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Benedetto XVI il più grande Doctor Ecclesiae del nostro tempo

Ultimo Aggiornamento: 07/06/2014 21:08
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Benedetto XVI ai parroci di Roma   -   La fede personalizzata


L'incontro con i parroci di Roma conferma che Benedetto XVI è un Papa disarmato, umanissimo, per nulla arroccato come sbrigativamente si persiste talora a presentarlo. 

All'appuntamento quaresimale con i suoi preti, il Papa parla a braccio, ossia improvvisa le risposte, si sottopone a una specie di esame utile per capire davvero dove batte il suo cuore, dove va la sua mente, senza schermi e filtri protettivi. Non ci sono mediazioni che possano far pensare a un pensiero addomesticato. Papa Benedetto si mostra in tutta sincerità anche negli incontri con i giovani o quando gli si chiede di rispondere a domande. 

È stato così anche questa volta. Dal taccuino del cronista si ricava una scaletta dell'incontro che dipana uno scambio progressivo di riflessioni sulla fede nel nostro tempo all'interno di contesti di vita concreti. 
"Non direi che qui parla un oracolo, al quale voi chiedete" mette subito in chiaro il Pontefice. Il vescovo di Roma non teme di rilevare "il limite" delle sue risposte, ma allo stesso tempo riesce a dimostrare la "semplicità della verità" cristiana rivestita con parole che la gente capisce. "Non viviamo sulla luna. Sono un uomo di questo tempo se io vivo sinceramente la mia fede nella cultura di oggi". Non predica, spiega, attento agli uomini di oggi. "Non posso dare ricette" per situazioni diverse, ma poi sul taccuino leggo che l'annuncio cristiano ha bisogno di parola e testimonianza. I cristiani vengono definiti dal Papa persone di "vita giusta", fermenti di giustizia. La fede si apprende poco per volta, facendo esperienza. Batte molto sulla conoscenza e l'esperienza personale di Dio rivelato in Gesù. Il sapere teologico non basta. 

E poi il parlare di Dio viene inserito da Ratzinger all'interno della vita concreta, storica della gente. Oggi - egli osserva - è tempo di crisi economica, grave, causata da errori, avarizia ed egoismi. Occorre fare una denuncia ragionevole e ragionata della crisi. Senza superficialità. Serve competenza nell'analisi, ma anche conversione dei cuori: senza giusti la giustizia non si realizza. Occorre educare le persone alla giustizia. I preti devono insegnare la grande arte di come essere uomini e lo possono fare solo se sanno vivere il mistero racchiuso nella preghiera e nei sacramenti. Anche le pratiche devozionali, argomento su cui non di rado accadono dispute e perfino rotture tra i fedeli, trovano una puntualizzazione equilibrata: "Non sono cose necessarie, ma cresciute nella ricchezza della meditazione del mistero" cioè delle possibilità per avvicinarsi a Cristo, unica luce. 

È una forza tranquilla Benedetto XVI, abituato a cogliere l'essenziale e a puntare sull'essenziale su cui convergere, lasciando ampi spazi di libertà. Nel medesimo tempo egli può sembrare paradossale: nelle sue parole troviamo toni e indicazioni che si percepiscono nel vero spessore solo se si esce dagli schemi. Joseph Ratzinger è sempre stato un teologo libero, difficilmente catalogabile negli schemi semplificati di progressismo e conservazione. Interessato e fedele a scrutare le convergenze tra fede e ragione considerate in profondità. 

Si pensa di frequente che sia un Papa poco mediatico. Secondo certi parametri può essere. Eppure, mentre rifugge da toni polemici, sempre egli riesce a porre ai media grandi questioni da cui non si può prescindere. Costringe a guardarsi dentro, a investigare senza contentarsi delle apparenze. 
Non ci sono categorie politiche nel suo pensare la Chiesa. Lo ha ripetuto da ultimo anche questa volta ai parroci parlando di Maria, la madre di Gesù, presentata come "donna dell'ascolto". La Chiesa pensata e proposta costantemente quale comunità di donne e uomini in ascolto attivo della Parola di Dio, Parola che trasforma il mondo. 

