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Educarsi ed educare alla legalità. Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco

Ultimo Aggiornamento: 31/05/2012 12:51
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25/05/2012 23:43
 
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Il “buon cristiano e onesto cittadino” si forma in un ambiente adatto.
Sappiamo quanto grande fosse il fascino che emanava la persona di don Bosco e le qualità educative di cui era dotato. Egli però riteneva fondamentale per la crescita dei giovani la creazione di un ambiente educativo, tessuto umano in cui si intrecciano molteplici relazioni, dove potessero sperimentare di essere personalmente amati, ossia di essere presi sul serio, stimati nel loro intrinseco valore, nella capacità di aprirsi agli altri e all’Altro.
Don Bosco è consapevole dell’importanza della famiglia per la crescita sana dei ragazzi e decide di riprodurne lo stile negli ambienti di accoglienza dei giovani. Chiamerà spirito di famigliail clima che si respira nelle sue case. Esso è caratterizzato dall’attenzione al giovane, alle sue attitudini, ai valori di cui è portatore, facendo vibrare le corde del cuore con la delicatezza, “la mansuetudine e la carità”, evitando ogni forma di repressione e di violenza. È un ambiente dove si sperimenta l’armonia tra spontaneità e disciplina, familiarità e rispetto delle regole, gioia ed impegno, libertà e dovere. In tale ambiente i giovani sono nelle migliori condizioni per sviluppare le loro capacità relazionali, espressive e creative, lo spirito solidale del prendersi cura gli uni degli altri. L’educazione è, infatti, opera d’espansione e di orientamento verso la forma conviviale del vivere insieme nel riconoscimento e nella valorizzazione delle diversità.

Don Bosco comprese che questa missione esigeva l’apporto differenziato e coordinatodi molte persone e cercò consenso anche tra i non credenti che potevano ritrovarsi nel volto sociale della sua opera di evangelizzazione. Rigenerare il tessuto della società richiedeva sinergie nell’arte di prendersi cura dei giovani, espressione più debole e fragile della società e, allo stesso tempo, speranza di un futuro diverso e migliore. Prendersi cura mediante l’educazione di essi è essenzialmente prevenire, formare persone libere e responsabili del bene della famiglia umana. Prevenire è puntare sul positivo, far leva sulle risorse interiori del ragazzo e sull’espansione delle sue potenzialità; è accompagnare nell’esperienza quotidiana, nel suo coinvolgimento a servizio del bene dei compagni e del bene comune[70].
Ciò significa che educare alla legalità implica la creazione di un ambiente nazionale e internazionale di legalità. Il richiamo formativo e morale rivolto a tutte le persone e istituzioni, cominciando dalla famiglia stessa. “L’autentica legalità trova la sua motivazione radicale nella moralità dell’uomo; la condizione primaria per uno sviluppo del senso della legalità è la presenza di un vivo senso dell’etica come dimensione fondamentale ed irrinunciabile della persona”[71]. Educare alla legalità risulta essere, oggi più che mai, un impegno di tutti ed un obiettivo da inserire in ogni progetto formativo[72].
 
Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco è una persona in cammino verso la maturità spirituale, ecclesiale e sociale.
Fin dalla sua venuta al mondo, se non addirittura dal suo concepimento, la persona si trova a doversi confrontare con un alternarsi infinito di fasi d’immaturità e di maturità. Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco è una persona che acquisisce delle “competenze” e le sa gestire mettendole al servizio di se stesso, della famiglia, della Chiesa e della società.
 
La maturità spirituale
Il “buon cristiano e onesto cittadino” di don Bosco coltiva in se stesso le buone abitudini, l’amore di Dio Padre e della conoscenza della sua Parola, interpreta la vita dal punto di vista di Dio, è una persona di convinzione che sa gestire positivamente le proprie “competenze” per il bene comune.
La maniera più pratica e più potente per dirigere i credenti, i giovani, verso la maturità spirituale è quella di aiutarli a stabilire abitudini che promuovano la crescita spirituale. Non si può parlare di carattere senza parlare di abitudini. Il carattere è la maniera in cui si agisce abitualmente. Un carattere integro è un requisito di base e propedeutico per tutto il resto (ad esempio: l’onestà). Avere integrità vuol dire essere sempre onesto. Ed essere onesto deve essere un’abitudine. Non ci si deve pensare.

