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4 luglio 2010 Benedetto XVI in visita pastorale a Sulmona e da san Celestino V

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2010 23:50
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Quando Papa Montini onorò Celestino V e Bonifacio VIII

Rinnovamento e tradizione


Alla vigilia della visita del Papa a Sulmona in occasione dell'anno giubilare celestiniano, ripubblichiamo l'editoriale intitolato "Il magistero dei secoli" che il direttore Manzini dedicò, su "L'Osservatore Romano" del 3 settembre 1966, alla visita che Paolo VI aveva appena compiuto in Ciociaria per onorare la memoria dei suoi predecessori.

di Raimondo Manzini

La visita - che qualche giornalista aveva supposto "sentimentale" e qualche altro "politica" - del Papa in luoghi sacri alla grande storia della Chiesa nella terra ciociara, è assurta al significato di un solenne atto di magistero religioso oltre che di omaggio affettivo. I luoghi per la storia che ivi è tramandata parlano già da se stessi agli spiriti attenti; ma il loro richiamo è stato reso attuale dalla parola viva di Paolo VI, cosicché si comprende come la visita abbia trovato, come ancora troverà, una eco profonda nel sentimento universale.

Facile è rilevare il nesso che lega i tre discorsi pronunziati ieri dal Papa tra gli eremi e le vestigia di una secolare drammatica storia:  il segno divino sulla Chiesa, la fede nei carismi della santità, il rinnovamento della vita cristiana in armonia e non in contrasto con la tradizione, la docilità al supremo magistero gerarchico, l'invito alla unione laddove aspra visse la disunione.

A Fumone Paolo VI ci ha fatto considerare due insegnamenti che si debbono dedurre dal ricordo del pio monaco eremita Pietro di Morrone, diventato Papa Celestino V per obbedienza e dimissionario per coscienza; vale a dire l'assistenza divina sulla Chiesa, cosicché ogni procella è impotente contro il suo navigare, e il valore della santità superatrice del nostro stesso limite umano, quasi garanzia di una benefica immortalità nella storia. D'altronde si debbono meditare i moniti degli antichi procellosi tempi "terribili per la Chiesa", riconoscendone le affinità con la nostra epoca di trasformazione, di contraddizione onde trarne vigoria interiore e luce di speranza.

Il discorso di Ferentino in stretta connessione si chiede come dobbiamo conservare e alimentare oggi questa fede e questa virtù cristiane, in vista degli atteggiamenti e delle sensibilità diffuse nella vita ecclesiale dal post-concilio. Il Papa ci ammonisce di evitare due eccessi ugualmente errati e contraddittori:  quelli di coloro che una febbre di novità e di mutazione spinge a rifiutare e a misconoscere il passato della Chiesa pur valido e su cui si fonda la tradizione; e coloro che per male inteso amore del passato sono sordi e ostili alle positive esigenze del rinnovamento e dell'aggiornamento definite dal concilio e vincolanti per tutti i cristiani.

Alcuni vorrebbero rompere col passato; altri trovano solo in esso il buono. Ma, ha precisato Paolo VI:  "Anche questo atteggiamento non è giusto e non è cristiano" perché bisogna guardare all'avvenire "aprendo il cuore, l'anima e l'intelligenza" come non bisogna "abdicare al tesoro di tradizioni memorabili e gloriose di ieri" conservando della tradizione "quanto è vivo, vero ed eterno". Fiducia nella Chiesa, dunque, che ci traccia il sentiero ed è madre e maestra.
Ad Anagni, infine, superno spalto arroccato, reliquiario di storia, "città papale", dove il nome di Celestino V si collega inseparabilmente e drammaticamente a quello di Bonifacio VIII "che fu tanto diverso da lui, formidabile nella sua azione per la Chiesa", la continuità secolare già rievocata ha offerto al Papa fondamentali applicazioni per noi.

Anzitutto un atto di giustizia storica, dopo quello reso a Fumone al monaco e Papa Celestino che non "per viltà ma per onestà" operò il "gran rifiuto":  vale a dire si deve anche riconoscere che Bonifacio VIII non già perseguitò o costrinse il candido predecessore, ma lo isolò per proteggerlo dalle arti di quanti avrebbero potuto ancora insidiarlo e per salvare la Chiesa dai pericoli di un possibile rovinoso scisma.

Il Papa ha ricordato che nessun vicario di Cristo fu tanto discusso, tanto avversato e vituperato nella storia come Bonifacio VIII. Perché? Perché fu il Papa che più degli altri ha affermato l'autorità del Romano Pontefice, nella drammatica controversia coi potenti come nella vigorosa dottrina e pose i principi per una autentica "scala dei valori" quale oggi non riusciamo a stabilire.

La lezione che dobbiamo ricavarne è la comprensione dei nostri obblighi di lealtà verso la Gerarchia, causa efficiente e principio di vita per la Chiesa. Non diffidenza e resistenza per una male intesa illimitata autonomia del proprio pensare e operare, ma docilità e fiducia. "Dio non ci ha lasciato camminare come pecore senza guida, ma ha incaricato qualcuno di organizzare il suo Corpo mistico". "Perciò alla Gerarchia dobbiamo obbedienza, ma obbedienza capita, professata, meditata non come schiavi o vinti ma come figli che la reclamano, l'amano, la servono".

La trilogia di Paolo VI ad Anagni "da dove partirono le più grandi scomuniche contro re e imperatori" e dove ebbe origine lo scisma di Occidente, si chiudeva con un universale appello di pace e con un invito all'unità dei cristiani "perché si faccia un solo ovile ed un solo pastore". Nel gran libro dei secoli suggestivamente compulsato, Paolo VI ha ieri indicato i capitoli per la positiva e vincolante realtà della Chiesa post-conciliare. Un itinerario  augusto  dal  passato  al  presente.


(©L'Osservatore Romano - 4 luglio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Programma della Visita Pastorale di Benedetto XVI


Domenica, 4 luglio 2010

Roma
8.30 Partenza in elicottero dal Vaticano per Sulmona



Sulmona
9.20 Arrivo nel Campo sportivo "Serafini" del complesso sportivo dell’Incoronata a Sulmona
In Piazza Garibaldi il Santo Padre riceve il saluto di benvenuto del Sindaco di Sulmona e del Vescovo di Sulmona-Valva
10.00 Concelebrazione Eucaristica in Piazza Garibaldi a Sulmona Omelia del Santo Padre
Angelus Domini in Piazza Garibaldi a Sulmona.

13.15 Pranzo con i Vescovi dell’Abruzzo nella Casa Sacerdotale del Centro pastorale diocesano di Sulmona

16.30 Saluto dei Membri del Comitato organizzatore della Visita e Incontro con una Delegazione della Casa Circondariale di Sulmona nella Casa Sacerdotale del Centro pastorale diocesano di Sulmona
17.00 Incontro con i giovani nella Cattedrale di Sulmona Discorso del Santo Padre
Venerazione delle reliquie di San Panfilo e di San Celestino V nella Cripta della Cattedrale di Sulmona

17.45 Partenza in elicottero dallo Stadio comunale "Pallozzi" di Sulmona per il Vaticano



Roma
18.35 Arrivo in Vaticano





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L'avventura di Celestino V

Un Papa fra il mito e la storia


di Paolo Vian


"Nel grande dramma tra Ecclesia spiritualis e Ecclesia carnalis Celestino V è una breve apparizione, ma così rivelatrice, che ne è quasi simbolo. E però la sua personalità mantiene una indeterminatezza che né i suoi antichi biografi né gli studiosi più recenti hanno potuto rimuovere efficacemente, per cogliere tratti individuali e concreti".

