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LETTURE PER L'ANIMA

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2015 21:12
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13/03/2015 14:11
 
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  S. Alfonso Maria de' Liguori: Avvertimenti necessari per salvarsi


 



Avvertimenti necessari...per salvarsi

(S. Alfonso Maria de Liguori, “OPERE ASCETICHE” Vol. II, pp. 197 - 200, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1962)

La teologia di S. Alfonso, la sua ascetica e la sua morale, nascono da una fede incorrotta e da un'anima apostolica.

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Iddio vuole salvi tutti: Omnes homines vult salvos fieri. 1 Tim. 2. 4. E vuol dare a tutti l'aiuto necessario per salvarsi; ma non lo concede se non a coloro che lo dimandano, come scrive S. Agostino: Non dat nisi petentibus. In Psalm. 100 1. Ond'è sentenza comune de' Teologi e Santi Padri, che la Preghiera agli Adulti è necessaria di necessità di mezzo, viene a dire, che chi non prega, e trascura di dimandare a Dio gli aiuti opportuni per vincere le tentazioni, e conservare la grazia ricevuta, non può salvarsi.

Il Signore all'incontro non può lasciare di conceder le grazie a chi le dimanda, perché l'ha promesso. Clama ad me, et exaudiam te. Jer. 33. 3. Ricorri a me, ed Io non mancherò di esaudirti.Quodcunque volueritis, petetis, et fiet vobis. Jo. 15. 7. Dimandate da Me quel che volete, e tutto otterrete. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. Dimandate e vi sarà dato. Queste promesse non però non s'intendono fatte per beni temporali, perché questi Iddio non li dà, se non quando sono per giovare all'Anima; ma per le grazie spirituali le ha promesse assolutamente ad ognuno, che ce le dimanda; ed avendocele promesse, è obbligato a darcele: Promittendo debitorem Se fecit, dice S. Agostino. De Verb. Dom. Serm. 2 2

Bisogna poi avvertire, che Dio ha promesso di esaudir la Preghiera, ma a riguardo nostro è precetto grave il pregare. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. Oportet semper orare. Luc. 18. 1. Queste parole petiteoportet, come insegna S. Tommaso (3. p. q. 39. a. 5.) importano precetto grave, che obbliga per tutta la vita, e specialmente quando l'Uomo si vede in pericolo di morte, o di cadere in peccato; perché allora, se non ricorre a Dio, certamente resterà vinto. E chi trovasi già caduto in disgrazia di Dio, esso commette nuovo peccato, se non ricorre a Dio per aiuto ad uscire dal suo miserabile stato. Ma Dio potrà esaudirlo, vedendolo - 198 - fatto suo nemico? Si, ben l'esaudisce, quando il peccatore umiliato lo prega di cuore a perdonarlo; poiché sta scritto nel Vangelo: Omnis enim qui petit, accipit. Luc. 11. 10. Dicesi omnis, ognuno sia giusto, sia peccatore, quando prega, Dio ha promesso di esaudirlo. In altro luogo dice Dio: Invoca me, et eruam te. Psalm. 49. 15. Chiamami, ed Io ti libererò dall'Inferno, ove stai condannato.
 
No, che non vi sarà scusa nel giorno del Giudizio, per chi muore in peccato. Né gli gioverà dire, ch'egli non avea forza di resistere alla tentazione, che lo molestava; perché Gesù Cristo gli risponderà: se tu non l'avevi questa forza, perché non l'hai domandata, ch'Io ben te l'avrei data? E se già eri caduto in peccato, perché non sei ricorso a Me, ch'Io te ne avrei liberato?

Pertanto, Lettor mio, se vuoi salvarti, e mantenerti in grazia di Dio, bisogna, che spesso lo preghi a tenerti le mani sopra. Dichiarò il Concilio di Trento (Sess. 6. cap. 13. can. 22.) che a perseverare l'Uomo in grazia di Dio, non basta l'aiuto generale che Egli dona a Tutti, ma vi bisogna un aiuto speciale, il quale non si ottiene se non colla Preghiera. Perciò dicono tutti i Dottori, che ciascuno è tenuto sotto colpa grave a raccomandarsi spesso a Dio con domandargli la santa perseveranza, almeno una volta il mese. E chi si trova in mezzo a più occasioni pericolose, è obbligato a domandare più spesso la grazia della perseveranza.
 
