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Chi è la "SUORA" chi è la "MONACA" o il Monaco? e cosa sono le Persone Consacrate?

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2013 00:01
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19/11/2010 17:43
 
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Perché vivere in clausura

Sui passi di Chiara d'Assisi


di Angela Emanuela Scandella
Presidente Federazione Clarisse dell'Umbria
 
La testimonianza della vita contemplativa claustrale non può spegnersi nella Chiesa. La fedeltà del Signore alla sua Sposa bella, la santa Madre Chiesa non è venuta e non viene meno. Egli parla, chiama, avanza con la sovranità della sua mitezza (cfr. Sal 45) nel tempo in cui in tanti modi Dio viene percepito e definito come il grande assente, che nulla ha a che fare con la storia e col destino del mondo. Nel tempo in cui l'uomo diventa "esperimento di se stesso" risuona ancora l'appello del Signore con parole che sanno di vita eterna:  Egli chiama, attira irresistibilmente.

Perché il monastero? Meglio sarebbe dire:  per chi entrare in monastero? Nella coscienza delle giovani sorelle, che da poco hanno varcato la soglia della clausura, la gratuità dell'amore e della chiamata di Dio è il primo motivo vocazionale. Una gratuità incontrata come risposta a una domanda di verità, a una ricerca sempre più esplicita e consapevole di vita, di amore, di libertà e felicità autentici; talvolta anche nell'esperienza sofferta di un cuore smarrito e riconciliato, un cuore inquieto che si riposa alla fine in Dio.

Una gratuità che risuona come eco umana in una chiamata a fare verità sulla propria vita, a "essere" e non a "fare". Una chiamata all'amore in risposta a un Amore pieno e fedele, nel desiderio di un'appartenenza totale al Signore, che tocchi davvero e in profondità tutto della persona. La forma di vita contemplativa nella sua dimensione claustrale viene colta come possibilità di vivere questa esperienza di totalità, un entrare dentro il silenzioso amore che abita il Cuore di Cristo nel mistero della sua Incarnazione e della sua croce. È la possibilità data alla creatura di restituirsi al Creatore, nella lode e nel rendimento di grazie.

Ancora, è l'intuizione che Dio solo può chiedere a una persona umana:  occupare nella sua vita non il "primo" posto, ma "l'unico" posto. Scegliere, intuendo una fecondità "altra". La fecondità dell'Evangelo e della sua logica che rovescia le logiche della cultura odierna. Al tempo estremamente concentrato e allo spazio infinitamente dilatato, proprio del mondo della tecnologia e dell'informatica, il cui esito è l'estrema superficialità e l'incalzare frenetico, la vita claustrale risponde con uno spazio concentrato e un tempo dilatato in Cristo, "Verbum abbreviatum", in cui Dio ha tempo per l'uomo. Vivere in monastero è scegliere di entrare in tale mistero.

In Chiara d'Assisi si percepisce la dimensione sponsale e mariana, nella bellezza dell'essenzialità, della semplicità, della radicalità evangelica della sua sequela del Signore nel mistero della sua povertà e obbedienza, del suo portare in comunione con Lui, il Servo, "il peso della carità vicendevole", fino al dono della vita nella logica della restituzione imparata dall'Eucaristia. Una restituzione di sé che percorre la via nascosta, semplice - e per molti oggi inutile - dell'umile fatica quotidiana, che rende partecipi di quella fatica del vivere che tanta parte di umanità conosce e che testimonia, nella pazienza dei giorni, la presenza viva del Signore.
 
Chiara d'Assisi è "donna nuova" nel suo essere - una cosa sola con le sue sorelle - cellula di Chiesa riparata, secondo il mandato del Crocifisso a Francesco d'Assisi. Una vocazione ecclesiale, che passa per la "riparazione del cuore", che è lasciarsi guardare e definire dal Signore nella verità della nostra debolezza e miseria, che è lasciarsi misurare dai rapporti fraterni per la costruzione di quella "santa unità" che è la carità stessa di Dio partecipata in Cristo e nel suo Spirito ai "figli di Dio dispersi". Una lenta costruzione quella della vita fraterna, scuola di comunione, di riconciliazione e di misericordia, "luogo teologico" della nostra esperienza di Dio e che è risposta evangelica alla sfida dell'alterità, in un tempo segnato dal frantumarsi dei legami più vitali.

Perché perseverare in una vocazione contemplativa claustrale? Perché è ancora possibile pensare a una definitività di impegno, di dedizione, in un mondo in cui tutto è segnato e condizionato dal soggettivo, dall'emotivo, dal temporaneo, dall'instabile? Rimanere perché Dio è Dio, perché la verità dell'uomo è l'essere fatto per un legame costitutivo con il Creatore, rinnegato il quale l'uomo smarrisce se stesso. Rimanere per sempre, perché l'amore vero non si consuma, non si esaurisce. Per sempre, perché, con le parole della nostra madre santa Chiara, "l'amore di Cristo rende felici".


