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Benedetto XVI il più grande Doctor Ecclesiae del nostro tempo

Ultimo Aggiornamento: 07/06/2014 21:08
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07/06/2014 11:11
 
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QUANDO BENEDETTO XVI DEDICO' LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE DEL 1°GENNAIO 2009 CONTRO LA POVERTA'..... ma a quanto pare i Media l'hanno dimenticato....

Dedicata alla lotta alla povertà la Giornata mondiale della pace
Gli equilibri internazionali minacciati 
dall'insicurezza alimentare

di Renato Raffaele Martino Cardinale,
presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

Il tema "Combattere la povertà, costruire la pace" scelto da Benedetto xvi per la quarantaduesima Giornata mondiale della pace - che si celebrerà il 1° gennaio 2009 - conferma che la lotta alla fame e per la sicurezza alimentare resta, in questo inizio di millennio, la questione prioritaria. È questo il cuore stesso della convivenza mondiale, con le sue mutate condizioni di interdipendenza tra i popoli, con le sue impellenti necessità di autentica giustizia e con le sue esigenze di nuovi strumenti politici ed istituzionali. 

Dal Papa viene un invito pressante a non adagiarsi sulla condizione attuale, a assumere a ogni livello impegni e comportamenti coerenti con la necessità di ridurre gli immensi squilibri che segnano tale convivenza. Senza di ciò, non c'è infatti nessuna possibilità di individuare - e tanto meno di portare a successo - linee di orientamento per la tutela della pace, per il rispetto della soggettività dei popoli e al tempo stesso per la loro collaborazione solidale. 

Il Papa invita l'umanità tutta e in primo luogo i cristiani a una riflessione sulle radici profonde della povertà materiale, ma anche e soprattutto sulla miseria spirituale che rende l'uomo indifferente alle sofferenze del prossimo. La conversione del cuore che ci è richiesta dal Vangelo è certo soprattutto individuale, ma ha una sua espressione irrinunciabile anche nei comportamenti collettivi. La dottrina sociale della Chiesa ci ricorda che giustizia e pace sono valori plurali, sempre e tanto più in quest'epoca che avrebbe strumenti e risorse per consentire di vincere la sfida posta a tutti e a ciascuno dallo scandalo della fame. 

La categoria che meglio esprime la nostra epoca è quella dell'interdipendenza, in cui si intersecano fra loro i settori della vita sociale e economica, gli interessi dei vari popoli, i diritti delle generazioni, comprese quelle ancora non nate. 
Proprio lo scandalo della fame e la questione agricola a esso collegata manifestano l'inadeguatezza degli attuali sistemi di convivenza e dei rapporti internazionali a garantire i diritti dei più deboli e a promuovere la realizzazione del bene comune. 
Del resto, è stato proprio Benedetto xvi a ricordare di recente che "povertà e malnutrizione non sono una mera fatalità" e che "le considerazioni di carattere esclusivamente tecnico o economico non devono prevalere sui doveri di giustizia verso quanti soffrono la fame" (Messaggio alla Fao del 2 giugno 2008). 

Nel sud povero del mondo, gli investimenti infrastrutturali nelle zone rurali, specialmente per quanto riguarda acqua, strade, energia e comunicazioni, hanno un ruolo fondamentale nel promuovere la crescita in agricoltura, ma appare sempre più evidente che per parlare davvero di sicurezza alimentare occorra pianificare e attuare un nuovo modello di sviluppo agricolo diverso da quello ormai dominante delle monoculture destinate ai consumi del nord ricco del mondo. 

