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Il Risorgimento? Una pagina da ristudiare..... La Chiesa vera artefice dell'Unità (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/01/2016 20:20
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11/06/2012 11:37
 
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[SM=g1740733] Cari amici,
dopo il successo del trhead dedicato al Risorgimento che trovate QUI, apriamo il nuovo thread in continuazione al precedente per facilitare la lettura... [SM=g1740758]


RISORGIMENTALISTI

 

&

 

ANTI-RISORGIMENTALISTI

 

 

SONO TUTTI QUI

 

 

Unità d’Italia e Risorgimento

una mappa (forse) completa

delle novità bibliografiche

e delle antiche scuole storiografiche

 

Questo avvicinamento di nomi di personaggi politici, che vengon usati come contrasto di ideologie e di interessi, e persino, di vita morale e immorale, non deve meravigliare degli Italiani che posson ricordarsi come Mazzini, cinque volte condannato a morte dal Re di Piemonte, e che Cavour avrebbe impiccato volentieri sopra un molo a Genova, figura nella storia a braccetto con Vittorio Emanuele II e con il suo ministro

(Giuseppe Prezzolini, “America in pantofole”, Vallecchi, 1950)

 

[NOTA DI REDAZIONE: naturalmente questo non vuol essere un “articolo”, ma un extra, un saggio piuttosto “tecnico”, una mappa bibliografica completa che potrà ritornare utilissima al cattolico e all'informatore religioso per orientarsi fra tutti i tentacoli e le esche avvelenate della storiografia risorgimentalista e antirisorgimentalista; e poterne poi parlare con cognizione di causa... raccontando tutta un'altra storia, quella che manu militari è stata taciuta e negata, ma che sovente – come sempre le cose taciute e negate– è quella più vicina al vero. Anche questo è “rendere ragione” della fede, e di quel Dio della Storia, ossia, di quella manzoniana “Mano Invisibile”, che la governa, infine, la storia umana, anche quando sembra scivolargli via, sopprattutto qualora le comparse di queste vicende umane di Dio s'illudono d'averne cancellato il nome, la memoria, la maestà. Così come della sua Chiesa e del suo popolo]

 

 

 

a cura di

Marino Pagano

 

Enrico Cialdini, il feroce sicario dei Savoia e della massoneria. Fu l'autore pluripremiato di vere e proprie stragi terroristiche soprattutto ai danni dei fedeli cattolici. Razziò e sterminò interi paesi

“Ma, amico mio, che paesi son mai questi, il Molise e la Terra di Lavoro! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civile”.

A parlare è un futuro presidente del Consiglio, uno dei tanti presunti statisti di questo Paese: il ravennate Luigi Carlo Farini, inviato nel Mezzogiorno da Camillo Benso conte di Cavour, capo dell’ultimo governo del Regno di Sardegna e del primo del nuovo Regno d’Italia.

Siamo nell’ottobre del 1860.

Il 12 dello stesso mese Vittorio Emanuele II di Savoia (che tale dizione conserverà anche dopo l’Unità), nella sua discesa verso il Sud, passa sul fiume Tronto, oltrepassando il confine che separava lo Stato della Chiesa dal Regno delle Due Sicilie. Stato della Chiesa che già era stato invaso e violato nella sua sovranità l’11 settembre, senza alcuna preventiva dichiarazione di guerra, dalle truppe guidate dal generale Enrico Cialdini.

Una stele, in quel di Martinsicuro (Te), celebra ancora oggi il passaggio del re.

Conquistatore? Estensore dei suoi domini? Unificatore? Lungimirante e munifico monarca?

Le scuole storiografiche hanno provato a dare risposte a questo e a tanti altri quesiti che la stagione del Risorgimento ha inevitabilmente scatenato nel corso, ormai, di un secolo e mezzo: i famosi 150 anni che ci separano da quegli eventi e che la Repubblica ha festeggiato in pompa magna negli scorsi mesi (ma non è già una contraddizione in termini che uno stato repubblicano festeggi i sedicenti successi di una politica monarchica? Ad ogni modo, utile la lettura di “Una e indivisibile. Riflessione sui 150 anni della nostra Italia”, un libro che raccoglie gli interventi del presidente Giorgio Napolitano in occasione degli eventi di festa e delle ricorrenze legate all’anniversario).

