IL CRISTIANESIMO DEL… CAVOLO!
Ossia di chi manipolandolo lo racconta come…
…vegetariano e animalista.
L’uomo da centro del creato a “tumore” del mondo.
lettera aperta sull’ideologia modaiola più pazza del secolo:
la VEGETARISTA
SECONDA PARTE
PARAGRAFI PARTE SECONDA:
.La “superiorità” umana nel creato stabilita fin dal principio: Genesi.
.San Francesco, il dietologo cattolico del realismo, non dell’idealismo.
.Ascesi, astinenza e digiuno: passaporti verso Dio, non verso l’Io
.Il cattolicesimo e gli appetiti delle carni: un compendio
.Il vegetarismo come declinazione del politicamente corretto: l’uomo e’ il tumore del mondo.
.A volte ritornano: il neocatarismo del XXI secolo.
.Nessuna differenza tra uomo e animale? Certo, quando le pecore canteranno il gregoriano.
.Un asino vale quanto un uomo? Per un somaro, sì.
.Il dolore, il male, la morte. ovvero: l’escatologia, questa sconosciuta. Epilogo.
di Luca Dombrè
LA “SUPERIORITÀ ” UMANA NEL CREATO STABILITA FIN DAL PRINCIPIO: LA GENESI
Lo hanno messo in padella
Prima del peccato originale, una ragione incontaminata padroneggiava gli appetiti di Adamo e ciò significa che l’adesione della volontà umana al disegno divino contribuiva alla conservazione dell’equilibrio dato da Dio al Creato. Quindi, questa armonia non era una mera elargizione ‘a perdere’ da parte del Signore, bensì prevedeva per l’uomo un ruolo decisivo nell’essenza stessa di tale stabilità e nel suo mantenimento: <<Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”>> (Genesi, 1: 25,26). “Dòmini”, hai letto bene. A discapito di qualunque parificazione nella Bibbia tra uomini e animali suggerita dagli ideologi vegetaristi, si rende qui inequivocabile l’istituzione della primazia dell’uomo sugli altri esseri del Creato fin dal principio. Ma questo sancire la superiorità umana rispetto alle bestie significa forse che l’uomo sia autorizzato ad infliggere qualunque sofferenza agli animali? Certo che no, proprio alla luce di quanto detto poco sopra: quando il progetto dell’uomo si distacca da quello di Dio, cioè quando l’arbitrio ispira in maniera esclusiva l’azione umana senza inscriverla nell’impegno a compiere i propositi divini, non ne consegue che il male. Ecco gli effetti devastanti della ribellione di Adamo (e, prima ancora, quella di Lucifero) sul consesso umano e sul Creato in generale. Una volta entrato il male nel corso della storia e disgregatosi così l’equilibrio primordiale, Dio concede tuttavia all’uomo di usufuire degli animali per procurarsi cibo e per altri motivi pratici fin quando non sarà ristabilito l’equilibrio originario (come si legge in Isaia, 11:6,9), ma ne disdegna qualunque trattamento gratuitamente crudele e sadico. Non è un caso, in tal senso, che la kasherut preveda si macellino solo animali sani e secondo modalità che ne riducano al minimo le sofferenze.