Al punto che, nelle diverse ricostruzioni, il vecchio eremita del Morrone non riesce ad avere una sua fisionomia propria neppure quando il conclave di Perugia (1294) lo elegge con sorpresa di molti dopo una sede vacante durata ventisette mesi. Sono le riflessioni con le quali Arsenio Frugoni, uno dei grandi maestri della medievistica italiana del Novecento, apriva il suo Celestiniana, pubblicato a Roma nel 1954 per i tipi del glorioso Istituto Storico Italiano per il Medio Evo

.


Forse anche per questo - proseguiva Frugoni - gli studi allora più recenti, quelli di Franz Xaver Seppelt (1921) e di Friedrich Baethgen (1943), "si sono limitati ad affrontare particolari momenti ed aspetti senza tentare la monografia conclusiva". Tentata più recentemente (1981) dal medievista tedesco Peter Herde, con la biografia ormai classica uscita nella collana di Hiersemann "Päpste und Papsttum" e tradotta in italiano nel 2004. Ma nonostante il corposo volume, che chiarisce questioni (come quella del luogo d'origine di Pietro del Morrone) sinora molto discusse, la personalità dell'eremita della Maiella continua ad apparire misteriosa e sfuggente.

Come in fondo appare a chi legga gli scritti che a lui vennero presto dedicati, dall'Opus metricum del cardinal Iacopo Caetani Stefaneschi, testimone oculare dell'elezione e del pontificato di Celestino, alle molteplici vite che, da Bartolomeo da Trasacco e Tommaso da Sulmona agli inizi del Trecento sino al bergamasco Stefano Tiraboschi nella prima metà del Quattrocento, cercarono di ricostruire il suo lungo percorso.

Probabilmente non si tratta di un caso. Chi legga gli atti del processo di canonizzazione, svoltosi sotto la direzione di Federico de Lecto e dell'agostiniano Giacomo da Viterbo fra il maggio e il giugno 1306 con l'escussione di quasi trecento testimoni tra Napoli, Capua, Castel di Sangro, Sulmona, nel monastero dello Spirito Santo e a Ferentino, chi scorra le molteplici testimonianze che erompono con la freschezza della loro autenticità attraverso la ripetitiva griglia dei formulari di domande prestabilite, avverte subito che tutta la vita di Pietro del Morrone si è svolta in una tensione dialettica, in qualche modo mai risolta, fra il concedersi alle folle che lo cercano per la fama di santità che presto lo aveva avvolto nei diversi luoghi in cui aveva soggiornato e il ritrarsi, quando l'eremita si rende conto che il concorso dei devoti minaccia le condizioni stesse della sua conversatio monastica e del suo rapporto con Dio, l'unica realtà che per lui veramente conta.

Concedersi e ritrarsi, abbandonarsi alle folle che lo cercano e che trovano in lui anche un taumaturgo che guarisce e risana, ma poi fuggirle, per ritrovare quella pace che l'anima cerca e nella quale solo trova riposo. In fondo la breve avventura pontificale di Celestino era in qualche modo già scritta nei suoi precedenti, ripetizione di uno schema che aveva prima costantemente vissuto.

A ben vedere però è quell'"indeterminatezza" di cui scriveva Frugoni nel 1954 all'origine del conflitto di interpretazioni sulla figura del Papa e del suo trapasso nell'ambito del mito:  quasi che l'immagine dell'eremita molisano, vissuto consapevolmente nel chiaroscuro del concedersi e del ritrarsi, possa essere riempita di contenuti diversi a seconda dell'interprete che l'avvicina. Di Celestino effettivamente sappiamo poco; non ci aiutano gli atti e i gesti del suo breve pontificato, probabile frutto del gioco di influenze diverse; la cosiddetta Autobiografia, che proprio Frugoni riscattò da fantasiosa leggenda a memoria fedele di esperienze vere, ci offre un clima, un ambiente, un quadro spirituale, non l'espressione di una personalità.

Certo, Pietro del Morrone non fu l'ingenuo e lo sprovveduto che molti dipinsero. Basterebbe a smentirlo la constatazione che fu all'origine e a capo di una congregazione di eremiti che si diffuse e si ramificò, lui vivente, in molteplici fondazioni, fra Italia centrale e meridionale, giungendo presto a varcare le Alpi; per difendere la sua creatura Pietro ebbe la forza e il coraggio di recarsi verso la fine del 1274 a Lione, presso la Curia pontificia, ove ottenne da Gregorio X un solenne privilegio che, incorporando la congregazione nella famiglia benedettina, ne confermava le proprietà, allora già consistenti. Fu a capo di comunità, come quelle di Santa Maria di Faifoli presso Montagano, nel Molise, o San Giovanni in Piano, vicino a Lucera, in Puglia, che riformò e consolidò, anche economicamente.

Ha dunque ragione Frugoni a vedere in Celestino non "quel vegliardo svanito nei silenzi della montagna e nelle maceranti penitenze" ma "l'anima ardente e volitiva che aveva per tanti anni guidato il suo gruppo di monaci, fattosi per lui sempre più grande. Vibrante di una religiosità che si nutriva d'attese escatologiche e rifiutava certo la Chiesa politica come peccato. E peccato gli sarà parsa l'esperienza, ricca di compromessi e di calcoli degli uomini di Chiesa, così diversi dal suo appassionato ideale. Onde un sentirsi meno intimamente insidiato dall'appoggio dei laici che parevan offrirgli devozione e aiuto, e insieme lo sospingevano, in complicità coi monaci, sospettosi del potere di altri ecclesiastici sul loro Padre, contro la Curia canonistica, mondana".

Ma quando si accorse che quell'appoggio dei laici, quella devozione premurosa e interessata di Carlo d'Angiò, poteva rivelarsi per la sua Chiesa insidioso e nefasto, Celestino ebbe il coraggio di dimettersi. Il "gran rifiuto" (Inferno, iii, 60) non va interpretato in chiave di viltà ma, comprese ancora acutamente Frugoni, come l'"espressione dello stesso temperamento volitivo, ardente, che ha accettato, quasi inspirante Deo, la prova del concreto governo, e, di fronte al fallimento, ha il coraggio di rinunciare e la tenacia, che in verità occorse grande, per riuscire a rinunciare".

La vita storica di Pietro del Morrone prima e poi di Celestino è dunque tutta giocata in questo concedersi/ritrarsi, nell'andare tra i fratelli per fedeltà al Vangelo e nell'appartarsi di nuovo per una fedeltà ancora più profonda:  una storia in qualche modo normale, fra rivelazione e mistero, città e deserto, forse nella consapevolezza che i due poli del binomio sono entrambi necessari all'equilibrio della vita cristiana, come lo erano stati nella vita di Gesù.

Eppure il mito s'impadronisce di Celestino quando, fra l'agosto e l'inizio di ottobre del 1294, il Papa riceve una piccola delegazione di francescani marchigiani emigrati in Oriente per sfuggire all'ostilità e alla persecuzione dei confratelli e per proseguire la loro esperienza di fedeltà intransigente al testamento di Francesco d'Assisi. Celestino li conosce, ha probabilmente avuto contatti con loro negli anni precedenti, ne apprezza l'austerità ascetica e quel gusto per la solitudine che in fondo li rendono così simili ai suoi monaci; si dice dunque pronto ad accoglierli nella sua congregazione e poi, al loro rifiuto, a costituirli in gruppo autonomo come "poveri eremiti del Papa Celestino", francescani ma al di fuori dell'Ordine. L'unità francescana, che pur un teologo e uno spirituale della levatura di Pietro di Giovanni Olivi riteneva un bene supremo, andava in frantumi.

Forse il Papa non si rese conto delle conseguenze del suo gesto, che si discostava dalla linea che tutti i suoi predecessori avevano seguito nel corso del Duecento di tenere faticosamente insieme le diverse anime dell'Ordine francescano. La reazione dei confratelli fu durissima, il successore di Celestino, Bonifacio VIII, cassò, con gli altri atti del predecessore, anche questo e i "poveri eremiti di Papa Celestino" dovettero ancora fuggire, dando però sfogo nei loro scritti - il più alto dei quali è senz'altro la Historia septem tribulationum di Angelo Clareno - al risentimento nei confronti di quella successione bonifaciana che aveva drammaticamente capovolto le sorti della loro vicenda.