(L'Osservatore Romano 28 febbraio 2009)
Benedetto XVI e il discorso al Corpo diplomatico 

Il tempo della responsabilità


Tra i catastrofisti del nostro tempo è sempre più difficile collocare Papa Ratzinger e dopo il suo discorso al Corpo diplomatico anche i più prevenuti nei confronti del vescovo di Roma possono farsene una ragione. 

L'incontro di inizio anno con la diplomazia mondiale per il Papa non è mai frutto di improvvisazione o circostanza di pura cortesia. Esso rispecchia invece le attenzioni primarie che alimentano l'azione della Santa Sede al servizio della pace e dell'evangelizzazione e svelano il senso del magistero sociale della Chiesa cattolica: è dunque una lettura ben ponderata degli eventi. 

Passando in rassegna le tante situazioni di sofferenza nelle varie aree del mondo, Benedetto XVI ha scelto di guardare in avanti, privilegiando il punto di vista educativo come via che può aprire nuovi percorsi alla politica e all'economia ormai in grave affanno e sempre meno capaci di lenire disagi di vita quotidiana.


Dopo il discorso ai diplomatici si coglie con più evidenza che la lettera inviata nel gennaio 2008 da Benedetto XVI alla diocesi e alla città di Roma sull'emergenza educativa non è stata un intermezzo. Conteneva, invece, una indicazione strategica per frenare una deriva che in tanti lamentano. L'educazione si regge, infatti, sulla credibilità degli educatori e sull'ascolto dei giovani i quali, con propri linguaggi, lasciano intravedere agli adulti quanto nella società e nelle istituzioni non funziona o ha perduto il senso originario. 


Prima che alla società civile e politica, il Papa sta applicando a sé e alla sua Chiesa questo metodo di ascolto, da cui scaturisce la capacità di proporre quei valori che servono anche in ambito economico a "costruire una nuova fiducia" nella vita di ogni giorno. 
"Ciò - ha detto agli ambasciatori - può essere realizzato solo attraverso l'attuazione di un'etica basata sulla dignità innata della persona umana. So quanto ciò sia impegnativo, ma non è un'utopia! Oggi più di ieri, il nostro futuro è in gioco, così come il destino stesso del nostro pianeta e dei suoi abitanti, in primo luogo delle giovani generazioni che ereditano un sistema economico e un tessuto sociale fortemente compromessi. Sì, signore e signori, se vogliamo lottare contro la povertà, dobbiamo investire soprattutto nei giovani, educandoli a un ideale di vera fraternità". 

In altri termini, per il Papa è venuto il tempo della responsabilità, della lettura degli eventi non come frutto di una cieca casualità ma come risultato di scelte umane. Il punto di vista educativo permette alla politica e all'economia di rigenerarsi perché le libera dagli interessi di parte e le costringe a interrogarsi sulla bontà delle scelte proposte. 
Uno dei più gravi disagi del pianeta - rileva Benedetto XVI - è il numero eccessivo di poveri dovuti allo squilibrio delle risorse.La povertà, di conseguenza, si combatte "se l'umanità è resa più fraterna tramite valori e ideali condivisi, fondati sulla dignità della persona, sulla libertà unita alla responsabilità, sul riconoscimento effettivo del posto di Dio nella vita dell'uomo". 

Anche la pace diventa possibile se c'è solidarietà tra gli uomini. Dal momento che la pace viene siglata e garantita dai leader delle nazioni, è una conseguenza logica che soltanto dirigenti convinti e mossi dalla solidarietà tra tutti gli uomini saranno in grado di perseguire davvero la pace. 

Nonostante gli sforzi di tanti, la pace nel mondo è lontana. A questa osservazione quasi ovvia il Papa ne aggiunge altre due, terribilmente impegnative: per costruire la pace, occorre ridare speranza ai poveri, combattendo la fame e il degrado ambientale. Dal punto di vista educativo ciò esige un rovesciamento di priorità nell'agenda sociale mondiale. "È noto - ha obiettato in questi giorni a un convegno su sistema educativo preventivo e i diritti umani don Pascual Chávez, nono successore di don Bosco - che gli interessi economici fissano le priorità della società materialista e che la pubblicità, l'incitamento al consumo, è la bacchetta magica usata dall'insaziabile avidità delle multinazionali. Solo le società aggressive e competitive sussistono e questo stile è entrato anche negli enti e nelle associazioni educative. Cosa fare allora?". Occorre che la proposta educativa sia capace di generare cultura e di porre la società in "stato di educazione". 

