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GLI OSTACOLI NEL CAMMINO DELLA TRADIZIONE riflessioni

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2013 12:33
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08/07/2012 23:54
 
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La vetrina e la bottega - I

ovvero il filtro di Congar «terribilis ut castrorum acies ordinata» (Ct 6,3 vg.)

 

Cominciamo con un percorso - cf alla fine la ragione della scelta - attraverso i diari di Congar (Sedan 13 aprile 1904 - Parigi 22 giugno 1995), genere letterario al quale giovanissimo fu avviato dalla madre, che già verso i 10 anni lo esortò a scrivere un diario di guerra: Journal de la guerre 1914-1918, pubblicato nel 1997 dalle Ed. du Cerf.

Yves Congar, entrato nell’Ordine nella Provincia di Francia nel 1925, fu ordinato presbitero nel 1930; nel 1932 iniziò ad insegnare; nel 1940-1945 fu prigioniero di guerra a Colditz. Cf sotto una processione organizzata con i compagni di detenzione.

Gli anni dal 1946 al 1956 furono carichi di avvenimenti e di tensioni e costituirono l’oggetto di un diario - Journal d’un théologien 1946-1956 - per ora solo in francese. Successivamente Congar scrisse un diario della sua presenza al Vaticano II - Diario del Concilio - disponibile in italiano in due volumi.

La presente malizia esamina soprattutto il Diario prima del Concilio, ma non senza qualche incursione nel successivo Diario conciliare.

Nel decennio 1946-1956 Congar nel maggio 1946 effettuò un viaggio a Roma per parlare della situazione francese; * ebbe successivi incontri con i Maestri dell’Ordine Martino Stanislao Gillet († 1951), Emanuele Suarez († 1954) e Michele Browne († 1971) per difficoltà inerenti ai suoi scritti e alla sua attività; * il 1954 fu l’anno della “grande purga” a Saulchoir, Congar fu sospeso dall’insegnamento, trascorse un breve periodo a Gerusalemme e dovette sostenere un interrogatorio al S. Ufficio da parte del domenicano Gagnebet; * la Pasqua del 1955 lo vide definitore al Capitolo generale di Roma dove fu eletto Browne; * trascorse “in esilio” il 1956 a Cambridge rientrando a fine anno a Strasburgo ma senza insegnamento.

Il diario risente di tutti questi avvenimenti.

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Le citazione dei diari avvengono con una sigla che indica il volume e il numero della pagina:

F = Yves Congar, Journal d’un théologien 1946-1956. Ed du Cerf, Parigi 2001, pp. 464.

I = Yves Congar, Diario del Concilio 1960-1963 - I. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 540.

II = Yves Congar, Diario del Concilio 1960-1963 - II. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 526.

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Il campo di battaglia: «terribilis ut castrorum acies ordinata» (Ct 6,3 vg.)

«Da quindici secoli Roma lavora per impadronirsi - sì, per impadronirsi, per accaparrarsi - di tutti gli aspetti di direzione e di controllo. C’è riuscita. Si può dire che dopo il 1950 il lavoro era compiuto. Ma ora arriva un papa che minaccia di togliere loro alcuni posizioni. La Chiesa sta per avere la parola» (I,68). Queste parole, scritte già nei preparativi del Vaticano II, sono coerenti con quanto Congar scrisse alla madre in una famosa lettera del 10.9.1956:

«Conosco la storia (...). Mi è evidente che Roma non ha mai cercato e non cerca che una cosa: l’affermazione della propria autorità. Il resto non l’interessa che come materia sulla quale esercitare questa autorità (...). Ad esempio, se Roma si interessa al movimento liturgico con 90 anni di ritardo su tale movimento, è perché questo non esista senza di Roma e perché non sfugga al suo controllo» (F 426).

Una reazione che continuerà anche durante il Concilio. Ad esempio, quando era in previsione il documento Sacram liturgiam di Paolo VI che rivendicava alla Santa Sede l’approvazione delle traduzioni liturgiche, «si parla del motu proprio del Papa sulla liturgia. Questo documento toglie praticamente al Concilio ciò che il Concilio aveva deciso» (II,8).

L’altra riserva di fondo, più esistenziale, è sul barocco, sul rinascimentale, sul “monarchico” nella Chiesa. Nella tarda estate del 1932, all’inizio dell’insegnamento «io e Chenu parlammo a cuore aperto e con freschezza delle mie prime scoperte e percezioni. Ci trovammo profondamente d’accordo. E su questa missione, sulla necessità di “liquidare” la “teologia barocca”» (F 24).