In questo contesto, la situazione dell'Africa subsahariana si conferma la principale emergenza del mondo: proprio per quei popoli si profila infatti il fallimento degli interventi dei Millennium Development Goals ("Obiettivi di sviluppo del millennio"), che si propongono di quantomeno dimezzare entro il 2015 la tragedia sociale, economica e sanitaria delle nazioni in via di sviluppo. A sette anni dalla scadenza di tale progetto, motivi di relativo incoraggiamento non mancano, infatti, per le pur gravi condizioni di popolazioni di altre parti del mondo, mentre è proprio l'Africa subsahariana a veder continuamente accrescere la forbice con i paesi ricchi. 
Continuano intanto a diminuire gli aiuti internazionali a favore di agricoltura e sviluppo rurale proprio nel sud del mondo dove vive il quinto sottonutrito dell'umanità esposto ogni giorno alla morte per fame. Sono un miliardo le persone che sopravvivono a stento con meno di un dollaro al giorno. E per altrettante persone questo infimo reddito è appena raddoppiato. Metà della popolazione mondiale non ha abbastanza per nutrirsi. 

Pur nelle loro variazioni di anno in anno - relativamente irrilevanti, quando non peggiorative - i dati di tutti i rapporti internazionali rivelano un fatto certo: manca nel contesto mondiale una convinzione diffusa (e tutelata) della priorità dell'interesse collettivo. Di conseguenza, interdipendenza non equivale ancora a pace, proprio per il continuo affiorare di interessi contrastanti e per la tentazione perenne di ricorrere alle armi anziché alla ragione per dirimere i contrasti. Manca ancora, infatti, nel passaggio "dai molti all'uno", cioè dai popoli alla concertazione internazionale, la maturazione di un disegno planetario autenticamente condiviso in spirito di solidarietà. 

Lottare contro la miseria significa oggi anche interrogarsi e trovare risposte su come sia possibile coniugare le molte culture con una convivenza pacifica mondiale. Significa interrogarsi su come lo sviluppo di alcuni popoli pesi inesorabilmente sugli altri e su come l'ingiustizia dei rapporti finisca per diventare una minaccia per tutti. 

Da questa consapevolezza muovono coloro - per primo proprio il Papa - che cercano di individuare direttive d'impegno in favore delle scelte di pace autentica e solidale e sollecitano nei diversi consessi della comunità mondiale politiche in favore dei popoli in condizioni maggiormente critiche. E lo fanno ricordando altresì che la questione trascende il pur importante aspetto della ripartizione delle ricchezze e investe in senso lato il diritto alla vita.

(L'Osservatore Romano 9 luglio 2008)





    


      



La «Spe salvi», la Chiesa e l'Occidente

Quel di più che la storia umana non riesce a colmare


di Ernesto Galli della Loggia

Il passato e il presente; l'Occidente e la sua tradizione culturale da un lato, la modernità dall'altro: è tra questi due poli che sembra muoversi la riflessione che Benedetto xvi ha fin qui consegnato ai suoi interventi di maggior impegno, in particolare a entrambe le sue encicliche. Una riflessione il cui contenuto vero non è poi altro che il destino del cristianesimo. 
Solo se l'Occidente, infatti, l'antico teatro geografico e storico che primo accolse il messaggio proveniente da Gerusalemme per farne anima e forma della sua cultura, intenderà tutta la profondità del rapporto con le proprie origini cristiane, solo a questa condizione, sembra pensare il Papa, la religione della Croce potrà reggere la sfida lanciatale dai tempi nuovi, continuando a tenere il suo animo fermo all'antica promessa del non praevalebunt. 

Da qui la spinta a ripercorrere in qualche modo l'intero arco della vicenda cristiana, a ripercorrere le molte vie attraverso cui essa non solo ha plasmato l'Occidente dopo essersi mischiata alle sue radici classiche, ma, contrariamente a una convinzione diffusa, ha anche preparato e perfino favorito l'avvento della modernità. L'obiettivo ambiziosissimo è quello niente di meno, come si legge, di "un'autocritica dell'età moderna in dialogo col cristianesimo" nella quale peraltro "confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno", cioè, se capisco bene, di una sorta di "nuovo inizio" segnato da quello che appare il vero obiettivo di questo pontificato: la riconciliazione tra religione e modernità. 