Certamente nella crescita spirituale sono moltissime le abitudini che si devono sviluppare. Ci soffermiamo su quelle abitudini fondamentali: l’abitudine di trascorrere il tempo con la Parola di Dio; l’abitudine di pregare; l’abitudine alla generosità; l’abitudine di avere comunione fraterna. Ciò si basa sulle affermazioni di Gesù quando definì il discepolato: un discepolo segue la Parola di Dio (Gv 8, 31-32); un discepolo prega e porta frutto (Gv 15, 7-8); un discepolo non è posseduto dai suoi averi (Lc 14,33); un discepolo esprime amore per gli altri credenti (Gv 13, 34-35).
La grande sfida di don Bosco fu sempre di far sì che il ragazzo vedesse la vita dalla prospettiva di Dio. Cioè vivere nell’“intendimento”, nella “saggezza”, e nel “discernimento”. Tutto ciò aiuterà il giovane ad evitare la “durezza di cuore”, la “cecità” e l’“ottusità”. Si fa in modo che la persona del giovane possa rispondere ai “perché” della vita. Essa: ci spinge ad amare di più Dio … (Ef 3, 18); ci aiuta a resistere alle tentazioni. Quando guardiamo a una situazione dal punto di vista di Dio, capiamo che le conseguenze del peccato sono più grandi del piacere temporaneo che esso può dare (Prov 14, 12); ci aiuta nelle prove. Quando abbiamo la prospettiva di Dio sulla vita, capiamo che “… tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio …” (Rm 8,28); “Ci protegge dagli errori… Viviamo in una società che rifiuta la verità assoluta e accetta ogni opinione come ugualmente valida… Il problema non è che la nostra cultura non crede in niente, ma che crede in tutto … La prospettiva è l’antidoto… Il risultato è un credente che rimane stabile…” (Ef 4,14).
Don Bosco voleva educare una persona con la capacità di convinzione. Lui sapeva molto bene che la convinzione è contagiosa. Le persone acquisiscono le convinzioni stando vicino ad altri che le hanno. Esse includono i valori, gli impegni e le motivazioni. H. Hendricks[73] definisce così la convinzione: “Ciò in cui si crede è qualcosa per cui si discute. Una convinzione è qualcosa per cui si muore!”. Le convinzioni determinano la condotta. Inoltre J. Gordon[74] afferma che “un uomo senza convinzioni è debole come una porta che si regge su un solo cardine. Una persona senza convinzioni è alla mercé delle circostanze. Se non decide cos’è importante e come vivere, saranno altri a deciderlo per lui”.
Nella vita cristiana esistono determinate capacità che bisogna sviluppare per maturare: studiare la Bibbia, servire, testimoniare, relazionarsi, amministrare il proprio tempo, rispettare le norme stabilite, ecc.
 
Maturità ecclesiale
C'è un senso  di  appartenenza alla Chiesa che deve andare oltre il gruppo, la parrocchia, l'oratorio, l'associazione e il movimento. Si tratta di riscoprire la grande appartenenza alla Chiesa Locale, comunione di comunità, e alla Chiesa universale, comunione di Chiese locali. Don Bosco ha saputo sviluppare nei suoi ragazzi questo senso profondo di appartenenza alla Chiesa e di amore al Papa: egli ha saputo creare nell’oratorio un ambiente che favoriva la scelta vocazionalecome un modo di crescere... maturare, educarsi, assumere la responsabilità della propria vita nella proprie mani, divenire “protagonisti” e non “trainati” o “pilotati”. Giovanni Paolo II diceva che E' necessario promuovere una cultura vocazionale che sappia riconoscere e accogliere quell'aspirazione profonda dell'uomo che lo porta a scoprire che solo Cristo può dirgli tutta la verità sulla sua vita”[75].
Il Rettor Maggiore, don Pascual Chávez, nelle “Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana 2011” affermava: “Una cultura vocazionale deve mettere in salvo da una concezione soggettivistica che fa dell'individuo centro e misura di se stesso, che concepisce la realizzazione personale come difesa e promozione di sé piuttosto che come apertura e donazione”.
 