Molto giova poi per ottenere questa grazia il mantenere una divozione particolare alla Madre di Dio, che si chiama la Madre della Perseveranza. Chi non si raccomanda alla Beata Vergine, difficilmente avrà la perseveranza; mentre dice S. Bernardo 3, che tutte le grazie divine, e specialmente questa della perseveranza, ch'è la maggiore di tutte, vengono a noi per mezzo di Maria.
 
Oh volesse Dio, ed i Predicatori fossero più attenti ad insinuare ai loro Uditori questo gran mezzo della Preghiera! Alcuni in tutto il lor Quaresimale appena la nomineranno una o due volte, e quasi di passaggio; quando dovrebbero parlarne di proposito più volte, e quasi in ogni Predica; gran conto dovran renderne a Dio, se trascurano di farlo E così anche molti Confessori attendono solo al proposito de' Penitenti di non offender più Dio; e poco si prendono fastidio d'insinuar loro la preghiera, per quando saran tentati di nuovo a cadere; ma bisogna persuadersi, che quando la tentazione è forte, se il Penitente non domanda aiuto a Dio per resistere, poco gli serviranno tutti i propositi fatti, la sola preghiera può salvarlo. È certo che chi prega, si salva, chi non prega, si danna.
 
E perciò, Lettor mio, replico, se vuoi salvarti, prega continuamente il Signore, che ti dia luce e forza di non cadere in peccato. In ciò bisogna essere importuno con Dio, in domandargli questa grazia.Haec importunitas (dice S. Girolamo) apud Dominum opportuna est 4. Ogni mattina non lasciar di pregarlo a liberarti da' peccati di quel giorno. E quando si affaccia alla mente qualche mal pensiero, o qualche cattiva occasione, subito, senza metterti a discorrere colla tentazione, subito ricorri a Gesù Cristo, e alla Santa Vergine, dicendo: Gesù mio aiutami, Maria SS. soccorrimi. Basta allora nominare Gesù e Maria, per svanir la tentazione; ma se la tentazione persiste, seguita ad invocare Gesù e Maria per aiuto, che non resterai mai vinto.


1 [5-6.] S. AGOST., In Ps. 102, n. 10: «non dat nisi petenti»; PL 37, 1324.  
2 [20-21.] S. AGOST., Sermo 110 (al. 31 De verbis Dom. ), c. IV, n. 4; PL 38, 640-641.
3 [26.] S. BERNARDO, Sermo de aquaeductu, n. 7; PL 183, 441. 
4 [7-8.] Ps.-s. s. GIROL., Epist. 39 (al. Hom. super  Matth., ma Luc. 11), n. 4; PL 30, 277.




Gli spettatori del male che non vedono Dio

Uno scritto di Ratzinger sul Venerdì Santo.

Cristo, Auschwitz, i demoni della Storia

di Joseph Ratzinger

Il Venerdì Santo della storia negli orrori del Novecento, dalla Shoah al grido dei poveri, «gli slums degli affamati e dei disperati».
Il testo che pubblichiamo è la prima parte del saggio di apertura del libro «Gesù di Nazaret.
Scritti di cristologia», secondo tomo del volume VI della Opera omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, che verrà pubblicato a novembre in traduzione italiana dalla Libreria Editrice Vaticana.

Scritto nel 1973, il testo è uscito nel 2014 in Germania presso la casa editrice Herder, che sta pubblicando le Gesammelte Schriften di Ratzinger, a cura del cardinale Gerhard Ludwig Müller. Una riflessione vertiginosa in risposta al grido degli ultimi: «Dove sei, Dio, se hai potuto creare un mondo così?»

