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Sinodo dei Vescovi Lineamenta 2014 per il Sinodo 2015 sulla Famiglia

Ultimo Aggiornamento: 16/09/2015 09:38
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23/01/2015 18:13
 
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Francesco, i figli e i conigli. Con un “Post scriptum”



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aereo


[Il titolo iniziale di questo post, prima dell'aggiunta del "Post acriptum", era: "Francesco e la paternità responsabile: 'I buoni cattolici non fanno come i conigli'"]


*


Nella seconda conferenza stampa volante del suo viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine, sull’aereo che lunedì 19 gennaio lo riportava a Roma, papa Francesco ha toccato numerosi argomenti, ritornando anche su cose già dette nei giorni precedenti. Ecco alcuni passaggi delle sue risposte.


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SUL “PUGNO” A CHI OFFENDE


In teoria, possiamo dire che una reazione violenta davanti a un’offesa, a una provocazione, non è una cosa buona, non si deve fare. In teoria, possiamo dire quello che il Vangelo dice, che dobbiamo dare l’altra guancia. In teoria, possiamo dire che noi abbiamo la libertà di esprimere e questa è importante. Nella teoria siamo tutti d’accordo, ma siamo umani, e c’è la prudenza, che è una virtù della convivenza umana. Io non posso insultare, provocare una persona continuamente, perché rischio di farla arrabbiare, rischio di ricevere una reazione non giusta. Per questo la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza.


SULLA REGOLAZIONE DELLE NASCITE


Il cristiano non deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo, dopo sette cesarei. “Ma lei vuole lasciare orfani sette? Questo è tentare Dio”. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti da i mezzi, sii responsabile”. […] Io credo che il numero di tre figli per famiglia è quello che dicono i tecnici che è importante per mantenere la popolazione. Per questo la parola chiave per rispondere è quella che usa la Chiesa sempre, anche io: paternità responsabile. Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No, paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo.


SU PAOLO VI E LA “HUMANAE VITAE”


Che volevo dire di Paolo VI? È vero che l’apertura alla vita è condizione del sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono in questo punto d’accordo, di essere aperti alla vita. Il rifiuto di Paolo VI non era soltanto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le situazioni e perdonare. Lui guardava al neo-Malthusianismo universale che era in corso. e che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Paolo VI non è stato un arretrato, un chiuso. No, è stato un profeta.


SULL’IDEOLOGIA DEL “GENDER”


Dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Venti anni fa, nel 1995, una ministro dell’istruzione pubblica aveva chiesto un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del “gender”. Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Durante il sinodo i vescovi africani si lamentavano di questo, che per certi prestiti si impongano certe condizioni. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. C’è uno scrittore che ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive in un libro. Si chiama “The Lord of the Earth” o “The Lord of the World”, uno dei due. L’autore è Benson, scritto nel 1903, vi consiglio di leggerlo. Leggendolo capirete bene quello che voglio dire con “colonizzazione ideologica”.


SULLA CORRUZIONE NELLA CHIESA


Ricordo una volta, anno 1994, appena nominato vescovo del quartiere di Flores a Buenos Aires, sono venuti da me due funzionari di un ministero a dirmi: “Ma lei ha tanto bisogno qui, con tanti poveri, nelle Villas miserias”. “Oh, si”, ho detto io, e ho raccontato. “Ma noi possiamo aiutare. Noi abbiamo, se lei vuole, un aiuto di 400.000 pesos”. A quel tempo il peso e il dollaro erano uno a uno: 400.000 dollari. “E voi potete fare?”. “Ma si, si”. Io ascoltavo, perché quando l’offerta è tanto grande, anche il Santos sfida; e poi andando avanti: “Ma, per fare questo, noi facciamo il deposito e poi lei dà la metà a noi”. In quel momento io ho pensato cosa fare: o li insulto e do loro un calcio dove non dà il sole, o faccio lo scemo. E ho fatto lo scemo. Ho detto: “Lei sa che noi nelle vicarie non abbiamo conto; lei deve fare il deposito in arcivescovado con la ricevuta”. E lì è tutto. “Ah, non sapevamo… Piacere” e se ne sono andati. Ma poi io ho pensato: se questi due sono atterrati direttament


