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La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale dei cristiani-cattolici

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2014 11:34
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20/12/2013 10:07
 
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      Incontri con Maria

  di MARIA DI LORENZO


«O Regina di ogni promessa...»

«Quando avremo recitato la nostra ultima parte, / quando avremo deposto cappa e mantello, / quando avremo gettato maschera e coltello, / ricorda il nostro lungo peregrinare».

Appartiene a quella incredibile stagione della prima metà del '900 francese che annovera scrittori del calibro di Mauriac, Claudel, Bernanos, Maritain, solo per citarne alcuni. Ma Charles Péguy, in mezzo a loro, è un caso a parte.

Pochi Paesi come la Francia hanno prodotto tra la fine dell'800 e la prima metà del '900 una così imponente messe di scrittori che si sono incontrati (e scontrati) col Vangelo in quella terra che fu la patria dei Lumi. Una vera fucina di cercatori di Dio, di coscienze inquiete e di penne devote, tra cui ha un posto speciale quello che può essere ricordato come uno dei più grandi cantori di Maria: il poeta Charles Péguy.

Nato a Orléans il 7 gennaio 1873, Péguy ancora in fasce perse il padre, falegname, sicché sua madre per sopravvivere dovette imparare il mestiere di impagliatrice di sedie. Charles così potrà studiare grazie alle borse di studio. A vent'anni si trasferisce a Parigi e a quel tempo ha già abbandonato ogni pratica religiosa. È un giovane colto, intelligente, che diventerà discepolo di Bergson. Sensibile alle questioni sociali, è acceso da un ideale che nell'ultimo scorcio dell'Ottocento ha i contorni rivoluzionari del socialismo. Péguy aderisce al credo socialista con tutto l'ardore della gioventù, ma ne resterà presto deluso. Da tale disillusione prenderà corpo la crisi, salutare e risolutiva. È l'irruzione nella sua vita della Grazia. Evento misterioso, come ogni conversione, ma evento indubbiamente segnato da Maria.

La storia di tanti convertiti sta lì a dimostrarlo: dietro ogni "caduta da cavallo", dietro ogni ritorno alla fede, c'è sempre lo zampino di lei, della Madonna. «Ascolta, bimba mia, ora ti spiegherò, ascoltami bene, / ora ti spiegherò perché, / come, in che / la Santa Vergine è una creatura unica, rara. / Di una rarità infinita, fra tutte precellente, / unica fra tutte le creature. / Seguimi bene…».

Lo scrive all'inizio di quell'opera che è un autentico inno a Maria, Il portico del mistero della seconda virtù. Un canto che comincia quasi in sordina per poi avvitarsi, con accenti sempre più appassionati, in uno splendido canto d'amore alla Vergine.

«A colei che è infinitamente grande / perché è anche infinitamente piccola… / A colei che è infinitamente ricca / perché è anche infinitamente povera… /Acolei che è infinitamente alta / perché è anche infinitamente discendente… / A colei che è infinitamente salva / perché a sua volta salva infinitamente… /A colei che è tutta grandezza e tutta fede / perché è anche tutta Carità… / A colei che è la più imponente / perché è anche la più materna… / A colei che è infinitamente celeste / perché è anche infinitamente terrestre… / A colei che è infinitamente gioiosa / perché è anche infinitamente dolorosa… / A colei che è con noi / perché il Signore è con lei… / Colei che è infinitamente regina / perché è la più umile delle creature…».

Un canto affascinante, il suo, che parla della grandezza e del mistero di Maria e che ha l'andamento e il sapore di certe antiche litanie. È Maria che riconduce a Dio, per sentieri segreti e imprevedibili che solo lei conosce. Persino il peccatore più incallito e con un piede già nell'abisso, come ci rammenta il Montfort, si converte ed è salvo per intercessione della Vergine, che sa come sciogliere i cuori più induriti. Come accade appunto al colto e indifferente scrittore di Orléans. A un certo punto, infatti, Péguy scrive all'amico Joseph Lotte, della sua cerchia parigina di intellettuali socialisti, e gli confessa: «Ho ritrovato la fede. Sono cattolico».

Charles Péguy.

Charles Péguy (foto DE CESARE).

Una poesia che si fa preghiera. Nella sua breve, tumultuosa e feconda avventura esistenziale, Péguy ha attraversato la letteratura europea del Novecento come una meteora, ma questa meteora, lungi dall'esaurirsi, brilla ancora. E ci consegna un'eredità di fede davvero straordinaria, capace di toccare le corde più profonde del nostro spirito.