L'inserimento del pontificato celestiniano nelle tensioni interne all'Ordine francescano non è certo l'unico motivo di quanto accadrà in seguito; le linee critiche di frattura, nell'ambito romano, italiano e internazionale, sono diverse, ma il coinvolgimento di Celestino nella grande querelle tra francescani conventuali e spirituali, che solo apparentemente trovò soluzione con le drastiche decisioni di Giovanni xxii, appare per molti versi decisivo. A questo punto gli insoddisfatti del nuovo corso bonifaciano - sul piano religioso i francescani spirituali, nell'ambito romano i cardinali Colonna, nello scenario internazionale i fautori della causa francese e angioina - s'impadroniscono della figura di Celestino per oscurare e calunniare quella del successore, accusato di essere il protagonista occulto di un'abdicazione illegittima estorta con mezzi fraudolenti, persino responsabile di una morte violenta nella rocca di Fumone.

Alla Chiesa tutta politica e mondana di Bonifacio si contrappone la presunta Chiesa spirituale di Celestino. E a Celestino - già nel 1295-1296 da parte del domenicano provenzale Robert d'Uzès - si applicano le profezie relative a un Papa angelico; esse ancora una volta sono riconducibili a gruppi di spirituali italiani protetti da Celestino, vettori in Occidente di vaticini greci attribuiti all'imperatore Leone il Saggio che, nella traduzione latina, trasferiscono a un Papa le caratteristiche di un sovrano degli ultimi tempi, fautore del diritto e della giustizia.

Il filone profetico del Papa angelico ha nella figura di Celestino un punto di partenza che si proietta nel futuro, attraversa il Trecento, influenza Cola di Rienzo, che ne è venuto a conoscenza dagli eremiti della Maiella e ne diffonde il contenuto nella Boemia di Carlo iv, ma compare ancora in Savonarola, arriva persino a Nostradamus e alla fine del Cinquecento allo pseudo-Malachia. Se Dante, anche per motivi personali, condanna la rinuncia di Celestino come atto di viltà, Petrarca nella sua difesa della vita solitaria lo esalta come gesto di suprema libertà evangelica. Ma Celestino continua a essere sino a tutto il Novecento il simbolo di una Chiesa diversa, profetica, non mondana ma tutta religiosa:  dalle Lettere agli uomini di papa Celestino Vi (1946) in cui si trasfonde tutto lo slancio profetico e apocalittico dell'ultimo Papini, a L'avventura di un povero cristiano (1968), l'estremo libro dell'abruzzese Ignazio Silone.

Ormai però Celestino è divenuto uno schermo bianco sul quale proiettare i propri desideri e le proprie aspirazioni:  il mito ha divorato la storia, per molti versi l'ha piegata, strumentalizzata, contraffatta. Celestino e Bonifacio non sono in realtà araldi di Chiese diverse, così come Pietro del Morrone non è né l'ingenuo vegliardo catapultato in scenari troppo grandi per lui né l'intrepido riformatore impedito dall'apparato mondano di una Curia tutta terrena. Sarà Bonifacio VIII, quel Papa Caetani che aveva dovuto evitare la strumentalizzazione della figura del predecessore a fini scismatici, a celebrare a Roma la sua messa funebre.
 
L'avventura reale di quel "povero cristiano" che fu Celestino V è molto più bella del mito che l'ha voluto alterare:  in definitiva quella di un outsider uscito dalle pieghe tenaci e profonde della millenaria storia religiosa e monastica italiana, una figura che sembra balzar fuori dalle pagine dei Dialogi di Gregorio Magno e che può vivere alla fine del vi secolo come nel cuore del xiii perché, nell'uno come nell'altro, animata dalla stessa ansia divorante e irrequieta della ricerca di Dio.


(©L'Osservatore Romano - 4 luglio 2010)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Domenica Benedetto XVI in visita a Sulmona per l'anno giubilare dedicato a Celestino V

Sulla via evangelica
del perdono e del servizio


di Angelo Spina
Vescovo di Sulmona-Valva

I vescovi dell'Abruzzo e del Molise hanno voluto dedicare uno speciale anno giubilare a san Pietro Celestino, dal 28 agosto 2009 al 29 agosto 2010, in occasione degli ottocento anni dalla nascita, collocata dagli storici tra il 1209 e il 1215.

L'anno giubilare Celestiniano vuole essere un anno di grazia per tutti i fedeli delle undici diocesi dell'Abruzzo e del Molise e di quanti pur di altri luoghi desiderano viverlo.

Le diocesi del Molise sono tutte coinvolte. San Pietro Celestino, proclamato compatrono della Regione, è nato in Molise, è stato a Faifoli (Montagano) come chierico e come abate. La devozione è molto sentita in tanti luoghi tra cui Sant'Angelo Limosano, Montagano, Isernia ecc.
Altrettanto coinvolte sono le diocesi dell'Abruzzo:  Sulmona con l'eremo di Sant'Onofrio, dove è vissuto per tanti anni, l'Abbazia Morronese e le reliquie conservate nella cattedrale di San Panfilo; Chieti, con l'eremo Santo Spirito a Roccamorice e quello di Sant'Onofrio a Serramonacesca; L'Aquila con la bolla della Perdonanza, la basilica di Collemaggio che ne conserva il corpo. La devozione di san Pietro Celestino è sentita in tutto l'Abruzzo. Egli rimane nella storia non solo per le vicende del suo tempo e del suo pontificato, ma soprattutto per la sua santità.
 
Sulla scia della sua esistenza, vissuta con intensità, siamo invitati a riflettere sul dono meraviglioso della vita e ad accogliere il progetto di Dio su di noi. Chi poteva pensare che da una famiglia povera di dodici figli, in un piccolo paese molisano, potesse nascere un uomo che tanto avrebbe fatto parlare di sé? Dio chiama alla vita e pone in essa la sua potenza. San Pietro Celestino, sin dalla sua giovinezza è stato un "cercatore di Dio", una persona in cerca di risposte ai grandi interrogativi:  chi sono, da dove vengo, perché vivo, per chi vivo? La risposta la trova solo in Dio. Oggi molti sono alla ricerca di Dio, del volto di Dio, di una dimensione verticale. Credere non è cosa facile. È fatica credere. È passare dall'io al Tu, dal silenzio all'ascolto, dalla povertà alla ricchezza di accogliere Colui che si fa dono. Tutto ciò comporta obbedienza, perdita della libertà non per costrizione, ma per amore, come risposta al dono della fede. Di qui l'urgenza di una "nuova evangelizzazione".

Cerca Dio e, per ascoltarne la voce, si separa dal mondo, vive da eremita. Il silenzio diventa l'elemento che caratterizza il suo vivere quotidiano. E nel silenzio esteriore, ma soprattutto in quello interiore, ascolta la voce di Dio che parla alla coscienza. La parola di Dio, nel silenzio, trova spazio per essere accolta e ricevere la risposta libera con il "sì" della fede. Cresce sempre più in lui la dimensione contemplativa e la necessità della preghiera per avere forza.
In un mondo dove il chiasso esteriore è sempre più marcato, dove il silenzio interiore è assente, è necessario recuperare tale dimensione essenziale per poter fare ascolto dell'Altro e degli altri. Senza ascolto non c'è dialogo, non c'è risposta, non c'è comunicazione.

Vivendo sul monte Morrone e sulla Maiella, per lunghi periodi della sua vita, con scenari meravigliosi, aveva esperienza viva della bellezza del creato come opera delle mani di Dio. Ne coglieva il senso e la profondità, ne rispettava i segni, i ritmi, ne faceva uso e non abuso.
La visione della creazione senza il "principio", senza alcun riferimento etico, conduce l'uomo a sfruttare i beni della terra non per un uso ma con gravi abusi. Per la sete di avere, senza scrupoli, distrugge e inquina. Rovinando la bellezza, impoverendo il futuro del pianeta, delle sue risorse per le generazioni future, vengono causati danni irreversibili per la vita stessa dell'uomo. Oggi è urgente vigilare per la salvaguardia del creato.

