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Viaggio Apostolico di Benedetto XVI a Madrid per la XXVI GMG (18-21 agosto)

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2011 12:05
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17/08/2011 17:57
 
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Nel "Missorium" di Teodosio il manifesto del potere imperiale in oriente

Il gioiello di Madrid


 

di FABRIZIO BISCONTI

Una radicata convinzione fa ritenere risolutiva, per quanto riguarda il comportamento dell'Impero romano nei confronti dei cristiani, la "svolta costantiniana", intendendo, con questo, un clima di assoluta tolleranza nei confronti della religione cristiana. In verità, con Costantino e, in seguito all'editto di Milano del 313, si assiste a una scelta coraggiosa e improvvisa, che definì un percorso che attraversò i secoli a venire. Fu con l'avvento di Teodosio (379-395), però, che il cattolicesimo divenne religione ufficiale dello Stato romano.

La decisione presa nel 380, con la costituzione Cunctos populos, pur rappresentando la naturale conseguenza dell'editto milanese, si cala nell'atmosfera religiosa creata da Papa Damaso (366-384), il quale, al di là del suo complesso progetto monumentale e agiografico, riservato alla città di Roma, rappresenta la voce più alta di una confessione, sostenuta da un apparato burocratico e gerarchico già costituito e da un pensiero dogmatico, complicato da conflitti ed eresie, ma reso compatto da un programma politico-religioso, di cui, appunto, Teodosio rappresentò la mano forte, la mente saggia e il riformatore che tenta di tenere saldamente le due parti dell'impero.

Queste idee e questo rinnovato stato di cose sono riassunte e ben evidenziate in uno dei "gioielli" della tarda antichità. Mi riferisco al Missorium argenteo conservato alla Real Academia de la Historia di Madrid. Si tratta di uno sfarzoso piatto lavorato a leggero rilievo, con evidenti dorature, di ben 75 centimetri di diametro e di 15 chili di peso, generalmente collegato alla commemorazione del decimo anniversario dell'ascesa al trono dell'imperatore, celebrato tra il 387 e il 388, anche se alcuni studiosi - con ipotesi poco convincenti - hanno tentato di posticipare la realizzazione al tempo di Teodosio II, circa una quarantina di anni più tardi.

La decorazione vuole rappresentare un vero e proprio manifesto del potere acquisito dall'imperatore in Oriente, facendo particolare riferimento a Costantinopoli, ossia alla nuova Roma, voluta da Costantino. Il palazzo, che si staglia sullo sfondo, sembra alludere proprio a quello fastoso della nuova capitale. Il piatto fu probabilmente prodotto in un atelier del Mediterraneo orientale e rappresenta Teodosio solennemente seduto in trono dinnanzi a una sorta di fastigium, che proietta in primo piano e in maniera prolettica, il palatium costantinopolitano.

Egli consegna un diploma a un alto funzionario di dimensioni minori ed è fiancheggiato dai suoi co-imperatori, pure assisi e scortati da una coppia di guardie del corpo. Nel registro inferiore, secondo un interessante fenomeno della sopravvivenza dell'antico, la personificazione della terra, distesa e attorniata da putti che recano i doni dell'abbondanza, volge il suo sguardo, esibendo un atteggiamento volutamente teatrale, verso il gruppo imperiale, rappresentato, in parata, secondo il più rigido cerimoniale di corte.

Quest'ultima situazione figurativa appare come un gruppo statuario inamovibile, un vero e proprio pantheon vivente, uno spot pubblicitario per il rinnovato tentativo dell'imperatore di trattenere le forze centrifughe di un regno difficile da governare. E la figurazione, fortemente segnata da linee di demarcazione nette e rigide, vuole, con la sua incisiva forza espressiva, parlarci di una corte altra, senza armi, ma egualmente intimidente, ossia di quei collegi apostolici, che, già inventati nell'arte funeraria, acquistano un significato teofanico, quando saliranno, di lì a qualche anno, a decorare le sedi privilegiate degli edifici di culto, come quello emblematico di Santa Pudenziana, l'abside del quale sarà decorata in mosaico subito dopo il sacco del 410.

Ma torniamo al nostro prezioso gioiello di Madrid, che lascia riconoscere, nello stesso contesto figurativo, le memorie classiche di un'arte imperiale di lunga durata, le armoniche forme, pure ellenistiche, della figurazione della Tellus, ma anche le anticipazioni di quegli scenari basilicali, che brilleranno della luce del mosaico, della "pittura eterna", che trae riflessi e fasto proprio dagli argenti dorati. Il piatto di Madrid, per tutte queste ragioni, rappresenta l'emblema figurato di una svolta, di un cambiamento di voltaggio nell'arte tardo antica, prestandosi al gioco sofisticato dei contatti, delle giustapposizioni, delle tangenze, delle analogie tra arte imperiale e arte cristiana.