SUL DALAI LAMA E LA CINA


È abitudine per il protocollo della segreteria di Stato di non ricevere capi di Stato o gente di quel livello quando sono in una riunione internazionale qui a Roma. Per esempio per la FAO non è stato ricevuto nessuno. È per questo che il Dalai Lama non è stato ricevuto. Ho visto che qualche giornale ha detto che non lo ha ricevuto per paura della Cina. Non è vero. Lui ha chiesto un’udienza e gli è stata detta una data a un certo punto. La aveva chiesto prima, ma non per questo momento, e siamo in relazione. Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o la paura per la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. E come vanno i rapporti? Mah, il governo cinese è educato. Anche noi siamo educati e facciamo le cose passo passo come si fanno le cose nella storia, no? Ancora non si sa, ma loro sanno che io sono disposto a ricevere o andare. Lo sanno.


*


POST SCRIPTUM – “Sorpreso” e “dispiaciuto”: così dicono sia rimasto papa Francesco quando ha visto le reazioni dell’opinione pubblica mondiale e soprattutto di tanti suoi fedeli alla sua sortita sui conigli.


Due giorni dopo il suo ritorno a Roma dalle Filippine, nella prima udienzautile, il papa ha tenuto a dire che “dà consolazione e speranza vedere tante famiglie numerose che accolgono i figli come un vero dono di Dio”.


Intanto, però, il disagio montava a dismisura. È tracimato anche sul quotidiano dei vescovi italiani “Avvenire”, che ha pubblicato varie lettere di protesta, non solo per la battuta sui conigli, ma anche per altre parole dette dal papa nella stessa occasione, in particolare quel suo duro rimprovero a una donna incinta dell’ottavo figlio dopo sette parti cesarei.


  Ha scritto ad esempio un lettore che si firma “Alfonso, irresponsabile ma non troppo”:


“Caro direttore, è martedì sera, 20 gennaio, sono qui davanti al mio computer e leggo “Avvenire’. Mentre leggo cullo il mio sesto nato che dorme nel passeggino, il suo nome è Francesco e ha 4 mesi. Lo guardo, sesto di sei cesarei andati tutti bene, ringraziando Dio e l’ottimo controllo medico. È beato e tranquillo. Riprendo a leggere il giornale. Intorno c’è molto silenzio. I fratellini sono nelle loro stanze e studiano o giocano. La cronaca invece è rumorosa, schiamazzante, polemica. Martedì mattina, al lavoro mi hanno fatto nero, i colleghi. Ridacchiavano: ‘Hai letto il giornale, sì?’. Francesco si agita nel sonno, muovo un po’ il passeggino e lui placidamente si assopisce di nuovo. Cosa sognerà adesso? Non lo so, ma sono molto contento che lui ci sia”.


Dal Vaticano ha tentato di correre ai ripari il sostituto segretario di Stato Angelo Becciu, con un’intervista che “Avvenire” ha pubblicato giovedì 22 gennaio. Col fine dichiarato di “ricostruire il senso autentico delle parole di Francesco”.


Ma alla domanda: “Qual è dunque la corretta interpretazione?”, ecco Becciu come ha risposto:


“È che senza mai dividere il carattere unitivo e procreativo dell’atto sessuale, esso si deve sempre inserire nella logica dell’amore nella misura in cui la persona intera (fisica, morale e spirituale) si apre al mistero del dono di sé nel vincolo del matrimonio”.


Se questo è il chiarimento…




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Matrimonio e seconde nozze. Cosa direbbe nel sinodo sant’Agostino

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matrimonio

Ricevo e pubblico. L’autore è diplomato all’Istituto di Scienze Religiose di Trieste e si è dedicato particolarmente allo studio della teologia di san Bonaventura da Bagnoregio. Scrive sul settimanale diocesano “Vita Nuova”. In questa nota sottopone a critica il saggio di padre Guido Innocenzo Gargano su matrimonio e seconde nozze, rilanciato giorni fa da www.chiesa:

> Per i “duri di cuore” vale sempre la legge di Mosè

———-

LE MAGLIE PIÙ STRETTE DELLA LEGGE COMPIUTA DA GESÙ

di Silvio Brachetta

Nel suo saggio su “Il mistero delle nozze cristiane” pubblicato in “Urbaniana University Journal“, il monaco camaldolese Guido Innocenzo Gargano, biblista e patrologo, vede nel compimento della legge mosaica, proclamato da Cristo, una sorta di alleggerimento della stessa a favore della misericordia, anche nel caso del decalogo.