Nelle pagine che seguono, proveremo a tracciare una breve sintesi delle novità bibliografiche (specialistiche o polemiste che siano) pubblicate negli ultimi tempi, con attenzione anche agli indirizzi classici degli studi sul tema del Risorgimento, nel cui solco spesso si collocano.

 

PIEMONTESI COME I NAZISTI?

“Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali”, saggio divulgativo a firma del giornalista Pino Aprile, è sicuramente stato l’evento editoriale che più ha fatto discutere e interessare gli appassionati. Edito dalla Piemme, il volume non cela il chiaro disegno polemico e pamphlettistico, ribadendo, grazie anche alla diffusione garantita dall’editore, ciò che una pubblicistica non nuova già ha più volte inteso denunciare in merito all’analisi del periodo risorgimentale.

A “Terroni” è già seguito un ulteriore volume di Aprile, dal titolo “Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l’Italia”, 2011, sempre Piemme.

Aprile s’inserisce nel vasto filone della dura e netta critica rispetto ai processi che portarono all’Unità d’Italia: spesso inveratisi con strumenti di forza, obiettivamente violenti e crudeli, soprattutto quando si trattò di spegnere, con le armi e senza pietà, i bollori briganteschi, non già e non solo di natura criminale, non già e non solo legittimisti, non già e non solo antipiemontesi quanto, più semplicemente, dettati dalle tristi esigenze derivate dalla fame, dai soprusi e dalle angherie che un disegno unitario nato nei ristretti circoli del Nord, elitari e massonici (si legga, su questo, “L’invenzione dell’Italia unita. 1855-1864”, di Roberto Martucci, Sansoni, 1999), non poteva non perpetrare.

Nessuna liberazione dei Savoia dai Borboni, ci dice quindi Aprile.

Anzi, nacque allora un Sud occupato, violentato, spogliato delle sue attività produttive e depredato, in più “senza padri” perché costretto al fenomeno dell’emigrazione, fino ad allora quasi sconosciuto.

Un’Italia che, insomma, è stata fatta anche con il sangue degli italiani stessi.

Tra le faccende più spinose, indubbiamente quella della repressione del brigantaggio.

“Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quel che i nazisti fecero a Marzabotto”, esordisce Aprile, mettendo a paragone, in maniera per noi tutt’altro che azzardata, le disumane condotte dei soldati dell’esercito dei Savoia con le altrettanto feroci rappresaglie delle SS tedesche. Si pensi, in effetti, al massacro di intere città “ribelli”: Pontelandolfo e Casalduni su tutte. Massacro materialmente inflitto da un nome che non è difficile trovare scolpito in più iscrizioni italiche o in titolazioni di strade, quello del già citato generale Cialdini, secondo il quale di quei paesi non doveva rimanere più pietra.

I due centri del Matese distano solo cinque chilometri: tra trucidati nel sonno e fucilati senza processo, i morti furono sicuramente più di un migliaio. Due cittadine completamente rase al suolo.Di quell’eccidio parlò già, con encomiabile coraggio, l’impavido federalista e filosofo Giuseppe Ferrari in Parlamento (dicembre 1861).

Seguirono cent’anni di silenzio nonostante l’efferata ecatombe, l’autentica carneficina. Così come il silenzio coprì l’imbarazzante ipotesi di liberarsi dei prigionieri di guerra del Regno delle Due Sicilie previa deportazione di massa in Borneo, dove s’intese creare una vera e propria Caienna. Doverosa la lettura del saggio “I prigionieri dei Savoia. La storia della Caienna italiana nel Borneo”, SugarCo, 2011, di Michele Novero.

 

UN “ESERCITO” DI REVISIONISTI PER RISCRIVERE IL RISORGIMENTO

A paragonare per primo, in sede di ricerca, le atrocità volte a fermare il fenomeno del brigantaggio alle truci immagini legate al secondo conflitto mondiale fu, negli anni settanta, lo scrittore d’origine lucana Carlo Alianello, in questo senso divulgatore antesignano.

Data già al 1942 il suo romanzo storico e realista “L’Alfiere”, che racconta la storia dal punto di vista di un ufficiale borbonico rimasto fedele all’esercito di Francesco II; al 1972, invece, il celebre “La conquista del Sud” (Rusconi).

Un anno prima, approfondendo le ragioni e le trame economico-sociali, Nicola Zitara, originale e graffiante meridionalista scomparso nell’ottobre di quest’anno, aveva già scritto il suo “L’Unità d’Italia: nascita di una colonia”, per le edizioni Jaca Book.