******

Nelle grandi composizioni sulla Passione di Johann Sebastian Bach, che ogni anno ascoltiamo durante la Settimana Santa con emozione sempre nuova, il terribile avvenimento del Venerdì Santo è immerso in una trasfigurata e trasfigurante bellezza.
Certo, queste Passioni non parlano della Risurrezione - si concludono con la sepoltura di Gesù -, ma nella loro limpida solennità vivono della certezza del giorno di Pasqua, della certezza della speranza che non svanisce nemmeno nella notte della morte. Oggi, questa fiduciosa serenità della fede - che non ha nemmeno bisogno di parlare di Risurrezione, perché è in essa che la fede vive e pensa - ci è diventata stranamente estranea. Nella Passione del compositore polacco Krzysztof Penderecki è scomparsa la serenità quieta di una comunità di fedeli che quotidianamente vive della Pasqua. Al suo posto risuona il grido straziante dei perseguitati di Auschwitz, il cinismo, il brutale tono di comando dei signori di quell’inferno, le urla zelanti dei gregari che vogliono salvarsi così dall’orrore, il sibilo dei colpi di frusta dell’onnipresente e anonimo potere delle tenebre, il gemito disperato dei moribondi.

È il Venerdì Santo del XX secolo. Il volto dell’uomo è schernito, ricoperto di sputi, percosso dall’uomo stesso. «Il capo coperto di sangue e di ferite, pieno di dolore e di scherno» ci guarda dalle camere a gas di Auschwitz. Ci guarda dai villaggi devastati dalla guerra e dai volti dei bambini stremati nel Vietnam; dalle baraccopoli in India, in Africa e in America Latina; dai campi di concentramento del mondo comunista che Alexandr Solzhenitsyn ci ha messo davanti agli occhi con impressionante vivezza. E ci guarda con un realismo che sbeffeggia qualsiasi trasfigurazione estetica. Se avessero avuto ragione Kant e Hegel, l’illuminismo che avanzava avrebbe dovuto rendere l’uomo sempre più libero, sempre più ragionevole, sempre più giusto. Dalle profondità del suo essere salgono invece sempre più quei demoni che con tanto zelo avevamo giudicato morti, e insegnano all’uomo ad avere paura del suo potere e insieme della sua impotenza: del suo potere di distruzione, della sua impotenza a trovare se stesso e a dominare la sua disumanità.

Il momento più tremendo del racconto della Passioneè certo quello in cui, al culmine della sofferenza sulla croce, Gesù grida a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Sono le parole del Salmo con le quali Israele sofferente, maltrattato e deriso a causa della sua fede, grida in faccia a Dio il suo bisogno d’aiuto. Ma questo grido di preghiera di un popolo, la cui elezione e comunione con Dio sembra essere diventata addirittura una maledizione, acquista tutta la sua tremenda grandezza solo sulle labbra di colui che è proprio la vicinanza redentrice di Dio fra gli uomini. Se sa di essere stato abbandonato da Dio lui, allora dove è ancora possibile trovare Dio? Non è forse questa la vera eclissi solare della storia in cui si spegne la luce del mondo? Oggi, tuttavia, l’eco di quel grido risuona nelle nostre orecchie in mille modi: dall’inferno dei campi di concentramento, dai campi di battaglia dei guerriglieri, dagli slums degli affamati e dei disperati: «Dove sei Dio, se hai potuto creare un mondo così, se permetti impassibile che a patire le sofferenze più terribili siano spesso proprio le più innocenti tra le tue creature, come agnelli condotti al macello, muti, senza poter aprire bocca?».

