Pillola subito per non abortire, aborto libero per non morire» aveva, come spesso gli capita, torto. Per non andare troppo lontano da noi, in Italia — uno dei Paesi con la maggiore diffusione pro capite di anticoncezionali — all’aumento del consumo della pillola ha corrisposto un tasso che è rimasto molto alto del numero degli aborti. Nel 2005 per esempio, secondo il Rapporto Annuale del Ministero della Salute, ci sono stati 132.790 aborti procurati (per intenderci, è come se in un anno fosse sparita una città come Bergamo, con tutti gli abitanti del comune e anche di un paio di comuni più piccoli vicini), e un po’ più di una gravidanza italiana ogni sei si è conclusa con un aborto. La diffusione di massa degli anticoncezionali, infatti, non previene l’aborto ma crea una mentalità ostile al concepimento e alla vita, per cui se me la cavo con la pillola bene, diversamente c’è sempre l’aborto.

La terza questione è se amore del corpo e amore dello spirito — eros e agape, un tema che Benedetto XVI riprenderà nella sua prima enciclica, Deus caritas est — siano necessariamente correlati ovvero possano e debbano essere separati. La Chiesa rifiuta l’amore coniugale senza sesso di certe eresie gnostiche, ma rifiuta anche il sesso senza amore così tipico del nostro tempo. Né si tratta qui di una concezione romantica: la posta in gioco è molto più profonda. Infatti, puntualmente, dopo il sesso senza procreazione è venuta — appena la tecnica lo ha consentito — la procreazione senza sesso dei bambini in provetta, e oggi la scienza apre scenari sempre più inquietanti. Paolo VI appare qui al cardinale Caffarra assai più profetico, nel senso non solo di parlar chiaro ma in questo caso anche proprio di prevedere il futuro, dei teologi dissidenti. Ma sembra che molti di questi dissidenti si fossero ormai schierati — non solo sulla questione della pillola contraccettiva ma sui temi di fondo della sessualità, dell’esistenza di una legge naturale e della stessa persona umana — con la modernità relativista e non con il diritto naturale e cristiano.

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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