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Quando e come un Papa favorisce l'eresia .....

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2016 23:30
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Sesso: Femminile
26/05/2016 12:16
 
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 premettiamo che quanto segue è uno SFOGO di Blondet.... uno sfogo lecito ma che non condividiamo nei toni e in alcune conclusioni che mettono in discussioni l'uomo Bergoglio nella sua vocazione.... tuttavia non possiamo non condividere IL DOLORE E LA DENUNCIA DI FATTI REALI, di atti e di gesti e di parole che fanno, di questo pontificato, il più strano di tutti, L'UNICO, AMBIGUO E CONFUSO.... in duemila anni di storia....

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Fatelo smettere di insultare Gesù!

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papa aereoChe “Francesco” detesti noi cattolici, è evidente. Ama i protestanti  e dice che sono stati i cattolici a perseguitarli, celebra Lutero come un santo,  gli piacciono i laicisti miliardari come Eugenio Scalfari, è pieno di benevolenza e carità per Pannella e Bonino – ma i cattolici  proprio non li sopporta.  Rifiuta di dare il suo appoggio a quelli che difendono la famiglia. Per  i cattolici ha solo rimproveri  duri. “Fanno figli come conigli”. Sono “farisei”.  Quelli di noi   sgomenti davanti alle sue iniziative più estemporanee, ci accusa di fondamentalismi antistorico, eticismo senza bontà, intellettualismo senza saggezza» (EG 231).  Infinita misericordia per “gli immigrati” purché  musulmani, nessuna per gli immigrati cristiani. Nessuna pietà per i Francescani dell’Immacolata che sta schiacciando e annullando.

Rimprovera i vescovi italiani di essere attaccati al denaro, anche quelli che in realtà vivono poveramente – accusa che i media sono ben lieti di amplificare, perché  mostrare il Papa  “buono” ostacolato dalla Chiesa “cattiva”  fa’ parte del gioco anti-cristiano.

Orbene, ci possiamo adattare e rassegnare ad essere detestati dal nostro Pontefice. Quello che non gli permettiamo, però, è che attacchi e insulti Gesù. Lo ha  fatto più volte, in modo implicito;  ma per farla breve, mi limito alla sua intervista  che “Francesco”  ha rilasciato a La Croix, e che ha voluto fosse riportata integralmente su L’Osservatore Romano. Qui pronuncia  un vero e proprio oltraggio, esplicito, al Cristo.

Quando dice: “ L’idea di conquista è inerente all’anima dell’Islam, è vero. Ma si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la fine del Vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni».

Ora, è  una menzogna e peggio –  una calunnia contro il Salvatore – attribuirgli un qualunque proposito di “conquista”  nel senso bellico che fu di Maometto.  Questi  fu   un condottiero, di  fatto il solo fondatore di religioni che abbia brandito una spada e guidato eserciti.  E Gesù? Ecco con  quali  parole invia i suoi discepoli alla “conquista”: “Vi mando come  pecore in mezzo ai lupi”  (Matteo 10, 6).  Assolutamente inermi. Per cui “Siate prudenti come serpenti e  candidi come colombe”.

Sì,  c’è un momento, nella terribile notte che precedette il suo arresto,   in cui Egli  ammaestra concitatamente i   discepoli: “…chi non  ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine“.

Ma quando  i discepoli gli dicono: “Signore, ecco qui due spade”., Egli rispnde “Basta!“. E  poco dopo a Pietro: “Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno»

shahada-spada

Ancora una volta non han capito: la spada di cui parla  il Maestro,  è quella cui già alluse altrove: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”.  E’ la ‘spada’   che  bisogna procurarsi per  dividersi dai  familiari e dai parenti se si  segue Cristo, è la spada che ciascuno deve usare contro sé stesso per decidere se è per o contro di Lui, fino al martirio.  E fiumi di sangue sono costate le “conquiste”   cattoliche: sangue cattolico, che  migliaia di martiri accettarono di versare, non facendo violenza  ad altri che a sé stessi.

Ma ora, queste spiegazioni possono servire ad uno completamente digiuno di  cultura religiosa.   Già  a un dodicenne che abbia seguito il Catechismo per la prima Comunione, quando  gli si parla di Gesù  che alla fine di Matteo invia  discepoli “in tutte le nazioni”,  non viene in mente il jihad maomettano, ma il “vi mando come pecore in mezzo ai lupi”.  A maggior ragione un prete che ha studiato in seminario, un vescovo, un cardinale, un Papa:  deve far parte della   loro “cultura” per così dire professionale.  Quindi, se  Francesco attribuisce a Gesù  gli intenti conquistatori di Maometto,  sa di diffamare il Salvatore, è  cosciente di calunniarlo.

