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A TE QUINDICENNE E AI TUOI GENITORI educazione cristianaalla purezza

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2015 10:31
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01/07/2013 11:32
 
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LA SCONFITTA

La sconfitta! Parola amara! Come brucia le labbra!

Nella grande guerra del 1915-18, per non conoscerla, noi alleati contro i Tedeschi invasori, abbiamo combattuto quattro anni!

Durante quattro anni, abbiamo dato il sangue delle nostre vene, e i nostri più bei giovani.

Lo abbiamo fatto per conservare la nostra indipendenza.

Ora il giovane dominato dal vizio impuro ha perduto la sua indipendenza. È la sconfitta!

Parola amara! Che brucia le labbra!

Al principio della guerra, vidi dei giovani belgi condotti fra le baionette tedesche. Se vivessi cen­t'anni (il che sarebbe deplorevole ... ) mi ricorde­rei ancora l'espressione dei loro volti.

Straziante umiliazione!

Eppure quei giovani non avevano niente per cui arrossire; anzi avevano il diritto di tener alta la fronte! Invece il vinto dalla passione deve arrossire e camminare con la fronte bassa.

Ha ceduto le armi per viltà, e al più sprezzabile dei vincitori, a quel demonio che Nostro Signore, nel Vangelo, chiama «omicida fin da principio».

Un soldato delle vicinanze di Namur mi rac­contava come era stato preso il suo «forte». I ne­mici avevano fatto uscire i Belgi e lì, davanti ai loro occhi, avevano spezzati i loro fucili sulle rotaie del tram che passava vicino.

Il soldato, con un lampo di vendetta negli occhi, gridava: «Che rabbia, quando si vede il nemico che spezza così i nostri fucili! Voi non siete soldati e non potete capire queste cose! ».

Di nuovo: l'umiliazione per questo soldato era stata puramente materiale, ma non realmente infamante, perchè non era stata meritata.

Il vinto dal vizio, invece, ha una sconfitta infa­mante e meritata.

È cosa dura esser schiavo in mano al nemico. Anche il vizio è una schiavitù.

Spesso gli schiavi del vizio impuro, con lacri­me d'impotenza e di vergogna, vengono a dirci: «È terribile questa tirannia dell'abitudine! Come ci tiene legati dispoticamente! ».

Nessun carceriere custodisce il prigioniero tanto strettamente e severamente come il vizio custodisce le sue vittime!



Il greco Pericle, parlando dei giovani caduti in battaglia, diceva: «l'anno ha perduto la sua pri­mavera! ». Quanto è più vera questa esclamazio­ne applicata al significato morale!

Quando l'impurità è venuta a rovinare una razza, davvero «l'anno ha perduto la sua prima­vera!». Nel libro del Bureau L'indisciplin des moeurs leggo: «ogni giorno si fa una grande carneficina di giovani».

Queste parole furono forse scritte durante la guerra, col pensiero volto ai giovani caduti in bat­taglia? No; alludeva alla carneficina morale dei giovani, nei quali l'impurità ha tutto distrutto. Ripetiamo accoratamente:

«Una grande carneficina... l'anno ha perduto la sua primavera! ».

Vedo il giovane corrotto che sperpera i suoi begli anni, come un pazzo che volontariamente getta in mare, ad una ad una, le sue monete d'oro. Quale scadimento!

Lacordaire di questi giovani disse con frase audace: «L'anima si materializza» e Vinet, con frase ancor più audace: «L'anima degli impuri va tutta in carne».

«Alle volte, dice il Janvière, l'anima, passata giù nei sensi, finisce per cadere in una specie di paralisi che somiglia all'imbecillità».

Questo fenomeno viene da tutti notato. Ascoltate quel grande conoscitore di giovani che fu il Sertillages: «Con l'impurità diminuisce l'attitudine al lavoro e sottentra l'impotenza senile perfino nella giovinezza. La vita è discesa dalla testa ai sensi ... Il vizio smussa la punta dell'intelligenza, spegne il gusto delle cose dello spirito, rende l'uomo inadatto a quello sforzo di raccoglimento e di attenzione che è richiesto da chi vuol occu­parsi di cose serie. Non è possibile condurre a pari passo la vita dei sensi e la vita dello spirito».