Nel procedere in questa direzione mi sembra che il Papa operi una svolta decisiva non tanto rispetto al Concilio in quanto tale, ma certamente rispetto alla vulgata che ne è circolata largamente negli anni seguenti. Benedetto xvi, infatti, sembra porre al centro dell'attenzione - si badi bene: all'attenzione non politica, ma teologica - della Chiesa non più genericamente il "mondo", bensì l'Occidente, il problema dell'Occidente. Di conserva egli individua con sicurezza i termini teoricamente cruciali per il discorso cristiano sulla modernità non più, come aveva fatto il Vaticano ii, nella "giustizia", nella "pace" e nell'autodeterminazione individuale e collettiva, ma nella "ragione" e nella "scienza" (la seconda in specie sostanzialmente assente nella tematizzazione conciliare). 

Tutto ciò è ben visibile nell'ultima enciclica del Papa. Se con la Deus caritas est Joseph Ratzinger aveva esplorato alcuni dei mutamenti rivoluzionari introdotti dal messaggio evangelico nel mondo dell'"intimità morale", in particolare nei rapporti con l'altro, tra quei due "altri" per antonomasia che sono l'uomo e la donna, con la Spe salvi egli concentra la propria attenzione su un aspetto altrettanto decisivo di quella che Benedetto Croce chiamò la "rivoluzione cristiana" che è all'origine del mondo moderno: vale a dire il rapporto assolutamente nuovo rispetto alla dimensione del futuro che quella rivoluzione significò per le culture in cui ebbe modo di affermarsi. 

Con ciò l'analisi di Benedetto xvi prende il taglio, che in questa enciclica è propriamente suo (ma che già si affacciava in quella precedente), di una declinazione della prospettiva teologica che tende continuamente a configurarsi come filosofia della storia. Anzi meglio, per chi come chi scrive guarda queste cose dall'esterno: a porre la religione cristiana come l'origine prima della storia quale dimensione tipica del pensiero occidentale. 

Se infatti, come l'enciclica non si stanca di sottolineare facendone il proprio asse, la fede cristiana è per l'essenza speranza, cioè fede in un futuro ("i cristiani hanno un futuro"; "la loro vita non finisce nel vuoto"); se essa, come scrive icasticamente il Papa, ha "attirato dentro il presente il futuro", e lo ha fatto, egli aggiunge, avendo in mente il futuro non di questo o quel singolo ma dell'intera comunità dei credenti, ebbene come non vedere proprio in ciò, allora, la premessa per quella più generale tensione al domani e all'oltre che ha segnato così intimamente tutta quanta la nostra civiltà? Ma per l'appunto in questa tensione sta l'origine dell'idea che l'oggi prepara il domani, che il senso di quanto accade oggi è in questa preparazione, e quindi che la vicenda umana nel suo complesso possedendo una direzione, un fine possiede anche un senso, un significato. 

Sta insomma qui l'origine, per dirla con una sola parola, dell'idea di storia. E per conseguenza della frattura di cui si sostanzia la modernità: dal momento che è proprio nell'ambito della "speranza", del "futuro", del significato della storia - lungo un percorso che dall'attesa del Paradiso ha condotto all'attesa del progresso - che si è sviluppato forse il principale momento di laicizzazione della mentalità collettiva moderna. 
Lo scritto di Papa Ratzinger -mai come in questo caso assolutamente suo: a un certo punto si legge un "io sono convinto" del tutto inusuale per il testo di un'enciclica - è per una buona parte la ricognizione nel campo della storia delle idee delle cause che hanno portato all'espulsione della speranza cristiana dal mondo a opera specialmente del binomio scienza-libertà. Per ribadire naturalmente che però né la scienza, né le sempre parziali realizzazioni politiche della libertà, saranno mai in grado di soddisfare il bisogno di giustizia e di amore che si agita in ogni essere umano e che è invece la sostanza della speranza cristiana, garantita da Dio ai credenti: "solo Dio può creare la giustizia", così come solo l'amore può bilanciare la cupa "sofferenza dei secoli". 