L’autore, cioè, reputa il discorso della montagna di Gesù “un generosissimo programma di liberazione dalle strettoie della ‘littera’” legalistica. Di conseguenza, pastoralmente, si dovrebbero dischiudere indicazioni “nuove e persino rivoluzionarie”, non meglio specificate. Si vuole forse rivedere la prassi di esclusione dal sacramento dell’eucaristia dei divorziati risposati? Per quanto suggestiva, esposta con discrezione e presentata come contributo alla riflessione, la tesi non sembra tuttavia essere dimostrata in modo esaustivo o supportata a sufficienza dalla teologia e dalla patristica.

Un’ipotesi debole

A fare problema, in particolare, è l’assunto per cui ci sarebbe un collegamento di misericordia tra la prassi di ripudiare la propria moglie – concessa da Mosé (cf. Mt 19, 8 ) – e l’inclusione nel regno dei cieli dei “minimi”, che Gesù indica come “trasgressori” della legge nel discorso della montagna (cf. Mt 5, 19). L’autore pare sollevato dal fatto che “in Mt 5, 19 Gesù non parla di ‘esclusione’ dal regno dei cieli, ma soltanto di situazione di ‘minimo’ o di ‘grande’ nel regno dei cieli”.

La pericope in questione è la seguente: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.

Successivamente – e come argomento portante – Gargano continua ad essere pienamente convinto che ci sarà una salvezza per i “minimi”, non ponendo alcun dubbio su ciò.

È difficile capire dove l’autore abbia trovato il sostegno a questa sua interpretazione, che si potrebbe considerare inclusivista, anche perché il suo testo è carente di autorità extra–bibliche a sostegno degli argomenti proposti, i quali si presentano quasi sempre come opinioni personali o interpretazioni private del testo sacro. C’è penuria di fonti, insomma. Alle volte si accenna ai Padri, ma in modo sporadico e generalizzato.

Eppure l’interpretazione di Gargano è avversata dagli autori maggiori. Quanto a Mt 5, 19 sant’Agostino, ad esempio, è nettamente contrario alla tesi inclusivista summenzionata. Nel “De civitate Dei” (XX, 9.1) il vescovo di Ippona dimostra che tanto il “grande” quanto il “minimo” evangelici sono sì nel regno dei cieli, ma come figura della “Chiesa quale è nel tempo”. Tanto più che il Signore aggiunge, subito dopo: “Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5. 20). Questa volta – scrive sant’Agostino – “si ha la Chiesa quale sarà, allorché non vi sarà più il cattivo”. Pertanto, al v. 19, Gesù Cristo parla della Chiesa militante e nel verso successivo della Chiesa trionfante.

Il “minimo” è escluso dal paradiso

E il “cattivo” che fine ha fatto, nel frattempo? Semplicemente non c’è: è escluso dal regno futuro, non è incluso nella Chiesa trionfante, nel paradiso. Lo spiega meglio Agostino nel “Commento al Vangelo secondo Giovanni” (Omelia CXXII, n. 9), dove mette in relazione il discorso della montagna con la vicenda dei “centocinquantatre grossi pesci” (Gv 21, 11) e con la parabola dei “pesci buoni e cattivi” (Mt 13, 47–50). Solo il “grande” – osserva – “potrà far parte del numero dei grossi pesci”, cioè dei centocinquantatre che rappresentano i salvati. Quanto al “minimo”, che “distrugge con i fatti ciò che insegna con le parole, potrà far parte di quella Chiesa che viene raffigurata nella prima pesca, fatta di buoni e di cattivi, perché anch’essa viene chiamata regno dei cieli”. Ma, proprio come insegna la parabola di Mt 13, 47–50, i buoni e i cattivi “dovranno essere separati sulla riva, cioè alla fine del mondo”. Su questo sant’Agostino è chiaro: “chi è minimo nel regno dei cieli, cioè nella Chiesa del tempo presente, non entrerà nel regno dei cieli”.

Il santo monaco Giovanni Cassiano giunge a dire che non solo il “minimo” è nullo nella Chiesa, ma addirittura che è grande nell’inferno – “sed in gehennae supplicio maximus habeatur” (“Collationes Sanctorum Patrum”, coll. XIV). Stesso giudizio lo ritroviamo in san Tommaso d’Aquino, che riporta la riflessione di san Giovanni Crisostomo, Omelia XVI: “con le parole ‘ultimo nel regno dei cieli’ non bisogna vedere altra cosa, se non il supplizio della dannazione eterna”. In effetti – aggiunge il Crisostomo – “nel linguaggio corrente del Salvatore il regno dei cieli non significa soltanto il godimento della felicità eterna, ma il tempo della risurrezione e la terribile venuta del Cristo” (San Tommaso, “Catena Aurea in Matteo”, l. 12).