Avete mai veduto un'aquila in gabbia? La grande regina dell'azzurro diventa tanto melan­conica dietro quelle sbarre! Più triste ancora è la condizione dell'anima, schiava nella sua gabbia carnale. La volontà è colpita gravemente nel giovane impuro, il quale per ciò stesso diventa un debo­le: cede sempre.

Osservate il circolo vizioso: perchè ha ceduto, la volontà s'è indebolita, e perchè la volontà s'è indebolita, cede!

La memoria sensibile ha un suo organo: il cer­vello. Ma l'eccesso del vizio scuote il sistema ner­voso e quindi porta sul cervello e sulla memoria un rovinoso contraccolpo.

E il cuore? Lo sventurato impuro non ne ha più. « L'impurità, dice il profeta Osea, porta via il cuore», perché il vizio ne ha erose le fibre vive.

Nessuno più di Lacordaire, l'apostolo dei gio­vani, l'ha detto con maggiore competenza: «Du­rante la vita ho veduto molti giovani e per questo vi dichiaro altamente: non ho mai incontrato anime amanti all'infuori delle anime che ignora­no il male, o che lottano contro il male! ».

Molte madri vengono a piangere con noi edu­catori: «Mio figlio era tanto affettuoso, tanto buono verso i fratelli e le sorelle. Il nostro sguar­do materno si tuffava nei suoi occhi ed arrivava sino al fondo, sino all'anima, ma ora si direbbe che ha un suo dominio riservato in cui neppur la madre, anzi soprattutto essa, non può penetrare. È duro! Ma che cosa ha dunque?». Povera madre, che cosa ha? Ha il grande male che colpisce molti giovani!

L'impurità è la grande ladra dei cuori. Non lo commuove più il pensiero di far incanutire i capelli del padre e di riempire di lacrime gli occhi della madre, perchè non li ama più. Il giglio dei santi affetti non cresce nel terreno in cui una malsana vegetazione assorbe il succo e vorace­mente l'asciuga.

Questo egoista può arrivare al punto di non desiderare il matrimonio. I vergognosi piaceri della colpa solitaria gli bastano. Se resta celibe non c'è da sbagliarsi: non è per motivo d'un idea­le superiore, no, ma perchè è completamente sazio e frustrato.

Non soltanto il giovane vizioso cessa d'essere affettuoso, ma può qualche volta diventare posi­tivamente crudele. Impurità e crudeltà, segrete parentele!

Ci vogliono emozioni bestiali via via più forti, finchè arrivano al sangue.

A Roma, il circo in cui si uccideva e le case in cui si straviziava erano vicinissime.

Quando l'orgia è regina, il delitto è re.

Dice Luigi Veuillot: «Il vizio conduce all'ospe­dale... ma attraverso quali strade! ».



Ancora una volta, l'ultima, paragoniamo il giovane puro al giovane impuro.

Il primo è, per cosi dire, gerarchizzato, cioè ha ottenuto e mantiene l'ordine gerarchico in se stesso, poichè ha un'anima virile, padrona d'un corpo da essa animato. Obbedisce al precetto divino: «Il tuo appetito starà sotto di te e tu lo dominerai».

Il giovane impuro invece è «anarchico», radi­calmente squilibrato, perchè la carne soffoca in lui lo spirito. La bestia ha vinto l'Angelo! Dal momento che la pazzia decapita l'essere umano, resta soltanto la bestia.

Non è dunque da meravigliarsi che l'essere tutto intero si risenta da un siffatto disordine. Sovente le cose più diverse sono fra loro lega­te da mille legami sotterranei e come da un mi­sterioso sistema di vasi comunicanti.

Se questo è vero per le cose materiali, e ancor più vero per l'uomo. Una perturbazione così pro­fonda come quella che porta l'impurità, produce inevitabilmente un violento contraccolpo su tutte le facoltà, perchè l'uomo non è un semplice miscuglio, ma una reale unità, in cui gli elemen­ti reagiscono gli uni sugli altri, come nei compo­sti chimici.

Sì, lo ripeto: le differenti parti del composto umano stanno fra loro in così intima relazione, che le une reagiscono sulle altre. Niente si sepa­ra nella vita.

Così, dunque, il vizioso diventa il peggiore degli squilibrati.