Benedetto XVI ha cominciato a dare risposte, che aiutano a consolidare il tempo della responsabilità, relegando nel passato prossimo quell'era di "profonda irresponsabilità" denunciata anche dal presidente eletto degli Stati Uniti.


(L'Osservatore Romano 10 gennaio 2009)




    



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Il Papa agli universitari

Non un dio generico, ma Dio vivo e vero


di FRANCESCO VENTORINO

Li ha sfidati, il Papa, quegli universitari romani che stavano ad ascoltarlo nella basilica Vaticana il 15 dicembre. Parlando dell'attesa di Dio, propria dell'Avvento, ha domandato: "L'invito all'attesa di Dio è proprio fuori tempo?". E ancora: "Cosa significa per me il Natale; è davvero importante per la mia esistenza, per la costruzione della società?".

Interrogativi non retorici. 
Ma Benedetto XVI ha fatto notare subito che ogni tentativo di costruire il mondo senza o contro Dio, e al seguito di ideologie pretenziose, ha finito per ritorcersi contro l'uomo stesso e la sua dignità profonda, fino a fargli perdere la speranza in una edificazione positiva entro la storia, nonché la stima e l'amore verso se stesso.

Ha scritto Giacomo Leopardi nello Zibaldone: "L'uomo che non si interessa a se stesso, non è capace di interessarsi a nulla, perché nulla può interessare l'uomo se non in relazione a se stesso. L'uomo che non desidera per se stesso e non ama se stesso non è buono agli altri".

All'uomo d'oggi manca questo amore. Egli infatti ha smarrito la ragione per cui amare se stesso. Ed è disperatamente attaccato a ciò che fa e a ciò che possiede: da questo cerca di trarre il proprio valore, il valore della propria vita, perché non si ama e non si stima per ciò che egli è. "L'attaccarsi a quel che si fa come luogo di consistenza - diceva don Luigi Giussani nel 1984 agli universitari - è l'espressione della mancanza di consistenza di sé come affezione. L'impeto affettivo non logora mai la persona, ma aumenta nella sua espressività man mano che avanza. Ciò che logora è l'impeto di possesso".

Ma quando l'uomo impara ad amarsi? Solo quando è oggetto di un grande amore. "Nell'esperienza di un grande amore - ha scritto Romano Guardini - tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito. L'elemento personale a cui in ultima analisi intende l'amore e che rappresenta ciò che di più alto c'è fra le realtà che il mondo abbraccia, penetra e determina ogni altra forma: spazio e paesaggio, pietre, alberi, animali". Come suggeriscono queste parole dell'Essenza del cristianesimo, l'uomo coglie il valore di se stesso e di tutto il mondo quando fa l'esperienza di essere amato.

Per questo il delitto più grande contro l'umanità è la sistematica negazione di Dio come mistero di carità, da cui sgorga tutto ciò che è, da cui in particolare fluisce quell'essere singolare che è l'uomo libero, creato e amato per se stesso, in vista soltanto della sua stessa realizzazione, della sua felicità, e non in funzione di altro. Consumata questa negazione, l'uomo ha iniziato da capo, come nell'oscurità dei tempi antichi, a concepirsi come figlio del niente, del caso o della necessità naturale, finendo per perdere la stima verso se stesso e con essa la capacità di voler bene all'altro.

Il fatto che oggi si rifiuti persino il legame coniugale nasce da una doppia disistima: "Può un altro amare me per tutta la vita? E merita forse l'altro un amore fedele?". A buon diritto san Paolo aveva affermato: "Chi ama la propria moglie ama se stesso" (Efesini, 5, 28). Il matrimonio, soprattutto quello cristiano, risulta così una sorta di rivincita sull'apparente inutilità della vita e sulla ostentata affermazione della nullità dell'uomo.

L'essere è carità. Se ne fai l'esperienza almeno per un istante, non puoi più trascurare questo punto di vista. Purché ci sia chi te lo rammenti con la sua compagnia. E in definitiva, questo è lo scopo di ogni autentica compagnia umana: l'esaltazione dell'uomo, la promozione del suo desiderio di amare e di generare. Credo che si siano sentiti compresi quegli universitari a cui il Papa ha detto: "Non abbiamo bisogno di un dio generico, indefinito, ma del Dio vivo e vero, che apra l'orizzonte del futuro dell'uomo a una prospettiva di ferma e sicura speranza, una speranza ricca di eternità e che permetta di affrontare con coraggio il presente in tutti i suoi aspetti"!