Non solo la teologia, anche un’udienza di Giovanni XXIII «è l’espressione sfarzosa di un potere monarchico» (I,85). Neppure l’inaugurazione del Vaticano II l’11 ottobre 1962 sfugge a tale insofferenza sino a impedire a Congar di restarvi sino alla conclusione. Ecco alcune riflessioni scritte nel pomeriggio del fatidico giorno:

«gusto decorativo un po’ teatrale, barocco» (I,146) * «(...) questo avvenimento della vita della Chiesa, che io amo, ma che vorrei meno “Rinascimento”, meno costantiniana» (I,146) * «dopo l’epistola lascio la tribuna. Non ne posso più. E, poi, sono oppresso da questo apparato feudale e rinascimentale (...). Cerco di uscire dalla basilica» (I,147).

Qualsiasi maestro dei novizi avrebbe “bacchettato” un novizio che molto prima della conclusione si fosse assentato da una celebrazione così solenne. Ma c’è di mezzo Congar e tutto va bene... e qualcuno avrà concluso o concluderà che “in fondo si è trattato di un gesto profetico”!

Ecco, il campo di battaglia è delimitato: chi è insofferente al barocco, al rinascimento, al feudale, al “monarchismo” ecclesiastico, a un certo modo di governare “romano” ecc. è dalla parte di Congar, amico, aperto all’avvenire e al soffio dello Spirito ecc. Chi invece sta dall’altra parte è l’esercito nemico da “cristianamente” combattere e vincere.

Ciò che vorremmo chiarire con qualche catalogo di esempi, persone e ambienti è che l’esercito “dall’altra parte” non è costituito solo da ultramontanisti francotedeschi e da curiali romani, ma conta anche un buon numero di... frati domenicani. Ciò che in genere non si mette in evidenza, ma che, posto in evidenza, solleva una grossa domanda di fondo (cioè al fondo di questa e della prossima malizia).

 

L’esercito combattente, cioè i personaggi positivi

Il personaggio domenicano positivo per eccellenza è il domenicano Marie Dominique Chenu († 1990):

«Che uomo magnifico! Quando, attraversando un leggero strato di timidezza, si incontrava in lui il fratello, il fratello luminoso e generoso (...), allora si incontrava in lui un maestro, un amico, un fratello incomparabile. Il P. Chenu, mi diceva una volta Gilson, è come Dio: si comunica in partecipazione. E in effetti il P. Chenu era incessantemente nello sforzo di comprendere l’altro (...), di incoraggiare e di alimentarne il lavoro» (F 58).

Chenu aveva anche qualche limite e «il più evidente era un orrore per tutto ciò che è organizzazione: tutto ciò che è comitato, presidenza, nastri, carte ufficiali. Tanto credeva alle équipes, quanto poco credeva alle organizzazioni e, se fosse andato sino in fondo su questo punto, sarebbe arrivato all’anarchia» (F 61).

C’è poi tutta una schiera di simpatizzanti O.P.: Jacques Marie Vosté († 1949), Girolamo Hamer († 1996), Pierre-Marie Gy († 2004), in parte Paul Philippe († 1984) ecc. L’amico “del cuore” e “dell’intelletto” è però P. Henri-Marie Féret († 1992) o confidenzialmente “Milou”, con il quale Congar intraprese il primo viaggio a Roma nel 1946 e con il quale si fece fotografare sui tetti di S. Pietro, in una famosa foto con il cupolone di sfondo.

 

L’esercito da sconfiggere, cioè i personaggi “romani”

Il personaggio domenicano negativo e speculare a Chenu è P. Reginaldo Garrigou-Lagrange († 1964), conosciuto dal quasi adolescente Congar quando predicava un ritiro al Circolo Tomista «poiché, il solo tra i domenicani francesi, era stimato di essere totalmente, verginalmente fedele a San Tommaso e come depositario della grazia di un tomismo integrale» (F 35-36). Nel 1946 nella sua prima visita a Roma Congar scriveva:

