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Il patto con il Serpente

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2012 11:12
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29/07/2012 11:10
 
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Satana in Dio

Satana non è solo in Prometeo, controfigura dell’Angelo caduto di Milton. Satana è anche in Dio. La teologia gnostica che sta al centro dell’ateismo ribelle degli ultimi due secoli distingue tra Lucifero (il liberatore) e Satana (l’oppressore). Essa trova la sua forma esemplare nel pensiero di Ernst Bloch. Per Bloch v’è «da un lato il Dio del mondo che si identifica sempre più chiaramente con Satana, il Nemico, il ristagno; dall’altro il Dio della futura ascesa in cielo, il Dio che ci spinge in avanti con Gesù e con Lucifero»27.

Il dio del mondo, creatore, è il cattivo demiurgo contro cui, nell’Eden, si è levato il Serpente vero amico dell’uomo. È Lucifero, con il suo desiderio di essere come Dio, che svela all’uomo la sua destinazione. «Solo in Lucifero, tenuto segreto in Gesù per essere manifestato più tardi, alla fine, nei tempi in cui questo volto potrà svelarsi; solo in Lucifero, divenuto inquieto da quando fu abbandonato per la seconda volta, da quando dalla croce si alzò il grido che rimase senza risposta, da quando per la seconda volta fu schiacciato il capo del Serpente del paradiso appeso alla croce: solo in Lui dunque, nel Nascosto in Cristo, in quanto anti-demiurgico assoluto, è compreso anche l’autentico elemento teurgico di chi si ribella perché figlio dell’uomo»28.

Il Serpente, come per la setta degli Ofiti ricordata da Bloch in Ateismo nel cristianesimo, è quindi il liberatore. Due volte soggiogato, nell’E­den e nel Cristo innalzato in croce come il Serpente di bronzo di Mosè, esso attende la sua rivincita, la sua vittoria sul Demiurgo che apre l’«età dello Spirito». Unendo assieme Marcione e Gioacchino da Fiore, Bloch è il crocevia di tutta la gnosi moderna. Gesù, anticipazione del dio a venire, del dio “umano”, è il redentore dal dio “satanico”, dal dio del cosmo, dell’ordine e della legge. La rivoluzione, come dissoluzione del vecchio ordine, diviene qui l’opera luciferina per eccellenza.
Come illustre precedente delle sue riflsessioni, Bloch richiama, in Ateismo nel cristianesimo, la figura di William Blake. Il poeta inglese, affascinato dalla rivoluzione americana e da quella francese, ebbe, oltre alla Bibbia, quattro maestri: Milton, Shakespeare, Paracelso, Böhme. Al primo dedicò un breve poema epico, Milton, composto probabilmente tra il 1800 e il 1803. In esso Urizen, il Principe della Luce, appare identico a Satana.
Ciò che è peculiare in Blake è il suo The Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno) scritto nel 1790. Qui la santificazione degli impulsi e dei desideri, in primis quello sessuale, «for everything that lives is Holy» (poiché ogni cosa vivente è Sacra!), ottiene la sua consacrazione teorica. Per essa non v’è più il male che nega il bene: male e bene sono entrambi necessari. «Senza Contrari non c’è progresso. Attrazione e Ripulsa, Ragione e Energia, Amore e Odio sono necessari all’Umana esistenza. Da questi contrari scaturisce ciò che l’uomo religioso chiama Bene e Male. Bene è la passività che ubbidisce a Ragione. Male è l’attività che scaturisce da Energia. Bene è il Cielo, Male è l’Inferno»29.


