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Cos'è per voi la fede?

Ultimo Aggiornamento: 15/10/2011 13:58
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01/10/2011 13:36
 
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Gentilissima Caterina,
la ringrazio dei riferimenti che mi ha indicato: ho letto tutti i contenuti con grande interesse. In effetti i segnali di attenzione da parte della Chiesa verso l'ambiente e l'impatto antropico sulla natura sono stati chiari, negli ultimi tempi; aggiungerei come esempio anche il discorso di Benedetto XVI al Bundestag, in occasione del suo recente viaggio in Germania, nel quale ha accennato alla causa ambientalista: «La comparsa del movimento ecologico nella politica tedesca a partire dagli anni Settanta, pur non avendo forse spalancato finestre, tuttavia è stata e rimane un grido che anela all'aria fresca, un grido che non si può ignorare né accantonare»; e citerei anche il riferimento alla devastante povertà nel terzo mondo che il papa ha fatto nel discorso di Erfurt.
Bene, ripeto che mi rallegra molto ravvisare questi spiragli di consapevolezza e di attenzione; resta in attesa la mia speranza di veder fare un passettino ancora, strettamente consequenziale, verso il riconoscimento della causa principale del problema, ossia l'esplosione demografica.

Ma cos'è, cosa significa “esplosione demografica”, e perché è un fattore distruttivo?
Un esempio forse può farlo capire meglio di cento teorie.

In India, pochi giorni fa la Commissione della pianificazione economica ha stabilito che solo i redditi mensili pro-capite inferiori a 781 rupie (11,80 €), nelle zone rurali, e inferiori a 965 rupie (14,70 €), nelle città, possono beneficiare dei sussidi governativi. In base a questa classificazione in India ci sono 407 milioni di poveri.
Gli esperti, guidati dal noto economista Montek Ahluwalia, sostengono che una spesa giornaliera di 5,50 rupie per i cereali, 1,02 per le lenticchie, 2,33 per il latte, 1,95 per le verdure e 1,55 per l’olio è sufficiente per mantenersi sani.
Ebbene, è vero che in India il costo della vita è molto basso, ma il “paniere” indicato dagli economisti non mette in conto tante voci che noi occidentali siamo invece abituati a considerare necessarie. Per esempio, io sono goloso di caramelle alla menta, e un pacchetto mi costa circa 1,50 €. Consumandone un paio di pacchetti alla settimana, con il reddito di un indiano sulla soglia di povertà non riuscirei a comprarmi neppure le caramelle.
La popolazione dell'Unione Europea (UE 27) è di circa 500 milioni di abitanti. I poveri dell'India sono poco di meno. Mi sembra che questo renda bene l'idea!

Introducendo un nuovo capitolo, passo ora ad esporre le mie riflessioni sull'argomento che lei ha iniziato, e che mi sembra molto interessante.

Lei dice che Dio dà l'anima a ciascuna persona al momento della nascita (o al momento del concepimento, secondo la teologia più recente) e la riprende al momento della morte. Questo è quanto conoscevo già dalla dottrina cristiana.
Naturalmente, se l'anima è legata al corpo, dovrà rimanere nel mondo materiale finché il corpo è in vita, e lasciarlo per passare in quel mondo di “tempo eterno” che è il “Regno di Dio”; e gli unici eventi che sono gestiti direttamente da Dio sarebbero appunto questi due momenti, iniziale e terminale, della vita terrena di una persona. Questo in sintesi è quanto lei afferma, se ho inteso correttamente.

L'appuntamento con la morte non è mai casuale, lei aggiunge, e mi sembra di capire che intenda ovviamente dire che è necessario, perché prima o poi arriva per tutti.
Le circostanze che portano all'evento fatale, oltre al naturale termine per vecchiaia, possono essere svariate e di diverso genere: per esempio un assassinio, l'intossicazione da droga, guidare l'auto in stato di ebbrezza, contrarre una malattia grave e incurabile o addirittura la casualità di una persiana pericolante che improvvisamente piomba sulla testa di un turista ignaro. In tutti i casi, però, è Dio che “sfrutta” la fatalità, le circostanze, per riprendersi la vita della persona, che appartiene a Lui, di cui Dio è il padrone, avendola data, diciamo così, “in prestito”. Fin qui, sempre se ho inteso bene la sua lezione.

Ora mi lasci approfondire un attimo l'esempio del turista colpito dalla persiana. A prima vista sembra un evento incredibile, un caso assolutamente improbabile, tanto da meritare la segnalazione sui grandi mezzi di informazione. Eppure fatti analoghi succedono molto più spesso di quanto non si pensi.

La primavera scorsa una persona che conoscevo ha perso la vita in un incidente simile a quello del turista colpito dalla persiana. Era un appassionato alpinista, si chiamava Fabio, e si trovava in montagna quando è successa la disgrazia, ma non stava scalando. Si trovava ai piedi di una parete, in procinto di iniziare a salirla. L'itinerario che lui aveva intenzione di percorrere è una via in roccia per principianti, aperta ottant'anni fa, frequentatissima e ormai calcata da decine di migliaia di passaggi. Tutti i frammenti di roccia poco saldi che ci fossero stati su quella parete, ormai dovrebbero essersi disgaggiati da un pezzo.
Invece, è bastato che un alpinista di un'altra cordata già alzatasi di qualche decina di metri, con una manovra un po' maldestra facesse sfregare la propria corda contro un pilastrino di roccia, perché questo si staccasse precipitando giù. Il pilastrino nella caduta si è spezzato colpendo uno spuntone, e un frammento di roccia ha preso la traiettoria esatta per centrare la testa dell'alpinista che aspettava ai piedi della parete, uccidendolo sul colpo. Grande è stata l'incredula costernazione di tutti gli amici dello sfortunato alpinista; io invece non sono rimasto tanto sorpreso: su quella stessa montagna, il Carega nelle Prealpi Vicentine, anni fa ho rischiato una sorte uguale.