Nel chiostro un modo di vivere in Cristo

L'umano rigenerato



Paradossalmente, è proprio dal riservato recinto di un chiostro che emerge la singolare testimonianza di una vita in cui l'umano, nell'atto stesso in cui sembra essere stato rinnegato, si afferma con pienezza, animato da valori che ne illuminano le più profonde aspirazioni. La separazione materiale dal mondo e il distacco dalle realtà transitorie della vita non sono altro che una condizione per attuare con assoluta libertà il quotidiano cammino di conversione e di trasformazione in Cristo. Il sereno ritmo di vita, scandito dalla preghiera, dal lavoro spesso faticoso, dalla comunione fraterna in cui ciascuna è dono di sé all'altra, l'atmosfera di silenzio e di religioso ascolto del Verbo della vita, creano quell'equilibrio umano che traspare dai volti delle contemplative e da tutto il loro essere, pervaso dal "frutto dello Spirito:  amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé..." (Galati, 5, 23).

È questa la testimonianza più immediata che le monache offrono a chi si accosta al mondo claustrale, suscitando una segreta attrattiva, dando una risposta a esigenze intime, sopite o ignorate, e a quella sete di Dio che mai il cuore umano potrà estinguere. È stupore, ma è anche profonda nostalgia, il ridestarsi della "naturale inclinazione ad amare Dio sopra tutte le cose, memoria del primo principio e Creatore che ci rammenta - spiega san Francesco di Sales - che apparteniamo alla sua divina bontà" (Trattato dell'amor di Dio, L. i, 18). "Ci hai creati per te, e il nostro cuore non trova pace fin quando non riposa in te!", esclama Agostino (Confessioni, i, 1).

"La clausura non è solo un mezzo ascetico di immenso valore, ma un modo di vivere la Pasqua di Cristo. Da esperienza di "morte" essa diventa sovrabbondanza di "vita", ponendosi come gioioso annuncio e anticipazione profetica della possibilità offerta ad ogni persona e all'umanità intera di vivere unicamente per Dio, in Cristo Gesù (cfr. Romani, 6, 11). La clausura evoca dunque quella cella del cuore in cui ciascuno è chiamato a vivere l'unione con il Signore. Accolta come dono e scelta come libera risposta di amore, essa è il luogo della comunione spirituale con Dio e con i fratelli e le sorelle, dove la limitazione degli spazi e dei contatti opera a vantaggio dell'interiorizzazione dei valori evangelici (cfr. Giovanni, 13, 34; Matteo, 5, 3.8)" (Vita Consecrata, 59). Viene indicato, pertanto, nel magistero pontificio il senso proprio della vocazione contemplativa claustrale, nel cuore della Chiesa e dell'umanità, riconoscendole uno speciale ruolo di profezia dell'Assoluto, e di testimonianza della intima tensione verso la perfezione della carità; non la mera perfezione umana privilegiata dalla moderna antropologia, ma la perfezione dell'essere secondo il progetto del Creatore, in obbedienza alla legge dell'amore, primo e sommo comandamento.

È ancora Francesco di Sales che, nella prospettiva eminentemente soprannaturale del suo umanesimo, addita questa suprema dignità dell'uomo con una celebre affermazione:  "L'uomo è la perfezione dell'universo, lo spirito la perfezione dell'uomo, l'amore quella dello spirito, la carità quella dell'amore. Ecco perché l'amore di Dio è il fine, la perfezione e l'eccellenza dell'universo" (Trattato, x, i). Dal primo principio, come da sorgente, si ascende al fine ultimo:  la perfezione della carità, culmine dell'essere umano, creato e redento, per entrare nella comunione d'amore con Dio. In semplicità e umiltà di vita, una comunità contemplativa si situa in seno a questo mistero di elezione, compiendo un cammino di perfezione che conosce le gioie ma anche le austere esigenze della sequela di Cristo.

Un monastero, infatti, non è una tenda piantata sul Tabor per la beatitudine della contemplazione, ma un deserto da attraversare per un esodo che dura una intera vita, spesso nell'aridità e nella monotonia del quotidiano. La claustrale sa che  dalla  dura  roccia  sgorga l'acqua per la propria sete e per la sete del mondo.

(a cura del monastero della Visitazione di Palermo)




(©L'Osservatore Romano - 20 novembre 2010)

[Modificato da Caterina63 19/11/2010 17:58]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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