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GLI OSTACOLI NEL CAMMINO DELLA TRADIZIONE riflessioni

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2013 12:33
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02/02/2011 23:56
 
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I tre ostacoli nel cammino della tradizione. Terza parte.

Ed eccoci alla terza puntata della serie. Abbiamo individuato già due categorie di persone che si pongono quali veri e propri ostacoli al cammino della Tradizione, ossia alla riappacificazione tra la Chiesa del postconcilio e i difensori della grande eredità dottrinale e liturgica, che lo sbandamento degli ultimi quarant’anni ha rischiato di dilapidare.

Dopo aver parlato dei progressisti, allergici per definizione al senso della Tradizione, e, speculari a quelli, degli estremisti che si sono costruiti la loro idea di chiesa per duri e puri e vedono eresie moderniste anche nelle istruzioni della lavastoviglie, passiamo alla terza – e per ora ultima - categoria. Piccola numericamente, ma assai influente. Sono i c.d. convervatori (da qualcuno definiti teocon). Cattolici ortodossi più papisti del Papa e difensori del suo verbo. Cosa di per sé commendevole, se non fosse che a volte le intenzioni del Papa possono anche essere in senso diverso a quelle che han loro in testa (come, appunto, nel caso del riavvicinamento con la FSSPX). La loro missione è quella di guardiani inflessibili dell’ortodossia, com’essi la intendono. Il Concilio si è autodichiarato pastorale, non dogmatico e ancor meno infallibile? Non conta: guai egualmente a chi osa mettere in dubbio iota unum di quel che il Concilio ha secreto, o la boutade di questo o quel Papa nella più informale delle occasioni. Tutto, in pratica, diviene de fide. Due affermazioni palesemente confliggenti di due papi a distanza di secoli non possono essere, come è ovvio per chiunque, semplici dichiarazioni non vincolanti, contingenti al tempo in cui furon fatte e quindi lecitamente revocabili (o successivamente ripristinabili revocando la revoca). No: entrambe le affermazioni sono, non possono che essere a priori, in perfetta armonia l’una con l’altra, sia pure secondo una sottile logica esoterica che sfugge a chiunque non riesca a condividere questo pseudodogma per cui tutto è Magistero, tutto è vincolante, tutto va introiettato con cieca obbedienza e nessuna domanda, alla 1984 di Orwell.

Il capace prof. Introvigne – che per il resto apprezziamo molto per il sincero sforzo di nobile e approfondita apologetica, e che in ogni caso continuiamo a stimare - rientra, a buon diritto, in questa categoria. Forse anche per una non risolta rottura personale con la Fraternità di mons. Lefebvre, a cui fu per molto tempo vicino, tutto quello che ad essa faccia riferimento o semplicemente possa favorirla, anàthema sit. In ciò però attualizza le parole del Papa: "E se qualcuno osa avvicinarglisi"- al gruppo lefebvriano - "perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo".

Qualche esempio. Cristina Siccardi, alcuni mesi orsono, ha pubblicato una curata e precisa biografia su mons. Lefebvre il cui principale merito è quello di aver messo in luce aspetti del tutto sconosciuti ai più, che mostrano come il cliché di vescovo ribelle, con sentimenti antiromani se non gallicani, scismatico e attaccabrighe, fosse una esagerazione creata proprio dai gruppi che abbiamo indicato nei precedenti post (ossia, dai progressisti e dall’ala oltranzista della Fraternità), mentre i dati storici mostrano un vescovo missionario, molto legato a Roma e al Papa e assai più moderato di quanto le pur sofferte scelte d’insubordinazione facciano immaginare. E’ chiaro che una biografia del genere è importantissima nel sostenere quel progetto benedettiano di riconciliazione: perché da un lato rende più ‘digeribile’ al fedele cattolico qualunque una figura di cui ha sempre sentito dire ogni male; dall’altro, sfata il mito di un Rodomonte anticonciliare, cui si appellano gli oltranzisti della FSSPX.

Ebbene: Introvigne non ha per nulla apprezzato quello studio.