Ero salito con due compagni lungo un itinerario aperto negli anni '30 dai famosi rocciatori Sandri e Menti, poi periti durante un tragico tentativo sull'Eiger. Ai tre quarti circa della salita eravamo stati respinti dalla pessima qualità della roccia, marcia e pericolosa, perciò avevamo deciso di scendere a corda doppia lungo la via di salita. All'ultima calata, uno dei compagni era già sceso sulle ghiaie, io stavo scendendo e l'ultimo attendeva in sosta il suo turno. La montagna in quel luogo forma un ampio camino chiuso da due pareti verticali, e noi eravamo nel centro. Ero appena arrivato anch'io in basso, quando il compagno fermo una cinquantina di metri più in alto, sospeso su un esile terrazzino, accidentalmente fece scivolare una grossa scaglia di roccia. Il suo grido di allarme e il rumore della scaglia che precipitava mi misero istantaneamente in azione. Ero ancora collegato alla corda, con freno e cordino. Per sganciarmi avrei dovuto aprire due moschettoni. I moschettoni che si usano in alpinismo per questa funzione hanno una ghiera di sicurezza a vite, che impedisce l'apertura involontaria del moschettone. Girare la ghiera richiede qualche secondo, e non c'era tempo: la roccia stava piombando giù, rimbalzava da un lato all'altro del canale con colpi forti come cannonate.
Ancora legato alla corda, mi rannicchiai dietro un piccolo masso alla base del camino, che bastava appena a coprirmi: non potevo allontanarmi di più. Un istante dopo la scaglia colpì il masso con estrema violenza, esplodendo in mille frammenti vicino alla mia testa. Freneticamente, smontai il freno e con due salti mi defilai dal micidiale camino, gridando «libera!» al compagno. Non avevo riportato neppure un piccolo graffio. Il compagno scese poi con estrema cautela, senza smuovere neanche un granello di polvere.

Dunque, si possono leggere questi accadimenti come fatti in cui il caso gioca un ruolo essenziale (anche se io mi sono salvato grazie al mio sangue freddo e alla pronta reazione, è vero che, se il sasso fosse caduto solo due secondi prima, sarei stato un bersaglio inerme, penzolando dalla corda in mezzo al camino senza possibilità di ripararmi), oppure come fatti che suggeriscono un intervento divino: Dio ha voluto prendersi l'anima di Fabio, ma la mia no: non era giunto il mio momento.

In realtà, come ho detto, di eventi similari ne accadono molto più frequentemente di quanto non sembri. Se conto tutte le volte che a me, o, per quanto a mia conoscenza, a persone a me vicine, è capitato di salvarsi per un soffio da un incidente più o meno grave, penso di arrivare ad un totale di decine e decine di tragedie sfiorate. È un fatto statistico e non dovremmo stupircene, considerata la pericolosità dell'ambiente in cui ci muoviamo, e quante persone siamo sulla Terra. Quando non è l'ambiente naturale a minacciarci, è l'ambiente costruito, quello che ci siamo fatti da noi, con le strade intasate dal traffico frenetico di veicoli troppo veloci, i manufatti pericolosi, gli edifici costruiti con materiali scadenti, le innumerevoli sostanze tossiche che produciamo, gli esplosivi, la criminalità, etc.

Ma c'è una ragione molto forte per cui preferisco pensare che sia stato solo il caso a risparmiare me, e a determinare l'incidente fatale per Fabio; però prima di spiegarla vorrei raccontare un esempio ancora più “estremo”.

