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La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale dei cristiani-cattolici

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2014 11:34
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20/12/2013 10:41
 
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   Incontri con Maria

di MARIA DI LORENZO


«Avevo... due rosari d'argento»

Ada Negri: un canto di lode a «quella ch'è Vergine Madre, e in sé porta / il pianto di tutte le madri».

Quel mattino in cui era partita da Lodi con «Dio nel cuore» e non sapeva ancora quale sarebbe stato il suo futuro, Ada Negri aveva però una certezza, una sola certezza, ma fatta di granito: il suo destino, la sua missione, era scrivere.

Aveva cominciato a nove anni e, crescendo, i suoi primi versi degni di essere pubblicati erano apparsi nell'Illustrazione popolare diretta da Raffaello Barbiera: avevano subito commosso e stupito i lettori, creando attorno alla giovanissima poetessa lodigiana un alone di profonda simpatia. Le liriche furono radunate in un volume, dal titolo Fatalità, nel 1892 e questa prima raccolta poetica con le edizioni Treves darà un successo strepitoso alla "Portinaretta" di Lodi, che ad appena un anno di vita era rimasta orfana del padre ed era cresciuta in una modesta portineria con la nonna, mentre la madre si sacrificava fino all'eroismo in una fabbrica tredici ore al giorno per permetterle di studiare.

Così Ada poté frequentare nel 1883 la Scuola normale femminile di Lodi ottenendo il diploma di maestra elementare e insegnò, a partire dal 1888, nella scuola elementare Motta Visconti di Pavia. Il grande successo arriso al suo primo libro fece sì che alla Negri venne attribuito il titolo di "professoressa", per poter insegnare nei licei, trasferendosi in seguito con la madre a Milano.

Ma il riscatto sociale non le fece mai dimenticare le sue umilissime origini («Io non ho nome. Io son la rozza figlia / dell'umida stamberga; / plebe triste e dannata è la mia famiglia, / ma un'indomita fiamma in me s'alberga», scrive lei nella lirica Senza nome), e ciò riesce forse a spiegare la sua forte, straordinaria attenzione per i diseredati e la sua accentuata sensibilità verso la vita miserevole del "quarto stato" di cui la Negri divenne la voce poetica del suo tempo.

Una voce che veniva a rompere un silenzio secolare e che si inseriva in un ideale libertario di impronta socialista, a cui l'autrice lodigiana aderì allora con tutto l'ardore dei suoi vent'anni e del suo cuore impulsivo. Anelito civile che poi sarebbe maturato in uno spirito di cristiana compassione negli anni e nelle raccolte successive, a mano a mano che le esperienze della vita le avrebbero dischiuso nuovi orizzonti di riflessione e di canto.

Rosario

Rosario. Foto GIULIANI.

«Gli ho parlato di Dio».

«Avevo due rosari / d'argento, con la piccola medaglia / della Beata Vergine di Lourdes. / Uno a te lo donai perché ti fosse / compagno nelle notti in cui più il male / t'era martirio, e con lo scorrer dolce / dei chicchi fra le dita, nel pensiero / di Dio placasse in te spirito e carne, / fratello».

È la prima strofa di una delle liriche più belle della Negri, I due rosari, composta per ricordare la morte dello scrittore Fernando Agnoletti (1873-1933). La poetessa aveva ricevuto in dono due rosari d'argento dall'amica, il soprano Rosina Storchio. Uno aveva deciso di regalarlo ad Agnoletti che era ricoverato in un ospedale milanese per una malattia terminale, e glielo portò un giorno andandolo a trovare. «Gli ho parlato di Dio – ricorda nell'epistolario – ma bisogna farlo piano e con tono lieve».

Agnoletti infatti era molto lontano dalla pratica religiosa e refrattario a discorsi di tal genere. Ada Negri pregò molto per lui e offrì rosari alla Madonna per la sua salvezza, tanto che alla fine l'amico scrittore chiese i conforti religiosi prima di spirare, volendo portare con sé nella tomba il rosario che gli aveva donato la poetessa lodigiana. Fu così che la Negri scrisse nei suoi versi:

«All'un de' polsi tu volesti / quel rosario scendendo al tuo riposo / primo ed estremo: ché altra sosta al mondo, / fuor della tomba, aver non ti concesse. / Ed io sull'altro a me rimasto senza sgrano / a sera le solinghe Avemarie / te ripensando e le procelle e il santo / vero amor di tua vita, amor di patria / scritto col sangue; e il tuo lungo patire / e il tuo morir, su di te chiamando / la luce eterna».