È un cattolicesimo, quello di Péguy, vissuto in forma mistica e rivoluzionaria, che ha il suo centro di luce in Maria, icona della speranza. I suoi versi, spesso ieratici, a volte ridondanti, conservano tracce di echi biblici molto forti, tra l'epico e il profetico.

«Quando avremo recitato la nostra ultima parte, / quando avremo deposto cappa e mantello, / quando avremo gettato maschera e coltello, / ricorda il nostro lungo peregrinare. / Quando ci caleranno nella fossa / e ci avranno offerto assoluzione e Messa, / ricorda, o Regina di ogni promessa, / il nostro lungo cammino, il nostro peregrinare…».

Ma, ci chiediamo, da dove nasceva un elogio tanto appassionato della Vergine? Charles Péguy fu un convertito e del convertito la sua dimensione di scrittore avrà sempre l'impronta, negli aspetti di assoluto rigore come nelle fulminanti accensioni liriche. Come ha efficacemente scritto Carlo Bo, la voce di Péguy «possiede l'esplosivo sufficiente a mandare per aria tutti gli edifici costruiti dalla tranquillità».

Il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, che fu pure un suo grande estimatore, osservò che «tutta l'arte e la teologia di Péguy sfocia sempre più in preghiera. È la forma della teologia come dialogo trinitario, un dialogo che prima di Péguy non è mai stato ideato e in cui il poeta ha potuto avventurarsi solo grazie a uno stile di popolare semplicità che evita ogni apparenza di elevatezza, ma che mai neppure per un attimo degenera in piaggeria o in falsa familiarità. Solo una fede nello Spirito Santo può far parlare Dio così».

La particolare architettura del Tempio nazionale di Monte Grisa (Trieste), dedicato a Maria, madre e regina, e consacrato il 22.5.1966.

La particolare architettura del Tempio nazionale di Monte Grisa (Trieste), dedicato a Maria, madre e regina, e consacrato il 22.5.1966 (foto BONOTTO).

Nell'ora estrema. «Quando avremo lasciato sacco e corda, / quando avremo tremato gli ultimi tremiti, / quando avremo rantolato gli ultimi dolori, / ricorda la tua misericordia. / Nulla ti chiediamo, o Rifugio dei peccatori, / solo l'ultimo posto nel tuo purgatorio, / per piangere a lungo la nostra tragica storia, / e contemplare da lontano il tuo splendore…».

E per Charles quel giorno si fa presto presente nella sua vita, spezzata a soli 41 anni agli albori della prima guerra mondiale: il 5 settembre 1914, primo giorno della battaglia della Marna, Péguy muore combattendo nei pressi di Villeroy.

Solo due anni dopo la sua morte, nel 1916, l'editore parigino Gallimard iniziò a pubblicare tutte le sue opere. Péguy aveva trovato la pace e la serenità così a lungo cercate poche settimane prima della morte: in una lettera a un amico, infatti, egli confidava di aver lasciato Parigi «con le mani pure». In un certo senso era ritornato fanciullo, reso ormai pronto a quell'incontro che aveva temuto e atteso per tutta la vita.

«A tutte le creature – aveva scritto – manca qualche cosa, e non soltanto di non essere creatore. / A quelle che sono carnali, lo sappiamo, manca di essere pure. / Ma a quelle che sono pure, bisogna saperlo, manca di essere carnali. / Una sola è pura essendo carnale. / Una sola è carnale essendo pura. / È per questo che la Santa Vergine non è solo la più grande benedizione che sia caduta sulla terra, / ma la più grande benedizione discesa in tutta la creazione…».

A lei pertanto si ricorre nell'ora estrema della vita per trarne speranza di salvezza, poiché la Madre di Dio, che un giorno è diventata anche madre nostra («Perché il Figlio ha preso tutti i peccati / ma la Madre ha preso tutti i dolori»), ci riceve sempre fra le sue braccia accoglienti e ci guida al porto sicuro della volontà di Dio, se soltanto abbiamo l'ardire – «l'audacia », come la chiamava lui – di affidare a lei la nostra vita, fino all'ultimo respiro. E con tale consolante certezza il poeta di Maria si congedava dal mondo.