Aveva chiara coscienza del peccato che, come freccia che entra nella carne e produce la piaga, ma anche certezza della misericordia che crea un cuore puro, un cuore nuovo con il suo amore di grazia.
Il mondo contemporaneo ha perso la coscienza e la gravità del peccato. Il pensiero relativista così imperante nasconde la verità della gravità del peccato. L'uomo non può autosalvarsi. La salvezza viene dall'amore di Dio dalla sua infinita misericordia che permette all'uomo di ritrovare la pace vera e di stare in pace con gli altri ed essere costruttore di pace.
La sua non fu solo una vita di eremita, ma di uno che viveva con gli altri, fondò un ordine, viveva in cenobio. Sui monti e in diversi luoghi incontrava le persone, i poveri, i pastori, i laici e per sottrarli alle tante angherie del tempo, gli dava coscienza della dignità della loro persona invitandoli a vivere in fraternità. Fondò diverse "fraternità", stili di vita cooperativistici dove al primo posto non c'era l'interesse personale, ma la ricerca del bene comune.

La cultura odierna permeata di individualismo porta al fallimento. L'aggregarsi solo per scopi utilitaristici non permette all'uomo di raggiungere la sua realizzazione integrale. Oggi si soffre di vuoto interiore, di mancanza di fiducia nell'altro. La via del bene comune, di vedere tutto nella logica del dono da ricevere e da ridonare, apre orizzonti nuovi e dona speranza.
Aveva capito così bene quanto è grande la misericordia di Dio che a L'Aquila per la sua elezione a pontefice volle "La Perdonanza". Un segno forte che denuncia la gravità del peccato e della divisione e che esalta la misericordia di Dio che perdona le colpe e le pene, che cerca la pace, che dona la pace all'uomo.

Non ci può essere giustizia senza perdono. Molti oggi sono giustizialisti. Ma se non c'è il perdono, la riconciliazione dei cuori, anche dopo avere applicato la giustizia, non può avvenire. Si rimane nuovamente divisi, separati, contrapposti. È necessario il perdono di Dio, la sua misericordia, la riconciliazione con lui perché possa esserci riconciliazione fra gli uomini.

Dopo la sua elezione a pontefice tocca con mano come l'uomo è avido di potere. Comprende che è ingannato da quelli che lo circondano, che approfittano della sua inesperienza per strappargli benefici. Egli continua a scavare nel suo cuore e cerca il Signore Gesù con tutte le forze per servire solo Lui, via, verità e vita. Nel suo cuore, dove per tutta la vita, ha cercato di fare deserto da ogni potere e vanità, niente può attecchire se non Dio solo. Un uomo liberato perciò libero dal potere. "Il Papa, come per dovere aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere vi rinuncia; non per viltà... ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere" (cfr. Omaggio di Paolo VI a San Celestino V. Fumone, 1 settembre 1966).

L'uomo è assetato di potere, di voler dominare l'altro. La conversione di una visione del potere, inteso come schiacciare gli altri, a servire gli altri è un cammino lungo. È la via evangelica sempre più necessaria.
Pochi anni dopo la sua morte viene proclamato santo. La santità è possibile perché c'è il primato della grazia. Tutti siamo chiamati alla santità che è il segno di una vita riuscita. È la risposta più seria all'amore di Dio. È l'adesione più piena ai suoi disegni. È il trionfo della grazia. Santità è luce che si diffonde nel mondo grazie a innumerevoli lucerne vive, accese dalla grazia e seminate dovunque. Esse prendono luce dall'alto, ma sono saldamente piantate in terra. Esse fugano l'oscurità del mondo trasformandolo in un tripudio di luce:  "Voi siete la luce del mondo... Risplenda la vostra luce davanti agli uomini" (Matteo, 5, 14). La morte non fu per Pietro Celestino V la fine, ma il principio della gloria, oltre che nel paradiso, anche sulla terra. Indica oggi a tutti che una terra senza cielo diventa fango e guardando il cielo, camminando verso il cielo diventa giardino. Giardino di Dio, di santità, di luce, di bellezza, di gioia, di gloria.

La visita pastorale di Benedetto XVI a Sulmona, nell'anno giubilare Celestiniano, è un grande dono fatto alla diocesi di Sulmona-Valva, alla città di Sulmona, all'Abruzzo intero, alla regione ecclesiastica Abruzzese-Molisana. La sua venuta è per tutti motivo di gioia, di consolazione e di speranza. Confermandoci nella fede e nella carità il Papa aprirà solchi nuovi per non avere paura a progettare il futuro.

Nel capitolo v della Lumen gentium i Padri  conciliari  hanno  sottolineato "la vocazione universale alla santità" (cfr. Lg 40). "È ora di riproporre a tutti con convinzione questa "misura alta" della vita cristiana ordinaria:  tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione" (Novo millennio ineunte, 31). "La santità non è un lusso, non è un privilegio per pochi, un traguardo impossibile per un uomo normale; essa, in realtà, è il destino comune di tutti gli uomini chiamati a essere figli di Dio, la vocazione di tutti i battezzati" (Benedetto XVI, udienza generale, 20 agosto 2008).

Partendo da questa esigenza forte di una Chiesa, tutta chiamata alla santità, si aprono orizzonti programmatici nuovi, e anche la società civile riceve nuova spinta di speranza soprattutto dopo il sisma del 6 aprile 2009 e la crisi economica per la mancanza di lavoro soprattutto nell'entroterra abruzzese.
San Pietro Celestino invita tutti noi,
mentre camminiamo sulla terra, ad avere fisso lo sguardo alle cose di lassù, quelle del cielo, che rimangono in eterno.



(©L'Osservatore Romano - 4 luglio 2010)
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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A SULMONA (4 LUGLIO 2010), 04.07.2010

                                           Pope Benedict XVI leads a mass next the relics of Saint Celestino V during his pastoral visit to Sulmona, central Italy, July 4, 2010.

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN PIAZZA GARIBALDI


Alle ore 8.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI parte in elicottero dall’eliporto vaticano per la Visita Pastorale a Sulmona, in occasione dell’Anno Giubilare Celestiniano. Prima dell’atterraggio a Sulmona, l’elicottero del Santo Padre sorvola l’Abbazia di Santo Spirito e l’Eremo di Sant’Onofrio sul Morrone, luoghi legati alla vita del monaco Pietro da Morrone, poi Papa con il nome di Celestino V.
All’arrivo - previsto per le ore 9.20 - al campo sportivo "Serafini" del complesso sportivo dell’Incoronata, il Papa è accolto dal Vescovo di Sulmona-Valva, S.E. Mons. Angelo Spina e dall’ On. Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rappresentante del Governo Italiano, insieme alle altre Autorità politiche, civili ed ecclesiastiche.
Il Santo Padre raggiunge in auto Piazza Garibaldi dove lo attendono i fedeli per la Celebrazione Eucaristica e riceve il saluto del Sindaco di Sulmona, Dott. Fabio Federico e del Vescovo S.E. Mons. Angelo Spina.


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sono molto lieto di essere oggi in mezzo a voi e celebrare con voi e per voi questa solenne Eucaristia. Saluto il vostro Pastore, il Vescovo Mons. Angelo Spina: lo ringrazio per le calorose espressioni di benvenuto che mi ha rivolto a nome di tutti, e per i doni che mi ha offerto e che apprezzo molto nella loro qualità di “segni” - come li ha definiti - della comunione affettiva ed effettiva che lega il popolo di questa cara Terra d’Abruzzo al Successore di Pietro. Saluto gli Arcivescovi e i Vescovi presenti, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i rappresentanti delle Associazioni e dei Movimenti ecclesiali. Rivolgo un deferente pensiero al Sindaco, Dottor Fabio Federico, grato per il cortese indirizzo di saluto, al rappresentante del Governo ed alle Autorità civili e militari. Un ringraziamento speciale a quanti hanno generosamente offerto la loro collaborazione per realizzare questa mia Visita Pastorale.