MANGIARE CARNE (UN LUSSO PER PARSIMONIOSI) E’ LECITO E RAGIONEVOLE
Ora mi dirai: c’è differenza tra l’uccidere per mangiare e l’uccidere per divertimento? Mi pare chiaro che la risposta sia affermativa. In caso contrario, qualunque cultura della storia ad ogni latitudine andrebbe censurata, poiché il consumo di carni (per non parlare dei sacrifici rituali) è una costante riscontrabile in ognuna di esse. E a ciò va collegato il fatto che, da sempre e fino a solamente pochi decenni fa, cibarsi di proteine animali era, in realtà, un lusso per pochi e non aveva affatto un ruolo così massiccio come quello acquisito nelle diete dei paesi occidentali consumisti. Da questa prospettiva, ripeto ciò che ho già accennato: sono contrarissimo all’offerta smisurata di carni nelle nostre società, in primo luogo come indizio di una cultura dello spreco antitetica alla gratitudine che dovremmo mostrare per ogni cosa donataci dalla vita (i cristiani si sono fatti per secoli il segno della croce prima di ogni pasto per tale motivo, no? Chi lo fa più ora?); secondariamente, perché l’eccesso è quasi sempre sinonimo di pessima qualità e i polli di un allevamento intensivo sono probabilmente più nocivi della dieta sintetica di un culturista. Ma, per tornare al realismo cattolico conscio di una condizione umana corrotta dal peccato originale a discapito dell’armonia con Dio e il resto del Creato, mangiare carne è lecito e deve restare una libera opzione per chiunque la voglia compiere. Inoltre, rappresenta una necessità per un’alimentazione completa, cosa che il senso comune umano ha da sempre avuto presente constatando come l’assunzione di carne apporti maggior vigore all’organismo (ti ricordi il brodo di gallina che Luca Cupiello scartava dal menù dell’antivigilia di Natale perché troppo “sostanzioso”?). Esprimo un parere personale, ma in questo senso nessuno mi convincerà mai che il consumo di proteine animali sia nefasto per l’uomo. Come per qualunque altro alimento, lo è semmai l’esagerazione. Un bicchiere o due di buon vino rosso al giorno, si sa, apportano benefici; tre bottiglie nel medesimo arco di tempo, porteranno verosimilmente alla cirrosi epatica. Un consumo regolare di pesce assicura al corpo sostanze indispensabili; quattro chili di merluzzo a settimana, più che farti diventare troppo intelligente, rischieranno di tramutarti in un termometro con due gambe. Insomma, che l’eccesso sia nocivo è norma di elementare constatazione, e non solo rispetto al cibo.
SAN FRANCESCO, IL DIETOLOGO CATTOLICO DEL REALISMO, NON DELL’IDEALISMO
Quando le persone erano ancora normali (foto). E tuttavia, finchè si continueranno a spennare polli (e tutti gli animali commestibili) per cibarsene, ci sarà ancora un po' di umanità su questa terra. Viva la carne di animale sgozzato!!
Ma tornando all’aspetto religioso della questione: abbiamo visto che l’alimentarsi di carne non rappresenta affatto una violazione ontologica della legge di Dio, bensì è un’opzione dettata da motivi anche pratici. Lo stesso san Francesco d’Assisi rispondeva ai suoi fratelli che gli chiedevano una completa astinenza dalle carni che il concetto stesso di “poter scegliere” tra i cibi era segno della vanità della ricchezza. Per l’assisiate, loro, che dovevano vivere di elemosina, dovevano accogliere ciò che Dio donava quotidianamente; fosse un tozzo di pane, una pollo o nulla, la fiducia assoluta nella Provvidenza era il solo criterio da seguire. Inoltre, egli si assicurava che i confratelli malati venissero nutriti correttamente per ristabilirsi, anche facendo ricorso alla carne il cui apporto nutritivo, come detto sopra, era ben noto anche allora. D’altronde, essendo chiamato a ragione Alter Christus, il santo umbro non faceva che applicare alle circostanze l’identica praticità attuata e predicata da Gesù stesso. Il quale moltiplicò pesci per centinaia di derelitti dopo averne provato compassione, ne richiese di arrostito ai discepoli Lui stesso dopo la Resurrezione poiché affamato e raccontò la parabola del figliol prodigo dove il massimo onore dovuto a questo fu uccidere il vitello grasso per festeggiarne il ritorno, con dispiaciuta sorpresa del fratello pio (e non certo perché questi fosse vegetariano). In pensieri, parole, opere ed emozioni, dunque, il Signore in persona non censura mai la pratica carnivora come se sacrificare un capretto valesse quanto sacrificare un uomo. E chi, meglio dell’Agnello di Dio, poteva testimoniarlo con la Sua stessa esistenza? Ebbene, se mangiare animali non rappresenta peccato mortale, come si spiega la diffusa pratica del digiuno nella storia del cristianesimo? Qui, infatti, sta il grande equivoco – il cui grado di buona fede valuterà il singolo lettore- su cui la pubblicistica vegetarista preme per ‘documentare’ l’adesione di santi e Padri alla propria dottrina.