«Per quanto riguarda il P. Garrigou-Lagrange, io dico: 1) Da 40 anni quest’uomo combatte ciò che io credo vero come metodo di considerare e abbordare la verità. Dai fatti di Saulchoir 1905-1907, senza dubbio inconsciamente, ha creato un’atmosfera nella quale le critiche e i sospetti più gravi contro di noi hanno preso corpo e si sono sviluppati. 2) Nel segreto contro natura che circonda tutti i nostri affari, ogni volta che ho potuto seguire una traccia e trovare un nome, ho incontrato il P. Garrigou-Lagrange (...). 4) Il P. Garrigou-Lagrange, e il P. Thomas Philippe al suo seguito e da lui dipendente, hanno aggiunto alla sanzione del S. Ufficio, della quale erano esecutori, dei pesi di ordine dottrinale estremamente gravi, odiosi, ingiusti, e che sono una loro propria interpretazione» (F 112-113).

Parole dure anche per P. Thomas Philippe († 1993) perché ha accettato di fare il visitatore a Saulchoir sostituendo il Garrigou-Lagrange impedito in una missione «che egli non avrebbe dovuto accettare, e che nessuno gli avrebbe mai chiesto se egli non fosse l’uomo che avrebbe dovuto essere, perché vi sono cose che a certe persone non si domandano» (F 54). Si noti che entrambi erano della Provincia di Francia, come Congar.

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P. Mario Ismaele Castellano († 2007) segretario del S. Ufficio al 1953 e frate della Provincia italiana di S. Pietro Martire «si è lamentato in modo amaro e denigrante in quanto gli pare che in Francia non si sia sottomessi. Il mio nome è stato pronunciato tra quelli che sono sospettati e mal sottomessi. Quando e dove e in che cosa io non sono stato sottomesso?» (F 227).

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Una sorte più mite ma non esente da valutazione negativa spetta a P. Mariano Cordovani († 1950), Maestro del Sacro Palazzo e incontrato a Roma il 21 maggio 1946: «piuttosto simpatico, rusticus et montanus, dice egli stesso ed è vero. Si percepisce un fondo eccellente (...), considerevoli possibilità di apertura. Se fosse stato formato in un ambiente aperto, sarebbe considerevole. Ma, visibilmente, è legato a un’epoca e a dei limiti che non corrispondono al mondo di oggi». A fronte della lamentela di Congar e Féret che a Saulchoir non c’è più una équipe e una comunità di lavoro, Cordovani reagisce scandalosamente come un domenicano italiano medio: «Ride. Non ha mai incontrato una comunità di lavoro (...) non è necessaria. E, con un realismo senza amarezza, ci dice che nell’Ordine si vive da soli, si lavora da soli; che i religiosi influenti con doti oratorie e soprattutto con una clientela ricca sono considerati, gli altri...» (F 109).

Cordovani muore poco dopo e Congar, ospite a Roma nella nostra Curia generalizia, a cena deve sorbirsi la lettura di un libro di Spiazzi su Cordovani, che ne decreta la valutazione negativa e con lui dei domenicani italiani:

«Comincia con un capitolo con le testimonianze di ammirazione dopo la morte. Sembra che un giorno il mondo sia rimasto stupefatto di conoscere che questa immensa luce si era spenta. A leggere tutto questo, ci si domanda come possano ancora esserci degli increduli nel mondo, tanto la verità è evidente, tanto questo genio ha illuminato il mondo... “in uno speciale culto della verità posseduta e diffusa, amata e predicata”. Non cercata? (...) Mi ricordo di quanto diceva il P. Gillet delle province italiane dell’Ordine: il loro lavoro consiste a glorificarsi delle glorie del passato con pellegrinaggi, feste ecc.» (F 344).

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P. Rosario Gagnebet († 1983), frate della Provincia di Tolosa e docente all’Angelicum, ha tratti umani e di apertura verso Congar, ma ha un difetto di fondo incancellabile: è l’uomo di fiducia del S. Ufficio e dunque “il nemico”. Secondo un confratello al quale Congar dà credito, Gagnebet gioca «un ruolo di inquisitore. Era consigliere del Maestro dell’Ordine Suarez per le questioni dello studio ed era incaricato di leggere tutti i libri pubblicati in francese. Prendeva molto sul serio questo ruolo di censore e praticamente non faceva altro» (F 301-302). Il 14.12.1954 Gagnebet è il delegato del S. Ufficio per una conversazione ufficiale con Congar che sarà poi verbalizzata. Poco prima «P. Gagnebet al telefono (...) mi dice che avrebbe voluto vedermi per dirmi in quale spirito fraterno farà ciò, e che da parte sua farà di tutto per facilitare le cose e addolcire la procedura in ciò che ha di penoso. Mi dice tutto questo con un tono di commossa condoglianza» (F 302; cf 311). Comunque prima di incontrare Gagnebet Congar formula alcune decisive valutazioni tra la posizione sua e quella romana, che sono una chiave importantissima per comprendere tante reazioni. Cf il resto nell’Allegato al fondo della presente “malizia”.