Cari fratelli e sorelle! Sono venuto per condividere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni di questa Comunità diocesana. So bene che anche a Sulmona non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni: penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro, dell’incertezza per il futuro, della sofferenza fisica e morale e - come ha ricordato il Vescovo - del senso di smarrimento dovuto al sisma del 6 aprile 2009. A tutti voglio assicurare la mia vicinanza ed il mio ricordo nella preghiera, mentre incoraggio a perseverare nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione.

Cari amici! La mia Visita avviene in occasione dello speciale Anno Giubilare indetto dai Vescovi dell’Abruzzo e del Molise per celebrare gli ottocento anni della nascita di san Pietro Celestino.

Sorvolando il vostro territorio, ho potuto contemplare la bellezza del paesaggio e, soprattutto, ammirare alcune località strettamente legate alla vita di questa insigne figura: il Monte Morrone, dove Pietro condusse per molto tempo vita eremitica; l’Eremo di Sant’Onofrio, dove nel 1294 lo raggiunse la notizia della sua elezione a Sommo Pontefice, avvenuta nel Conclave di Perugia; e l’Abbazia di Santo Spirito, il cui altare maggiore venne da lui consacrato dopo la sua incoronazione, avvenuta nella Basilica di Collemaggio a L’Aquila. In questa Basilica io stesso, nell’aprile dell’anno scorso, dopo il terremoto che ha devastato la Regione, mi sono recato per venerare l’urna con le sue spoglie e lasciare il pallio ricevuto nel giorno dell’inizio del mio Pontificato.

Sono passati ben ottocento anni dalla nascita di san Pietro Celestino V, ma egli rimane nella storia per le note vicende del suo tempo e del suo pontificato e, soprattutto, per la sua santità. La santità, infatti, non perde mai la propria forza attrattiva, non cade nell’oblio, non passa mai di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende con sempre maggiore luminosità, esprimendo la perenne tensione dell’uomo verso Dio. Dalla vita di san Pietro Celestino vorrei allora raccogliere alcuni insegnamenti, validi anche ai nostri giorni.

Pietro Angelerio sin dalla sua giovinezza è stato un “cercatore di Dio”, un uomo desideroso di trovare risposte ai grandi interrogativi dell’esistenza: chi sono, da dove vengo, perché vivo, per chi vivo? Egli si mette in viaggio alla ricerca della verità e della felicità, si mette alla ricerca di Dio e, per ascoltarne la voce, decide di separarsi dal mondo e di vivere da eremita.

Il silenzio diventa così l'elemento che caratterizza il suo vivere quotidiano. Ed è proprio nel silenzio esteriore, ma soprattutto in quello interiore, che egli riesce a percepire la voce di Dio, capace di orientare la sua vita. C’è qui un primo aspetto importante per noi: viviamo in una società in cui ogni spazio, ogni momento sembra debba essere “riempito” da iniziative, da attività, da suoni; spesso non c’è il tempo neppure per ascoltare e per dialogare. Cari fratelli e sorelle! Non abbiamo paura di fare silenzio fuori e dentro di noi, se vogliamo essere capaci non solo di percepire la voce di Dio, ma anche quella di chi ci sta accanto, degli altri.

Ma è importante sottolineare anche un secondo elemento: la scoperta del Signore che fa Pietro Angelerio non è il risultato di un suo sforzo, ma è resa possibile dalla Grazia stessa di Dio, che lo previene. Ciò che egli aveva, ciò che egli era, non gli veniva da sé: gli era stato donato, era grazia, ed era perciò anche responsabilità davanti a Dio e davanti agli altri. Sebbene la nostra vita sia molto diversa, anche per noi vale la stessa cosa: tutto l’essenziale della nostra esistenza ci è stato donato senza nostro apporto.

Il fatto che io viva non dipende da me; il fatto che ci siano state persone che mi hanno introdotto nella vita, che mi hanno insegnato cosa sia amare ed essere amati, che mi hanno trasmesso la fede e mi hanno aperto lo sguardo a Dio: tutto ciò è grazia, non è fatto da me. Da noi stessi non avremmo potuto fare nulla se non ci fosse stato donato: Dio ci anticipa sempre e in ogni singola vita c’è del bello e del buono che noi possiamo riconoscere facilmente come sua grazia, come raggio di luce della sua bontà. Per questo dobbiamo essere attenti, tenere sempre aperti gli “occhi interiori”, quelli del nostro cuore. E se noi impariamo a conoscere Dio nella sua bontà infinita, allora saremo capaci anche di vedere, con stupore, nella nostra vita – come i Santi – i segni di quel Dio, che ci è sempre vicino, che è sempre buono con noi, che ci dice: “Abbi fede in me!”.

Nel silenzio interiore, nella percezione della presenza del Signore, Pietro del Morrone aveva maturato, inoltre, un’esperienza viva della bellezza del creato, opera delle mani di Dio: ne sapeva cogliere il senso profondo, ne rispettava i segni e i ritmi, ne faceva uso per ciò che è essenziale alla vita. So che questa Chiesa locale, come pure le altre dell’Abruzzo e del Molise, sono attivamente impegnate in una campagna di sensibilizzazione per la promozione del bene comune e della salvaguardia del creato: vi incoraggio in questo vostro sforzo, esortando tutti a sentirsi responsabili del proprio futuro, come pure di quello degli altri, anche rispettando e custodendo la creazione, frutto e segno dell’Amore di Dio.

Nella seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera ai Galati, abbiamo ascoltato una bellissima espressione di san Paolo, che è anche un perfetto ritratto spirituale di san Pietro Celestino: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (6,14).

Davvero la Croce costituì il centro della sua vita, gli diede la forza per affrontare le aspre penitenze e i momenti più impegnativi, dalla giovinezza all’ultima ora: egli fu sempre consapevole che da essa viene la salvezza. La Croce diede a san Pietro Celestino anche una chiara coscienza del peccato, sempre accompagnata da un’altrettanto chiara coscienza dell’infinita misericordia di Dio verso la sua creatura.

Vedendo le braccia aperte e spalancate del suo Dio crocifisso, egli si è sentito portare nel mare infinito dell’amore di Dio. Come sacerdote, ha fatto esperienza della bellezza di essere amministratore di questa misericordia assolvendo i penitenti dal peccato, e, quando fu eletto alla Sede dell’Apostolo Pietro, volle concedere una particolare indulgenza, denominata “La Perdonanza”. Desidero esortare i sacerdoti a farsi testimoni chiari e credibili della buona notizia della riconciliazione con Dio, aiutando l’uomo d’oggi a recuperare il senso del peccato e del perdono di Dio, per sperimentare quella gioia sovrabbondante di cui il profeta Isaia ci ha parlato nella prima lettura (cfr Is 66,10-14).

Infine, un ultimo elemento: san Pietro Celestino, pur conducendo vita eremitica, non era “chiuso in se stesso”, ma era preso dalla passione di portare la buona notizia del Vangelo ai fratelli. E il segreto della sua fecondità pastorale stava proprio nel “rimanere” con il Signore, nella preghiera, come ci è stato ricordato anche nel brano evangelico odierno: il primo imperativo è sempre quello di pregare il Signore della messe (cfr Lc 10,2).