In questo senso, la corte, solennemente disposta nel missorium, rievoca il quadro ad encausto che, secondo Eusebio di Cesarea, sovrastava il protiro del palazzo di Costantinopoli, con la teoria dei Costantinidi in parata, ma prepara lo splendido consesso del Cristo tra gli apostoli in un empireo apocalittico, sullo sfondo algido della civitas Dei che di lì a poco sarà teorizzata da Agostino.

 

Gli interventi del cardinale Angelo Bagnasco e del vescovo Mariano Crociata alla Giornata mondiale della gioventù

Zarathustra e l'aridità contemporanea


 

di SILVIA GUIDI

"Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera": il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prima catechesi alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid, il 17 agosto, cita la lirica sulla precarietà della vita di Salvatore Quasimodo. Un canto accorato su "giorni che sono come un raggio, presto inghiottito dall'oscurità della morte"; un canto apparentemente in contraddizione con il tema della settimana madrilena, "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede".

"Sembrerebbero queste parole - ammette lo stesso presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) - non avere particolare significato per il nostro tema; ma così non è. Il canto della brevità inarrestabile dell'esistenza ha uno sfondo sottinteso ma presente: il desiderio di non morire, di vivere per sempre, di una felicità senza fine.

Qui emerge il paradosso e il dramma umano di tutti i tempi, anche dei nostri". Il cardinale cita Camus, che nel suo romanzo Il mito di Sisifo porta questo paradosso alle sue estreme e tragiche conseguenze: "Vi è assolutamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la penna di essere vissuta. Il resto (...) viene dopo".

L'uomo non solo vuole vivere, ma vuole sapere: sapere inteso come ricerca e conoscenza sempre più ampia e profonda del mondo, ma anche come conoscenza del perché e del significato del mondo, e, innanzitutto, di se stesso. L'esperienza insegna che vivere non è consumare delle cose e del tempo, non è un calendario di giorni, ma è un intreccio di significati, un orizzonte di senso. È conoscere non solo gli scopi immediati delle nostre singole azioni e scelte particolari - il lavoro, gli affetti, la casa - ma soprattutto il fine ultimo dell'esistenza, è rispondere alla domanda che vibra dentro ciascuno: perché, per che cosa vivo? Qual è il fine pieno che dà valore a ogni altro scopo particolare?

Lo stupore di fronte al mistero dell'Essere, ha ricordato ancora Bagnasco, è profondamente radicato nel cuore dell'uomo: "Difficilmente - affermava Albert Einstein - tra i pensatori più profondi nel campo scientifico riuscirete a trovarne uno che non abbia un proprio sentimento religioso".

Ma viandante e pellegrino non sono sinonimi, spiega il cardinale: "La meta di un pellegrinaggio ci fa pellegrini, che conoscono da dove partono e verso dove vanno; tutto ciò che accade nel tempo del pellegrinaggio è segnato e misurato dall'obiettivo, dalla meta. Altrimenti siamo dei vagabondi senza casa e senza terra, naufraghi della vita, che vivono alla giornata, come viene, per i quali ciò che conta è quanto sta loro davanti momento per momento: sarà naturale allora cercare di spremere la maggiore soddisfazione possibile dall'attimo presente".

L'istante presente va accolto come un dono, non "spremuto"; il carpe diem tanto spesso raccomandato dai cattivi maestri della nostra epoca nasconde un retrogusto amaro, e un pericoloso e "nevrotico" potenziale di violenza e prevaricazione. Lo ha spiegato, nella stessa giornata, il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei: i beni materiali non sono una rete di protezione sufficiente dagli imprevisti della vita. "Quando anche avessi assicurato tutto ciò di cui ho bisogno, chi può dirmi che la mia vita sarà sempre al sicuro? In realtà non c'è nulla di empirico, ma alla fine nemmeno di umano, che possa darmi questa garanzia. Potremmo anzi riconoscere nella ricerca spasmodica di una sicurezza sempre maggiore il meccanismo che sta all'origine di tendenze e comportamenti umani ultimamente frustranti anche se talmente diffusi da sembrare naturali e ragionevoli".