 

Come è riuscito a diventare prete?

Questo, non glielo permetto. Io non sono nessuno, ma come laico cristiano ho diritto a non veder  vilipendere il Figlio di Dio incarnato; specie da un prete. Invito i vescovi e i cardinali che hanno eletto questo tomo a non permettergli di calunniare Gesù. Restano domande senza risposta:   da quale seminario  è venuto fuori uno che travisa così malevolmente e rozzamente le parole del Vangelo? Sembra un  attore che recita male una parte che non ha studiato.  Da quale  foresta amazzonica dell’ignoranza modernista e del pressapochismo, da quale residuo solido di teologia della liberazione  è uscito  questo Tupac Amaru, e come mai è riuscito a diventare prete, e salendo tutti i gradini della carriera ecclesiastica,  vescovo, cardinale, Papa? E sapevate, cardinali elettori, quali vuoti  e falle di semplice istruzione aveva costui, quando lo avete scelto nel Conclave? Non posso credere che anche   voi siate ormai altrettanto analfabeti in cultura cristiana; o devo considerarlo un altro dei pregiati frutti del Concilio?

Nella sopracitata intervista, “Francesco”   ci tiene a negare   le  radici cristiane dell’Europa, e mostrare la sua ostilità a  chi le rivendica (a cominciare dal  suo predecessore, Giovanni Paolo II), forse perché  ciò gli sembra d’ostacolo al prezioso ecumenismo.   «Bisogna parlare – sostiene  – di radici al plurale, perché ce ne sono tante. In tal senso, quando sento parlare delle radici cristiane d’Europa a volte temo il tono, che può essere trionfalista e vendicativo. Allora diventa colonialismo. Giovanni Paolo II ne parlava con tono tranquillo».

La Chiesa per lui è “colonialismo”?

S’intravvede qui  il fondo (di magazzino) ideologico da cui ha tratto quest’asserzione:  ridurre l’affermazione delle “radici cristiane” al “colonialismo”- in Europa! –  è una  meccanica e zotica trasposizione   al continente europeo dei  più vieti elementi della propaganda terzomondista, “rossa”, latino-americana. Là si usa dire, negli ambienti del   progressismo retrogrado andino e del Mato Grosso, che  il cattolicesimo è stato importato da fuori, dunque è colonialismo – implicando che i conquistadores hanno soppresso la bella spiritualità delle religioni del sacrificio umano, a cui quelle popolazioni avrebbero dovuto essere felicemente   lasciate;  e insultando, ancora una volta, la fede cattolica sparsa là dai martiri col loro sangue, e consacrata dall’apparizione della Virgen Morena,  la  Madonna di fattezze indie e vesti azteche che ha adottato da quelle popolazioni e ne è stata adottata  con fede forte, commovente, combattiva fino al sangue. Ora, se  questo è un   elemento polemico  grossolano già  nel Terzo Mondo, è completamente assurdo in Europa. Qui, com’ebbe a dire Woytila,  «La fede cristiana ha plasmato la cultura dell’Europa facendo un tutt’uno con la sua storia   (…) il cristianesimo è diventato “la religione degli Europei stessi” […]”.

E  trionfalismo vendicativo qui è stato espresso  non certo dai cattolici, ma dai negatori di queste radici cristiane per imporre il loro ateismo,  l’ordine giacobino e massonico o   leninista, con la violenza e la persecuzione, dal Terrore alla guerra di Spagna  fino alla repressione   rossa nell’Est, sanguinoso massacro.

Come si può essere tanto ignoranti?

Quando “Francesco” dice che “non bisogna parlare di radici cristiane perché ce ne sono tante”, lo fa’ palesemente per svalutare e sminuire –  dunque offendere – la nostra civiltà; nel contesto dell’intervista, ci ha voluto dire: non fate tanto  gli snob,   accogliete i milioni della “invasione  araba” (parole sue),  mica siete meglio voi. Anzi: “Quante invasioni l’Europa ha conosciuto nel corso della sua storia! E ha saputo sempre superarsi e andare avanti per trovarsi infine come ingrandita dallo scambio tra le culture.”   La “cultura” islamica è stata precisamente quella che l’Europa cristiana “non”  ha integrato e la cui invasione ha respinto  sempre, da Poitiers (732) a Lepanto (1500) fino all’assedio turco di Vienna del 1683. E sempre come “cristianità”, trovando le nazioni e i re una unità estrema e miracolosa al disopra delle loro discordie; e  sempre con una costante ostinazione  che mostra come quella è stata sempre sentita  come una cultura radicalmente “altra”,  irriducibilmente eterogenea, insolubile nella nostra come l’acqua nell’olio –  e la sua entrata nel continente, è stata vissuta come la pura e semplice mortedella nostra identità  collettiva,  del nostro essere europei.