Anche chi è privo della fede, come chi scrive, non fa fatica a convenire sull'esistenza di questo irreparabile "di più" che la storia umana priva di Dio non riuscirà mai a colmare. Ma questo accordo - che non ha né vuole avere nulla di formale, e del resto dovrebbe essere nella sostanza quasi scontato - non può mettere a tacere un'osservazione critica che investe l'insieme dell'analisi dell'enciclica, pure così convincente in molti passaggi: perché la storia dell'Occidente cristiano è andata così? Perché essa sembra concludersi con uno scacco della religione che pure l'ha così intimamente forgiata? 
La risposta sta forse in quella che a un certo punto, l'ho già ricordato, l'enciclica stessa chiama la necessaria "autocritica del cristianesimo moderno": indicazione alla quale però non viene dato alcun seguito. 

Mi domando se sia lecito aspettarsi da Benedetto xvi ciò che avremmo senz'altro chiesto al professor Ratzinger. Non lo so. Ma sono certo che se mai in un domani il Pontefice volesse far sentire la sua voce per rispondere a questo interrogativo, quella voce susciterebbe forse un'eco non destinata a spegnersi nel tempo.

(L'Osservatore Romano 31 luglio 2008)


    

       

È iniziata la visita pastorale a Santa Maria di Leuca e Brindisi
La Puglia accoglie Benedetto XVI

di Mario Ponzi

Da Santa Maria di Leuca a Brindisi come messaggero d'amore per sostenere la speranza e la fiducia nel futuro. Dal santuario mariano ai confini della terra Benedetto XVI ripercorre i primi passi dell'apostolo Pietro in terra italiana e ripropone Cristo come punto di partenza per un cammino cristiano rinnovato. È denso di significati l'incontro con le popolazioni di questo lembo estremo d'Italia. Benedetto XVI entra nel concreto della loro vicenda quotidiana proprio dal luogo che custodisce il tesoro genuino della devozione popolare, il santuario di Santa Maria de finibus terrae. Un nome significativo, e un punto di riferimento che da secoli ha segnato la storia e la vita dell'intera regione. 
C'è da credere che le migliaia di persone l'una accanto all'altra sul piazzale antistante il santuario per partecipare alla messa del Papa abbiano già sperimentato quella forza dell'amore che Benedetto XVI cerca di trasfondere nel cuore dell'uomo del terzo millennio. 

Poche ore Benedetto XVI si ferma a Leuca, ma si tratta di un momento destinato a restare a lungo nel cuore e nella memoria di un popolo che ha imparato a capire come sia possibile sconfiggere il male con la forza del bene. 
È sera quando il Papa giunge a Brindisi. La città si stringe attorno al Papa dopo un periodo di attesa durato qualche anno. Ha vissuto un momento difficile. Al Papa ne aveva parlato l'arcivescovo Rocco Talucci quando nel dicembre del 2007 lo aveva incontrato a Roma in occasione della visita ad limina dei vescovi della Puglia. In attesa soprattutto i giovani, in cerca di certezze e di conferme dall'incontro con il Pontefice. In via Lenio Flacco proprio i giovani costituiscono il tessuto vivo di quella comunità alla quale Benedetto XVI porta parole di incoraggiamento per superare le sfide che si profilano all'orizzonte. Addita loro mete, obiettivi. E i modi attraverso i quali raggiungerlo. Insegna a saper leggere i segni di rinnovamento che si intravedono, ai quali sicuramente darà l'apporto decisivo l'Università che si sta realizzando a Brindisi per cominciare a porre un freno alla fuga di laureati e diplomati che ha segnato la regione. Fiducia e incoraggiamento contagiano l'intera popolazione brindisina, pronta a ripercorrere le strade della solidarietà e della condivisione per riscoprire che la speranza cristiana non è utopia. Sentimenti sui quali la Chiesa locale ha chiamato il suo popolo a riflettere. Il Papa si immerge nella realtà della comunità ecclesiale brindisina giunta all'esordio del cammino sinodale. Si tratta infatti di una Chiesa che, procede lungo la strada del rinnovamento conciliare, senza dimenticare le sue profonde, secolari radici. 

