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LE PIAGHE DELLA CHIESA POCO PRIMA DEL CONCILIO,DURANTE E SUBITO DOPO

Ultimo Aggiornamento: 18/04/2015 10:35
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22/07/2013 13:12
 
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[SM=g1740758] ESSERE “PROGRESSISTI” E’ DOVEROSO. NEL SENSO: “QUANTO ORA IO VI DICO LO COMPRENDERETE A POCO A POCO”

Paolo VI. Solennissima liturgia

Attenzione a quanto abbiamo detto fino a qui, ora è necessario terminare con alcuni basilari chiarimenti che potranno aiutarci a trovare le risposte a queste difficili domande.

E’ fondamentale per noi oggi non rischiare una totale chiusura nei confronti del Concilio stesso, nelle sue intenzioni originali, anche a favore di quella apertura che non mise affatto in pericolo la Verità, le dottrine e i dogmi. Sarebbe infatti assurdo pensare o affermare che la Verità stessa (con la V maiuscola) possa essere uccisa dagli uomini e con i loro ragionamenti.
Senza dubbio, chi attenta alla Verità stessa, la perde, ma non può mai eliminarla.

San Paolo stesso, mentre ci mette in guardia dalle false dottrine, avverte i fedeli di “conservare ciò che è buono, di non gettare via tutto, perché ciò che è buono viene da Dio“: è il famoso discernimento di cateriniana memoria. Si tratta di trovare quel corretto equilibrio che non elimina la ragione stessa, né impedisce alla Chiesa il suo proprio legittimo progresso, anche dottrinale. La Verità stessa infatti, arricchisce chi l’accoglie, ma a sua volta si incrementa per sbriciolare nel tempo l’intera comprensione delle Scritture (“quanto ora io vi dico, lo capire a poco a poco”, disse il Signore), fino al ritorno glorioso di Cristo, come indica il versetto: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 52). Quando una teologia è ben fatta e non rigetta la Verità già acquisita, il concetto di nuovo non è affatto illegittimo o illecito: al contrario, diventa una continuità nella Verità e, basandosi sulla Tradizione, l’arricchisce rendendola viva in ogni tempo.

Quando diciamo progressisti, dunque, occorre fare attenzione, invece, a chi ha a cuore l’autentico progresso della Chiesa insito anche e soprattutto nella nuova comprensione del Vangelo all’interno di problematiche tipiche del proprio tempo: ai suoi tempi san Tommaso fu definito un innovatore, bocciato come eretico dal vescovo francese. L’Aquinate aveva incomprensioni anche con san Bonaventura e non è un segreto che tra francescani e domenicani c’è sempre stata una chiara distinzione nell’innovazione stessa. Viviamo in un tempo in cui i termini si sprecano e spesso vengono usati senza rifletterci troppo, rischiando di usarli come etichette o come slogan che invece di aiutare alla comprensione, finiscono per confondere ulteriormente i fedeli.

Diverso è quando parliamo di modernisti: non sono la stessa cosa dei progressisti come si tende a far credere e la condanna di questa ideologia è incisa a chiare lettere nell’Enciclica di san Pio X, Pascendi Dominicis Gregis, con il suo Giuramento antimodernista e, a seguire, la condanna della sua “Nouvelle Theologiae” denunciata da Pio XII nella Humani Generis.

Nel gruppo di coloro che furono a favore di questo progresso troviamo di fatto tutti i pontefici, specialmente a partire dal beato Pio IX, Leone XIII con la Rerum Novarum, in particolare, oggi, Giovanni Paolo II e lo stesso Ratzinger, i quali si batterono, e si batte oggi Benedetto XVI, perché tale “progresso” non si trasformasse piuttosto in progressismo o in modernismo mascherato da progresso. Questo infatti, significò quella rottura con la Tradizione, sfruttando le porte aperte del Concilio, mentre in tutti i documenti troviamo chiara la condanna ad ogni forma di modernismo che si voleva far infiltrare nel concetto di nuovo.

In tal senso, si può comprendere la posizione favorevole dei pontefici nei confronti di alcuni teologi come de Lubac, Congar, von Balthasar, Danielou e lo stesso allora giovane Ratzinger, il quale sarà invece un punto di riferimento importante per valutare fino a che punto avrebbe dovuto e potuto spingersi la “Nova Theologia” e non la “Nouvelle Theologie”. Basta leggere le catechesi, i discorsi, le stesse encicliche di Benedetto XVI per comprendere non solo queste differenze, ma il concetto stesso dell’ermeneutica della continuità.

 

CHE IL PROGRESSO NON SIA MUTAMENTO

Due volte Pietro. Paolo VI e il neo-cardinale di Monaco Joseph Ratzinger

Un modernista è, per esempio, Karl Rahner oppure il domenicano Schillebeeckx o Hans Kung, i quali pretendono di trasformare il Vangelo a seconda delle necessità della modernità, a seconda delle mode del momento (lo stesso vuole anche la Teologia della Liberazione).

Un progressista seinteso correttamente come a favore del progresso, si muove secondo i parametri estesi da san Vincenzo Linirense che diceva:

“Dirà forse qualcuno: non si dà, dunque, progresso alcuno della religione nella Chiesa di Cristo? Altroché se si dà, e grandissimo! Chi vorrà essere tanto ostile agli uomini e tanto odioso a Dio da tentare di impedire un simile progresso? Però avvenga in modo tale da esser veramente un progresso della fede e non un’alterazione. Progredire, infatti, significa che una cosa si amplifica rimanendo se stessa; mutamento, invece, significa che una cosa passa a diventare un’altra cosa. È necessario, dunque, che crescano — e crescano molto gagliardamente — col passare delle generazioni e dei tempi l’intelligenza e la scienza e la sapienza della fede sia nel singolo sia presso la comunità, sia in ciascun cristiano sia in tutta la Chiesa: però la crescita della fede avvenga soltanto ferma restando la sua propria natura, cioè entro l’ambito dello stesso dogma, nel medesimo significato e nella medesima sentenza — in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia” (Commonitorium,23 -PL50,667).

Un vero progressista, dunque, è colui che progredisce ma senza mutare la dottrina. Chi modifica le dottrine, invece, non è un progressista, ossia a favore del progresso, ma è un modernista che si finge progressista, la cui ideologia rimane condannata dalla Chiesa senza mezze misure.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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