Una mattina dell'agosto scorso due uomini del Soccorso Alpino di San Vito di Cadore sono rimasti uccisi da una frana staccatasi dal Monte Pelmo. I due soccorritori stavano svolgendo un intervento per aiutare due alpinisti tedeschi, rimasti bloccati il giorno prima sul versante nord del monte, dopo che una scarica di sassi li aveva feriti. I soccorritori sono saliti per la via normale e poi si sono calati a corda doppia lungo la parete. Avevano quasi raggiunto i tedeschi quando un'enorme frana, stimata in 10.000 (diecimila!) tonnellate di roccia, li ha travolti, spezzando le corde e facendoli precipitare fin sulle ghiaie. Una persona non esperta di montagna forse si sarà meravigliata che i tedeschi non siano stati toccati dalla frana: dovevano essere molto vicini, i soccorritori li stavano raggiungendo. In realtà, i tedeschi verosimilmente si erano spostati verso una zona di parete più appoggiata e ricca di cenge, dove potevano trovar modo di passare meglio la notte: così inconsapevolmente portandosi fuori dalla direttrice della frana che si sarebbe staccata. In effetti, tutta la vicenda sembrerebbe proprio una complessa macchinazione studiata per eliminare i cadorini, ma non i tedeschi: prima un piccolo incidente che ferisce i tedeschi costringendoli ad interrompere la salita e chiedere aiuto, poi un grande incidente che investe gli uomini del soccorso, e solo loro, e li spazza via con una violenza immane, come mosche schiacciate sotto la scarpa. I mezzi d'informazione hanno taciuto che, dopo alcuni giorni di rischiosi ma inutili tentativi (la parete ha continuato a scaricare pietre), gli uomini della Protezione Civile intervenuti a loro volta per recuperare i corpi dei soccorritori hanno dovuto rinunciare, e le esequie sono state celebrate davanti a due bare vuote, dal momento che dalla massa di sfasciumi rocciosi erano stati estratti solo alcuni piccoli brandelli.
Sono parecchie le stranezze della vicenda. Chi conosce il Pelmo, sa che su quasi tutti i versanti la roccia è friabile e pericolosa, ma il versante nord era ritenuto esente da questo difetto. La via su cui si erano impegnati i tedeschi è stata aperta nel 1924, ed è pure questa una “classica” ben nota e ripetuta, e in tanti anni non c'erano mai stati cospicui crolli di rocce lungo la via, che perciò era considerata sicura. I soccorritori cadorini erano partiti prima dell'alba, a piedi, per raggiungere i tedeschi salendo in vetta per la normale, e scendendo poi in corda doppia lungo la via sino ad incontrare i tedeschi. È strano che alpinisti molto esperti e con ottima conoscenza del terreno non abbiano percepito alcun segno di avvisaglia dell'imminente grande crollo: chi va in roccia impara a distinguere a vista dall'aspetto e dal colore la roccia salda da quella marcia. È strano poi che abbiano intrapreso una strada così lunga e faticosa per raggiungere i tedeschi infortunati, mentre poco più tardi, dopo il crollo, in pochi minuti, i tedeschi sono stati comunque recuperati senza problemi e portati in salvo con un elicottero che li ha prelevati direttamente dalla parete.

Dunque cosa possiamo pensare di questo incidente accaduto con modalità così inusuali? Forse Dio ha architettato una complessa sceneggiatura perché aveva deciso di riprendersi le anime belle degli uomini del Soccorso Alpino, lasciando vivere gli alpinisti tedeschi (forse ignavi o insignificanti?), di cui si è servito solo per attirare i soccorritori sulla parete dove Lui sapeva che – per cause naturali ma umanamente imprevedibili – stava per verificarsi il crollo? Personalmente, questa è un'ipotesi che mi farebbe star male, se volessi accettarla. Preferisco pensare che la disgrazia sia frutto solo della fatalità e del caso, e al limite di un pizzico di cattiva gestione dell'intervento di soccorso.

Ma vediamo perché un'ipotesi di questo tipo mi disturba profondamente. Proviamo a studiare un'allegoria del mondo così come lo disegna l'ipotesi di Caterina.

Dunque, per costruire questa allegoria immaginiamo che il mondo sia una simulazione di mondo, che esiste solo virtualmente, nel software di un computer. Questa idea non è così assurda come sembra: simulazioni del mondo reale si possono effettivamente realizzare con i moderni computer. La meteorologia, per esempio, funziona così. Un modello di una regione di territorio – o addirittura di tutto il globo terrestre – viene immesso in un computer. Il modello simula tutta la fisica dell'atmosfera, dei mari, del terreno; inserendo come parametri i valori misurati delle grandezze meteorologiche reali (pressione, temperatura, umidità, venti etc.) si fissano le condizioni iniziali del modello, poi lo si fa evolvere nel tempo. La simulazione procede molto più rapidamente di quanto non faccia il mondo reale, e questo permette di prevedere, anzi proprio di “vedere”, come cambierà il tempo atmosferico, semplicemente osservando cosa succede nel mondo simulato: sole o pioggia, vento, temporali, grandine, etc.

Per simulare verosimilmente il mondo in tutti i suoi aspetti, ci servirebbe un modello molto più completo e dettagliato, e soprattutto avremmo bisogno di una simulazione del comportamento degli esseri umani, cosa assai complicata da realizzare. Eppure, qualcosa che renda un po' il concetto, c'è già: è stata realizzata sotto forma di applicazione ludica. Si tratta dei vari giochi di simulazione del genere “SimCity”, “The Sims”, “Tycoon”, etc.
Con “SimCity”, per esempio, ho giocato anch'io, trovandolo piacevole e rilassante. In questo gioco, generalmente all'inizio il giocatore crea un territorio con pianure, colline, fiumi, laghi, boschi, etc., ed eventualmente lo popola di animali selvaggi. Somiglia molto alla Genesi, no?
Nella seconda fase, il giocatore riveste il ruolo di sindaco di un insediamento urbano in sviluppo. Sul territorio, può costruire strade e infrastrutture, delimitare le aree edificabili per la residenza, il commercio, l'industria, l'agricoltura, etc. e deve amministrare le risorse per favorire la crescita dell'insediamento. Non può creare la popolazione, che proviene da un “altrove” indefinito, né costruire gli edifici, che vengono costruiti dai residenti. Man mano che l'urbanizzazione si espande, ci sono da fronteggiare i problemi della viabilità, della sicurezza, gestire la distribuzione dei servizi, fornire l'energia elettrica, etc., come in una città reale. Per l'inciso, è interessante notare che, raggiunta una certa dimensione urbana, la città simulata tende a collassare: i residenti emigrano, le abitazioni restano abbandonate e si degradano, la delinquenza aumenta. Questo mi convince che il produttore del gioco ha fatto un'ottima rappresentazione del mondo reale.
Per rendere ancora più vivace il gioco, ci sono anche i disastri: per esempio le interruzioni di energia elettrica, gli incendi, o le inondazioni, ma anche i terremoti e persino un mostro dei cartoni giapponesi, Gozilla, che vaga per la città seminando morte e distruzione. Dopo un disastro la città cercherà di riparare i danni e di riprendere la sua vita normale; particolare da rimarcare, è facoltà del giocatore scegliere se attivare o disattivare l'opzione disastri, e se la attiva, non può decidere lui quando e come provocare i disastri, che si verificano ad intervalli casuali. Somiglia molto a quello che abbiamo detto sopra riguardo a come Dio interviene nel mondo reale, non è vero?