La Cattedrale (sec. XII) di Lodi, dedicata alla Vergine assunta (foto VISION).

La Cattedrale (sec. XII) di Lodi, dedicata alla Vergine assunta (foto VISION).

Il passaggio. Amata in vita dai suoi lettori, osteggiata e spesso fraintesa dai critici, anche a motivo dei suoi rapporti col fascismo.

Nel 1940, infatti, ormai settantenne, Ada Negri aveva ricevuto la nomina di Accademica d'Italia. Il riconoscimento tributatole avrà un valore ancor più alto perché per la prima volta nella storia dell'Accademia una donna veniva chiamata a farne parte. E veniva in un certo qual modo a "risarcirla" del mancato Nobel, assegnato invece alla Deledda, che forse le era stato rifiutato proprio per "sfregio" al Regime.

Ma alla poetessa che pure in gioventù aveva sognato e assaporato la gloria, tutto questo non interessava più. La morte si impadroniva in quegli anni di ogni cosa, delle persone amate, delle case ridotte ormai a un cumulo di macerie, l'Italia tutta era messa a ferro e fuoco. E lei era già "oltre", proiettata in un'altra dimensione. Una dimensione in cui faceva capolino l'eternità.

La sua scomparsa avvenne quasi all'improvviso, l'11 gennaio 1945, in una Milano devastata dalla guerra. I funerali, seguiti dai familiari e da pochi intimi, furono assai semplici. Verranno tributate in seguito le commemorazioni in suo onore, ma dell'ultimo passaggio della poetessa per le vie gelide di Milano ben pochi si erano accorti. Il Comune dispose la sepoltura nel Famedio del Cimitero monumentale, dal quale fu poi trasferita a Lodi, la "sua" Lodi, nel 1976.

G.F. Manieri, La Madre (sec. XVI), Museo di San Giuseppe, Bologna (foto BONOTTO)

G.F. Manieri, La Madre (sec. XVI), Museo di San Giuseppe, Bologna (foto BONOTTO)

Qual era stata la parabola della sua vita e della sua esperienza poetica? La prima tappa del suo percorso era stata quella di un socialismo lirico e umanitario, senza supporto di ideologie. Di qui era passata a una fase di umanesimo intenso e commosso – basti pensare ai versi di Maternità (1904) – in cui aveva esaltato il ruolo universale della madre sotto il profilo spirituale ed educativo.

Infine, era giunta alla fase più propriamente religiosa, mistica. Quella a cui, inconsciamente, aveva puntato tutta la vita. E non a caso proprio con una preghiera si chiude la postuma Fons Amoris:

«Fammi uguale, Signore, a quelle foglie / moribonde che vedo oggi nel sole / tremar dell'olmo sul più alto ramo. / (...) Fa' ch'io mi stacchi del più alto ramo / di mia vita, / cioè, senza lamento / penetrata di te come del sole». Tutto il suo percorso letterario era stato accompagnato dalla necessità vitale di «scrivere per istinto, come le detta l'anima ».

Un'inappagata brama di vivere, un inesauribile bisogno d'amore e di gloria. Per anni erano stati la fiamma che avevano acceso il suo canto, la sua virile, risentita, poesia civile. Ma quella sua parola poetica dotata di limpidezza estrema, nel travaglio doloroso della vita – in cui non le furono risparmiati lutti, separazioni, malattie e sofferenze – doveva condurla all'incontro rigenerante della fede. La sua giovanile attenzione alla sofferenza degli altri, il suo ribellismo sociale, divenivano infine sincera vocazione a indagare il mistero di Dio, sciogliendosi in canto di lode a Maria: «Quella ch'è Vergine Madre, e in sé porta / il pianto di tutte le madri» (Litanie). Erano avvisi di eternità sulla soglia della vita, dove tutto si ricapitola e trova pace, placandosi, in un salvifico approdo finale: «Quando anch'io sarò / dentro la terra con le mani giunte / sul petto, all'un de' polsi avrò un rosario: / questo. E gran pace, finalmente, in cuore, / fratello».

Invito all'approfondimento: P. Zovatto, Il percorso spirituale di Ada Negri, Centro studi storico-religiosi del Friuli- Venezia Giulia 2009, pp. 168, H 15,00.

Maria Di Lorenzo


 



Grazia, preghiera, fiducia

«Poiché la Vergine Maria fu esaltata ad essere la madre del Re dei re, con giusta ragione la Chiesa l'onora col titolo di "Regina"» (sant'Alfonso Maria de' Liguori).

