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Benedetto XVI il più grande Doctor Ecclesiae del nostro tempo

Ultimo Aggiornamento: 07/06/2014 21:08
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07/06/2014 11:14
 
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QUANDO BENEDETTO PARLAVA DI CREATO E 

DI REVISIONE DELLE COSCIENZE..... 

i Media hanno dimenticato tutto?



Una chiave di lettura per il summit sul clima 
Dal Papa un messaggio a Copenaghen


di Franco Prodi 
Una chiave di lettura per Copenaghen. Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2010 è uscito quest'anno in singolare coincidenza con la Conferenza sui cambiamenti climatici conclusasi oggi nella capitale danese. Ed è un testo che si fa apprezzare per la comunicativa immediata, per la fusione di etica e concretezza economica, per la disinvoltura con la quale si spinge fino a suggerimenti economici e pratici, soprattutto per l'insistenza sulla centralità dell'uomo nel creato che ne costituisce il filo conduttore. Autorevoli commentatori si sono già cimentati sul messaggio papale contestualmente alla pubblicazione. Ma è utile provare a rileggerlo ora alla luce dell'esito finale del summit di Copenaghen. 
È percepibile, anzitutto, il forte contrasto fra il pacato dipanarsi del testo pontificio e la concitazione delle immagini della immensa sala con i grandi della terra che faticosamente cercano di produrre un documento condiviso. Una fatica che traspare dalla bozza del testo finale, nell'imbarazzo di dovere ricorrere all'ennesimo rinvio degli impegni di riduzione delle emissioni, con il tentativo dei Paesi ricchi di compensare con trasferimenti finanziari ai Paesi più poveri il debito contratto con l'uso trasbordante delle risorse energetiche. 

C'è poi un impegno quasi rodomontesco di "tenere sotto i due gradi il riscaldamento globale", come se l'obiettivo fosse alla portata grazie alla deterministica relazione di causa ed effetto tra sforzi da compiere e risultati attesi. Nessuno, al contrario, è stato sfiorato dal dubbio che si tratti di un obiettivo raggiungibile senza sforzo attraverso il naturale evolversi di un sistema così complesso e lontano dall'essere pienamente conosciuto. 
Per fortuna il messaggio del Papa viene a dire che "la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni a essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell'uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato". Chiede di operare nientemeno che "una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo". Parla inoltre di distorsioni dell'economia e dei suoi fini, di disfunzioni da correggere. 

Ma la visione certamente originale del messaggio è che la noncuranza dell'uomo verso il creato, il saccheggio dei beni naturali, si ritorce contro lui stesso. Viene stabilito un nesso causale fra la tendenza auto distruttiva dell'uomo moderno e la sua crisi culturale e morale, che si esprime nella noncuranza verso il creato. Il Pontefice arriva a responsabilizzare i Governi per questa crisi dilagante, perché non forniscono "progetti politici lungimiranti". 
La barriera dell'utopia viene addirittura scavalcata quando il messaggio addita l'enorme responsabilità delle decisioni economiche, con le loro conseguenze di carattere morale. L'attività economica deve rispettare l'ambiente dimostrando di considerare i costi di questo rispetto. Ne scaturisce un invito alla lotta al degrado e alla promozione dello sviluppo integrale come corollario a una dimensione più ampia della solidarietà internazionale vista come condizione culturale prima che come relazione unilaterale di stampo filantropico. 

Da meditare poi, da parte di quanti operano nella ricerca e nell'innovazione ambientali, l'invito a vedere nella lotta al degrado e nella formazione dello sviluppo umano integrale anche delle opportunità scientifiche. Per essi c'è anche la gradita sorpresa di esplicite indicazioni per lo sviluppo del solare, la gestione dell'acqua e delle foreste, l'uso di tecniche agricole rispettose dell'ambiente, la gestione dei rifiuti. 
In questa visione verrebbe quasi a cadere il concetto stesso di povertà, superato da una solidarietà a dimensione mondiale. L'imperativo della custodia del creato viene a migliorare l'interiorità dell'uomo ed è fattore di felicità. Esso conduce naturalmente alla pace perché aiuta a risolvere le sottocrisi nelle quali si manifesta la supercrisi ecologica. Il metodo della "sobrietà e solidarietà" vince lo sfruttamento indiscriminato che limita la disponibilità futura delle risorse. La connessione fra morale ed economia spinge il Papa a raccomandare norme giuridiche definite anche di compatibilità fra proprietà privata e destinazione universale dei beni. 