ASCESI, ASTINENZA E DIGIUNO: PASSAPORTI VERSO DIO, NON VERSO L’IO
Fanatici estremisti dell'ideologia vegetarista-animalista
Un esempio paradigmatico di tale fraintendimento può individuarsi nella figura di un altro santo spesso citato dal polemismo vegetarianista: san Francesco di Paola. Frate francescano radicale nel suo ascetismo fin dall’infanzia e che osservava un perenne digiuno dalle carni, il veneratissimo calabrese non seguì mai tale precetto in nome di un assolutismo animalista e vegetarista. La sua astensione era invece in osservanza di uno spirito di sacrificio e penitenza per rifuggire dai piaceri delle carni in generale, appunto di quei sopraccitati appetiti sensoriali capaci di distogliere dall’ascesi. Fin dalle origini del cristianesimo e del monachesimo, il digiuno e l’astinenza dalle carni vengono infatti predicati congiuntamente alla continenza sessuale nel quadro di una dottrina armonizzatrice delle cosiddette virtù. Siamo, dunque, in presenza di quella ricerca di assoluto distacco dai godimenti corporali per potere accedere a quelli puramente spirituali che ricorre costantemente in tutti i mistici, e non solo quelli cristiani. E’ perciò, ribadisco, solo ed esclusivamente in chiave di sacrificio donato a Dio e di purificazione attraverso la rinuncia che va letta l’astensione dalla carne (o meglio, come visto: dalle carni) attuata e predicata da santi e Padri della Chiesa pretestuosamente citati dai militanti vegetarianisti. E si badi che tale scelta, comune solo ad alcune Regole, avveniva sempre nel contesto di una condotta di vita il più possibile dimessa in quanto concentrata sull’Essenziale, cioè su Dio, e non alimentò mai istanze puritane di ingiunzione della stessa ristrettezza di mezzi e costumi a tutti gli altri Ordini e membri della Chiesa. Intendo qui dire che i succitati santi omonimi, oppure Caterina da Siena o Domenico di Guzman o chiunque altro, non si rivolgono mai alla gerarchia o ai papi stessi per far sì che il loro disadorno stile di vita venga imposto a tutto il corpo della Chiesa, ma se ne fanno umili intepreti esclusivamente per imitare Cristo quanto meglio possono. L’esistenza dei santi è la prova vivente che il cattolicesimo non rappresenta mai un “armiamoci e partite” pregno di teorie comportamentali, bensì un caleidoscopio variegatissimo di esempi di amore e penitenze gratuite scevri da qualunque intento moralistico. Il santo non catechizza il prossimo su come dovrebbe stare al mondo, ma si offre in sacrificio per ricordare innanzitutto a se stesso come si deve vivere per giungere alla perfetta comunione con Gesù. Precisamente per questo, qualunque prescrizione incontrata nelle citazioni dai vari Tertulliano, san Girolamo, san Giovanni Crisostomo, ecc. non va mai intesa, come fanno i vegetaristi, nell’ottica di una parificazione, assolutamente infondata e inconcepibile nel quadro della civiltà giudaico-cristiana, degli animali all’uomo; semmai, in quella di un costante tentativo di avvicinamento a Dio, casomai riferendosi ad un equilibrio tra le creature che rimanda a e mai prescinde dall’originario ordine distrutto dal peccato originale, come spiegato in precedenza. Illuminante in tal senso un virgolettato di san Clemente Alessandrino usato dai vegetaristi in proprio favore: <<
La carne ottenebra l’anima. Dobbiamo cibarci come Adamo prima della caduta, non come Noè dopo il peccato>>. E ancora: una citazione spesso presente sui siti vegetaristi e attribuita a san Giovanni Crisostomo: <<Noi capi cristiani pratichiamo l’astinenza dalla carne di animali per sottomettere il corpo…mangiare carne è innaturale e impuro>>. Se di primo acchito parrebbe un altro inequivocabile comando vegetarianista, alla luce di tutto quello detto finora diviene evidente come quel “sottomettere il corpo” sia relativo ad un’austerità contemplativa del tutto coerente col personaggio, che fu un rigido anacoreta. La seconda parte della citazione, qualora fosse confermabile, appare incompleta e dunque priva di un contesto esaustivo, per non dire dell’assoluto contrasto col già citato insegnamento di Nostro Signore sull’impurità di ciò che esce dalla bocca e non di ciò che vi entra.