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Il Maestro dell’Ordine Emanuele Suarez († 1954) gioca un ruolo fondamentale nel Diario - e nella vita! -, ma anch’egli, dopo molte oscillazioni di benevolenza, finisce catalogato tra i “romani” e tra quelli che non capiscono né affrontano i problemi veri. Ma andiamo con ordine.

L’8 febbraio 1954 è il giorno della “grande purga” a Saulchoir: i provinciali di Francia dimessi e alcuni docenti allontanati. Suarez è severo, ma si intuisce un suo stare dalla parte dei francesi, nel senso di intervenire personalmente per evitare il peggio. Quanto a Congar, «sono ricevuto dal Padre Generale. Mi dice che dovrò smettere l’insegnamento e abbandonare Saulchoir. Molto di più, si voleva proibirmi di scrivere. Di nuovo il P. Generale ha ottenuto di evitare questa misura, prendendo su di lui la censura dei miei libri. Dovrò dunque sottomettere i miei scritti a Roma» (F 234).

Si dice che Suarez sia “pressato” dal S. Ufficio. È vero, ma non è completamente vero. Suarez è pressato anche da autorevoli frati domenicani che non condividono la linea francese e di Congar:

«Il P. Omez mi lascia capire che al Capitolo generale elettivo del settembre scorso (1946) molti capitolari (dei quali, se mi ricordo bene, un francese) hanno espresso le loro inquietudini e i loro sospetti sulle tendenze intellettuali della Provincia di Francia e su Saulchoir, chiedendo di inviarci un commissario o un visitatore. Il Rev.mo P. Suarez ha preso la difesa della Provincia (...), ha chiesto di concedergli fiducia, che aggiusterebbe tutto lui “fraternamente”» (F 135-136).

Ma per Congar questa fiducia si rompe il 18-19 marzo 1952: «Sino ad ora avevo verso di lui (Suarez) la confidenza filiale più assoluta. Devo invece riconoscere da certi segni (...) che: 1) ha interpretato delle parole che gli ho detto con abbandono e confidenza e ne ha abusato (...), ha tirato prudenzialmente, canonicamente, curialmente le conseguenze e sono vicino a pensare che le misure attuali in parte vengono da lui o in parte sono da lui ispirate; 2) ha creduto alle menzogne che sembrano essere alla radice dell’affare attuale (...). Ormai mi è impossibile parlargli se non a denti stretti, non con il cuore come sino adesso, ma con la ragione fredda di un uomo interrogato, di un uomo davanti al giudice» (F 189-190).

Con la morte di Suarez a causa di un incidente d’auto il giudizio si attenua: «È sempre stato totalmente rispettoso dei miei impegni e integerrimamente votato a sostenermi, proteggermi, aiutarmi. Evidentemente io non ho mai conosciuto il fondo degli affari a causa di un cosiddetto segreto antiumano e anticristiano» (F 274). Qualche riga dopo però Suarez viene definitivamente liquidato come un “galoppino” del S. Ufficio: «non è mai andato a Gerusalemme, mentre è venuto una dozzina di volte a Parigi. Ma sono sicuro che se fosse stato implicato dal S. Ufficio a proposito di un padre, di un miserabile affare di millenarismo o di una questione simile, avrebbe preso l’aereo per Gerusalemme» (F 275).