Dalla raccomandazione di stili di vita che privilegino beni immateriali (il vero, il bello, il buono) segue la promessa di reciprocità: "Nel prenderci cura del creato, noi constatiamo - assicura Benedetto XVI - che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi". 

Ecco quindi la strada che il messaggio del Papa indica ai partecipanti al Summit di Copenaghen: la necessità di frenare il degrado ambientale deve essere basata sulla convergenza di intenti più che sulla controversa contabilità delle emissioni. Un cammino ancora molto lungo, ma che può contare sulla guida del messaggio cristiano e del suo umanesimo. 
In Italia, intanto, l'esperto mostra in televisione il contenuto dello stomaco dei capodogli spiaggiati in questi giorni sul Gargano: sacchetti di plastica, reti da pesca, oggetti fra i più disparati. Il grande animale perde l'orientamento e soffoca per i prodotti dell'uomo. Un'immagine emblematica che scuote dall'indifferenza per il creato e chiama a stili di vita diversi e a una nuova concezione di sviluppo.

(L'Osservatore Romano 20 dicembre 2009)


 


Benedetto XVI e l'attenzione al creato 
«Viva il Papa, viva lo scoiattolo!»


di Lucetta Scaraffia 
Quando ho assistito in televisione all'arrivo del grande abete che troneggerà, carico di addobbi natalizi, al centro di piazza San Pietro nei giorni di Natale, mi sono domandata se, nel suo grande tronco, c'è qualche tana dove dorme - o meglio dormiva - uno scoiattolo. Perché questa è la trama della storia per ragazzi e adulti che, con profondità e ironia, ha raccontato Susanna Tamaro nel suo ultimo libro, Il grande albero (Salani), illustrato da Giulia Orecchia. 

Anche se parla di alberi e di animali, e il mondo è raccontato dal loro punto di vista, immaginando una loro coscienza e una capacità di comunicazione, non è un libro di facile propaganda ecologica, ma un artificio letterario poetico per farci riflettere sul rapporto freddo e irresponsabile, da padroni lontani, che intratteniamo con la natura. In un intreccio di tempi che si intersecano pur nella loro grande diversità - quello secolare della vita degli alberi, il tempo breve della vita degli animali selvatici e quello della vita umana - la personalità dell'abete, che con i secoli acquista conoscenza e saggezza, si dipana con tempi quasi musicali. 
Siamo pronti quindi anche noi lettori a vivere come dramma l'evento che ne segna il destino: arrivano esseri umani armati di motoseghe che lo tagliano e lo trasportano fino a piazza San Pietro. Ma il piccolo scoiattolo Crik, inconsapevole testimone del dramma, non si arrende, combatte per la vita dell'albero e in questa battaglia per ottenere un miracolo salverà anche la sua vita. 

Con un piccione come aiutante, riesce ad arrivare davanti al Papa proprio mentre questi celebra la messa di Natale, sfuggendo al servizio di sicurezza, pronto ad abbatterlo perché sospetta che anche questo piccolo animale possa essere un messaggero dei terroristi. Ci riesce perché il Papa lancia un segnale di sospensione e, nello stupore generale, si accinge ad ascoltare quello che gli vuole comunicare lo scoiattolo: naturalmente, tutto succede in diretta televisiva, fra commenti cattivi e increduli di chi pensa sia un segno di pazzia del vecchio Papa, ed è pronto a indignarsi: "Qualcuno lo deve fermare, ne va del nostro prestigio. Siamo in mondovisione!". 

Ma il Papa non demorde, e anzi parla di alberi e di scoiattoli nella sua omelia, in cui propone i grandi alberi, le cattedrali verdi, come esempio: "E se non affondiamo le radici nella terra, come facciamo ad alzare lo sguardo verso il cielo?". Fra il giubilo dei presenti, che inneggiano "Viva il Papa, viva lo scoiattolo!" si avvicina all'albero, e lo abbraccia: "La corteccia era ruvida contro la sua guancia. Il profumo della resina era il profumo della sua giovinezza. Quante volte, passeggiando sui monti Tatra, l'Altissimo gli aveva parlato con il mormorio delle fronde, in quegli istanti sembrava che il tempo abbracciasse già l'eternità". 
E poi benedice Crik, "umile creatura infiammata dall'amore". Il giorno successivo, un enorme camion riporterà il grande abete e lo scoiattolo alla foresta dove, ricongiunto alle sue radici, l'albero riprenderà a vivere. 