Ed è solo dopo questo invito che Gesù definisce alcuni impegni essenziali del discepolo: l’annuncio sereno, chiaro e coraggioso del messaggio evangelico - anche nei momenti di persecuzione – senza cedere né al fascino della moda, né a quello della violenza o dell’imposizione; il distacco dalle preoccupazioni per le cose - il denaro e il vestito – confidando nella Provvidenza del Padre; l’attenzione e cura in particolare verso i malati nel corpo e nello spirito (cfr Lc 10,5-9). Queste furono anche le caratteristiche del breve e sofferto pontificato di Celestino V e queste sono le caratteristiche dell’attività missionaria della Chiesa in ogni epoca.

Cari fratelli e sorelle! Sono in mezzo a voi per confermarvi nella fede. Desidero esortarvi, con forza e con affetto, a rimanere saldi in quella fede che avete ricevuto, che dà senso alla vita e che dona la forza di amare. Ci accompagnino in questo cammino l’esempio e l’intercessione della Madre di Dio e di san Pietro Celestino.
 
Amen!

Pope Benedict XVI waves as he leads a mass during his pastoral visit to Sulmona, central Italy, July 4, 2010.

Pope Benedict XVI (C) celebrates the Holy mass on Garibaldi square in Sulmona on July 4, 2010.

Pope Benedict XVI arrives to lead a mass during his pastoral visit to Sulmona, central Italy, July 4, 2010.

Pope Benedict XVI greets the faithful aboard his popemobile prior to the start of a mass in Sulmona, Italy, Sunday, July 4, 2010. The Pontiff has traveled to a central Italian town to pay homage to Celestine V, the 13th-century hermit pontiff who resigned, saying he was not up to the task. Benedict urged the faithful Sunday to learn from Celestine's sober and simple life. He praised Celestine for his detachment from material things such as money and clothes.

Firefighters adjust the relics of Saint Celestino V before a mass led by Pope Benedict XVI during his pastoral visit to Sulmona, central Italy, July 4, 2010.

Pope Benedict XVI wipes his forehead as he celebrates the Holy mass in central Garibaldi square in Sulmona on July 4, 2010. Pope Benedict XVI  will mark the 800th anniversary of the birth of one of his predecessors, St Celestine V, with a mass and meeting with young people.Pope Benedict XVI waves to the faithfuls as he is about to celebrate the Holy mass in central Garibaldi square in Sulmona on July 4, 2010. Pope Benedict XVI  will mark the 800th anniversary of the birth of one of his predecessors, St Celestine V, with a mass and meeting with young people.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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04/07/2010 16:13
 
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Al termine della Celebrazione Eucaristica in Piazza Garibaldi, il Papa introduce la preghiera mariana dell’Angelus con le seguenti parole:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Al termine di
questa solenne celebrazione, nell’ora del consueto appuntamento domenicale, vi invito a recitare insieme la preghiera dell’Angelus.

Alla Vergine Maria, che venerate con particolare devozione nel Santuario della Madonna della Libera, affido questa Chiesa di Sulmona-Valva: il Vescovo, i sacerdoti e tutto il popolo di Dio. Possa camminare unita e gioiosa nella via della fede, della speranza e della carità. Fedele all’eredità di san Pietro Celestino, sappia sempre comporre la radicalità evangelica e la misericordia, perché tutti coloro che cercano Dio lo possano trovare.

In Maria, Vergine del silenzio e dell’ascolto, san Pietro del Morrone trovò il modello perfetto di obbedienza alla volontà divina, in una vita semplice e umile, protesa alla ricerca di ciò che è veramente essenziale, capace di ringraziare sempre il Signore riconoscendo in ogni cosa un dono della sua bontà.

Anche noi, che viviamo in un’epoca di maggiori comodità e possibilità, siamo chiamati ad apprezzare uno stile di vita sobrio, per conservare più liberi la mente ed il cuore e per poter condividere i beni con i fratelli. Maria Santissima, che animò con la sua presenza materna la prima comunità dei discepoli di Gesù, aiuti anche la Chiesa di oggi a dare buona testimonianza del Vangelo.

Angelus Domini…

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

Conclusa la Santa Messa, il Papa raggiunge in auto la Casa Sacerdotale del Centro pastorale diocesano di Sulmona per il pranzo con i Vescovi Abruzzesi e per una sosta di riposo.
La Casa Sacerdotale, destinata ad alloggiare i sacerdoti ammalati e anziani, viene inaugurata oggi dopo i lavori di restauro e intitolata a "Benedetto XVI".

Alle 16.30, prima di lasciare la Casa Sacerdotale, il Santo Padre saluta i membri del Comitato organizzatore della Visita.

Quindi incontra una Delegazione della Casa Circondariale di Sulmona: il Direttore, Dr. Sergio Romice; il Cappellano P. Franco Messori, S.M., e alcuni agenti di custodia e detenuti.
Al termine il Papa si reca in auto alla Cattedrale per l’Incontro con i Giovani.

Fraternamente CaterinaLD

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04/07/2010 20:49
 
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[SM=g1740722]
Il Papa ai giovani a Sulmona: Vogliate bene ai vostri sacerdoti che, pur con tutte le loro debolezze, sono presenze preziose nella vita

STUPENDO E MERAVIGLIOSO DISCORSO DEL PAPA AI GIOVANI DI SULMONA..... [SM=g1740721]


CLICCATE QUI

media01.vatiradio.va/audiomp3/00217589.MP3


PER L'AUDIO INTEGRALE, NE VALE LA PENA!!!!! [SM=g1740722]




[SM=g9503] [SM=g9503] [SM=g9503]

il bellissimo discorso del Papa ai Giovani incontrati a Sulmona....qui a seguire ho montato l'audio con le immagini del viaggio

it.gloria.tv/?media=86047

(per scaricare solo l'audio, entrate nel collegamento e scaricatelo)


[SM=g7430]


[SM=g9433]



[Modificato da Caterina63 05/07/2010 13:58]
Fraternamente CaterinaLD

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Pope Benedict XVI greets a woman during a meeting with youth at the Chatedral in Sulmona on July 4, 2010.Pope Benedict XVI greets a woman during a meeting with youth at the Cathedral in Sulmona, Italy  on July 4, 2010.

This combo shows Pope Benedict XVI smiling during a meeting with youth at the Cathedral in Sulmona on July 4, 2010.

Pope Benedict XVI smiles during a meeting with youth at the Chatedral in Sulmona on July 4, 2010.

Pope Benedict XVI smiles during a meeting with  youth at the Cathedral in Sulmona on July 4, 2010.

Pope Benedict XVI speaks during a meeting with youth at the Chatedral in Sulmona on July 4, 2010.Pope Benedict XVI smiles during a meeting with youth at the Cathedral in Sulmona, Italy on July 4, 2010.

 Pope Benedict XVI arrives at Cathedral in Sulmona, Italy  for a meeting with youth on July 4, 2010. Pope Benedict XVI smiles during a meeting with  youth at the Cathedral in Sulmona on July 4, 2010.

People greet Pope Benedict XVI at  Sulmona's Cathedral after a meeting with the youth on July 4, 2010.



People greet  Pope Benedict XVI at the Cathedral in Sulmona after a meeting with youth on July 4, 2010.

Pope Benedict XVI waves from his popemobile to cheering faithfuls as he arrives at the Chatedral in Sulmona for a meeting with the youth on July 4, 2010.

Pope Benedict XVI is framed by a staircase during his pastoral visit to Sulmona, central Italy, July 4, 2010.
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DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari giovani!

Prima di tutto voglio dirvi che sono molto contento di incontrarvi!

Ringrazio Dio per questa possibilità che mi offre di rimanere un po’ con voi, come un padre di famiglia, insieme con il vostro Vescovo e i vostri sacerdoti. Vi ringrazio per l’affetto che mi manifestate con tanto calore! Ma vi ringrazio anche per ciò che mi avete detto, attraverso i vostri due “portavoce”, Francesca e Cristian.