Regina coeli, insieme a Salve, Regina, Alma Redemptoris Mater e Ave, Regina coelorum, fa parte delle quattro antifone della beata Vergine Maria. Queste composizioni sono considerate relativamente recenti, perché non antecedenti all'XI sec., ed è da sottolineare come non siano antifone nel senso preciso della parola, in quanto non collegate con un salmo o con un cantico. Gli studiosi ci dicono che a partire dal XIII sec. ognuna di esse fu assegnata ad un trimestre dell'anno e cantata a conclusione delle Ore dell'Ufficio. Oggi si sceglie liberamente l'antifona da cantare al termine delle celebrazioni, anche se Regina coeli viene preferibilmente cantata nel tempo pasquale.

Maestri bizantini, Cristo pantocratore (sec. XII), abside centrale della Basilica-Cattedrale di Cefalù (Palermo).

Maestri bizantini, Cristo pantocratore (sec. XII), abside centrale della Basilica-Cattedrale di Cefalù (Palermo).

Il testo emana in sé un fascio d'intensa gioia, resa ancora più viva dalla dolcezza della melodia. Il VI modo ci investe di una luminosità e lucentezza indescrivibili: è la nostra interiorità che si arricchisce di grazia, preghiera, fiducia; sono i sentimenti più profondi che ci conducono a riconoscere, come Chiesa unita, l'esultanza della Vergine per la risurrezione del Cristo; è la fede che ci spinge a passare dal peccato alla vita nuova in Cristo; è ancora la fede che ci invita a invocare l'intercessione di Maria.

La composizione è formata da quattro versetti intercalati dall'alleluia che si presenta, dapprima, con un percorso ad intervalli congiunti discendenti e, successivamente, con un percorso ascendente che si spinge verso una delle note più acute dell'intero brano.

Il primo inciso, pur nella sua composta presentazione, rivela l'entusiasmo con cui ci si rivolge a Maria: «Regina dei cieli, rallegrati»; sono proprio i tre suoni discendenti di laetare che ci invitano a pensare ad un'allegria pervasa da una particolare gioia che si espande dalla misteriosità delle sfere celesti fino agli abissi più profondi della terra, un rallegrarsi per la vittoria del suo Figlio sulla morte.È un figlio nel quale si evidenzia il connubio tra l'umano e il divino: è umano perché è stato portato nel grembo di una donna; è divino perché è risorto alla gloria di Dio.

Questo collegamento testuale emerge anche nella melodia: proprio nel secondo e terzo inciso ricompaiono i suoni più acuti che creano evidente tensione e attenzione esecutiva. Gli intervalli di quinta (ascendente su quia, discendente su sicut e ora) si presentano, anch'essi, in corrispondenza di parole che, contestualizzate, diventano particolarmente significative e quindi richiedono un investimento emotivo maggiore, pur sempre elegante e melodioso.

Il componimento termina con una richiesta di preghiera in cui su nobis Deum si ripete la formula discendente dei primi due alleluia: il richiamo melodico ci stimola a creare collegamenti tra l'acclamazione di gioia dell'alleluia e la gioia che investe l'uomo di fede che si rivolge a Maria per ricevere intercessione presso Dio. Come tutte le melodie gregoriane, anche questa pretende un'esecuzione sciolta, leggera, in cui emergono delicatamente gli accenti tonici delle parole per creare quelle piccole sfumature di colore che favoriscono un'interpretazione testuale profonda ed espressiva.


REGINA COELI


Regina coeli, laetare, alleluia:
quia quem meruisti portare,
alleluia,
resurrexit, sicut dixit, alleluia.
Ora pro nobis Deum, alleluia.
Regina del cielo, rallegrati, alleluia:
Cristo, che hai portato nel grembo,
alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.


Laura Tarabra









Opnioni

  di BRUNO PODESTÀ, diacono

La Parola:«Amare Maria è stato l'ultimo invito rivolto da Cristo morente all'umanità.
È un invito a degli sforzi sempre nuovi per conoscere e apprezzare quella cheè la Madre di Dio
e la Madre dell'umanità redenta» (Jean Galot, sj).


ACCOGLIERE MARIA COME NOSTRA MADRE

Quando Gesù consegnò sua Madre all'apostolo Giovanni intendeva darla anche a ciascuno di noi. La tradizione della Chiesa è costante in questa interpretazione. Maria, come hanno detto i Padri dell'ultimo Concilio, «è nostra madre nell'ordine della grazia».

È una vera madre, che ha cura di tutta la nostra vita; una madre che ama appassionatamente i propri figli e li aiuta in ogni aspetto della vita. Ciascuno di noi è chiamato ad accogliere Maria nella propria esistenza con profonda ed amorevole devozione, come dono preziosissimo del figlio Gesù. È necessario vivere in comunione con Maria, se vogliamo crescere in grazia e santità.