Quindi, completiamo l'allegoria del mondo simulato in un computer. Il computer ovviamente dovrebbe appartenere all'ambito trascendentale, il piano di Dio, mentre il nostro universo sarebbe una simulazione virtuale. Dio starebbe giocando a “SimUniverso”, con il suo potentissimo computer, e avrebbe creato la nostra simulazione di mondo a Suo gusto e discrezione, per poi stare a vedere come si evolve e si sviluppa. Lo scorrere del tempo che noi sperimentiamo sarebbe illusorio, essendo determinato dall'orologio della simulazione, che può fluire ad un ritmo qualunque, anche molto più veloce del reale. Dio sarebbe, appunto, slegato dal tempo della simulazione, che potrebbe far scorrere avanti e anche all'indietro a Sua discrezione (Dio potrebbe sapere già, perciò, cosa c'è nel nostro “futuro”).
Inoltre Dio potrebbe benissimo intervenire saltuariamente violando le leggi della “fisica” del nostro mondo. Noi saremmo individui coscienti ma simulati, e del tutto dipendenti da come e quando Dio decide di “attivarci” nel mondo simulato, o come e quando di “disattivarci”, recuperando le risorse del computer che permettevano alla nostra coscienza incorporea di esistere nella simulazione (Dio si riprende l'anima dell'individuo).
Un dettaglio interessante, è che non è necessario postulare che il computer di Dio abbia una potenza di calcolo infinita, ma basterebbe una potenza finita, sebbene molto grande. Infatti, sappiamo già che il nostro universo, sebbene illimitato, non è infinito. Particolare ancora più notevole, non serve un numero di “anime” infinito, perché prima o poi si arriverà al Giorno del Giudizio (cioè al “game over”), e la popolazione, per quanto si moltiplichi, non arriverà mai ad un numero infinito di persone. Questo vuol dire anche, che il Paradiso e l'Inferno, qualunque cosa siano, non necessitano essere di estensione infinita, perché dovranno contenere un numero comunque finito di anime. Dunque il Regno dei Cieli è un posto forse molto grande, ma non infinito. Queste considerazioni si applicano benissimo anche indipendentemente dalla nostra eccentrica ipotesi del mondo simulato in un computer, vale a dire, reale o no, ci troviamo proprio in un mondo limitato e finito, nel tempo e nello spazio, e anche l'eventuale aldilà dev'essere un “ambiente” non infinito!

Devo per correttezza aprire una breve parentesi, e far presente che esistono teorie della fisica, come per esempio la “Teoria del campo unico”, implicanti che l'universo sia (dinamicamente) infinito. Se fosse vera una teoria di questo genere, l'ipotesi descritta sopra non sarebbe valida.

Ma torniamo al nostro “SimUniverso”; abbiamo detto che Dio starebbe “giocando” alla simulazione del nostro mondo, sul quale interviene sporadicamente e localmente in modo assai discreto, lasciando perlopiù che le cose si evolvano autonomamente, secondo le regole del “gioco”. Uno dei fattori che determinano il successo di un gioco per computer, è che ci sia una sfida interessante nel gioco, un obiettivo da raggiungere per risolvere il gioco e concluderlo. Quale potrebbe essere l'obiettivo di “SimUniverso”? Per essere coerenti con l'allegoria religiosa che ci siamo proposti, deve essere la salvezza delle anime, ovviamente. Le “anime”, ossia le intelligenze che governano gli individui del mondo simulato, vengono immesse una ad una nella simulazione, e poi alla fine del loro ciclo vitale, quando gli individui virtuali sono cancellati (muoiono), vengono trasferite in un “aldilà” esterno al gioco. Ora, poniamo che Dio abbia lo scopo di portare il maggior numero possibile di anime in “Paradiso”. Deve però fare i conti con il diavolo, che cerca di portarne il maggior numero possibile dalla sua parte, l'“Inferno”. Ma cos'è il diavolo? Nella nostra allegoria, non può essere un altro giocatore antagonista e alla pari di Dio: Dio è unico. Perciò deve essere un processo interno al programma di gioco, un'intelligenza artificiale che esiste solo nel software del computer, e che costituisce l'elemento di competizione da vincere per completare il gioco con un buon punteggio. All'inizio del gioco, dopo la “creazione” dell'ambiente, Dio è intervenuto per fornire agli uomini le direttive che devono seguire per stare dalla parte del Bene e segnare punti a Suo vantaggio. In qualche modo, trasmettendo dei “messaggi” di istruzioni (per esempio apparendo a Mosè come roveto ardente), ha dato i Suoi comandamenti agli uomini simulati, ma c'è stato qualche problema di comunicazione e ne è venuto fuori l'Antico Testamento, una storia un po' confusa. Allora ha pensato di compiere un'azione più diretta, ha trascritto il proprio pensiero in una “mente”, e l'ha fatta “incarnare” in un essere umano (Gesù) che potesse diffondere in prima persona la Sua parola tra gli uomini (simulati). Ne sono scaturiti i Vangeli e il Cristianesimo.
Oggi molto probabilmente ci troviamo verso la fine del gioco: il mondo è prossimo al collasso, come le città di SimCity quando diventano megalopoli, e Dio ormai da parecchio tempo, forse un po' annoiato dal gioco, interagisce pochissimo e con segnali minimi, aspettando di vedere come si concluderà la partita. Forse ha già ottenuto un ottimo punteggio (moltissime anime sono in Paradiso), ed è sicuro di vincere, oppure ha un pessimo punteggio (quasi tutte le anime sono all'Inferno, come è più verosimile), e Dio è stufo e scoraggiato, non ha più interesse a seguire il gioco.