Non sappiamo se nel gigantesco abete portato per questo Natale c'è uno scoiattolo, sappiamo però che, se ci fosse, anche Benedetto XVI, come il Giovanni Paolo II immaginato dalla Tamaro, saprebbe ascoltarlo. Papa Ratzinger, infatti, è ben noto per l'attenzione che sa prodigare al creato e alle sue creature, e per di più ha sempre confessato uno speciale amore verso i gatti, come racconta un altro grazioso libretto, uscito qualche tempo fa con prefazione di Georg Gänswein, Joseph e Chico (Edizioni Messaggero). Qui è un gatto, Chico, che racconta la sua lunga amicizia con il Papa, che gli ha detto molte cose di sé, e quindi sa comunicare nello speciale linguaggio dei gatti. 

È anche con libri come questi che si può sensibilizzare i lettori sui temi ambientali, e si può far capire come la Chiesa abbia a cuore il benessere non solo degli esseri umani, ma anche del mondo, animale e vegetale, che Dio ci ha affidato.



(L'Osservatore Romano 11 dicembre 2009)



PAPA: DON GEORG, GLI VOGLIONO BENE ANCHE I PESCI DELLO STAGNO 

Salvatore Izzo 

(AGI) - CdV, 11 dic. 

"Ogni volta quando il Papa termina la sua preghiera con un canto mariano davanti alla Madonnina, i pesci si riuniscono alla sponda del laghetto e aspettano un gesto generoso del Santo Padre". E Benedetto XVI prende da un cestino "che una mano invisibile ha preparato" pezzetti di pane, con i quali sfama i pesci (due pesciolini rossi e due grandi carpe). 

"Che gioia e che vivacita' quando arriva nell’acqua il gradito dono!”. 
Sono parole di monsignor Georg Gaenswein, che e' stato festeggiato questo pomeriggio da numerosi curiali e amici in occasione della presentazione del libro "Il mistero di un piccolo stagno" in cui la pittrice russa Natalia Tzarkova, racconta una splendida favola per bambini attraverso i suoi disegni acquerellati e dai colori vivi. 

Lo stagno, ovviamente, e' quello del Giardino della Madonnina, situato all’interno dei Giardini delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo. E la storia e' quella di un pesciolino che attende il Papa, una vicenda tenerissima che ha commosso monsignor Gaenswein, segretario particolare del Papa e da poco anche prefetto della Casa Pontificia, fino a convincerlo a scriverne la prefazione, nella quale confida che il Giardino della Madonnina e' uno dei posti privilegiati per la preghiera di Benedetto XVI.
Il protagonista del libro presentato oggi pomeriggio da don Georg e' Bianco, un pesciolino rosso chiamato cosi' proprio in onore del Pontefice. 
Una mattina si sveglia presto e coglie nell'acqua il riflesso della statua della Madonna, che il suo pesce papa' gli spiega chiamarsi "Signora delle Grazie". E poi si emoziona all'arrivo del Papa, che prima snocciola il rosario, e poi getta dei pezzetti di pane. Comincia cosi' l'attesa, ogni giorno, l'emozione di vedere di nuovo quella figura avvicinarsi. 
Ma ogni tanto il Papa cambia il percorso della sua passeggiata, ogni tanto parte e poi torna. E poi a un certo punto, se ne va piu' a lungo del solito, resta a Roma per i lunghi mesi dell'inverno. Bianco ovviamente non lo sa, il suo mondo e' lo stagno. Non dorme, si consuma nell'attesa del ritorno della figura vestita di bianco. Ed ecco che arriva un gatto, l'animale che Benedetto XVI ama piu' di tutti. Questi non prova a mangiare i pesci, non infila le zampe nell'acqua per attaccarli. Beve un po' di acqua dello stagno, e fa a Bianco una importante rivelazione. 