E, per questo stesso, diventa il peggiore degli spostati, cioè dei fuori-norma.

È un fuori-norma nell'ordine morale!

La prova più evidente che il vizio è brutto sta in questo: sente la necessità di mascherarsi. Diventa presentabile a metà solo a forza d'eu­femismi: è vita che sboccia... temperamento ar­dente... generosità di cuore ... ecc.».

La parola serve a far passare di contrabbando la cosa; l'etichetta bella dissimula il prodotto avariato!

Abbiamo, una volta tanto, il coraggio di chia­mare le realtà col loro vero e triste nome! Durante la guerra il nemico soleva camuffare i suoi tranelli. Il vizio impuro fa lo stesso.

Grattiamo via la sua doppia maschera: la maschera della gioia e la maschera della poesia. È, al contrario, triste e volgare. E mettiamoci a dimostrarlo.



Il vizio è triste

Lo è per la sua stessa natura. Eccone il motivo: «Il vizioso domanda al pia­cere di rispondere, non ai bisogni limitati degli organi, come le bestie, ma alla sete infinita del suo cuore».

Se il vizioso dà tutto, è perchè vuol ricevere tutto; cioè, a misura che egli si abbandona di più alla passione, pretende una porzione sempre più grande di piacere, fino all'infinito...

Ma, fatalmente, la passione offre una porzio­ne via via più piccola, man mano che viene spre­muta.

Poichè, mentre l'idea scava sempre più a fondo l'abisso inscrutabile del nostro cuore, gli organi corporei, al contrario, poichè sono materiali, vanno soggetti, come ogni materia, a ritrovarsi limitati e consumati. Essi diventano presto sazi; la loro attività si degrada, specialmente quando il vizio li sottopone ad un sovraccarico e a uno squi­librio. Così il piacere poco a poco si spegne. Ed ecco pertanto come il vizioso rimane preso nel suo stesso tranello.

Sente in sè crescere la fame, man mano che la sua preda diminuisce; fatalmente fra la realtà e il suo sogno la distanza, invece di diminuire, aumenta sempre più.

Orbene, nell'uomo la misura della propria tristezza viene appunto da questo: dal sentire l'enorme distanza fra sogno e realtà.

Le debolezze della carne non sono la felicità, ma la brevissima illusione della felicità. L'ubriacatura è tanto rapida, che il piacere consiste più nei momenti che precedono che non nel lampo della stessa soddisfazione, che si può chiamare «una breve epilessia».

Dopo, ed immediatamente dopo, tien dietro la noia giallastra, perchè la colpa è essenzialmen­te fastidiosa e monotona. È il disprezzo di se stessi!

Infine vengono i rimorsi. «Dunque è tutto qui? Ho di nuovo ceduto!... E fatto!... Che stupi­da felicità... e che cosa mi resta adesso? Una depressione fisica e morale».

In me c'è il mercato dell'inganno, che rico­mincia cento volte.

Sono scontento degli altri, perchè non sono contento di me. Tutto finisce nel rammarico!

La colpa deve produrre per forza la tristezza, perchè, dice san Tommaso d'Aquino, «un essere collocato fuori del proprio ordine soffre sempre».

Il vizioso è un irregolare che si è messo volon­tariamente fuori dell'ordine. È un fuori del suo asse, un senza bussola!

Giovane amico, faccio a te questa domanda, alla quale vorrei che rispondessi con la lealtà della tua anima: il peccato impuro rende felici?

L'indomani del peccato è melanconico, e io ti posso citare varie testimonianze non sospette:

Gabriele d'Annunzio: «La tristezza si trova al fondo del piacere, come, alla foce di tutti i fiumi, si trova l'acqua amara».

Scrive il Baumann: « Daniele Rovère, dopo la debolezza, si sarebbe vomitato da se stesso, per il disgusto».

La peccatrice Taide lo riconosce! «Non ho tro­vato la felicità, ed ecco che sono stanca d'una stanchezza infinita».

Quando si è convinti di questo, bisogna pren­dere una risoluzione per l'avvenire, perchè allora si giudica rettamente e non già come quando si è travagliati dallo sregolato appetito.

Ed un'altra eroina del medesimo genere, nei Racconti in prosa di Francois Coppée, confessa: «Ho appena ventisette anni, ma se sapeste come è vecchio il mio cuore! ».