Il male, come nel Faust di Goethe, è ciò che dà energia, che desta il bene assopito. Il Diavolo è la forza di Dio. In questa sua concezione Blake era debitore a colui che, per primo, nell’arco del pensiero moderno, aveva osato affermare il male in Dio: Jacob Böhme. Il philosophus teutonicus, il quale, secondo Hegel, «fu il primo a far sorgere in Germania una filosofia con caratteristiche proprie»30, stimato da Leibniz, Hegel, Schelling, von Baader e tutto il filone teosofico del pensiero moderno, è colui per il quale «secondo il primo principio Dio non si chiama Dio, ma Collera, Furore, sorgente amara, e vengono di qui il male, il dolore, il tremore e il fuoco divorante»31. L’ira di Dio è superata nell’amore; cionondimeno essa rimane l’Urgrund, il principio originario da cui origina il tutto. Böhme, secondo Hegel, «ha lottato per intendere in Dio e da Dio il negativo, il male, il Diavolo»32. Dio è l’unità dei contrari, dell’ira e dell’amore, del male e del bene, del Diavolo e del suo contrario, il Figlio. In questa posizione Cristo e Satana divengono in qualche modo fratelli, figli di un unico Padre, parti di Lui, momenti della sua natura polare. È quanto affermerà Carl Gustav Jung nel suo esoterico Septem Sermones ad Mortuos scritto nel 1916, fatto circolare come opuscolo per gli amici e mai distribuito in libreria. Il testo, che si richiama idealmente allo gnostico Basilide, afferma la natura di “pleroma” di Dio composta da coppie di opposti di cui «Dio e demonio sono le prime manifestazioni»33.

Essi si distinguono come generazione e corruzione, vita e morte. E tuttavia «l’effettività è comune a entrambi. L’effettività li unisce. Quindi l’effettività è al di sopra di loro ed è un Dio sopra Dio, poiché nel suo effetto unisce pienezza e vuotezza»34. Questo Dio che unisce Dio e il Diavolo è chiamato, da Jung, Abraxas. Esso è la forza originaria, che sta prima di ogni distinzione. «Abraxas genera verità e menzogna, bene e male, luce e tenebra, nella stessa parola e nello stesso atto. Perciò Abraxas è terribile»35. Esso è «l’amore e il suo assassino», «il santo e il suo traditore», è «il mondo, il suo divenire e il suo passare. Su ogni dono del Dio sole il demonio getta la sua maledizione»36. Il messaggio esoterico dei Sette Sermoni portava, come in Blake, alla santificazione della natura, all’innocenza del divenire. Esso implicava, per ciò stesso, la giustificazione del male, del Diavolo, il suo inserimento, come in Böhme, in un sistema polare. Non a caso Martin Buber, venuto a conoscenza dell’opuscolo, parlerà qui di gnosi. «Essa – e non l’ateismo, che annulla Dio perché deve rifiutare le immagini che finora di lui sono state fatte – è il vero antagonista della realtà della fede»37. Per Buber la psicologia di Jung non costituiva altro che «la ripresa del motivo carpocraziano, insegnato ora come psicoterapia, il quale divinizza misticamente gli istinti invece di santificarli nella fede»38.


Il rilievo di Buber non era puramente congetturale. Era stato lo stesso Jung che, in Psicologia e religione, aveva richiamato l’attualità dello gnostico Carpocrate il quale sosteneva che «bene e male sono soltanto opinioni umane e che al contrario le anime, prima della loro dipartita, avrebbero dovuto vivere fino all’ultimo ogni umana esperienza, se volevano evitare di ritornare nella prigione del corpo. Soltanto il completo adempimento di ogni esigenza della vita può riscattare l’anima prigioniera nel mondo somatico del Demiurgo»39. La vita, affermava nel Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, «come processo energetico ha bisogno dei contrasti, senza i quali l’energia è notoriamente impossibile. Bene e male non sono altro che gli aspetti etici di queste antitesi naturali»40. Per questo a Dio è necessario Lucifero. «Senza quest’ultimo non ci sarebbe creazione, e tanto meno ci sarebbe stata alcuna storia di redenzione. L’ombra e il contrasto sono le necessarie condizioni di ogni realizzazione»41. Quest’ombra è innanzitutto in Dio, nel Dio primigenio, nell’Inconscio che, per Jung, è la vera potenza che dirige la vita la quale deve essere “umanizzata” dall’io cosciente. È solo nel Dio umano, Cristo, che il giudizio separa quanto nel pleroma (l’inconscio) è unito: la luce e la sua ombra. Ora i «due figli di Dio, Satana il maggiore e Cristo il minore»42, la mano sinistra e la mano destra di Dio, si separano. «Quest’antitesi rappresenta un conflitto portato all’estremo, e con ciò anche un compito secolare per l’umanità fino a quel punto o a quella svolta del tempo in cui bene e male cominciano a relativizzarsi, a porsi in dubbio, e si alza il grido verso un al di là del bene e del male. Ma nell’età cristiana, cioè nel regno del pensiero trinitario, una simile riflessione è semplicemente esclusa; poiché il conflitto è troppo violento, perché si potesse concedere al male qualche altra relazione logica con la Trinità, che non fosse il contrasto assoluto»43.