Maturità sociale
Le questioni che sfidano oggi la responsabilità umana e la missione cristiana sono nell'ambito secolare: promuovere la libertà della persona, venerare l'inviolabile diritto alla vita, preservare la libertà (civile!) di invocare il nome del Signore, impegnarsi per la stabilità e la dignità della famiglia, sostenere la solidarietà, porre l'uomo al centro della vita economico-sociale[76]. Don Bosco formava i suoi ragazzi per inserirli nella società in modo che vivessero i valori imparati nell’oratorio.
 
Profilo del soggetto che scaturisce dal binomio “buon cristiano e onesto cittadino” che don Bosco voleva formare
Don Bosco cercava di formare un giovane con una fisonomia ben precisa:
“Buon cristiano”
  • È capace di amare la Chiesa, il Papa ed i vescovi;
  • È coraggioso nel professare e difendere il credo della Chiesa;
  • Conserva il “santo timor di Dio”;
  • È cosciente che tutto ciò che realizza nel mondo deve essere finalizzato alla salvezza eterna;
  • È pronto a valorizzare e a vivere i sacramenti, soprattutto: l’Eucaristia e la Riconciliazione;
  • Vede nella vita di grazia lo svelamento pieno della dignità dei figli di Dio;
  • Ha una profonda devozione per la Madonna;
  • È aperto alla formazione umana e cristiana;
  • È cosciente che la finalizzazione ultima della cultura e della civiltà sono la pietà e la moralità;
  • È consapevole che l’esperienza cristiana, conduce e dà qualità all’impegno culturale e sociale;
  • Opera nel mondo con onestà, carità e amabilità;
  • È capace di farsi consigliare dal confessore per le sue scelte.
“Onesto cittadino”
  • Accetta se stesso e gli altri;
  • Vive la solidarietà con gli altri;
  • Sa condividere le proprie risorse umane con i membri del gruppo al cui appartiene;
  • Vive la gioia come stile di vita;
  • Pronto a fare la propria scelta vocazionale con responsabilità;
  • Ama il lavoro;
  • Coltiva ed ama la verità;
  • Si presenta come una persona ragionevole;
  • Studia per offrire alla società un servizio qualificato;
  • Possiede una capacita di inserimento ordinato e operoso nella società;
  • Cura l’onestà ed esemplarità di vita;
  • È un cristiano competente ed onesto nell’esercizio del suo compito lavorativo;
  • Contribuisce all’ordine ed al progresso della società;
  • Rispetta le norme stabilite;
  • Possiede un forte senso di appartenenza alla propria famiglia;
  • Rispetta i propri genitori.
Don Bosco ha concepito ed attuato la propria opera educativa per il raggiungimento di fini antichi e nuovi insieme, portando i giovani ad accogliere e formare in sé sia la fedeltà alla perenne novità cristiana, sia la capacità di inserimento in una società affrancata dai più pesanti vincoli dell’ancien régime e proiettata verso nuove conquiste.
 
Conclusione
Grande è stato l’impegno di una moltitudine di educatori cristiani per formare “onesti cittadini e buoni cristiani”.
Don Bosco è nato e cresciuto in una cultura teocentrica, dove Dio era il centro di tutto. L’ambiente culturale stesso offriva delle possibilità e delle ricchezze in campo religioso e culturale. Una cultura segnata dalle guerre e travolta dall’industrializzazione. Ha dovuto difendere la fede cristiana cattolica dai diversi gruppi anticattolici del momento.
Egli fissa la propria convinzione, che diventa programma, nella reiterata formula “buon cristiano e onesto cittadino”, tradotta poi, nel momento dell’iniziativa missionaria, dal 1875, in altre dal significato più esteso, ma d’identica ispirazione, “civiltà e religione”, “civilizzazione ed evangelizzazione”, promozione del “bene dell’umanità e della religione”, “dilatare il regno di Gesù Cristo portando la religione e la civiltà tra quei popoli e nazioni che l’una e l’altra tuttora ignorano”[77]. La prima – “buon cristiano e onesto cittadino” – è la più diffusa, con diverse varianti: “buoni cittadini e veri cristiani”, “buoni cristiani e savii cittadini”, “buoni cristiani e uomini probi”[78].
Quanto ai contenuti la formula è l’enunciazione abbreviata di un unico “manifesto educativo” di sapore tradizionale, ma virtualmente aperto al nuovo. Esso è già proclamato nel primo importante libro di guida religiosa della vita, Il giovane provveduto: “Vi presento un metodo di vivere, breve e facile, ma sufficiente perché possiate diventare la consolazione dei vostri parenti, l’onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo”[79].
Anzitutto, in relazione a quanto si è osservato a proposito dell’umanesimo pedagogico cristiano di don Bosco, è subito evidente la bipolarità che ne caratterizza l’insieme: da una parte, è affermata la centralità della fede religiosa, del trascendente, dello specifico cristiano; dall’altra, è presente una schietta valutazione della realtà temporale: entrambe sinceramente, intrinsecamente e non solo strumentalmente apprezzate ed utilizzate. Più che la coesistenza egualitaria tra due poli, si tratta di due realtà di pari dignità nel proprio ordine, ma con la subordinazione del polo temporale a quello trascendentale.