 

Santa Sabina ovvero la mediocre romanità dell’Ordine

Che i frati domenicani non stiano tutti dalla parte di Congar - e della Chiesa a venire e da rimodellare - non è solo una questione di persone, ma di ambienti o gruppi di persone, ad esempio i curiali della Curia generalizia di S. Sabina. Trovandosi lì nel 1954 e avendo ricevuto osservazioni allarmate per certe parole usate in un articolo, Congar ricorda ai curiali che la verità o la falsità non sono nelle parole ma nei giudizi. Sennonché, dopo tanto nobile e logico ragionamento, continua con una constatazione tra il comico e il penoso:

«Questo spiega il livello della Curia O.P. Una delle cose che mi hanno letteralmente fatto ammalare. Brava gente, molto pii, buoni e degni. Ma, nella vita civile, sarebbero come impiegati o contabili in una piccola casa di confezioni di abiti. Non alla testa dell’Ordine dei Predicatori Pugiles fidei!!! Che cosa sanno del combattimento della fede? In che cosa sono impegnati?» (F 342-343).

 

Anche la Madonna è tirata di mezzo e che pena di nuovo a S. Sabina!

A farlo apposta, non si sarebbe potuto fare di peggio! Il 9 maggio 1946 Congar arriva a Milano alla sera per proseguire l’indomani per Roma. Siamo in piena campagna elettorale per il referendum monarchia/repubblica. Nel recarsi al convento domenicano di Santa Maria delle Grazie non può non vedere

«Ai muri i manifesti della campagna elettorale. Su uno di essi, molto riprodotto, una Vergine con dodici stelle emerge dalla bandiera italiana. Con questo testo: “La Madonna ha sempre protetto Milano: votate per la lista della Madonna”» (F 65).

Arrivato a Roma, si trova nel pieno dell’anno mariano, che gli provoca il senso di distaccato rifiuto:

«I muri delle chiese di Roma sono coperti di manifesti di feste, saluti sermoni su Maria Santissima, Immacolata, non si parla che del suo cuore immacolato. Tutti a questa chiesa per la Madre del Divino Amore, per la Madonna del popolo romano (...). Si direbbe che è quella la religione. E allora è un’altra da quella di S. Paolo e di tutta la rivelazione biblica. Io non voglio entrare là dentro» (F 295).

Di nuovo, la nostra Curia generalizia è solidale con questa romanità mariana agli occhi di Congar tanto meschina e che di nuovo provoca un giudizio pesante:

«La sera a S. Sabina ufficio bizzarro per la chiusura dell’anno mariano: saluto con preghiera composta dal papa. Ufficio della notte all’una: mattutino, Lodi cantate davanti al SS. Sacramento esposto, un saluto alla Madonna per finire. E domani ancora un saluto per terminare la recitazione del rosario davanti al SS. Sacramento. Si potrà così fare un bel rapporto al Card. Vicario che ha imposto queste veglie (...). Verità di tutto questo? Nessuna! Valore di risposta ai problemi e ai bisogni degli uomini? Niente! È il “ronron” della macchina che gira dolcemente sotto il segno della doppia e unica devozione al papa e alla Madonna» (F 294).

Più tardi parlerà di “mariolatria”, e cioè che al cristianesimo si sostituisce «un mariano-cristianesimo (...) ho pensato che la questione mariologica fosse lo spartiacque tra due tipi di uomini. In effetti, i mariolatri sono da un lato e i cristiani dall’altro» (I,43).

 

I tentacoli di Roma sul Capitolo di Roma e la prima scivolata di Browne

Pur essendo nell’occhio del ciclone e forse proprio grazie a questo, Congar è eletto definitore al Capitolo generale elettivo di Roma del 1955.

Nelle conversazioni scarta P. Paul Philippe (della sua stessa Provincia di Francia) come possibile Maestro dell’Ordine: «mi pare che non sia qualificato per altra cosa che per la sua docilità verso il sistema e i suoi riferimenti mariologici, nonché per la sua “riuscita” in un certo numero di visite canoniche» (F 380) (in barba a questi giudizi, Paul Philippe diventerà cardinale e prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali!).

Il Capitolo è rovente. Il Papa ha inviato il card. Adeodato Giovanni Piazza († 1957), carmelitano, a presiedere il Capitolo, affiancandogli come segretario il domenicano P. Michele Browne Maestro del Sacro Palazzo. Evidentemente Roma non si fida non dei domenicani, ma di alcuni domenicani filofrancesi che potrebbero rovinare il Capitolo. Comunque alla fine viene eletto il P. Michele Browne († 1971), irlandese e “filoromano”, che da questo momento diventa il bersaglio delle frecce di Congar, che pure gli ha dato il voto (cf F 386). A cominciare proprio dal primo discorso:

(Lunedì 11 aprile 1955) «Il P. Browne è dunque eletto (...). Dopo aver prestato giuramento, è condotto al suo stallo e fa un piccolo discorso, insistendo quasi unicamente sull’obbedienza al magistero del Sovrano Pontefice episcopus universalis, vicarius Dei; obbedirgli, è obbedire a Dio. Non un cenno alla Parola di Dio della quale noi siamo ministri - consacrati» (F 387).