Dunque, potrei andare avanti a traslare nell'allegoria del gioco al computer ogni minimo aspetto e dettaglio della Storia del Mondo, ma credo di aver già reso una convincente dimostrazione che l'allegoria ha una sua coerenza e plausibilità, e che non ci sono evidenti e dirette possibilità di falsificarla. Ossia, non si può provare che non sia vera! L'allegoria rende conto di come è stato originato il Mondo, di come funziona, di che cos'è la trascendenza, di chi è Dio, del perché Dio ha creato l'Uomo, di cos'è l'Uomo, di qual'è lo scopo della vita umana, delle ragioni di Dio, del fine ultimo, etc. Insomma, è una spiegazione di “tutto”.
Ma è anche una “buona” spiegazione? Personalmente, a me non piace affatto. Non mi garba neanche un poco, pensare di essere solo una specie di burattino virtuale – per quanto dotato di intelligenza autonoma e di libero arbitrio, nei limiti dell'ambiente in cui posso agire – creato allo scopo di far segnare un punto in un gioco destinato a dilettare un'Intelligenza aliena. Anzi penso proprio che questa allegoria non dovrebbe piacere a nessuno.

Eppure, l'allegoria descritta sopra è del tutto equivalente, dal punto di vista ideologico, alla religione: dimostriamolo.

Il nocciolo della questione è: chi è Dio e qual'è il Suo scopo. Caterina ha promesso di dare una spiegazione, e la leggerò con la massima attenzione e interesse.

Nel frattempo, vediamo un esempio di spiegazione dello scopo divino.
La teologia si è sviluppata in massima parte durante il Medioevo, e anche oggi conserva l'impronta di quel periodo storico. Mi ricordo benissimo, per esempio, di un aneddoto (probabilmente apocrifo) riguardante S.Agostino, e mi ricordo benissimo di quanto suonò privo di senso alla mia ragione pur ancora infantile, avendolo sentito la prima volta da bambino. Sto parlando del famoso racconto in cui S.Agostino incontra un bimbo sulla riva del mare, il quale sta cercando di vuotare il mare con un secchiello, versando l'acqua in una buca scavata nella sabbia. Quando il santo fa notare al bimbo che si tratta di un'impresa impossibile, quello gli risponde che il suo tentativo di giungere ad una comprensione razionale dei misteri divini non è meno disperato che cercare di vuotare il mare con un secchiello.
Lo stesso concetto è ripreso in forma più elaborata in una lettera apocrifa, ancora di Agostino, a S.Cirillo, risalente probabilmente al XIII° secolo e apparsa in versioni in italiano nel XV°. Nella lettera Agostino afferma che intendeva comporre un trattato sulla natura della beatitudine eterna delle anime in Paradiso. Avendo raggiunto un punto morto nelle sue riflessioni, decise di scrivere a Girolamo per chiedergli consiglio, ma, in quello stesso momento, il santo morì nella lontana Betlemme (anno 420) e la sua anima ascese al Cielo. Lo studio di Agostino fu d'improvviso inondato di luce e di una fragranza ineffabile. Tali manifestazioni furono accompagnate dalla voce di S.Girolamo, che raccontava la propria morte e rimproverava Agostino per il suo ambizioso e inevitabilmente futile tentativo di codificare e definire gli infiniti misteri celesti. Girolamo spiegò che era impossibile per l'uomo terreno ottenere tramite il suo intelletto una comprensione razionale del Paradiso: «Immensa qua mensura metieris?». Mentre siamo sulla Terra dovremmo accettare i limiti che ci sono stati fissati: ciò che è in nostro potere è di seguire con paziente risoluzione il cammino verso la salvezza attraverso una vita ispirata all'insegnamento cristiano. Tuttavia, la voce incorporea di Girolamo rispose in seguito a molte delle domande di Agostino riguardanti tali infinite ed elusive verità, sulla base della nuova condizione di privilegio conquistata in Paradiso. Il punto della lettera è che solo mediante un intervento soprannaturale l'Uomo può divenire consapevole di tali questioni di natura celeste; e unicamente in virtù di questo intervento Agostino si rese conto dell'essenziale “alterità” di tali misteri e di come per l'intelletto fosse impossibile comprenderli. Agostino diviene dunque, per favore divino, l'intermediario fra il mondo dello spirito e quello della carne: ecco una esemplificazione della diffusa dottrina medievale secondo cui «il cristiano in ginocchio può vedere più lontano del filosofo in punta di piedi». Questa è la posizione della teologia. Questa è invece la mia posizione: «se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti» (da una lettera di Isaac Newton a Robert Hooke), dove i “giganti” sono i veri grandi dell'Umanità, i “filosofi”, ossia gli scienziati che hanno fatto progredire la conoscenza.