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"E' un libro - commenta il sito cattolico Korazym.org - da leggere, ma anche e soprattutto da guardare (l'autrice e' considerata una delle massime eredi della scuola delle arti figurative russe). E magari da leggere ad alta voce ai piu' piccoli. Per raccontare loro la vita semplice del Papa, lontana dai clamori dei riflettori. Una vita fatta di preghiera e, perche' no, di un po' di tempo passato davanti a un piccolo stagno a dar da mangiare ai pesci rossi". 
"Non e' un segreto - ha sottolineato da parte sua il neo arcivescovo Gaenswein - che il nostro Papa ama le creature e piu' sono piccole piu' le ama. Con questo pesciolino rosso ha avuto un contatto molto intenso e poi alla fine quale animale riesce a consolare il pesciolino rosso? E' un animale che in modo particolare sta a cuore al nostro Santo Padre". "Chi legge queste trenta pagine - ha aggiunto don Georg riferendosi al libro della pittrice russa che ha accettato di presentare - lo si puo' fare in venti minuti, legge una volta, una seconda una terza volta e poi comincia a capire che il messaggio non e' neanche cio' che si legge ma il messaggio e' tra le righe. 

Davanti ad un pubblico di prelati, amici e giornalisti, don Georg ha raccontato questa sera anche qualcosa della sua esperienza di vice parroco in un piccolo paese della Foresta Nera, dove 28 anni fa era stato vice parroco: "un impegno importante - ha detto - che diventava anche un impegno di cuore, anzi una cosa che mi sta molto a cuore, era la vita pastorale per i bambini e la confessione che devo fare e' la seguente: non e' mai facile preparare una omelia, qualche volta si riesce meglio, qualche volta di meno, dipende da diverse cose. Ma preparare una omelia per i bambini e' massacrante perche' i piccoli non ti perdonano niente: le lacune logiche ti fanno cadere nella trappola, la superficialita' te le fanno capire subito e non ti perdonano se tu non sei sincero. Se sei sincero ti perdonano tutto, ma se non sei sincero hai perso una volta per tutte. E il bello di preparare e anche di tenere l’omelia per i bambini e' che non si predica soltanto per i bambini, ma anche per gli adulti e non mai visto gli adulti cosi' attenti come quando sono presenti alla messa per i bambini". 
 
 

senza dimenticare che Ratzinger è davvero amante dei GATTI.... 

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Un merlo bianco nei giardini del Papa


di Francesco M. Valiante 


Avesse dato retta al Merlo bianco, oggi Pinocchio sarebbe un altro. Magari un attempato signore in pensione dopo un'onesta vita trascorsa tra famiglia e lavoro. Poco o niente da raccontare ai nipotini:  una fanciullezza tranquilla, spensierata, mai un giorno di scuola marinato, sempre alla larga dai pasticci e dai guai. Solo quello strano ricordo di un lungo naso di legno, retaggio di vecchi incubi infantili presto svaniti. 

E dire che l'avvertimento del volatile non difettava di buon senso:  "Non dar retta - gli aveva gridato - ai consigli dei cattivi compagni se no, te ne pentirai". La penna accorta di Carlo Collodi glielo aveva fatto incontrare proprio sul cammino che dal teatro dei burattini portava alla casa di Geppetto. Un'ancora di salvezza a metà strada tra la rovina e la redenzione. Ma non c'era stato niente da fare. Anche perché a tacitare la già esitante coscienza  di Pinocchio ci aveva pensato il  Gatto, che con un balzo si era avventato sull'uccello divorandolo in un sol boccone prima che potesse proferire altro.
 
Diciamo la verità:  a nessun bambino verrebbe in mente di rimpiangere il povero animaletto. Chi può immaginare un libro di fiabe orfano delle peripezie del burattino più famoso del mondo? Destino ingrato, quello del giudizioso volatile. E di tutti quei consiglieri saggi e assennati che diventano sempre più rari compagni di strada lungo i sentieri della vita. Proprio come i merli bianchi. 

Che poi, a dispetto della simbologia popolare, tanto rari non sono, stando alle acquisizioni della scienza ornitologica. "Aberrazioni cromatiche" le chiamano gli studiosi, con un'espressione che, in verità, sembra evocare terrificanti alchimie genetiche piuttosto che innocenti scherzi della natura. Pare sia tutta una questione di pigmenti:  nel caso dei merli le melanine, agenti responsabili della colorazione scura del piumaggio. 


Quando sono del tutto assenti si parla di albinismo, quando sono prodotte in quantità minime si è in presenza di leucismo. 