Fino a che punto qui Congar ha un’accezione di “parola di Dio” cattolica o protestante? Deus scit! Le cose si guastano ulteriormente. Browne deve trasmettere un monito del S. Ufficio (F 365) e soprattutto di suo produce alcune “piacevolezze teologiche” poco piacevoli: il soggetto della fede «è unicamente l’intelletto, poiché la teologia scolastica ha precisato adeguatamente e una volta per tutte il senso della rivelazione (biblica)» (F 405); «noi siamo domenicani e facciamo l’apostolato per la nostra propria perfezione; lo scopo è di salvare delle anime individuali» (F 405). Ci torneremo nella prossima puntata.

 

Anche nell’Ordine c’è solitudine e incapacità di comprendere

Se molti domenicani non militano nell’esercito nemico, vivono in ogni caso in una spiacevole neutralità, che provoca intorno a Congar l’amarezza della solitudine.

Come capita nel breve periodo a Gerusalemme nel 1954: «Mercoledì santo 14 aprile 1954, sera. Prima giornata a Santo Stefano. Malgrado la gentilezza dei Padri, avverto fortemente la solitudine per non dire l’isolamento. C’è la preghiera e il pasto in comune e anche la ricreazione, ma, al di fuori di questo, passo il giorno intero senza vedere nessuno, senza incontrare nessuno» (F 272).

Stessa e peggiore scena l’anno dopo (1955) a Cambridge, ove Congar è assegnato da Browne: «Rientro a Cambridge, provando un insondabile sentimento di vuoto e di assenza (...): nessuno che sia veramente un amico, nessuno con cui comunicare» (F 419). «I miei rari confratelli - uno solo perché gli altri stanno rientrando dalle vacanze - sono gentili. Ma, a parte l’ostacolo terribile della lingua, non si interessano quasi nulla di ciò che mi interessa; sono loro riconoscente per più di una cosa, ma sento che non saranno mai miei amici» (F 428).

 

Le sorti si rovesciano, ma è vero o è una vetrina?

Il 20 luglio 1960 Congar è nominato consultore della Commissione teologica preparatoria insieme a Henri de Lubac.

Le sorti sembrano rovesciarsi, ma Congar non si fa illusioni:

«È Roma che fa le nomine, e si salva la coscienza e la reputazione ampliando il ventaglio dei nomi, ma solo perché ha già preso le sue precauzioni, e le ha presse in modo efficace, per evitare ogni pericolo. Lubac e io siamo stati nominati per essere messi in mostra. Nella Chiesa c’è sempre una vetrina - attraente - e una bottega. La vetrina mostra Lubac, ma in bottega lavora Gagnebet. Mi sento proprio avvilito» (I,75).

 

Un anticipo della malizia

La presente malizia, comportando un discorso un po’ lungo, occuperà questo e il mese seguente. Pensata all’inizio più o meno come “Al Vaticano II non c’erano solo Congar e Chenu”, si è poi evoluta nell’attuale titolo più criptico della vetrina e della bottega, il cui riferimento è il testo citato poco sopra.

Infatti non solo Roma al 1960, ma spesso noi oggi attraverso Congar/Chenu e figli e nipoti e pronipoti si allestisce una vetrina: i domenicani al Vaticano II e il senso del nostro Ordine, il ruolo della nostra teologia, quello che possiamo “umilmente” offrire alla Chiesa ecc. Ma quel’è il senso di questa operazione? E soprattutto: quale è la ragione di essere e di vivere per chi non è in vetrina? E chi non è in vetrina è ancora un buon domenicano o è un domenicano per caso? La risposta arriverà alla prossima puntata con un’analisi un poco più sottile.

Fra Riccardo Barile o.p.

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ALLEGATO

Valutazione di fondo e presa di distanza al 1954 sul “sistema romano”: ecclesiologia, mariologia, antropologia, rapporto con le altre confessioni cristiane (pp. 302-304). Testo redatto prima dell’incontro con Gagnebet al S. Ufficio.

APRI

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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