All'idolatria della sicurezza materiale - ha ricordato Crociata - si affianca "un altro meccanismo, più elaborato, che può essere innescato dalla ricerca di sicurezza, ed è quello che si basa non tanto, o soltanto, sul possesso di beni, ma sul bisogno di riconoscimento, di stima, di amore, e perciò cerca negli altri il punto di appoggio alla propria ricerca di un solido fondamento alla vita. Anche in questo caso si produce facilmente una distorsione che trasforma le relazioni in una prigione insopportabile. Questo si verifica quando si cerca di ottenere con la costrizione o altre forme di strumentalizzazione un riconoscimento e un amore che raramente arriva spontaneamente dagli altri. Sono molte le forme che assume la pretesa di estorcere dagli altri riconoscimento e amore ad ogni costo; questo genera solo un groviglio di ricatti, insoddisfazioni e infelicità".

La vittoria contro le insicurezze è frutto di uno stabile rapporto con Dio, continua il segretario generale della Cei: diventiamo "liberi da ogni possibile schiavitù di cose e persone, poiché la sicurezza della nostra vita non ha bisogno di essere cercata nel surrogato di un possesso pur sempre alienabile né in creature finite come noi, il cui riconoscimento e apprezzamento è pur sempre sottoposto alle evenienze imponderabili della revoca improvvisa o semplicemente degli imprevisti esistenziali.

Adesso che la vita trova la sua sicurezza e il suo fondamento in Dio, nell'unico Dio che è il Dio di Gesù, posso usare di tutti i beni senza ansia o nevrosi di sorta, posso vivere le relazioni con tutti senza aspettare o pretendere una dedizione e un riconoscimento che hanno trovato una realizzazione piena e irrevocabile nell'incontro con Gesù e con il Padre suo e nostro".
"Se l'esistenza di Dio - tornando all'intervento di Bagnasco - cambia tutto nella vita dell'uomo, e questo significa un vivere sensato e bello, vuol dire che Dio corrisponde all'uomo, al suo essere, e quindi dovrebbe essere facile e desiderabile accoglierlo nel proprio orizzonte di vita".

Allora perché - si interroga l'arcivescovo di Genova - l'uomo contemporaneo fa così fatica a fidarsi di Dio? Il clima culturale che oggi si respira certamente non aiuta. "Che cosa significhi il termine nichilismo ce lo dice Nietzsche: significa "che i valori supremi perdono valore". Vidi una grande tristezza invadere gli uomini - scrive in Così parlò Zarathustra - I migliori si stancarono del loro lavoro. Una dottrina apparve, una fede le si affiancò: tutto è vuoto, tutto è uguale, tutto fu! (...) Che cosa è accaduto quaggiù la notte scorsa dalla luna malvagia? Tutto il nostro lavoro è stato vano, il nostro vino è divenuto veleno (..) Aridi siamo divenuti noi tutti (...) Tutte le fonti sono esauste, anche il mare si è ritirato. Sentiamo un opprimente senso del tramonto. In questo orizzonte, le domande radicali - quelle che ci siamo posti insieme all'umanità - sembrano perdere di valore, sembrano diventare "domande oziose" come dicevano Comte, Marx e Feuerbach".

Un'analisi puntuale del modo di pensare che sembra diffuso in Europa - continua il presidente della Cei - può essere rintracciata tra le pagine de I fratelli Karamazov di Dostoevskij: "Secondo me, non c'è proprio da distruggere nulla, ma è sufficiente che sia distrutta, nell'umanità, l'idea di Dio: ecco il punto su cui bisogna far leva! Di qui, di qui bisogna partire: ah, ciechi senz'ombra di intendimento! Una volta che l'umanità si sarà distaccata, nella totalità dei suoi membri da Dio, allora di per sé, senza bisogno di antropofagia, cadrà tutta la precedente concezione del mondo, e soprattutto la precedente morale, e a queste succederà qualcosa di assolutamente nuovo. Gli uomini si conosceranno per prendere dalla vita tutto ciò che essa può dare, ma senz'avere altra mira che la felicità e la gioia in questo mondo presente.

L'animo dell'uomo si innalzerà in un divino, titanico orgoglio, e farà la sua comparsa l'uomo-Dio. (...) il problema ora è questo: esiste o non esiste la possibilità che un simile periodo sopravvenga un giorno? (...) Siccome, tenendo conto della radicale stupidità umana, questa sistemazione potrebbe tardare magari anche mille anni, a chiunque abbia fin d'ora riconosciuto la verità è permesso sistemare la propria vita come più gli fa comodo, su nuove basi. In questo senso, a costui "tutto è permesso". (...)

All'uomo nuovo è permesso mutarsi in uomo-Dio, dovesse essere il solo a farlo in tutto il mondo, e, inseritosi ormai nel nuovo ordine, con cuor leggero saltare oltre ogni vecchio ostacolo morale del vecchio uomo-schiavo: tutto è permesso, e tanto basta!".



(©L'Osservatore Romano 17-18 agosto 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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