IL CATTOLICESIMO E GLI APPETITI DELLE CARNI: UN COMPENDIO
Chi promuove queste campagne psicotiche sul "non uccidere" le pecore, stranamente poi sono quelli che organizzano campagne pro-aborto, pro-eutanasia, pro-modificazioni genetiche sull'uomo; e che per giunta si imbrattano la faccia con creme fatte con placenta e pezzetti di feto abortito
Dunque, per ricapitolare in ottica cristiana, ed in special modo cattolica: il consumo di carne è una pratica sociale da sempre diffusa che la Chiesa lascia alla scelta del singolo. Sebbene pratiche di digiuno e di astinenza dalle proteine animali siano state frequenti nella storia della Chiesa (specie, come abbiamo visto, in ambiti circoscritti come quello monastico), esse non hanno mai rappresentato, come vorrebbe insinuare la pubblicistica vegetarista moderna, un costume alimentare animalista-vegetariano ante litteram, bensì si inquadrano rigorosamente nella dottrina degli appetiti, cioè di tutti quei desideri corporali capaci, se non controllati dalle virtù, di sviare il cristiano dal percorso di comunione con Gesù. Detto ciò, la Chiesa (da cui, curiosamente, quando conviene si pretenderebbe un’efficacia esecutiva a livello persino politico, da scongiurare poi in quanto “ingerenza” laddove crei fastidio) non ha mai avallato alcun comportamento irrispettoso o gratuitamente crudele verso l’ambiente e le creature, ma da sempre incoraggia l’uomo ad una gestione quanto più ponderata del Creato di cui è usufrutturario e non proprietario. Tutto ciò, partendo dalla fondamentale nozione del peccato originale e del sovvertimento, associato misteriosamente all’esercizio della libertà umana, degli equilibri disegnati da Dio che troveranno definitiva riconciliazione solamente alla fine dei tempi. Tutto il resto sono strumentalizzazioni del cristianesimo senza alcuna base esegetica, filosofica, teologica, storica, ecc..
Fin qui ho dunque tratteggiato un tentativo di ricostruzione e spiegazione del punto di vista dottrinale e magisteriale sulla questione vegetariana. Non posso però terminare, scusandomi della lunghezza, senza alcune considerazioni rigorosamente personali e dunque non legate all’insegnamento della Chiesa.
IL VEGETARISMO COME DECLINAZIONE DEL POLITICAMENTE CORRETTO: L’UOMO E’ IL TUMORE DEL MONDO
Hanno tentato di farlo diventare "socialista", "liberale", "comunista", "ariano"... adesso lo vogliono "vegano" e "animalista".
Vedi Marcella, io non discuto affatto la liceità della scelta vegetariana, e confesso di trovarla anche comprensibile quando ispirata da compassione per gli animali; specie, come spiegato, quando trattati come merce inanimata su scala industriale, senza quella consapevolezza del tragico di cui la nostra società ha ucciso e imbalsamato il cadavere sotto il cerone dei vari pietismi. E qui sta un passo ulteriore nella mia lunga riflessione: fermandosi per scoprire la superficie delle cose, questa misericordia vegetarianista per le creature così accentuata, anzi spesso esasperata fino al parossismo, pare iscriversi a pieno titolo nell’impetuosa cultura della morte che ammanta la contemporaneità e vede nell’uomo, anche quando dichiara di interessarsene, il tumore del mondo. E, a ben vedere, di tale visione rappresenta uno stadio conclamato ed irreversibile. Infatti, questa sensibilità non è altro che una delle numerose declinazioni dell’esiziale linguaggio del politicamente corretto che predica falsa carità (‘diritti’ abortivi ed eutanasici; medicalizzazione dei mali dell’anima spacciati per corporali; le retoriche della solidarietà dal divano di casa, dell’affossamento della famiglia naturale e del matrimonio fondamenti della società, del sesso incontrollato e dunque mortale che poi organizza raccolte fondi contro l’AIDS, ecc. ecc.), poiché non riconosce alcuna verità che non sia quella passeggera decisa dal singolo. Tale prospettiva animalista-vegetarista, dicevo, ha superato l’essere umano in quanto lo parifica al resto del mondo animale senza riconoscere nel Creato che accoglie entrambi alcun principio ordinatore, ma solo un indistinto e confuso panteismo che comincia col venerare Madre Terra e finisce col disprezzare l’uomo. L’uomo che inquina, che si riproduce a ritmi insostenibili per il pianeta, che massacra gli animali suoi “fratelli”, che è sicuro essere un prodotto del Caso sennò non si spiegano il male, le malattie e le malformazioni e dunque tanto vale giochicchiare con le provette per vedere se riusciamo almeno a perfezionarlo come nessun Dio si è degnato di fare. Insomma, l’uomo-ratto che andrebbe in definitiva sterminato perché la sua essenza, sebbene capace di concepire il bene come insegnano Budda, “Francesco” e Martin Luther King, contraddice la sua presenza di cancro che avvelena e divora la Terra. Questa “Madre” di tutto, ma dell’uomo solo matrigna.