Ma torniamo un attimo all'allegoria del mondo dentro un computer, o meglio simulato da un programma di computer, che Dio usa per giocare alla Creazione. Teofilo mi dà una grande spalla per aggiungere altre traslazioni a conforto della mia tesi. Vediamole.

«Da quale momento e perché la creazione è stata sottomessa alla caducità, ci chiediamo. Dio quando terminò la creazione ne sottolineò la perfezione: tutto era buono e perfetto», scrive Teofilo. => All'inizio del gioco, l'ambiente simulato era vergine e intatto, e nessun errore lo aveva ancora compromesso.

«Ma dal momento in cui l'uomo liberamente ha deciso di agire contrapponendosi a Dio, ha sovvertito la legge della vita e della natura, in cui egli era stato eletto amministratore e coordinatore» => Gli umani simulati hanno cominciato da subito a dare dei problemi, non si comportavano in modo corretto, e il gioco stava prendendo una direzione sbagliata.

«Vi sono però anche degli interventi divini che possono essere direttamente riconducibili a correzioni che la Provvidenza adotta nei riguardi di una umanità fortemente depravata. Si ricordi ad esempio il diluvio universale oppure la distruzione di Sodoma e Gomorra» => Per far capire agli esseri umani simulati che dovevano seguire le Sue istruzioni, peraltro forse non molto chiare, nei primi tempi Dio ha provato ad usare le maniere forti, con interventi diretti e distruttivi.

Bene, ho già espresso la mia totale contrarietà ad accettare questo tipo di filosofia. La domanda a cui si deve rispondere è: il dolore, fisico o morale, è solo un'impressione? La sofferenza di un essere senziente è insignificante perché tanto, prima o poi, quell'essere è destinato a morire, oppure è giusto che ogni vivente reclami il proprio diritto ad una vita, per quanto possibile, serena e felice? Se siamo solo simulazioni in un programma di computer, allora anche il dolore è simulato, non c'è nulla di reale e ogni tortura è lecita. Ma anche se siamo solo anime ultraterrene momentaneamente incarnate nei nostri corpi materiali, allora la sofferenza del corpo è irrilevante e dovremmo essere ben contenti di morire e abbandonare il nostro corpo imperfetto e pesante quanto prima possibile.

Mi sorprende che Teofilo scriva: «Dobbiamo comunque tener presente quando pensiamo alla morte subitanea di molte persone coinvolte nelle catastrofi che essi non fanno una fine più dolorosa di quella di tanti altri che nella loro macilenta vecchiaia sono soggetti a rimanere paralizzati in un letto, o pieni di piaghe da decubito o con altri malanni cronici ed irreversibili.»
Questa sentenza mi ricorda il pensiero di uno scrittore che mi affascina molto, come può affascinare una tigre con la sua selvaggia, brutale bellezza.
Sto parlando di Yukio Mishima, e cito qui il passo che in qualche modo si aggancia a quanto ha scritto Teofilo: «Il nome dell'eroe samurai Saigo Takamori sarà ricordato in eterno per il suo seppuku a Shiroyama... l'azione ha il misterioso potere di compendiare una vita nell'esplosione di un fuoco d'artificio. Si tende ad onorare chi ha dedicato una lunga vita ad un unico impegno, e questo è giusto, ma chi brucia tutta la sua esistenza in un istante testimonia con maggior precisione e purezza i valori autentici della vita umana.» (cito a memoria, le parole potrebbero non corrispondere esattamente, ma il senso è quello).

Mi chiedo se Teofilo abbia idea, o possa in qualche modo testimoniare, che una fine rapida è sempre preferibile ad una lenta agonia. Quale intensità di terrore e di disperazione sperimenta chi si trova ad affrontare una situazione di imminente morte violenta? È vero che, una volta che si è morti, non fa più alcuna differenza come si sia morti, su questo siamo d'accordo.
Ma la sentenza di Teofilo sembrerebbe proprio un comunicato dei sostenitori delle DAT, le “dichiarazioni anticipate di trattamento”, anche conosciute come “testamento biologico”, che rivendicano il diritto ad una morte dignitosa piuttosto che lasciare un malato terminale ad agonizzare lungamente, mantenuto in vita vegetativa con terapie forzate.
Personalmente, sono davvero perplesso all'idea di dover stabilire in anticipo che cosa si dovrebbe fare di me, se dovessi trovarmi in una situazione di malattia terminale o di vita vegetativa. Anche lasciare l'incombenza della decisione ad un famigliare o ad una persona di fiducia configura un grande problema di responsabilità, di cui forse nessuno vorrebbe mai essere investito.