Pietro Loti, dopo aver raccontato la vita sre­golata che conduce a Costantinopoli, conclude: «Ho gustato un poco di tutti i piaceri e, non ostante la mia giovinezza fisica, mi sento molto vecchio!».

Quanti giovani sono «immusoniti piccoli vecchioni! ». E noi indoviniamo il perchè!



Ma osserviamo la cosa un po' più da vicino: quaggiù tutti cercano la medesima cosa; il santo ed il peccatore, benchè per vie differenti, mirano ad uno scopo identico: la felicità.

Chi dei due la trova? La virtù è ricompensata, non solo nell'altra vita, ciò che è evidente, ma persino quaggiù essa procura quella pace che il mondo non può né dare né togliere. La santa allegrezza è sorella della santa innocenza.

La colpa invece è punita non solo nell'altra vita, il che è evidente, ma persino quaggiù. Il peccato lascia nella bocca il sapore cattivo ed amaro del rimorso.

Coloro che fanno violenza a se stessi, per evi­tare il male, sono i più furbi e i più sicuri d'incon­trare la gioia sui loro passi.

Gesù l'ha predetto: «Colui che, per una falsa furbizia, vuol salvare il suo interesse, lo perde; colui che lo perde, in realtà lo guadagna».

Abbiamo qui la divina sentenza che pare un bisticcio: «Chi perde guadagna!».

Al tirar dei conti, Monsignor Baumard ha ragione: «Noi conserviamo soltanto quello che doniamo, cioè quello che doniamo a Dio per generosità».

Dopo una vittoria riportata su di noi stessi, l'anima diventa leggera, e la fanfara della gioia suona nel cuore allargato!

Dopo un'orgia si ha la bocca impastata e nel cuore un cupo odio verso quei violenti piaceri da cui si esce come indolenziti. Mettiti una mano sul cuore e, se puoi, osa dire che questo non è vero. La virtù costa fatica soltanto in principio. Faticoso l'entrare, bello l'uscire.

Per l'impurità, invece, è tutto il contrario: bello l'entrare, brutto l'uscire!

La colpa entra nell'anima per la porta della felicità ed esce per la porta della tristezza.

Le rose del vizio nascondono male la morte. Come si usava a Roma nel «supplizio dei fiori: coloro che, senza saperlo, dovevano morire, venivano invitati ad una festa.

Il banchetto era splendido. All'improvviso, dal soffitto, il grande velo di porpora s'apriva nel mezzo e lasciava cadere una pioggia, fine fine, profumata e poetica, di rose e di verbene.

Sul principio, i convitati si sentivano rapiti e cantavano magnificando la sontuosità della festa.

Ma, poichè la pioggia continuava a cadere implacabile, un'ombra d'inquietudine comincia­va ad oscurare i loro volti.

Decisamente - esclamavano - sono troppi i fiori, troppi i profumi... E alla fine spiravano, ubriacati da tanti odori, e sopra di loro si stende­va come un lenzuolo composto dalla fiorita di verbene e la valanga di quelle rose che erano diventate le rose della morte.

Così, esattamente cosi, accade nel vizio impu­ro. Anch'esso ci invita ad un brillante banchetto dove potremo bere nella coppa del piacere un vino che dà alla testa; mordere ingordamente i frutti proibiti e per questo stesso tentatori. Anch'esso ci offre profumi e fiori.

E sul principio, come per gli sventurati convi­tati romani, sembra un incanto. Ma presto tien dietro l'impressionante inquietudine di subire uno spaventoso languore in quelle passioni che parevano nascondere tanta soavità! E, infine, si muore.

Non resta altro che l'inguaribile tristezza che lasciano le cose finite e colpevoli.

Quel «supplizio di fiori» ebbe luogo soltanto a Roma?

No, si ripete ogni giorno, ogni volta che un giovane cede al falso profumo dell'impurità.



Non dire: è proprio vero che la gioia finisce con la malinconia? E se io rischiassi di farne l'esperienza?

