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Ultimo Aggiornamento: 23/11/2015 00:32
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20/07/2015 10:38
 
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Come mai sulla base dei medesimi testi sacri noi crediamo che Gesù è il Figlio di Dio e gli ebrei no


Quesito


Caro Padre Angelo,
sono un ragazzo di 17 anni appassionato di filosofia e religione.
Talvolta mi faccio questa domanda: la nostra fede di cristiani è basata sui vangeli e altri testi sacri che riportano la vita di Gesù e degli apostoli. Sulla base di questi scritti e testimonianze noi crediamo che Gesù è il figlio di Dio.
Ora, anche i teologi religiosi ebrei hanno accesso agli stessi nostri libri sacri. Certamente la gran maggioranza di loro cerca sinceramente la verità. Eppure non si sente dire che tanti teologi ebrei si sono convertiti al cristianesimo dopo aver letto i vangeli, e nemmeno che tanti teologi cristiani si siano convertiti all'ebraismo dopo aver parlato con un teologo ebreo.
Cioè gli stessi testi vengono interpretati in modo completamente diverso da cristiani e ebrei.
Gradirei molto una sua risposta illuminante riguardo a questo dubbio.
Grazie di cuore.
Pietro


Risposta del sacerdote

Caro Pietro, 
1. mi compiaccio anzitutto per il tuo interesse per la religione e la filosofia.
La filosofia è importante perché, se bene usata, aiuta a purificare e ad approfondire la nostra fede. 
Di qui l’intelligo ut credam, di sant’Agostino, che possiamo tradurre così: voglio ragionare per credere meglio.
 Inoltre aderiamo a quanto Dio ci ha rivelato per comprendere ciò che la ragione umana da sola non può conoscere: Credo ut intelligam, che possiamo tradurre così: credo per poter conoscere meglio.

2. Per rispondere alla tua domanda ti dico che c’è un equivoco nella tua premessa: “la nostra fede di cristiani è basata sui vangeli e altri testi sacri che riportano la vita di Gesù e degli apostoli”.

3. È vero che la fede nasce dalla predicazione e la predicazione si basa sui testi sacri.
E tuttavia, sebbene si venga indotti a credere dall’autorità della rivelazione di Dio confermata dai miracoli, siamo stimolati a credere ancor di più per un altro motivo: “per l’ispirazione interna di Dio che invita a credere” (s. tommaso, Somma teologica, II-II, 2, 9, ad 3).
È la sacra Scrittura stessa che ce lo ricorda attraverso San Paolo: “Nessuno può dire ‘Gesù è il Signore’, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1 Cor 12,3).

4. San Tommaso approfondisce questa affermazione dicendo: “Tre cose ci inducono alla fede di Cristo: anzitutto la ragione naturale (Rm 1,20), poi le testimonianze della legge e dei profeti, e in terzo luogo la predicazione degli apostoli e degli altri.
Ma quando un uomo, introdotto con questa preparazione, crede, allora si può dire che egli non crede per nessuno di questi motivi: né per la ragione naturale, né per le testimonianze della legge, né per la predicazione, ma soltanto per la stessa Verità” (Commento al Vangelo di San Giovanni,IV, lez. 5, 2), che illumina interiormente e attrae al Signore
Come vedi: la ragione naturale (che comprende anche la filosofia), le Sacre Scritture e i miracoli che le confermano, non comunicano la fede, ma sono premesse, una preparazione per avere il dono della fede.
Potrei dire: sono preamboli alla fede.

5. Sull’assoluta necessità di tale illuminazione interiore per poter credere dice ancora San Tommaso: “L’uomo che esteriormente annuncia il Vangelo non causa la fede, ma la causa Dio, l’unico che può mutare la volontà. 
Dio causa la fede nel credente inclinando la volontà e illustrando l’intelletto, affinché non opponga un rifiuto alle cose proposte dal predicatore; questi invece dispone esteriormente alla fede” (De Veritate, 27, 3, ad 12).

6. Ecco allora il motivo per cui ebrei e cristiani di fronte ai medesimi testi giungono a conclusioni diverse: “Se lo Spirito Santo non è presente al cuore di chi ascolta, sarà ozioso il discorso di chi insegna, al punto che lo stesso Figlio di Dio con la sua parola umana non sarebbe efficace se Egli stesso non agisse interiormente per mezzo dello Spirito Santo” (s. tommaso, Commento al Vangelo di San Giovanni,XIV,lez. 6, 6).

7. La stessa cosa afferma il teologo francescano S. Bonaventura quando  dice che è più determinante a credere la testimonianza interna di Dio che quella esterna dei predicatori o dei motivi di credibilità: “Magis principaliter ratione auditus interioris quam exterioris” (III Sent., d. 24, dub. 2).

8. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riesprime tutto quello che finora ti ho detto con queste parole: “Il motivo di credere non consiste nel fatto che le verità rivelate appaiano come vere e intelligibili alla luce della nostra ragione naturale. Noi crediamo «per l’autorità di Dio stesso che le rivela, il quale non può né ingannarsi né ingannare». «Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua Rivelazione» (DS 3009). Così i miracoli di Cristo e dei santi (cf Mc 16,20; Eb 2,4) le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità «sono segni certissimi della divina Rivelazione, adatti ad ogni intelligenza», sono «motivi di credibilità» i quali mostrano che l’assenso della fede non è «affatto un cieco moto dello spirito» (DS 3008-3010)” (CCC 156).

10. Pertanto per la propagazione della fede è certamente necessaria e insostituibile la predicazione. 
Ma è ancor più necessaria la mozione interiore di Dio.
Dio è pronto per muovere tutti. Non  attende altro. 
Dobbiamo dunque pregare perché cadano i pregiudizi o i muri che in tanti impediscono di essere illuminati e mossi dallo Spirito Santo.

Ti ringrazio del quesito, ti faccio tanti auguri per il tuoi studi e per il tuo avvenire. 
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4230 





500 anni fa nasceva San Filippo Neri. Papa: fu amore di Dio col sorriso

San Filippo Neri - RV

San Filippo Neri - RV

20/07/2015 

La Chiesa, quella di Roma in particolare, vive oggi l’anniversario di uno dei suoi Santi più popolari: il 21 luglio 1515 nasceva a Firenze Filippo Neri, che ben presto si trasferirà nella città del Papa per dare inizio a una straordinaria esperienza di carità tra i più poveri, intessuta di una letizia e una spontaneità rimaste come uno dei segni più noti e amati dell’apostolato di San Filippo. Anche Papa Francesco, lo scorso 26 maggio ha voluto rievocare in un Messaggio questo anniversario. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Pietro e Paolo, e Filippo. Da 500 anni gli “Apostoli di Roma” sono tre. E questo la dice lunga sull’amore di una città per un uomo nato a Firenze ma rinato, per i romani, tra le piazze della Città Eterna e i vicoli, quelli più degradati, dove un pastore santo può anche avere l’odore delle pecore ma le pecore hanno addosso il puzzo della malattia e della povertà, che svuota le tasche e l’anima.

Tra le periferie del centro
Quando Filippo Neri arriva a Roma nel 1534, è come se una luce venisse accesa nel buio della miseria che annida tra le glorie dell’Ara Pacis e i lustri travertini dei palazzi nobiliari. Il centro dell’Urbe ha la faccia sporca delle periferie e lì Filippo andrà a prendere una stanzetta, a San Girolamo a via Giulia. Di giorno, viso simpatico e cuore lieto che porta a chi incontra il calore di Dio, senza nemmeno essere un prete, accompagnandolo se può con un pezzo di pane. O una carezza sulla fronte, un conforto sussurrato, a chi si lamenta sui pagliericci dell’Ospedale degli Incurabili. Di notte, un’anima di fuoco, Filippo, perso in un dialogo talmente intimo con Dio che il suo letto può essere senza problemi il sagrato di una chiesa o la pietra di una catacomba.

Il sorriso sempre
Questo – ricorda il Papa nel suo messaggio per il 500.mo – lo rese “appassionato annunciatore della Parola di Dio”. Questo è stato il segreto che fece di lui un “cesellatore di anime”. La sua paternità spirituale, osserva Francesco, “traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona”. “Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”, racconta il suo biografo e il Papa commenta: “Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita”.

L’ora dell’Oratorio
Tutto questo affascina chi, conoscendo Filippo, vuole fare come lui. L’“Oratorio” nasce così, tra i tuguri fetidi profumati giorno per giorno da una carità fatta di carne e non per un progetto disegnato sulla carta e calato dall’alto come un’elemosina data a freddo. “Grazie anche all’apostolato di San Filippo – riconosce Papa Francesco – l’impegno per la salvezza delle anime tornava ad essere una priorità nell’azione della Chiesa; si comprese nuovamente che i Pastori dovevano stare con il popolo per guidarlo e sostenerne la fede”. E pastore lo diventa lui stesso, Filippo, che nel 1551 approda al sacerdozio senza per questo cambiare vita e stile. Col tempo, attorno a lui prende corpo la prima comunità, la cellula della futura Congregazione che nel 1575 riceve il placet di Gregorio XIII.

“State bassi”
“Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi”, ripete ai suoi padre Filippo, che ricorda che per essere figli di Dio “non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare”. E colpisce, da un’anima tanto contemplativa come Maria ai piedi di Gesù, il piglio di Marta che convive nel suo cuore quando afferma: “È meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione”. Filippo Neri, il terzo Apostolo di Roma, chiude gli occhi alle prime ore del 26 maggio 1595. Mai spento è il dinamismo del suo amore e a Roma che si prepara al Giubileo della misericordia sembra che ripeta: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni”.






[Modificato da Caterina63 21/07/2015 21:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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