Il Santuario di Maria ausiliatrice a Castelnuovo Don Bosco (Asti), costruito tra il 1915 e il 1918 per il centenario della nascita del grande Santo piemontese (foto CALCIONE).

Il Santuario di Maria ausiliatrice a Castelnuovo Don Bosco (Asti), costruito tra il 1915 e il 1918 per il centenario della nascita del grande Santo piemontese (foto CALCIONE).

Afferma il Santo di Montfort: «Chi vuole avere il frutto ben maturo e formato, deve avere l'albero della vita, che è Maria; chi vuole avere in sé l'operazione dello Spirito Santo, deve avere la sua Sposa fedele e indissolubile, la celeste Maria, che lo rende fertile e fecondo».

Prendere con sé Maria significa vivere in comunione con lei. Ovunque andiamo, qualunque cosa facciamo, lo spirito di Maria deve essere sempre presente nel nostro cuore per aiutarci a glorificare Dio e per fare la sua volontà (sant'Ambrogio; cf L. Gambero [a cura di], Testi mariani del primo millennio, vol. III, Padri e altri autori latini, Città Nuova 1990, pp. 1.024, H 140,00).

Dobbiamo, in qualche maniera, essere come dei bambini che danno la mano alla propria madre, perché li guidi nel loro cammino. I bambini non si allontanano dalle proprie mamme, perché hanno continuamente bisogno di loro. Spiritualmente parlando, anche noi siamo come dei bambini che continuamente hanno bisogno dell'amore materno di Maria e del suo aiuto per essere guidati, corretti, crescere in grazia e virtù. Chi accoglie Maria come sua madre e si affida a lei totalmente, giungerà sicuramente nel Regno dei cieli, ricco di meriti.

È stato detto che «senza una madre, è difficile educarci alla vita. Senza Maria, è difficile educarci al Vangelo!». Un fedele, di quelli che vivono superficialmente la fede e cercano unicamente i propri interessi nella loro devozione, trovandosi in grande necessità si rivolse a Maria santissima con la preghiera: «O Vergine santa, aiutami! Mostrati con me vera madre! ». Interiormente gli sembrò di sentire la voce della Madonna che con amore gli rispondeva: «Sì, io voglio aiutarti; voglio essere sempre per te vera madre amorosa… Ma tu mostrati vero figlio». Se vuoi avere Maria come madre, comportati verso di lei come vero figlio. Non pretendere di fare i tuoi comodi e di ricordarti e ricorrere a lei solo quando sei costretto da necessità urgenti. Tale devozione non piace alla Madonna.

Diacono Bruno Podestà,
Toronto, Canada










La parola del Vescovo

di mons. CARLO MAZZA, vescovo di Fidenza


"Torre della santa città..."

'immaginazione devota non soffre confini. Né in altezza, né in profondità, dal momento che la sua potenza creatrice, illuminata e ispirata dal genio divino della fede, infrange le logiche della ragione e si inerpica o si inabissa nelle zone più inesplorate dello spirito, là dove appare solo la luce della rivelazione.Ciò avviene in virtù di un grande amore, l'amore dell'uomo devoto verso il Trascendente.

Al riguardo, nell'invocazione lauretana Torre della santa città di Davide, ci è dato uno splendido esempio di come è interpellata l'ineffabile "creatività" dell'orante mariano che, ben frequentando i sacri testi della tradizione biblica, scopre assonanze e allitterazioni in paragone alla bellezza e alla maestà di Maria e deliziosamente le trasforma in appellativi di preghiera efficace.

La torre si presenta di fatto come immagine che evoca una sicurezza e una protezione in condizioni di inimicizia tra i popoli e quindi generatrici di paure e minacce rispetto ad eventuali assalti e guerre. D'altro canto non vi è torre che non simboleggi un potere discreto, un'espressione di sovrana volontà, un segno di benevola vigilanza e, per derivazione, una rassicurante abbondanza di beni.

Inoltre la torre di città rimanda ad un popolo aggregato per parentela civile e per legittimi interessi, accomunato da ideali solidi e ben strutturati nel tempo. Che se poi la città è santa, non v'è dubbio di essere di fronte ad una costruzione ben compaginata, adornata di mura e di torri tutelari ben orientata al bene comune. Santa è infatti la città di Dio edificata su fondamenti certi e incrollabili. Santa è la Chiesa, la città dei santi radunati e segnati dal sangue dell'Agnello immolato.