Per come la vedo io, i casi sono due (e non mi sembra che ci sia una terza possibilità):
1) Esiste una vita migliore dopo la morte: allora la vita terrena ha un valore minimo, ed è desiderabile lasciarla rapidamente quando diventa insopportabile.
2) Non esiste alcuna vita dopo la morte, tutto finisce lì: allora la vita terrena ha un valore massimo, ed ha senso cercare di conservarla il più a lungo possibile, anche curando ogni malattia per quanto inabilitante, finché ciò sia fattibile.

Dunque, il punto di vista religioso, in contrapposizione a quello ateo o agnostico, come dice Teofilo in effetti dovrebbe essere favorevole a consentire l'interruzione dei trattamenti sanitari in caso di malattia terminale: come mai la posizione della Chiesa sull'argomento è contraria?

In realtà, non sono stupito di questa contraddizione. La contraddizione nasce dall'incoerenza interna alla religione. Vediamo perché.

Riepilogando quanto discusso sopra, abbiamo visto prima di tutto che gli eventi distruttivi di origine più o meno naturale, che causano perdita di vite umane e gravi danni, non sono in ogni caso da attribuire ad un'azione diretta di Dio, e neppure lo sono le occasioni in cui una persona si salva per un soffio da un grave pericolo: su questo siamo d'accordo.
Pertanto non ci sono, e non ci sono mai stati, né “miracoli” che, violando le leggi di natura, abbiano favorito qualche persona salvandola da un pericolo o guarendola da un morbo incurabile, né “castighi di Dio” che, forzando le leggi naturali, abbiano causato grandi o piccole distruzioni. Ci sono stati invece e ci saranno eventi che a noi appaiono strani, insoliti, misteriosi, improbabili e miracolosi, o persino troppo terribili, ma in realtà si tratta solo di un errore della nostra percezione. Infatti siamo portati a considerare con molta più attenzione i fatti che ci sembrano insoliti, le coincidenze, le sincronicità, e questo distorce il nostro giudizio sulla probabilità e verosimiglianza degli eventi. Su questo argomento sono stati scritti già molti saggi anche di livello divulgativo, e solo per citarne almeno uno suggerisco: “Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose” di Maurizio Magnani - Ed. Dedalo.

Abbiamo visto inoltre che si possono costruire metafore della religione, come l'allegoria di Dio che simula il nostro universo in un computer, perfettamente sovrapponibili alla religione in tutte le implicazioni filosofiche.
Di tali metafore anche esotiche e stravaganti se ne possono elaborare a iosa, e in effetti ce ne sono a iosa: sono tutte le diverse dottrine religiose, attuali e del passato, che l'Umanità ha escogitato nel suo cammino storico.
La religione è nata dall'esigenza di superare quel senso di “horror vacui” che coglie ciascuno di noi all'idea di finire nel nulla, nella notte eterna, nella non-esistenza. Il concetto di trascendenza è nato per indicare un “altrove” in cui collocare l'aldilà, tanto astratto quanto fittizio: dire “trascendente” è esattamente come dire “inesistente”. Il Dio dell'Antico Testamento aveva ben poco di trascendentale, se abitava abbastanza vicino a terra da poter annusare gli aromi dell'arrosto: «Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto.» (Gen 8,20-21).
In effetti il concetto di trascendenza è relativamente recente, si può far risalire a Giordano Bruno ("Mens super omnia"), mentre successivamente, in ambito filosofico, con Kant la trascendenza comincia a riferirsi all'essenza ultima del reale.

A questo punto resta da giustificare la ragione per cui ci troviamo a passare su questa terra una vita che per molti – troppi! – di noi esseri umani è soprattutto sofferenza, pena, incertezza, disperazione.
Si può capire il desiderio di trovare una risposta a tale fondamentale quesito, io lo capisco e per lungo tempo anch'io ho cercato la risposta: ma finché il mio orizzonte rimaneva limitato alla mia personale esistenza non riuscivo a scorgere alcuna soluzione.

La religione promette una vita ultraterrena di ricompensa a ciascuno di noi, personalmente. La solidarietà verso il prossimo è considerata solo come opera di bene che ci aiuta a guadagnare il Paradiso. Questa è in sostanza la Salvezza: salvezza personale, dell'individuo, della sua identità. La personalità verrebbe trasferita, dopo la morte del corpo, ad uno stato incorporeo. Chissà cosa si prova ad essere una coscienza incorporea? Questo è un altro tema estremamente interessante che magari potrei approfondire in un'altra occasione.

I dettagli di questa esistenza ultraterrena però non vengono spiegati. Sono i “Misteri Celesti”, inesprimibili, anzi addirittura inconcepibili per la mente umana, come sostiene la teologia.
Ma l'allegoria del mondo simulato in un computer divino dimostra che si possono elaborare spiegazioni plausibili e coerenti dei misteri celesti, e che tali spiegazioni possono portare a conseguenze ideologiche che non ci piacciono affatto.