L’antica domanda di Giobbe si è acuita come mai prima d’ora. A volte prende un tono piuttosto arrogante e lascia trasparire una malvagia soddisfazione. Così, ad esempio, quando alcuni giornali studenteschi ripetono con supponenza quel che in precedenza era stato inculcato loro, e cioè che in un mondo che ha dovuto imparare i nomi di Auschwitz e del Vietnam non è più possibile parlare sul serio di un Dio «buono». In ogni caso, il tono falso che troppo spesso l’accompagna, nulla toglie all’autenticità della domanda: nell’attuale momento storico è come se tutti noi fossimo posti letteralmente in quel punto della passione di Gesù in cui essa diviene grido d’aiuto al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Cosa si può dire? Si tratta al fondo di una domanda che non è possibile dominare con parole e argomentazioni, perché arriva a una profondità tale che la pura razionalità e la parola che ne deriva non sono in grado di misurare: il fallimento degli amici di Giobbe è l’ineludibile destino di tutti quelli che pensano di poter risolvere la questione, in modo positivo o negativo che sia, con abili ragionamenti e parole. È una domanda che può solo essere vissuta, patita: con colui e presso colui che sino alla fine l’ha patita per tutti noi e con tutti noi.

Un superbo credere di poter risolvere la questione - vuoi nel senso di quei giornali studenteschi, vuoi nel senso dell’apologetica teologica - finisce per non centrare l’essenziale. Al massimo si può offrire qualche spunto.
Va notato innanzitutto che Gesù non constata l’assenza di Dio, ma la trasforma in preghiera. Se vogliamo porre il Venerdì Santo del ventesimo secolo dentro il Venerdì Santo di Gesù, dobbiamo far coincidere il grido d’aiuto di questo secolo con quello rivolto al Padre, trasformarlo in preghiera al Dio comunque vicino. Si potrebbe subito proseguire la riflessione e dire: è veramente possibile pregare con cuore sincero quando nulla si è fatto per lavare il sangue degli oppressi e per asciugarne le lacrime? Il gesto della Veronica non è il minimo che debba accadere perché sia lecito iniziare a parlare di preghiera? Ma soprattutto: si può pregare solo con le labbra o non è sempre necessario invece tutto l’uomo?

Limitiamoci a questo accenno, per considerare un secondo aspetto: Gesù ha veramente preso parte alla sofferenza dei condannati, mentre in genere noi, la maggior parte di noi, siamo solo spettatori più o meno partecipi delle atrocità di questo secolo. A questo si collega un’osservazione di un certo peso. È curioso infatti che l’affermazione che non può esserci più alcun Dio, che Dio dunque è totalmente scomparso, si levi con più insistenza dagli spettatori dell’orrore, da quelli che assistono a tali mostruosità dalle comode poltrone del proprio benessere e credono di pagare il loro tributo e tenerle lontane da sé dicendo: «Se accadono cose così, allora Dio non c’è». Per coloro che invece in quelle atrocità sono immersi, l’effetto non di rado è opposto: proprio lì riconoscono Dio. Ancora oggi, in questo mondo, le preghiere si innalzano dalle fornaci ardenti degli arsi vivi, non dagli spettatori dell’orrore.

Non è un caso che proprio quel popolo che nella storia più è stato condannato alla sofferenza, che più è stato colpito e ridotto in miseria - e non solo negli anni 1940-1945, ad «Auschwitz» -, sia divenuto il popolo della Rivelazione, il popolo che ha riconosciuto Dio e lo ha manifestato al mondo. E non è un caso che l’uomo più colpito, che l’uomo che più ha sofferto - Gesù di Nazaret - sia il Rivelatore, anzi: era ed è la Rivelazione. Non è un caso che la fede in Dio parta da un capo ricoperto di sangue e ferite, da un Crocifisso; e che invece l’ateismo abbia per padre Epicuro, il mondo dello spettatore sazio.

D’improvviso balena l’inquietante, minacciosa serietà di quelle parole di Gesù che abbiamo spesso accantonato perché le ritenevamo sconvenienti: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Ricco vuol dire uno che «sta bene», uno cioè che è sazio di benessere materiale e conosce la sofferenza solo dalla televisione. Proprio di Venerdì Santo non vogliamo prendere alla leggera queste parole che ci interpellano ammonitrici. Di sicuro non vogliamo e non dobbiamo procurarci dolore e sofferenza da noi stessi.