Piaccia o non piaccia, a torto o a ragione. E’ un senso   misterioso di diversitàinassimilabile che precede il Cristianesimo e l’Islam. La Persia di Ciro e Serse non era meno alta di quella greca; eppure Atene si unì a Sparta per sbarrarle il passo alle Termopili, a Salamina.   La civiltà fenicia non era priva di tesori “culturali”; ma Roma visse Cartagine come il nemico assoluto, non-integrabile, da sradicare  per non esserne sradicata.

Per contro, il cristianesimo  può  rivendicare non due, ma tre millenni di civiltà, perché   Roma vincitrice “andò a scuola di Atene”, e i cristiani vincitori adottarono “Roma”, la sua architettura, il suo diritto, la sua idea di impero come cordiale unione di genti diverse,  la  metafisica   ellenica, Platone e Aristotile.  Sappiamo anche perché, lo ha spiegato magistralmente  Brague: l’Islam si vive come la religione-civiltà primaria;  i tempi precedenti a Maometto, li sente come un vuoto  di oscurità e barbarie da cui non c’è nulla da apprendere; tutto ciò che serve alla vita e all’anima è nel Libro rivelato, il Corano, e dunque i libri degli altri sono inutili, anzi dannosi.  I cristiani non poterono; sanno di derivare da un’altra fede – l’ebraismo – e non possono  amputare quella radice.  Analogamente, Roma vincitrice del mondo non  pretese mai che “prima  di lei” non ci fosse civiltà: Omero, Socrate, Platone, scienza e filosofia, poesia, tutto  un mondo (altro, ma affine)  c’era da far proprio e imparare nella lingua originale. L’Islam tradusse testi greci? Sì, per lo più scientifici; ma visto che li aveva trasferiti nella lingua araba, la lingua sacra di Dio,   buttò gli originali;  mai più ebbe la  curiosità di  tornare a rileggere “cosa aveva veramente detto Aristotile”.  Questo è  il profondo motivo per cui l’Islam,  per quanto ammirevole, non può avere un Umanesimo, un Rinascimento e un’apertura mentale verso le altre culture.

Cristo  per contro non diede una Shariah,  e riconobbe il laico diritto romano (“date a Cesare”). I monaci amanuensi non osarono bruciare i libri licenziosi di Catullo ma li ricopiarono, tanto era il prestigio dell’arte latina, ed è grazie a loro che li abbiamo ancor oggi.  La distinzione fra sacro e profano, l’autonomia della ragione dalla fede,   la scienza sperimentale  –  quindi  persino la  laicità europea  (piaccia o non piaccia, buona o cattiva  che sia: è europea) nascono dalle radici cristiane;  se i cistercensi  avessero bruciato i libri di Catullo, Orazio e Cicerone, se avessero creduto che il Vangelo – essendo ispirato da Dio – ha dentro tutto il sapere che serve all’uomo, e  basta   –  oggi l’europeo sarebbe quello che è l’islamico: fondamentalista.

Ora, invece, ecco a cosa si riduce per Francesco questo straordinario edificio trimillenario,  oggi  tragicamente prossimo all’auto-estinzione per nichilismo anticristico: a una forma di “colonialismo”. Ha paura, El Papa, che ci sia nel cristianesimo ‘troppa’ cultura,   che sia oppressivo e  d’ostacolo a portare la fede “ai poveri”.  Gli sembra urgente una  sola cosa: che il cristianesimo come “cultura” scompaia, si tolga di mezzo. Lo dice in una frase incredibile nella suddetta  intervista:

«L’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita. Non deve essere un apporto colonialista».

Lavi i piedi e poi si ritiri nelle stanze della servitù, ecco l’apporto unico che il cristianesimo deve portare a “una” cultura (qualunque? Yanomani, Lacandona? Azteca?  Wahabita?).  Nemmeno si rende conto che questo sì è fondamentalismo; la forma comica  del fondamentalismo “spirituale”  del catto-modernismo, per cui –siccome il Vangelo prescrive di dar da mangiare agli affamati e vestire gli ignudi –  tutti gli stati, i governi, la UE devono accogliere tutti i rifugiati, senza limiti:  quindi direttamente  obbedire al Vangelo e non alle norme del diritto   secolare e alle valutazioni realistiche – politiche –   delle  compatibilità. Il Vangelo diventa così il Corano della nuovashariah  caricaturale.