Per superare questo stallo bisogna guardare più in là delle nostre misere esistenze (senza offesa per nessuno, parlo a titolo personale e di certo qualcun altro potrebbe legittimamente considerare la propria esistenza preziosissima).
Bisogna capire finalmente che l'individuo non è nulla, se è isolato. Se non fosse così, e la dottrina religiosa fosse integralmente vera, allora l'unica scelta sensata sarebbe di chiudersi in clausura. Una vita di clausura, nella preghiera e nella penitenza, in castità, lontano da ogni tentazione, offre buone possibilità di guadagnarsi il Paradiso. Certo che, se tutti ci facessimo monaci e monache di clausura, la specie umana scomparirebbe in poco tempo (sospetto che c'è chi pensa che non sarebbe un male).

La priorità va data alla propria salute fisica e morale, perché chi è inabile non può essere di aiuto al prossimo, questo è ovvio, ma ogni plusvalenza materiale e intellettuale dovrebbe essere distribuita fra tutti. L'egoismo ha un effetto deteriore, anche per l'egoista stesso, che alla fine sconta il degrado della società.
Questa è la mia visione: una società umana giusta e sana, in equilibrio con il proprio ambiente. È ora di capire infatti che non esiste alcun diritto di predominio dell'Uomo sulla Natura, ma semmai un dovere di rispetto e di conservazione, proprio nell'interesse dell'Umanità.

La dottrina dell'inizio perfetto, e della successiva decadenza, è sbagliata sia dal punto di vista scientifico che morale. La Storia ci racconta di guerre e violenze di ogni genere dell'uomo sull'uomo, ma anche di grandi conquiste dell'intelletto. Negare un sostanziale progresso in questa corsa dell'Umanità significa davvero gettare nel nulla milioni di vite, rendere vana ogni speranza per le generazioni future, e priva di senso la nostra stessa esistenza.

Abbiamo un dovere verso l'Umanità futura, verso i nostri figli e discendenti, di trasmettere a loro tutto il progresso che i nostri padri e antenati hanno faticosamente raggiunto, di conservarlo e migliorarlo: progresso di civiltà, prima di tutto. Certo, la società è ancora ben lontana dall'essere giusta e sana, anche nelle moderne democrazie, ma la strada è quella. Uso della ragione e impegno civile sono gli strumenti necessari per garantire a tutti una vita piena e degna.
Ogni volta che si fa un passo indietro, ogni volta che per un malinteso intento di custodia delle “tradizioni” si avvalla un imbarbarimento, allora si uccide definitivamente chi in passato aveva lottato per raggiungere, con fatica e sacrificio, quell'avanzamento di civiltà.

La mia visione è ampia, e include ogni aspetto della società e del mondo. È una visione chiara nella mia mente, che però non ho ancora avuto occasione di articolare in modo sistematico in un manifesto complessivo. Di certo questo non posso farlo qui e ora, per ragioni di spazio e di tempo, oltre che per non abusare della pazienza di chi mi legge. Chiedo un piccolo atto di fiducia sulla parola.
Ho rispetto per i credenti nella Religione Cristiana, se per cristianesimo si intende la parola di pace proclamata nei Vangeli, e riconosco volentieri la formidabile potenza di un pensiero che – riferito ai tempi feroci in cui fu formulato – definire semplicemente rivoluzionario è riduttivo.
Ma la Religione Cristiana si appella ad una singola Rivelazione di una singola Persona, come puntualizza Caterina, e questo la rende fragile. Basta osservare con lucida obiettività la storia della Chiesa per rendersi conto di quanto sia fragile il Cristianesimo. Se oggi un impulso di recupero dei principi originari percorre la Chiesa, vuol dire che i suoi prelati stanno capendo che le incessanti e superflue superfetazioni dottrinali hanno nocivamente caricato l'impianto ecclesiale e rischiano di farlo crollare. Personalmente ne sono contento.
La mia visione però ha fondamenta ben più solide, perché si appella al pensiero di innumerevoli eruditi, studiosi, filosofi, scienziati, che attraverso i secoli e fino ad oggi hanno man mano costruito il grande edificio della conoscenza umana.
Ma non sono soltanto loro i pilastri: anche le grandi masse di popolo che hanno combattuto per la libertà e per il progresso civile, anche ogni singolo, sconosciuto eroe dei movimenti politici e delle grandi e piccole rivoluzioni che hanno fatto crescere la civiltà, sono tutti sostegni importanti del progresso dell'Umanità.
Ogni persona, in ogni tempo e in ogni luogo, è stata ed è un atomo, per quanto piccolo, essenziale del patrimonio umano; e, secondo me, per quanto abbietta e malvagia, non c'è persona che non abbia una scintilla di compassione umana in fondo al cuore. Credo pertanto che nessuno possa meritare l'Inferno; come dice Caterina: «è più facile andare in Paradiso che all'Inferno». Di conseguenza penso che la società dovrebbe trovare metodi diversi dalle punizioni e dalle prigioni per correggere i comportamenti criminali o antisociali (questo è un altro argomento ancora, molto interessante ma un po' fuori tema).

La mia visione inoltre non è solo mia, ma è la stessa visione condivisa, in larga misura, da tutti coloro che hanno lottato e si sono sacrificati per la libertà, la giustizia, la pace, per quell'anelito archetipo che inconsapevolmente accomuna tutti gli esseri umani.

Questo è tutto per stavolta.
Rimango in attesa dei vostri commenti, cordiali saluti,
Moreno
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