Ad Alianello si è ispirata un’altra figura storica di ricercatore revisionista: Silvio Vitale, studioso del tradizionalismo cattolico (ma va ricordato, già negli anni ’30, il polemista Alessandro Muzio: siamo negli anni del Fascismo, anni spesso retorici in quanto a culto del mito risorgimentale). Portano la firma di Vitale molti studi e ricerche. Sua anche la rivista “L’Alfiere”, che ancora oggi si pubblica, legata sin dal titolo all’eredità di Alianello.

Numerosi (citiamo senza presunzione di esaurire tutti i nomi) gli studiosi di area cattolica, tradizionalista o comunque, a prescindere dalle disquisizioni ideologiche, decisamente revisionista: Piero Vassallo, Primo Siena, Ulderico Nisticò, Pino Tosca, Gerlando Lentini, Giovanni Cantoni, Marco Invernizzi, Francesco Maria Agnoli, Luigi Copertino, Antonio Pagano, Tommaso Romano, Giuseppe Brienza, Pierfranco Bruni, Gabriele Marzocco, Michele Topa, Corrado Gnerre, Gaetano Marabello, Rocco Biondi, Roberto Maria Selvaggi, Massimo Viglione, Elena Bianchi Braglia, Gianandrea de Antonellis, Rino Cammilleri, Adolfo Morganti, Roberto De Mattei fino anche ad Antonio Socci (“La dittatura anticattolica. Il caso don Bosco e l’altra faccia del Risorgimento”, Sugarco, 2004) e a Franco Cardini, noto e popolare medievista sensibile alle tematiche revisioniste, su cui ha scritto anche il giornalista e scrittore Marcello Veneziani in un capitolo del suo “I vinti”, 2004 (sulla questione meridionale, segnalabile pure “Sud. Un viaggio civile e sentimentale”, 2009, Mondadori come “I vinti”), anche se, spesso, egli ama richiamarsi al Risorgimento come momento culminante della formazione della nazione, pur non riconoscendovi alcuna “favola radiosa e idealistica” (“La Stampa”, 29.8.2000).

 

DANTE FECE L’ITALIA: ALTRO CHE GARIBALDI E COMPAGNI

Stimolante e suggestiva questa citazione di Veneziani (da un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Giornale”, il 1.10.10): “Risorgimentali e antirisorgimentali, mettetevi l’anima in pace. L’Italia non l’ha fatta Garibaldi, e nemmeno Cavour o Vittorio Emanuele. L’ha fatta la geografia, l’ha fatta la storia, l’ha fatta la letteratura. Ma se cercate il fondatore, se avete bisogno di un padre, un Enea per l’Italia, allora quel Fondatore non fu un condottiero, ma un poeta. L’Italia fu fatta da Dante Alighieri”.

Un indirizzo culturale, questo, che, pur con presumibili mutamenti, trae le mosse dall’insegnamento di uomini tradizionalisti e cattolici già dell’800 stesso: su tutti, Giuseppe Spada, storico e cronista delle vicende della Repubblica Romana, Giacinto de’ Sivo, studioso di parte borbonica (suo l’importante “Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861”, ristampato nel 2009 dalle edizioni Trabant di Brindisi) e Giuseppe Buttà (“Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta: memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861”, Napoli, 1883 –seconda edizione, con prefazione di Leonardo Sciascia, Bompiani, 1985- e “I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli”, opera in tre volumi, Perrone, Napoli, 1877).

E che troverà le proprie matrici e sintesi speculative nell’insegnamento di un maestro di pensiero come Augusto Del Noce, tra i maggiori filosofi cattolici del novecento. Del Noce ha riflettuto molto sulla filosofia italiana del Risorgimento, nel suo senso ideologico, messa quindi in relazione con quella della Rivoluzione e della stessa Reazione (“Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione”, Giuffrè, 1993). Ha poi concentrato le sue riflessioni sulle figure di Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti.

 

I BRIGANTI IN MOSTRA: È POLEMICA. SI INFURIA ANCHE IL “MITE GIACOBINO”

Tornando alla storiografia critica, suscitò clamore e polemiche a non finire, nell’estate del 2000, una mostra didattico-fotografica sul brigantaggio e sul Risorgimento, organizzata dal movimento cattolico di Comunione e Liberazione, all’interno del consueto ed annuale cartellone di eventi del Meeting di Rimini.