E poi no: l’apporto centrale di Cristo non si riduce nella “lavanda dei piedi”.  Sul “dono della vita” attendiamo chiarimenti, data la vaghezza del concetto: vita è maiuscolo o minuscolo? Ma sulla “lavanda dei piedi” abbiamo visto Francesco travisare completamente il gesto.  Cristo non ha lavato, né tantomeno baciato e biascicato  come ha fatto lui, i pedi di  “immigrati, carcerati, islamici, donne”. Ha lavato i piedi dei suoi discepoli. Nella notte tremenda dell’Ultima Cena,  ha dato lezione di umiltà, anzi di umiliazione e di servizio a coloro  cui avrebbe ordinato di lì a poco: “Fate questo in memoria di me”.  Ha lavato i piedi ai futuri  sacerdoti, le cui mani sarebbero state consacrate.  E infatti, anche oggi  sono i vescovi che lavano liturgicamente i piedi a  12  seminaristi nel giorno della loro ordinazione sacerdotale.  Bergoglio, lavando i piedi senza  discriminazione  a  gente d’altra religione  e anche a donne, ha completamente distorto e falsificato il significato del gesto.

E questo travisamento è anch’esso –visto che è volontario – una ingiuria a Cristo.  Quanto il gesto di El Papa  sia  stato oltraggioso per i preti che ancora credono e restano fedeli alla vocazione, l’ha spiegato don Ariel Levi di Gualdo, a cui rimando.  Mi limito ad estrarne due  concetti:

“Da alcuni anni  [è]  in fase avanzata un processo di veloce e massiccio svuotamento sia del senso vero, evangelico e teologico delle parole; sia dei simboli o dei segni esteriori che finiscono — una volta svuotati — riempiti di altri significati. Fatto questo si può correre il serio rischio di andare a incidere sulle sostanze eterne immutabili”.

E sul significato sostitutivo di cui Francesco ha voluto  riempire quel gesto svuotato del suo senso originario:  “Durante l’ultima cena, Cristo Signore non ha preso ed esibito agli Apostoli un povero dicendo loro: “Costui è il mio corpo e il mio sangue”, quindi “adoratelo”, “in memoria di me”.  E tutti siamo membra di questo Corpo Santissimo, a prescindere dal reddito dichiarato e dal ceto sociale di appartenenza”.

http://isoladipatmos.com/dalla-lavanda-dei-piedi-alla-lavata-di-testa/

Ecco cos’è la religione di Francesco: una adorazione del “povero”  (quello mediatico, finto, l’immigrato)   messo al posto di Cristo.  Ma   nessuno riesce a fargli smettere di bestemmiare?



EDITORIALE del sito LaNuovaBussolaQuotidiana
Papa Francesco
 

Dalla Civiltà Cattolica al cardinale Schönborn, in molti sostengono che la grande novità della Amoris Laetitia sia il linguaggio, che si vuole più aderente alla concretezza esistenziale. Ma ciò pone anche un problema: finora i Papi intervenivano per chiarire e definire, qui invece si vuole porre problemi, aprire processi su cui deciderà la storia. È una nuova concezione del Papato.

di Stefano Fontana

Il Linguaggio dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitiaha fin da subito attirato l’attenzione su di sé, prima e forse più dei contenuti. Su La Civiltà Cattolica del 14 maggio si parla di «rinnovamento del linguaggio ecclesiale». Il cardinale Schönborn, in occasione della conferenza stampa di presentazione in Vaticano, aveva detto che laAmoris Laetitia è un «avvenimento linguistico». Forse, il cardinale Kasper si riferiva proprio a questo aspetto quando anticipò che l’Esortazione sarebbe stata una «rivoluzione».

Padre Antonio Spadaro, presentando l’Esortazione sul quindicinale dei Gesuiti da lui diretto, il 23 aprile scorso aveva detto che «il Pontefice insiste sulla concretezza, è una cifra fondamentale dell’Esortazione». Viene richiamato, infatti, quanto scritto proprio da Papa Francesco nell’Esortazione: fare in modo che l’annuncio del Vangelo non sia «meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone».  Anche il linguaggio, quindi, dovrebbe cambiare, per favorire la vicinanza pastorale, l’accompagnamento, il discernimento.