Questa Torre dell'invocazione lauretana appartiene in figura ai significati della regalità di Davide, cioè richiama l'ordine della promessa attesa. È rivelatrice del disegno di salvezza di Dio, manifestatosi nella storia di Israele e reso in pienezza nella regalità di Cristo.

Dunque è Torre davidica, tutta iscritta nel simbolo più alto della fedeltà di Dio verso il suo popolo. Così diventa una torre di riferimento e di sicura speranza, difesa nelle avversità e orgoglio di Sion. In tale prospettiva, con l'applicazione dell'immagine della torre, Maria acquista rilievo nella "storia della salvezza" e compendia in sé, in modo mistico e misterioso, la ricca simbologia della Torre che svetta sulla santa città di Davide la cui ombra si allunga sulla "Gerusalemme nuova" e lambisce l'eternità. Nel raccordo orante emerge la figura di Maria, in allusiva corrispondenza alla bellezza matura della donna amata, vista come "la torre di Davide" nel Cantico dei cantici (cf Ct 4,4). Così la preghiera dei cristiani invoca Maria, la più rassicurante Torre per raggiungere il cielo.

mons. Carlo Mazza,
vescovo di Fidenza








«Ineffabile armonia»

In occasione del Congresso eucaristico-mariano di Faenza, nel 1958, papa Giovanni XXIII, allora patriarca di Venezia, così giustificava il legame tra il culto eucaristico e quello mariano: «Nell'Eucaristia ci alimentiamo precisamente di quel corpo che nacque da Maria e cantiamo commossi Ave, verum corpus natum de Maria Virgine. Un'altra ragione sta nella convinzione dei fedeli, sviluppata dai teologi, che tutte le grazie, e quindi anche l'Eucaristia, vengono concesse con la cooperazione di Maria». Il teologo Hans Urs von Balthasar individua l'origine di questa ineffabile armonia nell'esperienza religiosa della Madonna, infinitamente superiore a quella dei discepoli, perché affonda le sue radici nel mistero della concezione verginale, della sua gestazione: non vi è esperienza umana in lei che non sia esperienza del Cristo e, di conseguenza, di Dio.

Con una felice intuizione, derivata da una profonda devozione eucaristica, san Pietro Giuliano Eymard propose di venerare la Vergine come "Nostra Signora del Santissimo Sacramento", definendola madre premurosa che guida i fedeli all'Eucaristia, in quanto presente in ogni comunità ecclesiale che celebra e vive il Sacrificio, che ascolta la Parola di Dio, che prega, che offre al Padre il Figlio unigenito. Infatti a lei possiamo pensare come la prima adoratrice del Verbo incarnato, del Cristo suo figlio, realmente presente nel Pane consacrato, «il Pane della vita da lei donato, al posto del pane della stanchezza, che ci aveva dato Eva», come canta in un inno Efrem il Siro. E san Pier Damiani prosegue idealmente questo confronto: «Eva si è cibata e noi siamo stati condannati al digiuno eterno; Maria ci ha dato di che cibarci, e l'ingresso alla mensa celeste è stato spalancato dinanzi a noi. Nessun elogio umano può essere all'altezza di colei il cui ventre purissimo ha dato il frutto che è l'alimento della nostra anima».

Eucarestia

foto BARONTINI

Ripercorrendo le tappe dell'esistenza terrena della Vergine, accompagnati dall'evangelista Luca, è possibile individuare non solo una progressiva maturazione umana e materna della Madonna, ma anche una crescente unione con il Figlio e la sua missione di salvezza, quasi una perfetta conformità con lui: da Betlemme, la "Casa del pane", a Cana, dove, per sua intercessione, si bevve il vino, segno anticipatore dell'Eucaristia, fino alla condivisione della mensa, nella prima comunità dei discepoli.

Nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, a Roma, il mosaico del catino absidale ritrae il Signore Gesù Cristo, assiso in trono, che tiene un braccio sulla spalla di Maria sua madre, seduta accanto a lui: un gesto che al primo sguardo appare statico e imperioso, ma che, se rivisitato, evoca il profondo legame tra i due, l'affetto del Figlio che si concretizza in un atto di protezione verso la Madre, madre del suo corpo e madre del Pane di vita che è l'Eucaristia, dono materno per eccellenza, secondo la tradizione patristica. Un devoto anonimo del secolo X, preparandosi a ricevere la Comunione, così pregava: «O Maria, abitacolo della benevolenza divina, conservami senza macchia per ricevere la perla preziosa e santificarmi».

Madì Drello

da Madre di Dio giugno 2011



[Modificato da Caterina63 20/12/2013 10:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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