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GLI OSTACOLI NEL CAMMINO DELLA TRADIZIONE riflessioni

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2013 12:33
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30/07/2011 12:08
 
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E’ lecito oggi, nella chiesa, dirsi "tradizionalisti" ?



Dal benemerito Centro Cattolico di Documentazione di Pisa alcuni stralci di un articolo sul termine "tradizionalista". Per l'intero aricolo vedi qui.

Inter alia, invitiamo i nostri lettori ad iscriversi alla mailing list del Centro


1. Introduzione
«Dubitare del progresso è l'unico progresso», asseriva provocatoriamente il grande pensatore colombiano Nicolàs Gòmez Devila (1). Il progresso delle conoscenze e del sapere, che si è avuto negli ultimi 2-3 secoli, è reale, ma non comporta affatto una automatica elevazione morale o civile dell'umanità: il tema, assai complesso, richiederebbe, per darne davvero conto, tutta una storia e un'accurata analisi, che qui è impossibile e perfino inutile.

La moltiplicazione delle conoscenze ha, tra l'altro, moltiplicato i lemmi del vocabolario, o almeno li ha diversificati: mentre se ne sono aggiunti di nuovi, tanti altri tendono a invecchiare e quasi a sparire sia nell'uso che nelle scritture dotte.

Certe parole poi, certe espressioni e certe etichette, atte a designare qualcosa o qualche idea, in positivo e in negativo, sono diventate strumenti della battaglia politica e ideologica, già da vari decenni, e questo lo sappiamo tutti. La mass-medio-crazia, che è una conseguenza scontata della tecnocrazia contemporanea (2), ha ampliato il fenomeno, mostrando il lato oscuro dell'aumento delle conoscenze sopra ricordato: l'aumento, paradossalmente parallelo, del semplicismo, della retorica di bassa lega e degli slogan da mandare a memoria e poi usare "al momento giusto". Cioè l'aumento - direttamente proporzionale all'indubitabile aumento del sapere popolare avutosi in epoca moderna e contemporanea (con il tramonto dell'analfabetismo, per esempio) - dell'ignoranza sotto la forma inedita di confusionismo, di relativismo antropologico ed etico, di sincretismo epistemologico, o di puro caos mentale.

L'ambito religioso non ha fatto eccezione a questa situazione binaria di approfondimento persino parossistico da un lato (si pensi a certa esegesi scientifica o a certe tesi ultra-specialistiche di teologia su un solo versetto biblico!) e dall'altro la marea, anzi l'oceano sconfinato di ignoranza religiosa dei cristiani, così caratteristica del nostro tempo. Molti, tra cui ci pare di ricordare anche l'eminentissimo cardinal Siri, hanno giustamente lamentato il fatto che mai la Bibbia sia stata così letta come oggi, o almeno così acquistata, e mai d'altro canto sia stata così negletta, cioè poco praticata. Ma se è poco praticata e poco vissuta, significa che la sola lettura della sola Scrittura non basta a diventare più "biblici" o "evangelici"...

Nell'ambito strettamente teologico, l'incidenza del “progresso” linguistico e culturale si è fatta sentire con la nascita dell'ecclesialese e di espressioni "teologicamente corrette" (ma religiosamente vane, ambigue o eterodosse) (3). Spiegarne il potenziale di ambiguità significherebbe abusare della pazienza del lettore, limitiamoci dunque a citare alcune espressioni più note: apertura al mondo, tolleranza, dialogo, pluralismo, aggiornamento, liberazione, pastorale, partecipazione attiva, etc.

Sull'uso scorretto e inibente delle parole, nell'ambito della teologia contemporanea, notava tempo fa l'ottimo domenicano, padre Cavalcoli: «In un ambiente inquinato dall'eresia (...) facilmente sono gli ortodossi che possono far la figura dei devianti; magari non si arriva al punto di spudoratezza di chiamarli “eretici”, ma eventualmente con nomignoli infamanti, nell'inventare i quali i buonisti mostrano una fertile fantasia, come per esempio “fondamentalista”, “conservatore”, “reazionario”, “interista”, “tradizionalista”, “intransigente”, “preconciliare”, “destrorso”, ecc.» (4).