È Dio che infligge il Venerdì Santo, quando e come vuole. Ma dobbiamo imparare sempre più - e non solo a livello teorico, ma anche nella pratica della nostra vita - che tutto il buono è un prestito che viene da Lui e ne dovremo rispondere davanti a Lui. E dobbiamo imparare - ancora una volta, non solo a livello teorico, ma nel modo di pensare e di agire - che accanto alla presenza reale di Gesù nella Chiesa e nel sacramento, esiste quell’altra presenza reale di Gesù nei più piccoli, nei calpestati di questo mondo, negli ultimi, nei quali egli vuole essere trovato da noi. E, anno dopo anno, il Venerdì Santo ci esorta in modo decisivo ad accogliere questo nuovamente in noi .


(Traduzione di Pierluca Azzaro, - Libreria Editrice Vaticana 2015)




ITINERARI DI FEDE
 

La Basilica di Santa Croce, nel luogo e nell'aspetto che noi ammiriamo risale al 1548, ma la sua storia, insieme all'annesso Convento dei Padri Celestini è ben più articolata. Successivamente la chiesa fu titolata alla Santa Croce: nel 1571 la vittoria di Lepanto aveva dato infatti una dura sconfitta ai Turchi infedeli. 

di Margherita Del Castillo
La Basilica della Santa Croce di Lecce


“Templum hoc Deo Crucis vexillo dicatum.” Questa chiesa è dedicata a Dio e al simbolo della Croce, recita un cartiglio sulla facciata di Santa Croce a Lecce. La battaglia di Lepanto del 1571 aveva da poco scongiurato, nel segno del Sacro Legno, l’avanzata dei Turchi infedeli e il tempio pugliese dei Celestini intendeva ricordare, con le sue forme monumentali, questa storica vittoria della fede.  L’iscrizione prosegue ricordando l’anno del Signore della sua posa: 1582. A questa data risale la conclusione della prima fase dei lavori iniziati nel 1548 per volere degli Spagnoli di Carlo V che, considerando Lecce avamposto strategico del loro viceregno, avevano predisposto una rivisitazione urbanistica della città coinvolgendo anche la prima basilica celestina che era stata abbattuta. 

La nuova chiesa venne affidata all’estro di Gabriele Riccardi che contaminò lo stile rinascimentale con quello barocco dando vita ad un’architettura originale e maestosa. Il Riccardi portò a termine il primo ordine del prospetto principale fino all’imponente balconata sostenuta da telamoni animali e figure grottesche. Sulla balaustra due putti abbracciano il simbolo del potere temporale, la corona, e la tiara, simbolo del potere ecclesiastico. I tre portali vennero aggiunti all’inizio del secolo successivo, sormontati dalle insegne spagnole, da quelle della Congregazione dei Celestini e dallo stemma della città pugliese. Poco più tardo è lo splendido rosone aperto al centro dell’ordine superiore della facciata, che con i suoi tre sistemi di rilievi concentrici si ispira a modelli romanici. 

Il corpo interno a croce latina, inizialmente scandito da cinque navate, fu nel settecento modificato con due serie di cappelle che sostituirono le navate esterne. Quella centrale è sormontata da un fastoso soffitto a cassettoni dorati. Le colonne portanti sono in numero di dodici che rimanda, seguendo le indicazioni conciliari, agli Apostoli il cui volto è scolpito sul versante interno. I capitelli delle colonne binate, che delimitano il transetto e l’arco trionfale, riproducono invece i simboli degli Evangelisti. Un’ampia cupola,  decorata con festoni di foglie d'acanto, angioletti e motivi floreali, si innalza su un alto tamburo all’incrocio dei due bracci. Lo stretto presbiterio si conclude nell’abside polilobata dove domina il motivo decorativo della foglia d’acanto. 