La presenza di Benedetto XVI proprio in un momento come questo certamente risveglia l'entusiasmo di una comunità pronta a ripartire. Anche nella consapevolezza della fiducia che il Papa ripone in loro, custodi di quella porta aperta verso l'oriente, e dunque con un ruolo nel cammino verso la ricostruzione della piena unità con i "fratelli ortodossi" e nel dialogo costruttivo con le altre religioni. 

La scelta della banchina Sant'Apollinare del porto brindisino per la celebrazione della messa domenicale con il Papa è certamente significativa in questo senso, ma lo è anche per un altro aspetto: è la consacrazione del ruolo che Brindisi e i brindisini hanno avuto ed hanno nel mostrare il volto accogliente e generoso nei confronti di quanti sono costretti a lasciare la loro terra e la loro casa in cerca di una speranza di vita.

    


La visita pastorale a Santa Maria di Leuca e a Brindisi
Benedetto XVI nel Salento che chiede sviluppo

Benedetto XVI torna in Puglia. Una breve visita che riporta alla memoria la prima avvenuta a Bari il 29 maggio 2005, poche settimane dopo la sua elezione. Allora fu in occasione del congresso eucaristico nazionale e il nuovo Pontefice ebbe modo di parlare per la prima volta alla Chiesa in Italia, ma aprì indicativi orizzonti di quello che sarebbe stato il suo ministero petrino in favore dell'ecumenismo, dell'ascolto nei confronti delle chiese orientali e ortodosse e del dialogo con la cultura odierna. 
La visita a Santa Maria di Leuca e a Brindisi è un ritorno a quelle tematiche calate nel contesto di due chiese particolari, segnate da un forte impegno pastorale entro una condizione sociale difficile. Il Salento si trova nel sud e vive con la sua specificità i problemi legati al mancato sviluppo di tutto il meridione d'Italia. 
Proteso nel Mediterraneo - amano ripetere i suoi abitanti più attenti - il Salento è come un ponte che unisce l'Occidente all'Oriente, da cui sono passati nei tempi remoti i pellegrini diretti in Terra Santa, provenienti da tutta Europa, ma anche popoli che ci hanno consegnato nuove speranze e nuove idee, in una prospettiva di integrazione e di rispetto reciproco. 
Proprio a Leuca, secondo la tradizione, mise piede l'apostolo Pietro agli albori del cristianesimo in Europa. Forse per questo il Papa, prima di puntare su Brindisi, tappa originaria del suo viaggio, ha accolto con interesse l'invito a visitare il Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae di Leuca, dove è atteso come successore dell'apostolo Pietro. 
Benedetto XVI giunge in una terra nella quale la società e l'economia locale si misurano con difficoltà e problemi legati alla congiuntura internazionale, ma anche - notano pure i due vescovi delle diocesi di Brindisi-Ostuni e Ugento - Santa Maria di Leuca - a storici ritardi non del tutto superati. 

In questa prospettiva, il consiglio provinciale di Lecce, recentemente, ha approvato all'unanimità un ordine del giorno di saluto e di accoglienza a Benedetto XVI, "segno - spiega il suo presidente Giovanni Pellegrino - di rispetto ma anche di comune interesse a costruire intorno alla visita del Papa un sentimento d'amore inequivocabile e forte. Il Salento - aggiunge Pellegrino - è terra d'accoglienza, con le sue strutture turistiche, ma anche con le tante realtà destinate ad ospitare i migranti in fuga dai loro Paesi; è una terra che ha dato il meglio di sé quando, negli anni scorsi, si è trattato di aprire le porte a uomini, donne, bambini provenienti dall'Albania e da altri Paesi in difficoltà, al punto da essere candidata al Premio Nobel per la Pace. Anche per questo nel Salento le diverse comunità straniere, presenti sul territorio, si stanno inserendo senza grandi problemi, nel rispetto reciproco, nella tolleranza e nella proficua convivenza". 

(L'Osservatore Romano 14-15 giugno 2008)



    

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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