Di questi termini si potrebbe fare una microstoria e ad essi si potrebbero aggiungere, nello stesso senso, gli ormai desueti, “bigotto”, “guelfo”, “papista”, “papalino”, “codino” ed altri ancora. Il termine che qui interessa è uno solo, e coincide con quello, a nostro avviso, di maggior spessore teologico, storico e concettuale tra tutti: quello di tradizionalista.2. Concetto cattolico di TradizioneSul concetto di Tradizione ci limitiamo per brevità ad alcuni cenni. Secondo una testo sempre autorevole, la Tradizione «con la Bibbia è una delle due fonti della Rivelazione divina e può essere definita: "La predicazione o trasmissione orale di tutte le verità (rivelate da Cristo agli Apostoli o lor suggerite dallo Spirito Santo), mediante il magistero sempre vivo e infallibile della Chiesa, assistita dallo Spirito di verità"» (5). Importante in proposito è la chiarificazione, in funzione anti-ereticale, apportata ormai quasi mezzo secolo fa dal Concilio: «È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non poter indipendentemente sussistere» (DV 10).

Il libro che parla meglio della Tradizione, tra i più recenti, è senza dubbio quello di don Bernard Lucien (6) a cui ci ispiriamo per le righe seguenti. Scrive il Lucien che «secondo l'istituzione divina tre elementi legati tra loro o piuttosto correlati e però distinti intervengono nella trasmissione del deposito rivelato: la Tradizione, la Sacra Scrittura, il Magistero della Chiesa» (7). L'autore nota giustamente che «se è (...) facile precisare, in un primo approccio, ciò che è la Sacra Scrittura e ciò che è il Magistero, è molto più difficile dire cos'è la Tradizione divina, perché questo vocabolo, anche entro il solo perimetro dell'uso cattolico, comporta molte accezioni» (8). All'interno di un capitolo accuratamente argomentato, il Lucien arriva a dare una definizione della Tradizione, come si usava con le "tesi" proposte dai teologi di una volta. Eccola: «La Tradizione divina nel senso più stretto, e intesa attivamente, è la conservazione e la trasmissione continue e divine della Rivelazione, a partire dagli Apostoli, attraverso la predicazione orale e la fede della Chiesa, cioè con un mezzo distinto dalla Sacra Scrittura» (9). Il Lucien nelle pagine seguenti spiegherà il senso e la portata del dogma della uguale autorità della Scrittura e della Tradizione - contro il biblicismo sempre rinascente e contro l'idea luterana che la lettura della Bibbia sia indispensabile per tutti per una vita di fede - mostrando poi che «la Tradizione possiede una certa priorità sulla Sacra Scrittura, dal punto di vista dell'inter-pretazione» (10).

Il tradizionalismo di cui parliamo, dunque, pur se rimanda, e a giusto titolo, all'idea tutta cattolica di Tradizione, non ne è un semplice derivato culturalmente neutro, ma si colora al giorno d'oggi di valenze identitarie, spirituali, teologiche e soprattutto liturgiche che gli provengono dalla storia recente e dall'uso che ne è stato fatto da parte di alcuni cattolici nel periodo post-conciliare. Uso, come vorrebbe dimostrare questo scritto - che ha questo chiarimento quale sua causa finale -pienamente legittimo e in nulla contrario alla verità, cioè alla Tradizione, alla Scrittura e al Magistero della Chiesa.


[…]

4. Uso del termine nel magistero da san Pio X ad oggiPapa S. Pio X, per la sua condanna solenne del modernismo e per la sua fulgida santità - oggi vilmente attaccata da autori legati al neo-modernismo - costituisce indubbiamente un punto di riferimento per tutti i veri cattolici. Per noi tradizionalisti lo è in modo speciale (17). La battaglia della sua vita, e il momento più luminoso della sua virtù eroica, si ebbe proprio nella lotta epocale contro il modernismo "cattolico". Ancora a pochi mesi dalla morte, a vari anni dalla Pascendi, scriveva: «Un altro dolor piuttosto, che mi turba ed angustia, è il diffondersi spaventoso del modernismo, specialmente nel clero secolare e regolare; un modernismo teorico in pochi, ma nei più pratico, che però trascina alle medesime conseguenze del primo, all'indebolimento e alla perdita totale della fede, In questo è l'avversario terribile che affigge la Chiesa e il papa e contro il quale devono combattere i buoni per mantenere intatto il deposito della fede e salvare tante anime che corrono alla rovina» (18).