Non basta più, dunque, un vago senso religioso o una qualunque nozione che noi possiamo farci di Dio. Ciò che occorre è l'annunzio del Dio cristiano, un Dio che si fa bambino per l'uomo: "Nella grotta di Betlemme la solitudine dell'uomo è vinta, la nostra esistenza non è più abbandonata alle forze impersonali dei processi naturali e storici, la nostra casa può essere costruita sulla roccia: noi possiamo progettare la nostra storia, la storia dell'umanità non nell'utopia ma nella certezza che il Dio di Gesù Cristo è presente e ci accompagna". Solo l'esperienza di una novità, dell'incontro con questo Dio, può ridare all'uomo il senso vero di se stesso e della storia, e la speranza in un compimento.

(L'Osservatore Romano 21 dicembre 2011)




    







Nei discorsi di Benedetto XVI in Germania

Antidoti contro la disumanità


di FERDINADO CANCELLI

I discorsi di Benedetto XVI si prestano sempre a una lettura su molti piani e offrono spunti concreti a chi si trova ad affrontare la sfera della sofferenza umana e le problematiche bioetiche a essa connesse. Non hanno fatto eccezione gli interventi durante il viaggio in Germania, in particolare quelli al Bundestag e al convento degli agostiniani di Erfurt durante la celebrazione ecumenica.



"Solo chi conosce Dio, conosce l'uomo" ha ribadito il Papa citando Romano Guardini per ricordare come "senza la conoscenza di Dio l'uomo diventa manipolabile" e come la fede debba "concretizzarsi nel nostro comune impegno per l'uomo": saremo giudicati "secondo come ci siamo comportati nei confronti (...) dei più piccoli". Il compito che Benedetto XVI ha delineato ancora una volta con fermezza consiste nel "difendere la dignità inviolabile dell'uomo dal concepimento fino alla morte, nelle questioni della diagnosi pre-impiantatoria fino all'eutanasia".

Questa proposta del Papa, chiara ai nostri occhi, poggia sulle basi evidenziate il giorno precedente al Bundestag in un discorso storico e articolato. Due sono gli elementi che aiutano concretamente chiunque voglia guardare all'uomo senza lo scuro filtro di un riduttivismo che "comprende la natura in modo puramente funzionale": secondo Benedetto XVI bisogna ricostruire un ponte e inaugurare una nuova ecologia.

All'inizio degli anni settanta del secolo scorso la bioetica veniva al mondo proprio con l'immagine del "ponte": un oncologo, Van Rensselaer Potter, la vedeva infatti in una celebre opera come bridge to the future ("ponte verso il futuro"), un ponte tra "dati biologici" e "valori etici" (biological facts ed ethical values). Negli anni successivi ci si accorse però di come quel ponte nulla avrebbe messo in comunicazione se non fosse passato per l'immagine di uomo, di natura umana, che ognuno di noi, nello svolgere il proprio lavoro e nella vita, non dovrebbe mai perdere. Il Papa ci aiuta in un certo senso a ricostruire quel ponte in modo corretto ricordandoci che solo passando attraverso una natura umana non più compresa "in modo puramente funzionale" le due rive dell'uomo e dell'ethos torneranno a essere unite.

D'altra parte, partendo dal dato oggettivo che "l'uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé" e che "l'uomo non crea se stesso", Benedetto XVI ci invita a fare nostro lo stesso zelo del movimento ecologista comparso in Germania anch'esso negli anni settanta del Novecento. Questa volta però - dice il Papa - la natura da rispettare e da non manipolare è, accanto a quella di terra, acqua e aria, quella della persona umana. Ricostruire un ponte e diventare fautori dell'ecologia dell'uomo mediante uno sguardo nuovo sulla natura umana alla luce della vera ragione che non rinuncia a guardare in alto: semplici, saggi antidoti contro la disumanità proposti da chi, umilmente, lavora davvero sodo nella vigna del Signore.

(L'Osservatore Romano 30 settembre 2011)



    

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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