Merli albini e merli leucistici - discendenti dell'illustre ma sfortunato progenitore finito tra le grinfie del gatto di Pinocchio - non sono così insoliti da osservare, assicurano gli esperti. Anche in un angolo verde del tutto particolare come i Giardini Vaticani. Ce n'è un esemplare nella zona del giardino alla francese, alle spalle della Grotta di Lourdes, che non di rado si concede all'osservazione dei bird-watcher più fortunati nella cerchia delle Mura leonine. Tra i quali lo stesso Benedetto XVI e uno dei suoi segretari, monsignor Alfred Xuereb, che lo hanno notato durante la quotidiana preghiera del rosario recitato passeggiando lungo i viali. 

Fortuna che nessuno dei due ha propensioni venatorie, verrebbe da dire. Fatto sta che il prelato, incoraggiato anche dal Papa, si è messo di impegno con l'intenzione di "catturarlo". Ma per farlo è bastata una macchina fotografica dotata di un potente obiettivo. Che unita a una buona dose di pazienza e a uno spirito di osservazione non comune gli ha consentito il giorno seguente, al termine di un appostamento neanche tanto lungo, di immortalare in una serie di splendidi scatti (pubblicati in questa pagina) il volatile. Del tutto ignaro - soprattutto dopo la cattiva sorte capitata al suo più celebre avo - di essere divenuto oggetto nientedimeno che dell'attenzione del Romano Pontefice.
 
I suoi "colleghi" neri - una delle colonie più numerose tra le specie di uccelli che affollano i Giardini Vaticani - non se ne avranno certo a male. Anche perché, a dare ascolto a un'altra leggenda, quell'esemplare dal piumaggio candido custodirebbe in realtà le sembianze della loro originaria bellezza. Altro che pigmenti e melanine. Pare infatti che un tempo tutti i merli fossero bianchi. La loro attuale colorazione corvina sarebbe legata al freddo rigido delle ultime tre giornate di gennaio - da qui l'espressione "i giorni della merla" - che avrebbe costretto appunto una merla intirizzita a rifugiarsi con i piccoli all'interno di un comignolo. Dal quale sarebbero poi usciti ricoperti di fuliggine. E perciò, da allora, completamente neri. Dev'essere per questo che un altro acuto osservatore naturalista come il romanziere francese Jules Renard ha scritto:  "Il merlo bianco esiste; il merlo nero non ne è che l'ombra". C'è da scommettere che cominci a pensarlo anche il Papa.



(L'Osservatore Romano - 11 dicembre 2009)
 
    


A metà dell'Anno sacerdotale
Realtà e metodo dell'Incarnazione

di Mauro Piacenza
Arcivescovo titolare di Vittoriana
Segretario della Congregazione per il clero

Lettera di indizione dell'Anno Sacerdotale in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney (16 giugno 2009)
[Cinese semplificato, Cinese tradizionale, Croato, Francese,Inglese, Italiano, Neerlandese, Polacco, Portoghese,Spagnolo, Tedesco]

Sono trascorsi sei mesi dall'inizio dell'Anno sacerdotale, che è stato inaugurato da Benedetto XVI lo scorso 19 giugno 2009 e che, silenziosamente ma con efficacia, prosegue il proprio cammino nella Chiesa in tutto il mondo, vedendo la semina e già qualche fioritura, che lascia sperare buoni frutti. A metà di questo anno, il solo bilancio in sintonia con il vero spirito dell'indizione di tale provvida iniziativa è quello che riguarda la conversione di ciascuno, soprattutto in ordine alla focalizzazione dell'identità sacerdotale e all'immedesimazione con tale identità, che tanto determina del ministero che ci è affidato, sia come realtà accolta dalla grazia sacramentale dell'ordinazione, sia come metodo prima esistenziale e poi di evangelizzazione.
In questi giorni, già nella novena di Natale, siamo chiamati a fare memoria del mistero dell'Incarnazione del Verbo, il Dio con noi; mistero che eccede la nostra capacità di comprensione e la nostra stessa attesa di salvezza: se partecipiamo, come sacerdoti, all'anelito umano universale alla salvezza ed alla rivelazione, intese anche come compimento e accoglienza del significato pieno dell'esistenza, non di meno il modo scelto da Dio per rivelarsi oltrepassa ogni possibile aspettativa umana, e abbraccia, dilatandola enormemente, la stessa capacità umana di domanda.