A VOLTE RITORNANO: IL NEOCATARISMO DEL XXI SECOLO
Eccoci così alla vera sostanza dell’ideologia vegetarista, nient’altro che uno dei molti aspetti di un neocatarismo all’arrembaggio, un revival dell’originale eresia esponenzialmente più mortifero in quanto generalmente accettato e, quindi, senza alcuna opposizione in un mondo che vede i cristiani in ritirata o, comunque, minimamente influenti.
Siccome tu condanni con sicumera l’Inquisizione, immagino conoscerai i catari-albigesi. Bene, a voler descrivere per sommi capi le basi di quel sistema religioso, è sbalorditivo osservare come i suoi seguaci sembrino per magia essere riapparsi oggi sotto innumerevoli spoglie, così come il catarismo veniva definito “l’eresia dai cento nomi” per via delle molteplici denominazioni. Convinti di un dualismo insanabile tra Bene e Male riflesso nell’inconciliabilità tra anima e corpo, per loro la morte era la liberazione dalla miseria della vita corporale. Vivere era, dunque, il più grande dei mali, da terminare con la distruzione della vita stessa, attraverso il metodo istantaneo del suicidio (a cui, in verità, ricorrevano eccezionalmente i perfetti, i consacrati della dottrina catara) o quello più graduale ed efficacedella sterilizzazione della società attraverso la condanna spietata del matrimonio. Questo era, infatti, parificato al meretricio e considerato inferiore al concubinaggio, portando così ad una sorta di istituzionalizzazione del sesso libero tra i credenti,i non consacrati sostenitori della setta. Mettere al mondo dei figli era così la più grande delle ingiustizie, poiché l’anima immacolata del bambino veniva fatta scendere dal regno di Dio a quello di Satana per farla incarnare in un corpo impuro.
Potrei continuare nei dettagli, ma credo che quelli offerti bastino a rendere manifesti gli inquietanti parallelismi tra gli adepti del catarismo – nemico letale di ogni collettività ed ordine costituito non solamente cristiani- e tanti membri dell’odierna società del nichilismo relativista.
NESSUNA DIFFERENZA TRA UOMO E ANIMALE? CERTO, QUANDO LE PECORE CANTERANNO IL GREGORIANO
Non servono parole
Se questa similitudine è fondata, allora risulta ancor più profonda la difformità tra il vero messaggio cristiano (Dio, il Verbo che da senso all’esistenza, si è fatto della stessa carne degli uomini per salvarli dalla condanna eterna) e un credo che afferma la sostanziale nocività della presenza umana equiparandola a quella di qualunque altro organismo vivente. Ma se valiamo quanto gli animali, allora non hanno senso neanche i divieti e i limiti che vogliamo affermare come imperativi categorici quando denunciamo la crudeltà umana sulle bestie. Infatti, che solo l’uomo sia in grado di fare distinzioni di questo ordine è un fatto inopinabile e prova della superiorità umana nella gerarchia naturale, laddove tale superiorità non vuol dire necessariamente ‘essere migliore’, bensì, come fa capire l’etimologia, indica il trovarsi in una posizione superiore. E da cosa è data quest’ultima? Appunto da tutte quelle funzioni intellettive che permettono all’uomo di fare queste stesse considerazioni, cercare, descrivere e perfino creare la bellezza (il canto gregoriano, “Era de Maggio” o Caravaggio, per dire tre esempi), interrogarsi sul trascendente, e infinite altre. Se tutte queste non avessero peso nel distinguere uno ‘stare sopra’, allora tutto nell’esistenza sarebbe definito solo ed esclusivamente dal connubio tra mera biologia e sentimentalismo piangente per un capretto macellato e silente di fronte ad un bimbo abortito. Ma non si può seriamente pensare di ridurre tutto l’essere umano e la sua storia a ciò ritenendo di darne una spiegazione definitiva. Poiché questa va trovata, invece, nell’altro elemento che spiega la suddetta superiorità, e che gli animali non posseggono, vale a dire la libertà. Prima tra tutte, quella di affrancarsi dalle catene