Tra gli altari presenti nella chiesa, quello di San Francesco de Paola è considerato uno splendido esemplare del barocco leccese per la preziosità delle formelle che raccontano episodi della vita del Santo, dove la figura di San Francesco a tutto tondo si staglia contro lo sfondo dei pittoreschi paesaggi eseguiti a bassorilievo. La chiesa, dal 1833, è affidata all'Arciconfraternita della Santissima Trinità. All’inizio del Novecento non solo fu proclamata, per la sua bellezza e preziosità, monumento nazionale ma fu anche elevata da Pio X a Basilica Minore. 

 



Un sacerdote risponde

All'improvviso nella mia vita ho capito che tra tante verità "false" ne esiste una sola, Gesù; ma sono scoppiati litigi molto accesi

Quesito

caro padre Angelo,
mi imbatto improvvisamente in questo sito, non a caso, chi cerca trova chi chiede avrà risposte....
All'improvviso nella mia vita ho capito che tra tante verità "false" esiste una sola, che è VIA VERITA E VITA: GESU'.
Arrivo subito al dunque.
Sono sposato da 4 anni e vorrei tanto che Gesù sia sempre più presente nella mia famiglia. In questi quattro anni ho litigato solo tre volte con mia moglie e in modo acceso e tutte le tre volte per motivi di fede.
Per mia moglie, io sono una cosa inaspettata non prevista... anche per me l'incontro con Gesù è stato inaspettato improvviso.
Per me è fondamentale andare almeno in chiesa la domenica, per lei non succede niente una volta tanto... anch'io pensavo questo.
Insomma mi ritrovo a fingere in questo rapporto ma vorrei fargli capire che andando avanti in questo modo stiamo sbagliando.
Vorrei vivere momenti di castità coniugale, non usare contraccettivi, leggere di più la parola di Dio in casa, recitare il rosario quotidianamente ecc...ecc... e magari con il suo aiuto (di mia moglie) correggermi e correggere lei e essere di esempio per nostra figlia e i figli che verranno, essere luce per tutte le persone che frequentiamo per guadagnarli tutti a Cristo.
Ho pensato addirittura alle parole di Gesù che dice chi lascerà padre, madre, moglie, figli per seguirlo avrà il centuplo.
Scusi la fretta nel sintetizzare. Ma il succo fondamentalmente è questo.
Preghi per me e mia moglie e per mia figlia.
Salvatore.


Risposta del sacerdote

Caro Salvatore,
1. capisco bene che cosa sia successo nella tua vita e la difficoltà che adesso sperimenti all’interno della tua casa.
L’incontro con Cristo è sempre sconvolgente.
Guarda che cosa ha segnato l’incontro con Cristo nella vita di Zaccheo: un capovolgimento totale della sua vita. Prima era tutto orientato a sfruttare la propria posizione per il guadagno personale. 
Adesso, dopo l’incontro, nono solo restituisce, ma va ben oltre i limiti della giustizia: restituisce quattro volte tanto e dona la metà dei beni ai poveri.
Zaccheo aveva incontrato Colui che è la risurrezione e la vita e si è trovato capovolto.
Mentre prima il suo io e i suoi beni erano il motivo per cui viveva, adesso  capisce che il motivo per cui vivere è l’incontro con Cristo, che “tutto è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui” (Col 1,16), che senza di Lui è come se fosse morto.

2. Dopo aver incontrato Cristo senti l’esigenza di rinnovare tutta la tua vita e in particolare la vita matrimoniale. Non si tratta semplicemente di aggiungere qualche pratica alla vita di prima, ma di darle un orientamento nuovo.
Tu adesso avverti quanto siano vere per te e per tua moglie le parole di Cristo: “Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano” (Mt 9,17).
Adesso vuoi formare una famiglia cristiana nella quale Gesù sia il centro e il fine della vostra esistenza, del vostro stare insieme e del cammino che fate.
Giovanni Paolo II nella prima enciclica del suo pontificato Redemptor hominis ha scritto: “Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia” (RH 1).
Lo deve essere anche della nostra vita, della nostra storia, delle nostre famiglie.
Per questo senti l’esigenza che l’intimità coniugale sia casta perché Gesù ne sia il centro e il fine.
Adesso vorresti ascoltare insieme con tua molgie la sua Parola perché vi illumini, vi riscaldi e vi faccia crescere nella santità rivelando il significato di tutti i vostri sentimenti e di tutti i vostri progetti.
E ancora vorresti pregare insieme, recitare quotidianamente il santo Rosario perché Gesù plasmi la vostra esistenza con i suoi sentimenti e con i suoi pensieri e nello stesso tempo insieme con la Beata Vergine Maria tenga lontano dalla vostra casa ogni insidia e avversità.
Hai capito bene che avendo trovato Cristo non c’è nulla da perdere, ma tutto da guadagnare.