Mi sembra però che queste buone intenzioni si scontrino con un problema oggettivo: la concretezza esistenziale è sempre per sua natura ricca di sfumature, sfuggente, articolata, dato che ha a che fare con la complessità della vita e la varietà delle situazioni. Parole ed espressioni che volessero adeguarsi ad essa dovrebbero perdere di nitidezza e aumentare invece le proprie sfumature. Una parola polisemica, evocativa ed allusiva, una espressione metaforica o perfino un artificio retorico potrebbero essere più utili di espressioni dal contorno preciso. Ma sarebbero ugualmente in grado di orientarla, l’esistenza? 

Esaminando il linguaggio dell’Esortazione Amoris Laetitia, si incontrano parole, espressioni ed immagini che possono aprire squarci sulla complessità dell’esistenza, ma che proprio per questo sono anche ambigue, e non poteva essere diversamente. Chiamare il peccato «fragilità» e «inadeguatezza» qualche precisazione la richiede. Cosa sia una «morale fredda da scrivania» non è facile a capirsi con precisione, qui il linguaggio è metaforico ed allusivo. Non è nemmeno chiaro cosa significhi l’invito a non adoperare i principi dottrinali come se fossero pietre, scagliandole contro gli altri. Siccome la dottrina della fede non può essere considerata come l’astratto contrapposto al concreto dell’esistenza personale, ma va considerata come l’umano reale visto alla luce del suo ultimo bene, espressioni come quelle appena riportate se da un lato invitano ad una maggiore disponibilità ad avvicinarsi alla vita, dall’altro producono confusione su ciò che questo possa significare. 

La scelta di avvicinarsi alla concretezza esistenziale (ricordiamo però che “concreto” e “reale” non sono sinonimi e che avvicinarsi all’esistenza non significa automaticamente avvicinarsi al reale) produce per forza una comunicazione dai contorni fluidi. Nell’esistenza spesso noi ci esprimiamo nella forma del «sì… ma», e anche la Amoris Laetitia lo fa, come per esempio nel paragrafo 3. Nell’esistenza spesso noi ci facciamo delle domande senza risposte, e anche la Amoris Laetitia lo fa. Spesso ci esprimiamo enfatizzando retoricamente qualche termine adoperato non nel suo significato tecnico, e infatti anche la Amoris Laetitia dice per esempio che non bisogna «scomunicare» i divorziati risposati né tanto mento «condannarli per l’eternità».  In queste espressioni è evidente che i termini «scomunicato» e «condannato per l’eternità» sono delle forzature espressive che vogliono esprimere in forma non letterale concetti come «esclusione» o «trascuratezza» o «abbandono» (pastorale).

Non ho qui lo spazio per fare riferimento ad altri esempi tratti dal testo dell’Amoris Laetitia. Siccome però molti confermano la novità del linguaggio, come dicevo all’inizio, mi trovo confortato nella mia analisi. Questo linguaggio è stata una scelta e rappresenta veramente una caratteristica portante del documento.

Ecco perché dobbiamo porci un problema, che qui mi limito ad enunciare. I fedeli della Chiesa cattolica sono stati finora abituati (ma è ovvio che si tratta di più di un’opinione)  ad attendersi dal magistero, e soprattutto dal magistero petrino, definizioni e precisazioni in termini di dottrina e di morale. E questo non solo nella forma solenne delle definizioni dogmatiche, ma anche nell’ambito del magistero ordinario autentico, a cui appartiene per esempio una Esortazione apostolica. 

L’intento di precisare i termini di una questione – come fece per esempio Giovanni Paolo II col paragrafo 84 della Familiaris consortio a proposito dell’accesso all’Eucarestia dei divorziati risposati – richiede una volontà di precisare e un linguaggio adeguato, ossia preciso. L’uso di un linguaggio diverso potrebbe quindi esprimere una diversa volontà, non più di precisare quanto di suscitare questioni, indurre a farsi domande e a mettersi in discussione, oppure aprire percorsi di prassi pastorale nuovi, processi di vita dentro le comunità ecclesiali in grado di affrontare il nuovo. 

Nel paragrafo 3 dell’Esortazione Apostolica si legge che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». La Amoris Laetitia, per esempio, non ha chiarito e precisato una questione sulla quale per due anni i vescovi sinodali, e non solo, avevano discusso: appunto la Comunione ai divorziati risposati. Non è stato chiarito questo punto e, per molti versi, è stato reso più confuso. La domanda che mi faccio è quindi: devo aspettarmi un nuovo ruolo del magistero petrino, non tanto di definizione e precisazione, ma di apertura di processi, su cui deciderà in seguito la storia e la prassi? Sarebbe una nuova concezione del Papato.

- MATRIMONIO E FAMIGLIA LA CHIESA AL BIVIO, di Stefano Fontana (I libri della Bussola)

   







[Modificato da Caterina63 31/05/2016 09:35]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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