della propria condizione naturale. Ci piaccia o no, la crudeltà insita nel recidere la giugulare di un animale per cibarsene rientra nell’esercizio di tali libertà, ma essa non può essere il solo metro di giudizio nel definire la questione del ruolo dell’umanità nel mondo naturale. Ogni atrocità gratuita, anzi, nasce dall’ignorare e violare più o meno coscientemente quei principi morali che definiscono l’atrocità stessa in quanto tale. Questa distinzione è possibile solo all’uomo (che compiendo la crudeltà si pone comunque la questione, indipendentemente dagli scrupoli), mentre la tigre che squarta e divora la preda risponde solo e semplicemente ad un mero bisogno fisiologico di nutrirsi. Il primo ha una seppur minima “coscienza etica” di ciò che avviene, la seconda compie quell’azione meccanicamente perché non potrebbe vivere altrimenti. La differenza mi sembra cristallina. Se, invece, si insiste col dire che uomo e animale pari sono, allora il primo può comportarsi come il secondo e cibarsi di altre bestie, decretando così comunque lecito il carnivorismo. Diversamente, se si suggerisce che l’uomo dovrebbe capire di poter effettuare uno sforzo intellettuale per rinunciare alla carne, significa allora che gli si riconosce una capacità che lo rende razionalmente superiore all’animale, a meno che la razionalità non abbia alcun valore intrinseco e allora si scade così nel circolo vizioso della contraddizione più insostenibile.
UN ASINO VALE QUANTO UN UOMO? PER UN SOMARO, SÌ
Conseguenza ineluttabile di un tale rovesciamento di ogni ordine naturale, è l’ingresso in una spirale di degenerazioni potenzialmente senza fondo. Voglio portare solo un caso rivelatorio di questo indifferentismo con vista sull’abominio più grottesco, un giudizio sul quale lascio di nuovo al singolo lettore: l’episodio inquietante in cui la PETA (tra le maggiori organizzazioni animaliste al mondo) protestò ufficialmente contro Yasser Arafat poiché un militante palestinese fallì nel tentativo di fare strage di civili israeliani ad una fermata di autobus imbottendo un asino di esplosivo, che detonò uccidendo la bestia senza colpire gli obiettivi. Capito? Ciò che contava era essersi mostrati disumani contro il quadrupede, affermò l’allora presidentessa della PETA Ingrid Newkirk, a cui il Washington Post chiese se si sentisse di condannare alla stessa maniera il tentativo di massacrare umani inermi per sentirsi rispondere che “non era affar suo esprimere un giudizio a riguardo”. In seguito, molti protestarono contro la PETA e una finanziatrice del gruppo animalista ritirò il proprio sostegno con una domanda che metteva in risalto le contraddizioni che elencavo nel precedente paragrafo: <<Hey, ma gli esseri umani non sono anche loro animali?!>>. Io le avrei risposto di no, ma pare indubbio che la Newkirk sia quanto di più accostabile, nel genere umano, a un somaro.
IL DOLORE, IL MALE, LA MORTE. OVVERO: L’ESCATOLOGIA, QUESTA SCONOSCIUTA. EPILOGO.
Idiozia animalista
Dunque: il capovolgimento dell’armonia delicatissima su cui Dio ha deciso si dovesse reggere il mondo. Non vi è più gerarchia, qualunque cosa è assimilabile a qualunque altra secondo l’arbitrio più assoluto. Siamo, ancora una volta, di fronte all’azione diretta di colui che viene definito da questo incessante impegno a distruggere l’opera divina: Satana, ovvero il Sovvertitore, il Distruttore in persona che può riuscire effettivamente nella sua impresa solo ammantando di ‘buono’ le proprie opere. Col fine ultimo di sottrarre all’amore di e verso Dio le sue creature dilette, per le quali sole il Figlio è stato mandato a patire il martirio dello schiavo più abietto. Sì, cara Marcella, io qui vedo con chiarezza abbagliante la mano di Lucifero, in questo trafficare di concetti col solo scopo di relativizzare tutto (nel nostro caso: uomini e animali pari sono) per dire, in ultima istanza, che tutto è nulla.