“Un tempo da riscrivere: il risorgimento italiano” (scritto proprio con la minuscola), il titolo della rassegna. Furono ben sessantasei gli intellettuali italiani che firmarono un durissimo appello (prime firme: Alessandro Galante Garrone, Massimo Salvadori, Nicola Tranfaglia) contro l’impianto culturale della mostra.

“La contestazione dei valori risorgimentali si collega a un rifluire di ideologie reazionarie, di speranze di rivincita di sconfitti della storia, di propositi di erosione dell’assetto democratico della società italiana che devono essere respinti”, era scritto nel documento.

Il giurista Alessandro Galante Garrone fu il più vivace e indignato gendarme della memoria risorgimentale, nel solco della sua formazione storica e saggistica improntata alla più ferma ed assoluta difesa dei principi giacobini (“mite giacobino”, si definiva, invece, egli stesso). Membro della “Société des études robespierristes”, tra i suoi titoli: “Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell’Ottocento”, “I radicali italiani, 1849-1925”, “Un affare di coscienza. Per una libertà religiosa in Italia”, “L’albero della libertà. Dai giacobini a Garibaldi”. Galante Garrone fu allievo di Piero Calamandrei (ma pure di Gaetano Salvemini), uomo di diritto e spirito azionista tra i più attivi, fondatore (nel 1945) della rivista “Il Ponte”, ancora oggi baluardo delle tesi più laiciste, anticlericali e filorisorgimentali.

 

E TRA I CRITICI DELL’EPOPEA RISORGIMENTALE SPUNTA ANCHE MESSORI…

Cattolico è anche lo scrittore di successo Vittorio Messori, spesso intervenuto in senso revisionista su questi temi (“Pensare la storia”, 1992, Sugarco). Ha detto in un’intervista al “Corriere della Sera” (21.9.2010): “Non ho simpatia particolare per don Luigi Sturzo (grande figura per noi da riscoprire di meridionalista cattolico, ndr), ma sto con lui quando, prima ancora dei Patti lateranensi, sintetizzò il giudizio cattolico sul Risorgimento così: l’Unità d’Italia fu un bene, una necessità storica, per raggiungere la quale si è fatto anche molto male. Io non sto con la retorica utopistica del Risorgimento, né con quella antiunitaria, sono un antiretorico”.

Val la pena, continuando, citare a parte le preziosissime ricerche di Angela Pellicciari: “L’altro Risorgimento”, Piemme, 2000; “Risorgimento anticattolico”, sempre Piemme, 2004; “Risorgimento da riscrivere”, Ares, 2007.

“Dal Regno delle Due Sicilie al declino del Sud” è, invece, l’ultimo lavoro del citato Tommaso Romano, edito da Thule. Tese a discutere Garibaldi (caro al politico socialista Bettino Craxi, che lo omaggerà con enfasi in occasione del centenario della morte, nel giugno 1982, come già aveva fatto, nell’anniversario del 1932, Benito Mussolini, da sempre suo ammiratore) sono, inoltre, le ricerche degli storici Francesco Pappalardo e Gilberto Oneto: rispettivamente “Il mito di Garibaldi. Una religione civile per una nuova Italia”, 2010, edito da Sugarco e “L’iperitaliano. Eroe o cialtrone? Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi”, 2006, pubblicato da Il Cerchio.

Sul nizzardo, interessanti anche “Garibaldi fu ferito. Il mito, le favole”, di Mario Isneghi, edito per i tipi della Donzelli (sulle varie sfaccettature imposte al simbolico personaggio nel corso degli anni);“Garibaldi. L’invenzione di un eroe”, della storica inglese Lucy Riall, Laterza, 2007; il dissacrante “Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato”, di Luca Marcolivio, Vallecchi, 2010 e “L’epopea infranta. Retorica e antiretorica per Garibaldi”, di Massimo Onofri, Medusa, 2011.

Da citare anche il saggio, a più voci e a cura di Pasquale Chessa, dal titolo “Se Garibaldi avesse perso. Storia controfattuale dell’Unità d’Italia”.