La preghiera più antica alla Vergine

«Come madre incrocia lo sguardo bisognoso dei suoi fedeli e come vergine intercede per loro presso suo figlio Gesù» (Agostino Magarotto, sdb).

Nel corso della storia musicale molti sono gli esempi in cui l'accostamento tra poesia e musica crea un'atmosfera intensamente delicata, ma nelle due antifone dedicate a Maria, Ave, Regina caelorum eAlma Redemptoris Mater, la simbiosi e la sintesi artistica sono talmente suggestive da penetrare anche l'animo dell'ascoltatore meno attento e coinvolto.

In Ave, Regina caelorum la melodia si presenta senza ornamenti; si evidenziano solo due scandicus su decora e nobis e su quest'ultima parola, poi, si eleva la nota più acuta di tutto il brano. Il VI modo in cui si presenta l'antifona è proprio dei testi devoti, affettuosi, di fiducia, in cui la luminosità emerge come elemento portante; infatti si celebra la regalità di Maria nel firmamento celeste, la sua luminosità interiore che la rende «bella fra tutte le donne», il suo essere «porta e radice di salvezza».

Ignoto, Incoronazione della Vergine (sec. XIV), Museo civico, Piacenza (foto BONOTTO).

Ignoto, Incoronazione della Vergine (sec. XIV), Museo civico, Piacenza (foto BONOTTO).

L'inciso di apertura ci presenta un saluto espresso con una successione di note che si spinge verso una posizione abbastanza grave, quasi a voler sottolineare come noi peccatori, alla Regina dei cieli, non possiamo che rivolgerci con umiltà, pacatezza, senso di inferiorità.

Negli incisi successivi la melodia si apre verso suoni più acuti e ci permette di irradiare i nostri sentimenti interiori in un saluto più gioioso che sfocia, poi, in un'implorazione piena di fiducia: «Prega per noi».

Nell'antifona Alma Redemptoris Mater la melodia, di modo V, appartiene all'ethos gioioso e lo scandicus prepunctis iniziale, sulla vocale A, ha la chiara funzione modale di portare il percorso dei suoni alla corda strutturale sol.

Lo stile è sillabico: talvolta emergono intervalli di quarta e di quinta, ascendenti e discendenti, che rendono, però, sempre l'insieme compatto e grandioso. È interessante notare come la musica s'ispiri al testo; infatti alle parole surgere qui curat populo il percorso melodico si innalza fino a toccare uno dei punti più acuti dell'intera composizione.

Da notare ancora come l'inciso finale ponga l'attenzione sul testo peccatorum miserere con un susseguirsi di intervalli fino a toccare la finalis do grave. Sub tuum praesidium non appartiene al gruppo delle antifone mariane, ma è il più antico "troparion" devozionale cristiano a Maria, madre di Gesù, risalente al IV sec.

Da un punto di vista teologico questa composizione riveste particolare importanza in quanto esprime il forte sentimento del cristiano che, nei momenti di difficoltà, cerca rifugio sotto il manto della Vergine e a lei, soccorritrice e salvatrice, rivolge spontaneamente la preghiera.

La melodia gregoriana si elabora raccolta e, pur se non particolarmente coinvolgente, emana una luminosità mistica; forse le cadenze simili tra loro creano un andamento un po' monotono che potrebbe essere interpretato come un'insistente richiesta di aiuto. In corrispondenza di confugimus, deprecationes, despicies, compaiono piccole aperture (pes) per sottolineare più marcatamente l'intensità emotiva di queste parole.

Due altri punti in cui si concentra la tensione melodica sono semper (torculus-clivis-torculus) ebenedicta (torculus quilismatico), in cui l'esecutore ha l'opportunità di valorizzare l'aspetto testuale.


DUE ANTIFONE E...


Ave, Regina caelorum;
ave, Domina angelorum:
salve, radix; salve, porta
ex qua mundo lux est orta.
Gaude, Virgo gloriosa,
super omnes speciosa;
vale, o valde decora,
et pro nobis Christum exora.

Alma Redemptoris Mater,
quae pervia coeli porta manes,
et stella maris succurre cadenti,
surgere qui curat populo:
tu quae genuisti, natura mirante,
tuum sanctum Genitorem.
Virgo prius ac posterius,
Gabrielis ab ore sumens illud Ave,
peccatorum miserere.

Sub tuum praesidium confugimus,
Sancta Dei Genitrix.
Nostras deprecationes
ne despicias in necessitatibus,
sed a periculis cunctis
libera nos semper,
Virgo gloriosa et benedicta.