3. Se non che tua moglie questo non l’ha compreso. 
Teme di perder qualcosa. Le sembra che quello che fai e che desideri sia in più e inutile.
Mentre tu avverti che è vero il contrario.
Purtroppo in lei non è arrivato ancora quel momento di grazia che apre gli occhi della mente ad una luce nuova e fa scoprire che Gesù è Colui che mette in salvo tutto  perché è il Salvatore di tutto.
È anche il Salvatore degli affetti e della famiglia.

4. Che fare in questa situazione?
La tentazione è quella di ricorrere alla discussione. E hai visto a che cosa porta: alle litigate.
Devi persuaderti che tua moglie per ora non può capire. Ha bisogno che nel suo interno si accenda una luce nuova e che le faccia capire quello che stai capendo tu.

5. In questi giorni la Liturgia della Chiesa ci ha fatto sentire le parole di San Paolo nella prima lettera ai corinzi.
Paolo era reduce da Atene. Lì all’areopago dove si erano radunati i filosofi e le più belle intelligenze della città aveva tenuto un discorso con i fiocchi.
San Paolo aveva pensato di convertire tutta quella gente con il ragionamento.
Ma quei pensatori, a motivo dei loro pregiudizi filosofici, non ritennero soddisfacente il discorso di Paolo e glielo fecero pure presente. Solo alcuni pochi si convertirono.
Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto, città di mare e dissoluta dove umanamente parlando c’era ben poco da sperare.
Ma lì “una notte, in visione, il Signore disse a Paolo: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso». Così Paolo si fermò un anno e mezzo, e insegnava fra loro la parola di Dio”  (At 18,9-11).

6. Lì a Corinto Paolo non ripeterà quanto aveva fatto ad Atene. Lo rivelò lui stesso scrivendo: “Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza
Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 
La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienzama sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Cor 2,1-5).
Allora in famiglia anche tu devi comportati come Paolo a Corinto.
Cerca di far sì che nei tuoi atteggiamenti, e prima ancora nei tuoi sentimenti e nelle tue parole, si manifesti quella potenza dello Spirito che si è manifestata nell’atteggiamento, nei sentimenti e nelle parole di Cristo in croce e che hanno portano il buon ladrone, il centurione, i soldati e le folle a battersi il petto, a capire e a convertirsi.
In altre parole il Signore ti chiama ad un’alta santità, ad una perfetta conformazione a Lui, soprattutto nella carità, nella pazienza, nell’umiltà, nella dolcezza.
Devi conquistare tua moglie nel medesimo modo in cui Cristo conquistò tutta quella gente sul calvario.

7. Ecco, il Signore ti chiama a questo.
Non è facile perché non si tratta di mettersi in posa, ma di attuare una conversione profonda nella propria vita personale attraverso un combattimento spirituale.
È una conversione che si deve attuare anzitutto nei tuoi sentimenti con molta preghiera e rinnegando te stesso per amore del Signore.
Succederà che tua moglie ti troverà diverso: dolce, umile, paziente, misericordioso, attento.
Ti troverà come lampada che brilla sopra il moggio e illumina tutta la casa.
E scoprirà che l’Autore di questa singolare trasformazione è Gesù. Ne rimarrà affascinata anche Lei.

Mi auguro che tutto questo avvenga presto e per questo assicuro per te e per la tua famiglia la mia preghiera e la mia benedizione.
Padre Angelo


 



[Modificato da Caterina63 04/05/2015 23:55]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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