Mi avete fatto delle domande, con molta franchezza, e, nello stesso tempo, avete dimostrato di avere dei punti fermi, delle convinzioni. E questo è molto importante. Siete ragazzi e ragazze che riflettono, che si interrogano, e che hanno anche il senso della verità e del bene.
Sapete, cioè, usare la mente ed il cuore, e questo non è poco! Anzi, direi che è la cosa principale in questo mondo: imparare a usare bene l’intelligenza e la sapienza che Dio ci ha donato!
La gente di questa vostra terra, in passato, non aveva molti mezzi per studiare, e nemmeno per affermarsi nella società, ma possedeva ciò che rende veramente ricco un uomo e una donna: la fede e i valori morali. E’ questo che costruisce le persone e la convivenza civile!


Dalle vostre parole emergono due aspetti fondamentali: uno positivo e uno negativo. L’aspetto positivo è dato dalla vostra visione cristiana della vita, un’educazione che evidentemente avete ricevuto dai genitori, dai nonni, dagli altri educatori: sacerdoti, insegnanti, catechisti. L’aspetto negativo sta nelle ombre che oscurano il vostro orizzonte: sono problemi concreti, che rendono difficile guardare al futuro con serenità e ottimismo; ma sono anche falsi valori e modelli illusori, che vi vengono proposti e che promettono di riempire la vita, mentre invece la svuotano. Cosa fare, allora, perché queste ombre non diventino troppo pesanti? Anzitutto, vedo che siete giovani con una buona memoria! Sì, mi ha colpito il fatto che abbiate riportato espressioni che ho pronunciato a
Sydney, in Australia, durante la Giornata Mondiale della Gioventù del 2008. E poi avete ricordato che le GMG sono nate 25 anni fa.

Ma soprattutto avete dimostrato di avere una vostra memoria storica legata alla vostra terra: mi avete parlato di un personaggio nato otto secoli fa, san Pietro Celestino V, e avete detto che lo considerate ancora molto attuale! Vedete, cari amici, in questo modo, voi avete, come si usa dire, “una marcia in più”.
Sì, la memoria storica è veramente una “marcia in più” nella vita, perché senza memoria non c’è futuro. Una volta si diceva che la storia è maestra di vita!

La cultura consumistica attuale tende invece ad appiattire l’uomo sul presente, a fargli perdere il senso del passato, della storia; ma così facendo lo priva anche della capacità di comprendere se stesso, di percepire i problemi, e di costruire il domani. Quindi, cari giovani e care giovani, voglio dirvi: il cristiano è uno che ha buona memoria, che ama la storia e cerca di conoscerla.

Per questo vi ringrazio, perché mi parlate di san Pietro del Morrone, Celestino V, e siete capaci di valorizzare la sua esperienza oggi, in un mondo così diverso, ma proprio per questo bisognoso di riscoprire alcune cose che valgono sempre, che sono perenni, ad esempio la capacità di ascoltare Dio nel silenzio esteriore e soprattutto interiore.

Poco fa mi avete chiesto: come si può riconoscere la chiamata di Dio? Ebbene, il segreto della vocazione sta nella capacità e nella gioia di distinguere, ascoltare e seguire la sua voce. Ma per fare questo, è necessario abituare il nostro cuore a riconoscere il Signore, a sentirlo come un Persona che mi è vicina e mi ama.

Come ho detto questa mattina, è importante imparare a vivere momenti di silenzio interiore nelle proprie giornate per essere capaci di sentire la voce del Signore.

State certi che se uno impara ad ascoltare questa voce e a seguirla con generosità, non ha paura di nulla, sa e sente che Dio è con lui, con lei, che è Amico, Padre e Fratello. Detto in una sola parola: il segreto della vocazione sta nel rapporto con Dio, nella preghiera che cresce proprio nel silenzio interiore, nella capacità di ascoltare che Dio è vicino. E questo è vero sia prima della scelta, al momento, cioè, di decidere e di partire, sia dopo, se si vuole essere fedeli e perseverare nel cammino. San Pietro Celestino è stato prima di tutto questo: un uomo di ascolto, di silenzio interiore, un uomo di preghiera, un uomo di Dio. Cari giovani: trovate sempre uno spazio nelle vostre giornate per Dio, per ascoltarlo e parlargli!

E qui, vorrei dirvi una seconda cosa: la vera preghiera non è affatto estranea alla realtà. Se pregare vi alienasse, vi togliesse dalla vostra vita reale, state in guardia: non sarebbe vera preghiera!

Al contrario, il dialogo con Dio è garanzia di verità, di verità con se stessi e con gli altri,e così di libertà. Stare con Dio, ascoltare la sua Parola, nel Vangelo, nella liturgia della Chiesa, difende dagli abbagli dell’orgoglio e della presunzione, dalle mode e dai conformismi, e dà la forza di essere veramente liberi, anche da certe tentazioni mascherate da cose buone.

Mi avete chiesto: come possiamo essere “nel” mondo ma non “del” mondo? Vi rispondo: proprio grazie alla preghiera, al contatto personale con Dio. Non si tratta di moltiplicare le parole – lo diceva già Gesù –, ma di stare alla presenza di Dio, facendo proprie, nella mente e nel cuore, le espressioni del “Padre Nostro”, che abbraccia tutti i problemi della nostra vita, oppure adorando l’Eucaristia, meditando il Vangelo nella nostra stanza, o partecipando con raccoglimento alla liturgia.

Tutto questo non distoglie dalla vita, ma aiuta invece ad essere veramente se stessi in ogni ambiente, fedeli alla voce di Dio che parla alla coscienza, liberi dai condizionamenti del momento! Così fu per san Celestino V: egli seppe agire secondo coscienza in obbedienza a Dio, e perciò senza paura e con grande coraggio, anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve Pontificato, non temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste nell’essere nella verità. E il garante della verità è Dio. Chi segue Lui non ha paura nemmeno di rinunciare a se stesso, alla sua propria idea, perché “chi ha Dio, nulla gli manca”, come diceva santa Teresa d’Avila.

Cari amici! La fede e la preghiera non risolvono i problemi, ma permettono di affrontarli con una luce e una forza nuova, in modo degno dell’uomo, e anche in modo più sereno ed efficace. Se guardiamo alla storia della Chiesa vedremo che è ricca di figure di Santi e Beati che, proprio partendo da un intenso e costante dialogo con Dio, illuminati dalla fede, hanno saputo trovare soluzioni creative, sempre nuove, per rispondere a bisogni umani concreti in tutti i secoli: la salute, l’istruzione, il lavoro, eccetera. La loro intraprendenza era animata dallo Spirito Santo e da un amore forte e generoso per i fratelli, specialmente per quelli più deboli e svantaggiati.

Cari giovani! Lasciatevi conquistare totalmente da Cristo! Mettetevi anche voi, con decisione, sulla strada della santità, cioè dall’essere in contatto, in conformità con Dio, – strada che è aperta a tutti – perché questo vi farà diventare anche più creativi nel cercare soluzioni ai problemi che incontrate, e nel cercarle insieme!

Ecco un altro (segno) distintivo del cristiano: non è mai un individualista. Forse voi mi direte: ma se guardiamo, ad esempio, a san Pietro Celestino, nella scelta della vita eremitica non c’era forse individualismo, fuga dalle responsabilità? Certo, questa tentazione esiste. Ma nelle esperienze approvate dalla Chiesa, la vita solitaria di preghiera e di penitenza è sempre al servizio della comunità, apre agli altri, non è mai in contrapposizione ai bisogni della comunità. Gli eremi e i monasteri sono oasi e sorgenti di vita spirituale da cui tutti possono attingere. Il monaco non vive per sé, ma per gli altri, ed è per il bene della Chiesa e della società che coltiva la vita contemplativa, perché la Chiesa e la società possano essere sempre irrigate da energie nuove, dall’azione del Signore. Cari giovani! Amate le vostre Comunità cristiane, non abbiate paura di impegnarvi a vivere insieme l’esperienza di fede! Vogliate bene alla Chiesa: vi ha dato la fede, vi ha fatto conoscere Cristo! E vogliate bene al vostro Vescovo, ai vostri Sacerdoti: con tutte le nostre debolezze, i sacerdoti sono presenze preziose nella vita!