Ti rispondo telegraficamente: questa espe­rienza è stata fatta da più di duemila anni. L'autore del libro sacro chiamato Ecclesiaste, appunto duemila anni or sono, l'aveva tentata per conto suo. Ascolta ora in che modo egli, delu­so, parla nel suo poema: «Ho detto al mio cuore: andiamo! Gusta il piacere! Mi procurai cantori e cantatrici, Numerose donne,

Tutto quello che i miei occhi desideravano non l'ho negato loro. Non ho rifiutato al mio cuore nessuna gioia ... E mi sono accorto che tutto è vanità e soffio di vento». (Eccl, 2,2).

Sant'Agostino, un poco più tardi, cioè mille­cinquecento anni or sono, fece anche lui l'esperi­mento, e non per qualche giorno, ma per dicias­sette anni.

Eccoti ora i suoi risultati, come egli stesso li racconta nelle Confessioni: «Voi, Signore, sapete che cosa io soffrivo allo­ra! Sciebas quid patiebar. Ero rosicchiato: rodebar!

Quanto ero infelice: quam miser eram! L'abitudine di voler saziare l'insaziabile con­cupiscenza mi faceva soffrire crudelmente: me excruciabat. Che tormenti e che gemiti erano i miei: quae tormenta! Una simile vita, era ancora una vita?: talis vita, numquid vita erat?

Un'immensa tristezza riempiva il mio cuore: maestitudo ingens. Signore, avete fatto il nostro cuore per Voi, ed esso è inquieto, fino a che non si riposi in Voi!: et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te!».

È vero. Osservate la lancetta della bussola: è inquieta e quasi folle, finchè non ha trovato il polo. Così è del nostro povero cuore: si trova sperduto fino a che non sia stabilmente orienta­to verso il polo divino. Sant'Agostino aveva udito la voce che gli dice­va: prendi! leggi!

Egli prese il libro che gli stava vicino e lesse questo passo di san Paolo: «Camminiamo nella purezza come in pieno giorno; non abbandonia­moci alle orge, all'ubriachezza, alla lussuria ed

all'impurità... ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbandoniamoci alla carne in modo da eccitarne i malvagi desideri» (Rom. 1,3,1,3).



Il vizio è cosa volgare

Il re Baldassarre usò i vasi sacri del Tempio di Gerusalemme per le sue orge. Così fa il giovane impuro profanando il suo corpo che la Bibbia chiama «il grazioso vaso dell'anima».

La legge della Chiesa vuole che il calice della Messa sia dorato.

Con maggior ragione, il calice del tuo cuore non può essere sdorato dal vizio.

Tutti provammo un senso d'indignazione quando udimmo che Napoleone I, durante la con­quista dell'Italia, trasformava le chiese in stalle e ne insudiciava il Sacro Tabernacolo Eucaristico! Ma non è forse la stessa grave profanazione ad insudiciare il proprio corpo che è tempio dello Spirito Santo?

Il giovane che si abbassa fino alla vergogna del peccato solitario ha un bello sforzarsi di scu­sare e colorire questa vertigine dei sensi median­te pretesti! Non è bello. Non è pulito.

Sant'Agostino riconosce, nelle Confessioni, che al tempo delle sue debolezze, non poteva illudersi sopra la sua bruttura morale: «Mi met­tevo davanti ai miei proprii occhi per constatare quanto ero brutto e contraffatto, sordido, mac­chiato ed ulceroso! ».

La nostra anima non è fatta per avvelenarsi nell'aria fetida delle latrine, ma per respirare castamente la vergine aria dei ghiacciai!



Se poi si tratta non del male commesso da solo, ma di relazioni colpevoli, la cosa è ancora peggiore, perchè la vergogna resta duplicata. Amori proibiti! Amori di fango!

Non ti lasciar ingannare: i romanzieri e i poeti fanno tutti gli sforzi per filtrare questa porcheria, ma è inutile: restano sempre amori fangosi!

Basta mescolare un pochino il fondo, perchè il deposito risalga alla superficie.

I giovani, molto giovani, candidi e molto can­didi, non riescono a rendersi conto di queste vol­garità. Hanno letto scene idealizzate dalla poesia e sapete che cosa s'immaginano?

Un sogno azzurro! L'emozione di confidenze dette fra il rossore; un amplesso al chiaro di luna; una passeggiata sentimentale «tenendosi per il dito mignolo alla moda di Cirano sotto il balcone di Rossana....».