Nel 1990, nelle sedi istituzionali, sarà invece il parlamentare dell’Msi Angelo Manna a portare avanti con vivo slancio retorico le tesi revisioniste. Giornalista di razza, noto inviato del “Mattino” di Napoli, ruspante meridionalista, è rimasto negli annali per l’interpellanza, rivolta all’allora ministro della Difesa Giovanni Spadolini, con cui chiedeva la definitiva apertura degli archivi militari per la storia del Risorgimento e della repressione del brigantaggio, messa in atto, disse nell’imbarazzo dei suoi colleghi di gruppo “risorgimentalisti”, dalla “soldataglia piemontese ai danni delle popolazioni, per lo più inermi, delle usurpate province meridionali dal tempo della camorristica conquista di Napoli”.

 

IL RISORGIMENTO “CATTOLICO” CHE, PERÒ, PRESTO DIVENTA “LIBERALE” (IN REALTÀ, MASSONICO E PROTESTANTE)

Ma la questione cattolica, come si vede, è fondamentale per percepire i nodi più delicati del periodo risorgimentale. Non può negarsi come l’esigenza di tradurre in istituzione politica unitaria la già consolidata unità spirituale degli italiani si manifestò sin dalla fine del XVIII secolo, con l’invasione giacobina e napoleonica (1796, 1799).

Giovanni Gentile, ammiratore di Mazzini, filosofo conservatore ma non tradizionalista, riconobbe con onestà che fu già la spontanea insorgenza dei cattolici antigiacobini a destare le coscienze unitarie (lo ha ricordato egregiamente Piero Vassallo sulle pagine della rivista “Meridiano Sud”, il 31.10.10, seguendo anche il tracciato di antichi studi: si pensi a quelli del titolare torinese della cattedra di Storia del Risorgimento già negli anni ‘20 e ‘30, il pioniere Francesco Lemmi, cattolico: “Le origini del Risorgimento italiano”, 1925; “La politica estera di Carlo Alberto nei suoi primi anni di regno”, 1928. Altro storico pionieristico fu Michele Rosi, docente di Storia del Risorgimento a Roma e direttore di un “Dizionario del Risorgimento nazionale”, 4 volumi, Vallardi, 1930-37).

Il Risorgimento, dunque, nasce in gran parte cattolico e Pio IX, benedicendo l’Italia, approva e incoraggia l’insorgenza contro gli “illuminati” invasori europei, spingendo verso la nascita di una federazione degli Stati cattolici. Ma arrivano ben presto il 1848 e Clemente von Metternich, “continuatore anacronistico della tradizione ghibellina e interprete rigoroso dell’ideologia antiromana strisciante alla corte di Vienna” (ancora Vassallo).

Fu allora che entrarono in gioco poteri forti ed iniziatici e il Risorgimento cattolico si trasformò in Risorgimento “liberale”. Da Gioberti, Manzoni e Rosmini a un’unità guidata da massonerie, sette protestanti e governo inglese, che da sempre agivano contro la storia italiana (sul ruolo dei protestanti, ineludibile il saggio “Risorgimento e protestanti”, Mondadori, 1989 -nuova edizione, Claudiana, 1998- di Giorgio Spini, famoso storico azionista e di manifesta ispirazione e fede valdese. Sui britannici, interessante, di Nello Rosselli, Einaudi ’54, “Inghilterra e Regno di Sardegna dal 1815 al 1847” ).

Carlo Alberto chiama al potere una minoranza davvero ristrettissima tra la popolazione: quella dei massoni, carbonari e liberali (si vedano: Pier Luigi Baima Bollone, “Esoterismo e personaggi dell’Unità d’Italia”, Priuli e Verlucca, 2011 e il precedente “Il Risorgimento esoterico”, di Cecilia Gatto Trocchi, Mondadori, 1996) .

 

LA SCELTA DEI SAVOIA: PRENDERSELA CON SANTA ROMANA CHIESA

Nasce così, con la scelta del Savoia, quella particolare forma di “odio alla Chiesa di Roma” che, come ha sostenuto Angela Pellicciari, fu la vera anima ideologica del Risorgimento.

Gli atti del parlamento piemontese del 1848 registrano un violento e scientifico piano teso a devastare la cristianità piemontese e a depredare i beni del clero (le terre ecclesiastiche, come si sa, una volta espropriate, spesso furono rivendute a bassissimo prezzo a proprietari senza scrupoli: a risentirne fu, ovviamente, la classe contadina, ridotta pressoché alla fame).