Nella dimenticata Lettera Notre charge apostolique (19) circa «la dottrina sociale del Sillon e il miraggio di una falsa democrazia» (20) del 25 agosto 1910, Papa Sarto, verso la fine del mirabile testo afferma: «Siano persuasi [i sacerdoti] che la questione sociale e la scienza sociale non sono nate ieri; che in ogni tempo la Chiesa e lo Stato felicemente d'accordo hanno suscitato a questo fine feconde organizzazioni; che la Chiesa, la quale non ha mai tradito il benessere del popolo con alleanze compromettenti, non ha da staccarsi dal passato e che basta riprendere con l'aiuto dei veri operai della restaurazione sociale le organizzazioni sciolte dalla Rivoluzione e adattarle, nello stesso spirito cristiano che le ha ispirate, al nuovo ambiente creato dall'evoluzione materiale della società: perché i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti».

Questa frase non ha bisogno di lunghi commenti. Secondo il grande pastore, ci sono degli amici del popolo dichiarati ma solo apparenti e ci sono al contrario dei veri amici del popolo, che forse sono meno apparenti o appariscenti, ma hanno in questa vera amicizia molta più consistenza dei primi. Tra i falsi amici vi sono i rivoluzionari e gli innovatori, tra i veri amici i tradizionalisti. È chiaro che chi ama il popolo veramente, da vero amico, è anche per forza di cose amico di Dio, e chi non ama Dio non sarà mai vero amico del popolo, cioè dei fratelli in umanità.

Nei Pontificati successivi, da Benedetto XV a Giovanni Paolo II, l'uso del termine tradizionalista, salvo meliori judicio, non risulta. Almeno non risulta nel senso culturalmente forte e pregnante in cui lo utilizzò Papa Sarto.

In tempi recentissimi, invece, a oltre 40 anni dalla chiusura del Concilio il termine è ritornato in uso, collegato specialmente con il motu proprio Summorum Pontificum (7.7.07) e con il movimento che difende la legittimità e la priorità dogmatica, anche dopo la riforma liturgica del 1969-70, della liturgia tradizionale (21). Nel Decreto di erezione della parrocchia della SS. Trinità dei Pellegrini, firmato dall'allora cardinal Vicario dell'Urbe e presidente della Cei, Camillo Ruini, il termine compare due volte (22). Dopo aver citato il motu proprio, si asserisce che: «il Santo Padre ha disposto che nel Centro della Diocesi di Roma (...) fosse eretta una parrocchia personale atta ad assicurare un'adeguata assistenza religiosa per l'intera comunità dei fedeli Tradizionalisti residenti nella stessa Diocesi». Curioso l'uso della maiuscola, che si ripete poco dopo: «Pertanto, col presente Decreto, in virtù delle facoltà ordinarie riconosciutemi dal Santo Padre, erigo la parrocchia personale per la comunità dei fedeli Tradizionalisti, in onore di Dio Onnipotente», ecc.