Contempliamo, in questi giorni così densi di attività, cioè di servizio di fede ai fratelli, il mistero straordinario dell'Incarnazione, non limitandoci a concepirlo come, appunto, mistero, ma andando al fondo di ciò che la fede, da sempre, ci dice: il mistero è ciò che, una volta incontrato e compreso, non è esauribile dalla nostra intelligenza.
Quello che, probabilmente con maggiore efficacia, possiamo tradurre in esperienza esistenziale e in modo di servizio pastorale è il metodo inaugurato nel mondo dall'Incarnazione del Verbo. Dio non ha scelto di inviarci un libro, non si è rivelato in visioni strane ed incomprensibili, non ha imposto regole morali. Dio si è fatto uomo! Ha scelto di entrare nella storia, nella carne, condividendo dal di dentro l'esperienza della sua creatura, di quella che egli stesso ha posto a custodia di tutto il creato, costituendola quale unico punto di autocoscienza del cosmo.

Il nostro ministero sacerdotale, soprattutto in questo tempo che vede tanti fratelli avvicinarsi a noi, per le ragioni talvolta più diverse, deve essere, almeno come tentativo e desiderio, esattamente questo: aiutare quanti incontriamo a fare l'esperienza di un Dio vicino, implicato realmente con la pasta umana e, nel contempo, proprio perché implicato, capace di innalzare, elevare la miseria e la debolezza umana, alle altezze più inattese, alla stessa sua vita divina. La preghiera, il concepirsi del sacerdote come incessante preghiera per l'umanità tutta, il vivere la propria esistenza come offerta totale al Signore, nella radicalità del celibato e nella fedeltà all'ininterrotta tradizione della Chiesa, sono elementi costitutivi della possibilità stessa di condurre i fratelli al Signore: essi guarderanno colui a cui noi guardiamo, ameranno chi noi amiamo.

Potremo fare ciò, ben lo sappiamo, soltanto se, innanzitutto per noi, l'Incarnazione non sarà soltanto una verità di fede imparata, ma diverrà esperienza quotidiana e concreta di ogni giorno, nella certezza di una compagnia guidata, la Chiesa, che è garanzia, proprio attraverso la sua struttura sacramentale, così splendidamente umana, del permanere e dell'agire del Signore tra noi. Per noi infatti il Verbo si è fatto carne, per noi in Gesù di Nazareth Signore e Cristo abita corporalmente la pienezza della divinità, per noi l'Incarnazione è anche il metodo, il cammino con il quale il Signore ha deciso di raggiungerci e ci raggiunge adesso.
Sia questo metodo, l'unico direttamente divino e quindi certamente efficace, ad animare ogni scelta missionaria e ogni gesto sacramentale. Sia l'Incarnazione la vera misura della nostra pastorale, in un difficile, ma irrinunciabile equilibrio tra umano e divino, sempre ricordando che l'uomo Gesù non è mai esistito separato dal Logos eterno e che quindi la legittima distinzione tra umano e divino, lungi dal giustificare ingenui sociologismi da un lato o fughe spiritualistiche dall'altro, ci chiama costantemente a quella unità, in se stessa unica e irripetibile, ma spiritualmente desiderabile e ripresentabile, che è l'equilibrio e la prossimità dell'esperienza del Dio con noi.

Potrebbe essere questo il frutto buono che a metà dell'Anno sacerdotale domandiamo al Signore: una conversione autentica, un rinnovamento spirituale, che sia anche conversione di metodo, sia nel concepire la Chiesa come il reale proseguimento dell'Incarnazione, nel permanere del triplice ministero di annuncio, salvezza e guida di Cristo stesso, sia nel vivere il sacerdozio ministeriale come autentica possibilità, innanzitutto per gli stessi sacerdoti e poi per tutto il popolo di Dio, di fare esperienza della vicinanza del mistero. In definitiva, siamo ministri dell'Assoluto; nelle nostre mani il pane e il vino divengono corpo e sangue di Cristo, per la nostra assoluzione i peccatori vengono riconciliati con il Padre e con la Chiesa: chi più del sacerdote può rendersi conto di cosa significhi, come realtà e come metodo, l'Incarnazione del Verbo?

(L'Osservatore Romano 19 dicembre 2009)

 

[Modificato da Caterina63 07/06/2014 11:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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