Piano che sarà poi continuato da Vittorio Emanuele II, re cosiddetto “galantuomo”, celebre per aver definito “vile et infecte race de canailles” (“vile e infetta razza di canaglie”) le innumerevoli vittime della carneficina di Genova, la città che, nel 1849, agitata da spiriti repubblicani, si ribellò alla casa regnante. La repressione militare del generale Alfonso La Marmora fu spietata. Pratiche note dei Savoia: si pensi al futuro 1898 e ai crudi atti di Umberto I (a sua volta detto “il re buono”) e Bava Beccaris a Milano. “Ella ha reso un grande servigio al Re e alla patria”, telegrafò al famigerato generale il garibaldino e presidente del Consiglio, Antonio di Rudinì.

La questione cattolica rimane, quindi, centrale.

Lo spirito italiano è cattolico e, non a caso, “Pio IX e Leone XIII, in decine d’interventi, ribadiscono che è grazie alla presenza della sede di Pietro a Roma, è grazie alla fede cattolica della popolazione, che l’Italia ha potuto continuare a svolgere un ruolo di assoluta preminenza dopo la scomparsa dell’Impero romano” (da Angela Pellicciari, “Risorgimento ed Europa”, testo edito da Fede e Cultura, 2008. Sul tema utilissimi anche: “L’Unità d’Italia. Centocinquant’anni: 1861-2011. Contributo di un italiano cardinale a una rievocazione multiforme e problematica”, volume a firma del porporato Giacomo Biffi, edizioni Cantagalli di Siena, 2011; “La fragile concordia. Stato e cattolici in centocinquant’anni di storia italiana”, di Andrea Tornielli, Rizzoli, 2011; “L’Unità d’Italia e la Santa Sede”, dello storico e padre gesuita Giovanni Sale, Jaca Book, uscito sempre nel 2011 e “Risorgimento e identità italiana. Una questione ancora aperta”, del teologo e storico, nonché vescovo di San Marino, Luigi Negri, pure Cantagalli, 2011).

Su questi temi, degno di attenzione il saggio-editoriale dello storico Giampaolo Romanato, dal titolo Dopo 150 anni, i cattolici per l’Italia unita”, apparso sulla rivista “Vita e Pensiero” (settembre-ottobre 2010), storica rassegna culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

SULL’ORIGINE CATTOLICA DEL RISORGIMENTO CI SONO PARERI DISCORDANTI

L'opera di Vittorio Messori sul beato Faà di Bruno: ottimo cattolico, cittadino esemplare ed operoso nella Torino savoiarda... e nonostante ciò duramente angariato dagli anticlericali massonici che avevano preso il potere e conquistato l'Italia

Si pone in aperta alternativa ai cattolici il giornalista Massimo Teodori, di area radicale, libertaria e anticlericale, nel saggio “Risorgimento laico. Gli inganni clericali sull’Unità d’Italia”, Rubbettino, 2011.

Il testo sembra ricalcare la stessa linea esposta in un’opera del lontano 1958 dal noto pubblicista liberale Vittorio Gorresio, redattore de “Il Mondo”, diretto da Mario Pannunzio, quest’ultimo, a sua volta, emblematicamente direttore anche del quotidiano “Risorgimento liberale”, nome del tutto non casuale.

L’opera di Gorresio, “Risorgimento scomunicato”, è stata ripubblicata, prima per i tipi delle edizioni Bompiani nel 1977 e poi per “La Zisa”, nel 2011, con prefazione del filosofo Gianni Vattimo dopo l’originale edizione con Parenti (Firenze).

Un dato appare però evidente: la massoneria internazionale e italiana avranno avuto un ruolo se, nel dicembre 1861, la prima assemblea costituente delle logge eleggerà Gran Maestro il fido collaboratore diplomatico di Garibaldi, Costantino Nigra, acclamando in più il capo dei Mille come primo libero muratore d’Italia.

Dirà e riconoscerà dal suo punto di vista Piero Gobetti, nel testo “L’eresia del Risorgimento”, del 1921: “Tutte le idee prevalenti nella penisola son cattoliche o cristiane (Gioberti, Manzoni, Mazzini). Solo le minoranze politiche, sicure del loro compito storico, sentono più forte di tutti il dovere della fedeltà allo stato e credono alle nuove esigenze economiche”.

[SM=g1740771] continua.....


[Modificato da Caterina63 14/05/2015 12:28]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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