Chiudo, così, ragionando sull’elemento scatenante in coloro che si abbandonano senza remore a questo animalismo disumano, parossistico, sconclusionato, declinazione tra tante della contemporaneità ultrasecolarizzata che ha in odio l’uomo: l’inaccettabilità del dolore, quello che gli esseri viventi, uomini ed animali indistintamente, sono costretti a sperimentare dalla nascita alla morte. Esso è parte integrante del nostro passaggio sulla terra e, in quanto cattolico, so che da tale dolore che domina la vita non ci si può affrancare. E’ un mistero, forse il più insondabile tra quelli dell’esistere, sebbene più su abbia spiegato come, per i cristiani, il suo principio vada fatto risalire al peccato originale e all’abuso della libertà data da Dio (non solo nel momento specifico del racconto della Genesi, ma nel suo perenne replicarsi nella vicenda umana). Non mi spingo oltre su questo argomento perché non sono un teologo, e mi rendo conto quanto sia difficile nella vita reale, quando si vive sulla propria pelle la tragedia, trovare conforto e spiegazione nelle difficili architetture teoriche della teologia. Volevo solo concludere dicendo che ho rinunciato a cercare un perché ad ogni costo e, pregando, ho compreso che conta il come vivere nonostante il male. Me ne sono accorto, appunto, facendo attenzione a ciò che si dice nell’ “Ave Maria” e nel “Padre Nostro”: gli ultimi due termini prima dell’amen sono rispettivamente “morte” e “male”. Intuitivamente verrebbe da pensare che le due preghiere cardine del cristianesimo dovrebbero concludersi con una parola di speranza, e invece vi troviamo gli opposti speculari di “vita” e “bene”. Un altro sconvolgente paradosso tra i tanti della fede cristiana, eppure – non credendo si tratti di una bizzarra coincidenza- utile a scovare nella posizione di due semplici parole il peso semantico della vita intera. Morte e male: tutto ciò contro cui, in ultima istanza, si combatte esistendo. Sono qui, enigmi opprimenti presenti in ogni attimo, ma Cristo è sceso fra noi a testimoniare che la redenzione da questo stato di sofferenza è possibile, nonostante il mistero del maligno sempre immanente. “Debiti”, “tentazione”, “male”: nella sola orazione autografa di Gesù in persona, non troviamo conclusioni da morale hollywoodiana del tipo “e facci vivere tutti felici e contenti”. No. Essa, al contrario, si conclude come un elenco dei supplizi a cui, volenti o nolenti, siamo condannati a soffrire fin dalla nascita, sapendo però che verrà il momento della definitiva liberazione da questo stato. Anzi, essa è già cominciata con l’apparizione sulla terra del Dio che ha santificato la carne umana. Vi è qualcosa di colossale, di decisivo, di definitivo in questo. Tentare di piegare la potenza di un tale messaggio con le sofisticazioni ideologiche che ho qui provato a smascherare non rende giustizia ad alcun serio dibattito su una questione, come visto, dalle vastissime implicazioni.
Chiudo così, cara cugina, nella speranza di aver suscitato qualche dubbio nelle tue granitiche certezze: liberi di promuovere il vegetarismo su basi alimentaristiche, etiche, ecc., ma si lasci stare il cristianesimo che mai è stato animalista né vegetarista in senso moderno. Per parafrasare l’antico proverbio: gioca con gli elefanti, ma lascia stare i santi.
I più affettuosi saluti
Luca.
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sulla questione delle immagini apparentemente offensive e dissacranti, come qualcuno si è lamentato, spieghiamo:
si, concordo con lei, le immagini possono sembrare offensive ma rifletta, queste sono immagini di PAROLE, TESTI ED AFFERMAZIONI fatte dai vegetariani in generale
queste che vede sono gli insegnamenti di non pochi gruppi vegetariani tradotte in immagine…
la visione offende? si, come la lettura di certi testi vegetariani offende allo stesso modo!
Non si tratta di rendere occhio per occhio o dente per dente, quanto piuttosto di far riflettere, attraverso LE CRUDI IMMAGINI , LA CRUDELTA’ DI CERTI INSEGNAMENTI…
Ci si rifletta!
Fraternamente CaterinaLD
"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)