Ancora san Tommaso cita sant’Agostino nella “Summa Theologiae”, a proposito di cosa siano i precetti minimi della legge e cosa, in generale, debba intendersi per legge. Dice dunque Agostino che “i precetti della legge [antica] sono minori, mentre quelli del Vangelo sono maggiori” (S.Th. Ia IIae, q. 107, a. 3). Tommaso aggiunge che tale fatto, però, non impedisce al maggiore di essere contenuto nel minore, come l’albero è potenzialmente contenuto nel seme.

Forzatura dei passi evangelici

Più sorprendente ancora appare l’accostamento della pericope analizzata con il passo, che Gargano propone, di Mt 19, 3–9: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: ‘È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?’. Ed egli rispose: ‘Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi’. Gli obiettarono: ‘Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?’. Rispose loro Gesù: ‘Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio””.

Queste parole non dovrebbero porre troppi problemi interpretativi: Gesù revoca la liceità di dare l’atto di ripudio e conferma la condizione di adulterio per eventuali seconde nozze.

Gargano vi vede invece una sorta di presa d’atto da parte di Gesù della “durezza di cuore”: ovvero, l’atto di ripudio farebbe parte dei “precetti minimi” e, di conseguenza, il “minimo” che ripudia la moglie entrerà comunque in paradiso.

Ma il ragionamento così impostato sembra del tutto forzoso e, alla luce di quanto visto, contrario alle autorità dei Padri. Tanto più che, nel caso di Mt 19, 3–9, sant’Agostino sostiene l’illiceità assoluta del ripudio, ad esempio in “La dignità del matrimonio” (n. 7). Eppure l’autore del saggio conferma, in Gesù, “l’assenza di qualsiasi decisione di cassare una simile prescrizione mosaica”, cioè l’atto di ripudio. Ma su che basi è fatta una simile affermazione? Su che fonti patristiche?

Giustizia e misericordia

È vero che, nel discorso della montagna, la legge è rivista e compiuta da Gesù in modo da introdurre la misericordia, ma non in maniera generalizzata e non con le modalità espresse da Gargano.

Quanto al decalogo, anzi, la condizione umana rispetto all’obbedienza ai precetti è aggravata: se con Mosè era illecito l’adulterio, con Gesù è illecito persino guardare una donna per desiderarla (Mt 5, 27–28). O se con Mosè era illecito uccidere, con Gesù è illecito persino adirarsi col fratello (Mt 5, 21–22). È strano come Gargano escluda che l’intero discorso della montagna possa essere “letto come una sorta di inasprimento delle prescrizioni”.

Viceversa, si tratta proprio di questo: un “inasprimento delle prescrizioni”. Se con Mosè il decalogo poteva essere applicato a fatica, con Gesù l’applicazione è impossibile. Con Gesù non c’è più il “giusto” ma, tutt’al più, il “giustificato”, perché solo il Maestro è giusto, non avendo mai peccato. Con Gesù tutti abbiamo peccato ed è solo partendo da questa verità che è pensabile la penitenza e il perdono.

Dove allora, nel discorso della montagna, si allargano le maglie della legge e, quindi, Dio concede la misericordia al peccatore? Ad esempio, in Mt 5, 38–39, dove è rovesciato il precetto “occhio per occhio e dente per dente” e s’invita a “porgere l’altra guancia”. Ma la cosiddetta “legge del taglione” non fa parte del decalogo, bensì della prassi applicativa dello stesso. Ovvero, mentre da una parte la legge è inasprita, ne è rovesciata però l’applicazione nel senso della misericordia. E tutto ciò è tramandato dalla patristica e dal magistero.

In realtà pare del tutto ambigua una sorta di liberazione dalla “littera” legalistica, come auspica Gargano, almeno per quanto riguarda il decalogo. La strada della misericordia è invece indicata con chiarezza dalla Chiesa: pentimento del delitto contro la “littera” dei santi precetti e conseguente perdono da parte di Dio.

Trieste, gennaio 2015


[Modificato da Caterina63 05/02/2015 19:17]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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