Don Bosco nell’educazione che offriva ai suoi giovani, cercava la crescita di tutta la persona. Non c’è alcun dubbio che un aspetto fondamentale per lui era la legalità e la ricerca del bene comune. Certamente lui non usava la parola legalità. La formula “buoni cristiani e onesti cittadini” nelle diverse varianti include la legalità e la socialità. “L’autentica legalità trova la sua motivazione radicale nella moralità dell’uomo, la condizione primaria per uno sviluppo del senso della legalità è la presenza di un vivo senso dell’etica come dimensione fondamentale e irrinunciabile della persona”[80]. Per don Bosco i giovani pericolanti erano una minaccia per la società, per la propria famiglia e per loro stessi.
Don Bosco con la formula “buoni cristiani e onesti cittadini” voleva contrastare la piccola criminalità, la criminalità organizzata e le nuove forme di criminalità. Voleva che ogni giovane fosse un cittadino esemplare.
Inoltre, l’approfondimento della formula “buon cristiano ed onesto cittadino” diventa elemento essenziale, non solo per definire in termini rigorosi la sua visione “umanistico - cristiana” dell’educazione, ma anche ed in particolar modo la dimensione sociale e politica della stessa. Entra in gioco il rapporto tra valori eterni e valori temporali, tra la religione e le altre forme di cultura, tra evangelizzazione ed umanizzazione, tra “salvezza eterna” e presenza nel mondo, tra fede e politica, tra appartenenza e fedeltà alla Chiesa e impegno nella società civile e nella comunità politica[81].
La finalità espressa da don Bosco, da tempo, viene vincolata alla proposta e all’assunzione di valori.  Per tanti ragioni, oggi appare necessario trovare un nuovo perno educativo che, in questo preciso momento storico, sembra trovarsi nella nozione di cittadinanza. Educarci per diventare ciò che siamo si può riassumere nell’esercizio dei valori della cittadinanza: essere un buon cittadino o cittadina esprime fedelmente ciò che ci fa umani.  Sicuramente non possiamo fermarci qui: i processi della prassi cristiana con i giovani aspirano alla meta dell’incontro con Cristo; ma nemmeno possiamo saltare le tappe previste sia dalla maturazione umana che dall’esperienza cristiana.
La meta primaria e comune di qualsiasi itinerario educativo oggi, non può essere altra che la cittadinanza cosmopolita e attiva, radicata nella giustizia; la meta definitiva, invece, si trova nel rendere possibile il salto da questo senso della vita all’esperienza cristiana della salvezza, ossia, all’incontro con Gesù Cristo e all’inserimento attivo nella comunità ecclesiale[82].
Lo stesso Benedetto XVI ha affermato che “i fedeli cristiani sono chiamati a portare avanti con fede i loro doveri di cittadini, lavorando per riempire la società dello spirito del Vangelo, cercando di attuare quella relazione vitale tra cittadini della città dell’uomo e della città di Dio”[83]. Le parole del Santo Padre sottolineano ancora di più l’intuizione educativa di don Bosco, valida non solo ai suoi tempi ma anche nella realtà odierna.
 
Zelarino (VE) 18-20 marzo 2011
Don José Pastor Ramírez
Delegato Mondiale degli Exallievi/e di Don Bosco


[SM=g1740733]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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