Se ai fedeli tradizionalisti, viene offerta una parrocchia nel centro di Roma, per volontà esplicita del Santo Padre e in onore di Dio Onnipotente, è il segno che i tradizionalisti... esistono! Anzi essi formano una "comunità", la comunità dei fedeli tradizionalisti. Nessuno mi pare che abbia notato la cosa in sé importante del riconoscimento di uno spirito, di un carisma che è legato ad un preciso rito liturgico e che viene identificato con quel sostantivo. D'altra parte noi crediamo che non la sola preferenza liturgica distingua questa comunità dalle altre della diocesi e nell'intera Chiesa. La liturgia, di importanza fondamentale ne è solo l'espressione esterna e pubblica; il cuore di questa comunità spirituale, o di questo movimento o "famiglia di anime", è l'attaccamento toto corde all'integrale patrimonio della bimillenaria Tradizione cattolica - da cui il nome di tradizionalisti (che dunque tutti i cattolici dovrebbero far proprio e a nessuno dovrebbe dar fastidio...) - in tutta la sua estensione, in tutta la sua profondità e in tutte le sue virtualità dottrinali, ascetiche, morali, liturgiche, sociali e politiche5. Conclusione: legittimità per i cattolici militanti di oggi di dirsi tradizionalistiSecondo l'eccellente filosofo stimmatino padre Cornelio Fabro, «il pericolo del modernismo non è mai completamente debellato perché è insita nella ragione umana, corrotta dal peccato, la tendenza a erigersi a criterio assoluto di verità per assoggettarsi a sé la fede» (23).

Con la svolta conciliare però si assiste ad una nuova ed inattesa diffusione dello spirito del modernismo in seno alla compagine ecclesiastica, tanto che un autore ha potuto scrivere tali calibrate parole: «Di solito il Magistero cattolico brillava per chiarezza concettuale e rigore terminologico, per evitare possibili fraintendimenti e aberrazioni. Nel Vaticano II, invece, s'è voluto appositamente usare un linguaggio meno preciso, a motivo della sua natura pastorale, con l'intento per sé lodevole di raggiungere il maggior numero di uomini di buona volontà, ma col risultato de facto che ognuno vi ha potuto dedurre tutto ed il contrario di tutto, a proprio uso e consumo» (24).

Oggi dunque dato che «dopo il Concilio Vaticano II il mondo cattolico, sgomento, si trovò modernista» (25) e che «mai, infatti, all'interno della Chiesa cattolica, è stato così diffuso l'errore nel campo della fede» (26), è bene usare neologismi o veterologismi che aiutino a farsi capire meglio da tutti, nella Chiesa e fuori di essa. L'uso della definizione di cattolici-tradizionalisti - come un tempo i più docili seguaci di s. Pio X nella lotta anti-modernista usarono quella di cattolici-integrali (27), o come sotto Pio IX e Leone XIII i cattolici fedeli a Roma e anti-liberali si chiamarono cattolici-intransigenti (28) - ci pare assolutamente lecito, spesso doveroso, non raramente e anzi sempre più frequentemente strettamente necessario.


6. Appendice sulla nozione di "Tradizione vivente

"A scanso di equivoci, e ammessa la legittimità di definirsi tradizionalisti, è opportuno precisare che siffatto tradizionalismo non coincide col il fissismo dogmatico assoluto, che consisterebbe nella posizione erronea di rigettare qualunque progresso dottrinale omogeneo con il patrimonio della Rivelazione.

L'abbé Lucien, nel testo da noi citato, parlava della spinosa questione, con riferimento alla cosiddetta "Tradizione vivente". Lo studioso nota che a partire almeno da «Johann Adam Mòhler, faro della Scuola di Tubinga nel secondo quarto del XIX secolo, questa espressione è in effetti servita più di una volta a veicolare idee assai contestabili» (30). Quali? Per esempio «la riduzione della Tradizione al Magistero attuale» (31) oppure «la negazione del compimento della Rivelazione con la morte dell'ultimo apostolo» (32). «È questo secondo errore, continua don Lucien, che spesso nel prolungamento del relativismo e dello storicismo modernisti, si presenta come particolarmente virulento oggi» (33).

In estrema sintesi, e per non allungare troppo questa breve nota sul tradizionalismo, concludiamo col Lucien, notando che «in definitiva, ed avendo cura di evitare gli errori relativisti e evoluzionisti, si deve riconoscere la tripla legittimità della nozione di Tradizione vivente:

1) perché il deposito rivelato, oggettivamente concluso, si trasmette esplicitandosi
2) perché questo deposito è trasmesso attraverso degli atti umani di predicazione e di fede
3) perché questa trasmissione è divinamente assicurata, nel corso dei secoli, attraverso l'azione viva e trascendente di Cristo e dello Spirito Santo» (34).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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