Luisa Tarabra






La Parola: «Esorto vivamente i sacerdoti ad educare i fedeli, con appropriata ed approfondita catechesi, affinché si avvalgano del gran bene delle indulgenze, secondo la mente e l'animo della Chiesa» (Giovanni Paolo II).


INDULGENZE: DONO PREZIOSO
DELLA MISERICORDIA DI DIO.


È risaputo: quanta poca importanza viene attribuita alle indulgenze dalla nostra generazione!

Gli abusi commessi nel passato sono come una macchia che ha imbrattato e discreditato il significato delle indulgenze. Tuttavia, questa misericordia, che ci viene concessa da Dio per mezzo del potere delle chiavi dato da Cristo a Pietro, è un dono prezioso da non sottovalutare. Dobbiamo approfittare con diligenza di questo dono per camminare con più facilità verso la perfezione e per evitare il più possibile sofferenze, tribolazioni e malanni durante la nostra vita terrena e le pene del purgatorio nella vita futura.

Paolo VI, nella costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina (1967), ha scritto parole chiare sulla validità e sul beneficio delle indulgenze per il popolo cristiano: «È dottrina divinamente rivelata che i peccati comportino pene infinite dalla santità e giustizia di Dio da scontarsi sia su questa terra, con i dolori, le miserie e le calamità di questa vita e soprattutto con la morte, sia nell'aldilà anche con il fuoco e i tormenti o con pene purificatrici» (n. 2).

Fatima, 13.5.1982: Giovanni Paolo II incontra suor Lucia Dos Santos (pellegrinaggio apostolico in Portogallo).

G. della Robbia-S. Buglioni, Le sette opere di misericordia corporali: alloggiare i pellegrini (1525 ca.), Ospedale del Ceppo, Pistoia (foto BONOTTO).

«La Chiesa pertanto anche ai nostri giorni invita tutti i suoi figli a ben ponderare e riflettere quanto l'uso delle indulgenze sia di giovamento alla vita dei singoli, anzi di tutta la società cristiana… Difatti l'indulgenza, che viene concessa per mezzo della Chiesa, diminuisce o cancella del tutto la pena, dalla quale l'uomo in certo modo è impedito a raggiungere una più stretta unione con Dio. Esso, se sinceramente pentito, viene liberato dai suoi debiti verso la giustizia divina e viene introdotto al pieno godimento dei beni della famiglia di Dio» (cf n. 9).

«Per l'acquisto di esse si richiede, da una parte, che le opere prescritte siano compiute e, dall'altra, che il fedele abbia le necessarie disposizioni; che, cioè, ami Dio, detesti il peccato, riponga la sua fiducia nei meriti di Cristo e creda fermamente nel grande aiuto che gli viene dalla comunione dei santi» (n. 10).

E a tutti coloro che, reticenti, dubitano della validità e dell'acquisto delle indulgenze, Paolo VI con fermezza dice loro queste inequivocabili parole: «La Chiesa insegna e stabilisce che l'uso delle indulgenze deve essere conservato perché sommamente salutare al popolo cristiano e autorevolmente approvato dai Concili, mentre condanna quanti asseriscono l'inutilità delle indulgenze e negano il potere esistente nella Chiesa di concederle» (n. 8).

Sono molti coloro che pensano che dopo aver confessato i propri peccati e aver soddisfatto alla piccola penitenza che di solito il confessore dà al penitente, tutto sia cancellato e dimenticato. Ma non è così! Se la confessione ci libera dai peccati commessi in quanto alla salvezza eterna, rimane per noi, secondo la gravità delle colpe, l'obbligo di riparare con un'adeguata penitenza che pochi, o forse nessuno, pensano di fare.

La Chiesa, considerando questa difficoltà, ci viene in aiuto con l'istituzione delle indulgenze. Non prendere vantaggio di questo dono di misericordia significa non comprendere quanto siano perniciosi gli abusi e le conseguenze del peccato. Considerando, come dice l'autore dell'Imitazione di Cristo, che «un'ora di pena in purgatorio è più insopportabile che non cento anni di penitenza fatta qui in terra», dobbiamo essere diligenti e non trascurare nel nostro cammino di fede tutte quelle opportunità di misericordia che Dio ci offre con tanta generosità, specialmente con la grazia delle indulgenze.

Diacono Bruno Podestà,
Toronto, Canada


 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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