Ma proseguiamo. Un teologo eminente e rispettato, Brunero Gherardini, affronta il tema del Concilio in termini problematici, che si chiudono nel più cattolico e rispettoso dei modi: con un’invocazione al Papa affinché prosegua nei suoi interventi chiarificatori del Concilio e lo riarmonizzi con la Tradizione , magari (come ha suggerito il vescovo Schneider) con un sillabo chiaro e definitorio delle interpretazioni "di rottura" da riprovare. Il saggio del teologo, edito dai Francescani dell’Immacolata e prefato dal vescovo di Albenga (già due garanzie di ortodossia) trova l’appoggio di molti che hanno coscienza della crisi della Chiesa postconciliare; ed anche della FSSPX, pur se i toni pacati e molto romani di Gherardini spiacciono ai soliti pasdaran della Fraternità, per fortuna prontamente rintuzzati nella rivista ad uso interno dei lefebvriani.

Ma il libro non piace affatto ai conservatori.
Dom Basile Valuet, monaco del Barroux, arriva all’inaudita offesa di dubitare delle facoltà intellettive del teologo chiedendosi (cito) "se mons. Gherardini, anziano professore di ecclesiologia e di ecumenismo, sia davvero l’autore del libro che esaminiamo, o se qualcuno abbia approfittato della sua età rispettabile per ingannarlo". Uno che si chiama don Basilio sa evidentemente molto bene, come l’omonimo del Barbiere di Siviglia, che la calunnia è un venticello…

Ebbene: la recensione del frate francese è ripresa ed esaltata in Italia proprio da quegli ambienti di cui parliamo.

L’ultimo testo di Gherardini sul concetto di tradizione, poi, ha suscitato una
fortissima critica 
dello stesso Introvigne: il saggio di Gherardini porterebbe a sostituire al magistero papale una dittatura di teologi…

Su de Mattei, il cui studio storico sull’evento conciliare gli allor ne sfronda, ed alle genti mostra, di che lacrime grondi e di che sangu appare niente meno che sull’Avvenire la
stroncatura, sempre di Introvigne
. Sicché i molti che non hanno letto quel testo assolutamente rispettoso e cattolico, e perfino chi l’ha letto con troppa fretta attraverso le lenti introvigniane, si è convinto a torto che si tratti d’un libro totalmente ribelle, antipapale, pericoloso. Eppure, i testi di de Mattei e Gherardini sono stati presentati un mese fa, alla presenza di vescovi e cardinali, in territorio vaticano: evidentemente non sono le tesi di Wittemberg di Martin Lutero.

In sé, è giusto difendere il concetto dell’ermeneutica della continuità: non c’è altra via concretamente praticabile per depotenziare e circoscrivere la portata fin qui eversiva dell’evento conciliare. Ma sbagliato è dipingere i testi di Gherardini e de Mattei come critiche frontali a quell’intuizione del Papa quando in realtà, mostrando le difficoltà nate dal Concilio ed invocando interventi chiarificatori e soprattutto vincolanti (l’idea del Sillabo…), essi sono nei fatti grandi alleati di quell’ermeneutica.

La forza negativa di quelle stroncature critiche non è minimamente da sottovalutare e l’effetto che produce è la ghettizzazione a priori e la quarantena preventiva di quelle opinioni e di chi le sostiene. Vedremo ad esempio se, nel maggio prossimo, al convegno sul motu proprio che organizzerà l’assai prudente Commissione Ecclesia Dei, Gherardini e de Mattei saranno invitati come relatori.

Che dire poi delle critiche non sempre benevole rivolte agl'intellettuali firmatari dell'appello al Papa per la prossima riunione ad Assisi? Avrete notato chi, oltre al gran visir dei progressisti Melloni, ha gridato alla lesa pontificia maestà...

Questo lungo e sofferto articolo si chiude – come è ormai di moda tra i tradizionalisti – con un appello. Non al Papa, stavolta, ma agli esponenti di questo terzo gruppo. Se l’astio dei progressisti è naturale e scontato; se la rigidità dell’ala dura dei lefebvriani era attesa per le ferite subite in passato e per il settarismo che la ghettizzazione e il rifiuto inevitabilmente alimentano; questo terzo ostacolo è inaspettato e fratricida. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. La Fede vacilla e vescovi canonicamente legittimi negano dogmi fondamentali come la Risurrezione (
legga qui, chi pensa che esageriamo); non ha senso ricacciare nel ghetto, fuori del perimetro visibile della Chiesa, chi quei dogmi, quella fede, quel tesoro liturgico e dottrinale è pronto a difendere col massimo, e indispensabile, ardore.

Enrico



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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