L'amore colpevole (e noi parliamo ora soltan­to di questo) non è questa gentil letteratura!



Spesso accade anche che si pecchi... per dena­ro! Perchè molte disgraziate cedono? Per i tuoi begli occhi? Sei ancora ingenuo, biondino mio!

Il vero scopo è il danaro! Sì, molto prosastica­mente: il denaro! Amore e denaro!

Il cuore contro il rimborso! L'amore barattato!

Nel caso in cui fossi tu che miri a tradire una giovane perchè è povera, promettendole denaro, come si può qualificare questa vigliaccheria d'un uomo che abusa dell'altrui miseria, compera l'amore d'una persona e poi le getta venti euro in compenso della sua virtù?

La vita libertina resterà sempre una vita molto volgare. È seducente da lontano.

È orribile da vicino ... Da vicino!...

Ma facciamo praticamente il bilancio di ciò che portano questi proibiti amori: debiti, prima di tutto, perchè, disse Beniamino Franklin, «un vizio costa più che mantenere due figliuoli»; sce­nate di famiglia; feroci gelosie; terrore di scanda­li; ricatti; ostinazione vessatoria delle disgraziate che non vogliono lasciarvi e diventano tanti «uncini»; vendette di chi tutto dice e porta le prove. Imprudente giocatore! ecco quello che tu rischi su questa carta dell'amore!

Se i giovani sapessero!... E poi i drammi: vetriolo sulla faccia, colpi di rivoltella al petto, cuori trafitti da pugnali. Perchè? «Chercez la femme!». Cercate la donna! Ebbene? si tratta di un bianco idillio o di un rosso dramma?

Lasciamo la parola ad un magistrato: «Mentre i romanzieri e i poeti cantano la virtù e la bellezza dell'amore, i magistrati, ogni giorno, toccano con mano le vergogne, le disperazioni e i delitti a cui dà luogo. Non c'è nessun'altra pas­sione che faccia tanti disperati, tanti pazzi e tanti assassini. Non ce n'è alcun'altra che conduca tanti sventurati e tanti colpevoli al cimitero, al manicomio e al tribunale». (Dott. Louis Proal in Crimes et suicides passionnels).

Inoltre la solidarietà umana è tanto intima, che la cattiva condotta dell'individuo ha sempre un contraccolpo sulla collettività di cui fa parte. Il vizio è antisociale.

Senti il grande san Metodio, l'evangelizzatore delle Russie: « Le nazioni sono forti nella propor­zione in cui sono caste! ». La decadenza o il progresso delle nazioni dipendono dalla decadenza o dal progresso della purezza.



Enumerate, se potete, quante volte, nella sto­ria delle relazioni leggere, la giovane è abbando­nata. Presa per capriccio. Abbandonata per capriccio.

Da ultimo ricordati, o giovane, che la cattiva condotta non è soltanto un dramma a due, ma un dramma a tre. Il terzo, il figlio, che sarà di lui?

O lo si sopprime con l'aborto, e allora l'affet­to, cominciato con un bacio, finisce con un assas­sinio. O lo si lascerà vivere, ma allora, il povero innocente, sarà sempre screditato, perchè porte­rà incollato al suo nome l'appellativo d'illegitti­mo.

Alle volte i miserabili se ne liberano abbando­nando il figlio a qualche Istituto di suore. Ma deve pesare molto sulla coscienza pensare che in qualche parte del vasto mondo va errando un fig!io senza padre, un ragazzo abbandonato che vi cerca e che forse vi maledice!



Questo triste amore non è a base di tenerezza, ma a base di egoismo.

Scrive Luigi Veuillot in Ca et là: «Quando Dio non è l'Amico comune per due, l'Amico che ognuno ama di più, allora colui che ciascuno dei due amici ama di più, è se stesso! ».

Quando un tornado è passato sopra una terra, tutto resta seccato e bruciato.

Quando la passione è passata sopra un cuore, tutto resta seccato e bruciato.

Dove è passata l'unghia del mio cavallo, dice­va il feroce Attila, l'erba non cresce più.

Dove è passata la cavalla nitrente dell'impuri­tà col suo zoccolo rude e stritolatore, il fiore deli­cato dei teneri affetti non cresce più!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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