Occorre che la Trinità divina, spirituale, si concili con un “quarto” principio: la materia, il corpo, il femminile, l’eros, il male, perché l’idealismo cristiano, conciliato con il mondo, pervenga a una superiore unità. «Perciò anche nel tempo dell’assoluta fede nella Trinità ci fu sempre una ricerca del quarto perduto, dai neopitagorici greci fino al Faust di Goethe. Benché questi cercatori si ritenessero cristiani, essi erano tuttavia una specie di cristiani a latere, poiché consacravano la loro vita a un opus, che aveva come meta la redenzione del serpens quadricornutus, dell’anima mundi irretita nella materia, del Lucifero caduto… La nostra formula della quaternità dà ragione alla loro pretesa, poiché lo Spirito Santo, come sintesi di colui che fu originariamente Uno e poi scisso, fluisce da una sorgente luminosa e da una oscura»44.

L’“età dello Spirito”, nella peculiare interpretazione che Jung dà di Gioacchino da Fiore, è l’era che segue all’eone cristiano, il tempo di Abraxas in cui passioni e ragione, inconscio e conscio, male e bene, Lucifero e Cristo, diverrano uno.

Nel 1919 Hermann Hesse, che nel 1920 si sottopose ad analisi con Jung, pubblicò un romanzo, Demian, sotto lo pseudonimo di Emil Sinclair. In esso il protagonista, un giovane inesperto, viene istruito sul senso della vita da uno spirito “libero” che porta in sé il segno di Caino: Demian. Per Demian «il Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento è una figura eccellente, ma non è quella che dovrebbe essere. È il bene, la nobiltà, il padre, l’alto, il bello, il sentimentale: tutte belle cose, ma il mondo è fatto anche di altro. E ciò viene attribuito semplicemente al Diavolo, e tutta questa parte del mondo, questa metà viene soppressa e uccisa col silenzio»45. Ad essa appartiene, secondo Demian, la sfera sessuale. Per questo non si può solo venerare Dio, «dobbiamo venerare tutto e considerare sacro il mondo intero, non soltanto questa metà ufficiale, separata ad arte. Accanto al servizio per Dio dovremmo avere anche un servizio per il Diavolo. A me parrebbe giusto. Oppure ci si dovrebbe procurare un Dio che racchiuda anche il demonio»46. Come in Jung, questo «Dio si chiama Abraxas ed è Dio e Satana e abbraccia in sé il mondo luminoso e il mondo scuro»47. È l’amor sacro e l’amor profano, «l’immagine angelica e Satana, uomo e donna insieme, uomo e bestia, supremo bene e male estremo»48.


La visione del divino come coincidentia oppositorum, versione che sigla in forma indissolubile il «patto con il Serpente», attraversa, in tal modo, una parte cospicua del mondo culturale del Novecento. Ricordiamo, tra gli altri, la riflessione di Mircea Eliade che in due scritti, Il mito della reintegrazione (1942) e Mefistofele e l’Androgine (1962), espone, sotto le suggestioni di Jung, la sua visione della «polarità divina». Per essa ogni divinità appare polare, benefica e malefica ad un tempo. Il Serpente è fratello del Sole, così come, secondo un mito gnostico, lo sarebbero Cristo e Satana. Questa bi-unità divina prepara, nell’uomo, la reintegrazione di sacro e profano, di bene e di male in una unità superiore che trova, per Eliade, la sua meta simbolica nella figura dell’androgino.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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