Il giovane ricco del Vangelo, dopo che Gesù gli propose di lasciare tutto e di seguirlo - come sappiamo - se ne andò via triste, perché era troppo attaccato ai suoi beni (cfr Mt 19,22). Invece in voi io leggo la gioia! E anche questo è un segno che siete cristiani: che per voi Gesù Cristo vale molto, anche se è impegnativo seguirlo, vale più di qualunque altra cosa. Avete creduto che Dio è la perla preziosa che dà valore a tutto il resto: alla famiglia, allo studio, al lavoro, all’amore umano… alla vita stessa. Avete capito che Dio non vi toglie nulla, ma vi dà il “centuplo” e rende eterna la vostra vita, perché Dio è Amore infinito: l’unico che sazia il nostro cuore. Mi piace ricordare l’esperienza di sant’Agostino, un giovane che ha cercato con grande difficoltà, a lungo, al di fuori di Dio, qualcosa che saziasse la sua sete di verità e di felicità. Ma alla fine di questo cammino di ricerca ha capito che il nostro cuore è senza pace finché non trova Dio, finché non riposa in Lui (cfr Le Confessioni 1,1).

Cari giovani! Conservate il vostro entusiasmo, la vostra gioia, quella che nasce dall’aver incontrato il Signore e sappiate comunicarla anche ai vostri amici, ai vostri coetanei! Ora devo ripartire e debbo dirvi come mi dispiace lasciarvi! Con voi sento che la Chiesa è giovane! Ma riparto contento, come un padre che è sereno perché ha visto che i figli stanno crescendo e stanno crescendo bene.

Camminate, cari ragazzi e care ragazze! Camminate nella via del Vangelo; amate la Chiesa, nostra madre; siate semplici e puri di cuore; siate miti e forti nella verità; siate umili e generosi. Vi affido tutti ai vostri santi Patroni, a San Pietro Celestino e soprattutto alla Vergine Maria, e con grande affetto vi benedico.
 
Amen.






Fraternamente CaterinaLD

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06/07/2010 23:48
 
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 Incontro con i carcerati...






Il saluto di Benedetto XVI a una delegazione del carcere durante la visita pastorale alla città abruzzese

Anche dai detenuti un contributo alla società



dal nostro inviato Gianluca Biccini

"Sono felice di essere con voi. Avrei voluto incontrarvi tutti", perciò "portate il mio saluto" agli altri detenuti. "Vi sono sempre vicino e prego affinché il Signore vi aiuti in questo cammino non facile:  vi porterò nel mio cuore e di cuore vi auguro che possiate trovare la via per dare un contributo alla società, secondo le vostre capacità e i doni che Dio vi ha dato. Nella mia preghiera siete sempre presenti".

Con parole improvvisate, lontano da microfoni e telecamere, Benedetto XVI ha salutato così una delegazione della casa circondariale di Sulmona.

Domenica pomeriggio, 4 luglio, durante la visita pastorale alla città - in occasione dell'anno giubilare voluto dai vescovi della regione ecclesiastica Abruzzo-Molise per l'ottavo centenario della nascita di san Pietro Celestino - il Papa ha di nuovo affrontato il delicato tema della sofferenza della popolazione carceraria. Un breve saluto - non previsto dal programma - richiesto dal cappellano, il marista Franco Messori, mentre nella casa sacerdotale attigua al vescovado presentava al Pontefice il direttore dell'istituto Sergio Romice, alcuni agenti di custodia e cinque rappresentanti - il più giovane si chiama Catalin, ha poco più di trent'anni e viene dalla Romania - dei 420 detenuti e internati che affollano la struttura.

Non è la prima volta che Benedetto XVI mostra la sua sollecitudine verso questa realtà. Lo aveva fatto nell'aprile scorso, scrivendo un messaggio ai detenuti maltesi durante il viaggio nell'isola del Mediterraneo, e il 18 marzo 2007, quando visitò l'istituto penale per minori di Casal del Marmo a Roma. "Ho chiesto al Papa - ci ha confidato il cappellano - una parola di luce e di speranza, perché incontrando questi cinque uomini il suo messaggio giunga a tutti i detenuti abruzzesi e delle altre case circondariali d'Italia". Padre Messori non condivide la definizione di "carcere dei suicidi" data dai media alla struttura detentiva sulmonese, ma evidenzia la necessità di maggiori fondi per l'istruzione e il lavoro. "Senza queste due cose - spiega - non ci sono possibilità di reinserimento". Anche per questo all'incontro privato con Benedetto XVI - durato una decina di minuti - ha partecipato anche la responsabile dei programmi educativi.

Fraternamente CaterinaLD

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08/07/2010 23:50
 
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La S. Messa del Papa a Sulmona

Con particolare contentezza abbiamo notato che domenica il giornalista RAI , a cui era affidato il commento della diretta della Santa Messa di Papa Benedetto XVI a Sulmona, ha invitato ad ascoltare le musiche che arricchivano la sacra liturgia. Un fatto decisamente nuovo nella conduzione televisiva delle dirette papali. Di solito, purtroppo, le esecuzioni musicali, che sono parte integrante delle preghiere liturgiche, vengono bruscamente interrotte.



Il giornalista ci ha fatto sapere che le musiche che sarebbero state eseguite erano state composte dal Maestro Simone Baiocchi e dedicate a Papa Benedetto XVI.

Il canto del Tu es Petrus, che ha accolto, come la tradizione insegna, il Pontefice benedicente, mentre il Direttore faceva rispettosamente il segno della Croce; la Messa, in “stile romano”, alternata con la Messa VIII in canto gregoriano sono state le “perle” della Messa Papale.

Non voglio tuttavia parlare dello splendido coro e dell’Orchestra: l’esecuzione ha messo in risalto quanto ancora i cori liturgici riescono a fare per veicolare la cultura italiana!

Vorrei sottolineare lo “stile romano” di cui sono imperneate le composizioni del Maestro Baiocchi, allievo di Mons. Domenico Bartolucci; il massimo esponente, in epoca contemporanea, di quello stile compositivo.

Nell’esecuzione di ieri le frasi polifoniche della Messa sono state sostenute dall’orchestra. Le esecuzioni corali all’aperto consigliano queste soluzioni.

Sono desideroso di ascoltare la Messa all’interno di una chiesa e con il coro “ a cappella” come lo stesso Maestro Baiocchi rigidamente predilige.

Il “romano” Baiocchi è come un cavaliere che attende fiducioso, assieme ad altri nobili paladini della bellezza, i decisivi rinforzi per continuare la battaglia contro la mediocrità e contro il cattivo gusto musicale e liturgico. Il “cavaliere romano” Baiocchi non ha mai abbassato il livello della dignità artistica perché ama profondamente la Liturgia cattolica.

Dai “salmi responsoriali” per le domeniche dell’anno liturgico ai polifonici “mottetti” per l’Avvento e la Quaresima il filo conduttore dell’opera di Baiocchi è la nobiltà compositiva a servizio della “nobile sposa della Liturgia” come ebbe a dire il Servo di Dio Paolo VI.

Lo stile compositivo del “cavaliere romano Baiocchi” ha sempre generato l’ammirazione di tutti gli estimatori della musica sacra.

A giudicare dal volto sorridente del Papa vorremmo temerariamente affermare che anche Benedetto XVI ha apprezzato le musiche che Gli sono state dedicate. Un po' meno sembrava apprezzare - ma forse è solo un'impressione fallace data dalle riprese televisive - quel Vescovo che durante il canto solenne del Gloria si girava spesso, invece che cantare le frasi gregoriane: Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Bruno Forte, Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto.


Andrea Carradori
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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