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Nuove Catechesi del Papa sulla Famiglia da ottobre 2015

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2017 10:23
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14/10/2015 12:44
 
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 Cari Amici,
dopo aver seguito le 27 Catechesi del Papa sul Sinodo, sulla Famiglia nei rapporti interni alla famiglia tra un uomo e una donna, la stessa condanna dell'agenda gender... vedi qui, apriamo ora questo nuovo thread perchè il Papa sta continuando - sempre in tema Famiglia - altre catechesi interessanti.... diffidate dei Media, vi preghiamo fraternamente di leggere integralmente i testi ufficiali del Papa....




UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 7 ottobre 2015

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Famiglia - 28. Spirito famigliare

Cari fratelli e sorelle.

Da pochi giorni è iniziato il Sinodo dei Vescovi sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. La famiglia che cammina nella via del Signore è fondamentale nella testimonianza dell’amore di Dio e merita perciò tutta la dedizione di cui la Chiesa è capace. Il Sinodo è chiamato ad interpretare, per l’oggi, questa sollecitudine e questa cura della Chiesa. Accompagniamo tutto il percorso sinodale anzitutto con la nostra preghiera e la nostra attenzione. E in questo periodo le catechesi saranno riflessioni ispirate da alcuni aspetti del rapporto – che possiamo ben dire indissolubile! – tra la Chiesa e la famiglia, con l’orizzonte aperto al bene dell’intera comunità umana.

Uno sguardo attento alla vita quotidiana degli uomini e delle donne di oggi mostra immediatamente il bisogno che c’è ovunque di una robusta iniezione di spirito famigliare. Infatti, lo stile dei rapporti – civili, economici, giuridici, professionali, di cittadinanza – appare molto razionale, formale, organizzato, ma anche molto “disidratato”, arido, anonimo. Diventa a volte insopportabile. Pur volendo essere inclusivo nelle sue forme, nella realtà abbandona alla solitudine e allo scarto un numero sempre maggiore di persone.

Ecco perché la famiglia apre per l’intera società una prospettiva ben più umana: apre gli occhi dei figli sulla vita – e non solo lo sguardo, ma anche tutti gli altri sensi – rappresentando una visione del rapporto umano edificato sulla libera alleanza d’amore. La famiglia introduce al bisogno dei legami di fedeltà, sincerità, fiducia, cooperazione, rispetto; incoraggia a progettare un mondo abitabile e a credere nei rapporti di fiducia, anche in condizioni difficili; insegna ad onorare la parola data, il rispetto delle singole persone, la condivisione dei limiti personali e altrui. E tutti siamo consapevoli della insostituibilità dell’attenzione famigliare per i membri più piccoli, più vulnerabili, più feriti, e persino più disastrati nelle condotte della loro vita. Nella società, chi pratica questi atteggiamenti, li ha assimilati dallo spirito famigliare, non certo dalla competizione e dal desiderio di autorealizzazione.

Ebbene, pur sapendo tutto questo, non si dà alla famiglia il dovuto peso – e riconoscimento, e sostegno – nell’organizzazione politica ed economica della società contemporanea. Vorrei dire di più: la famiglia non solo non ha riconoscimento adeguato, ma non genera più apprendimento! A volte verrebbe da dire che, con tutta la sua scienza, la sua tecnica, la società moderna non è ancora in grado di tradurre queste conoscenze in forme migliori di convivenza civile. Non solo l’organizzazione della vita comune si incaglia sempre più in una burocrazia del tutto estranea ai legami umani fondamentali, ma, addirittura, il costume sociale e politico mostra spesso segni di degrado – aggressività, volgarità, disprezzo… –, che stanno ben al di sotto della soglia di un’educazione famigliare anche minima. In tale congiuntura, gli estremi opposti di questo abbrutimento dei rapporti – cioè l’ottusità tecnocratica e il familismo amorale – si congiungono e si alimentano a vicenda. Questo è un paradosso.

La Chiesa individua oggi, in questo punto esatto, il senso storico della sua missione a riguardo della famiglia e dell’autentico spirito famigliare: incominciando da un’attenta revisione di vita, che riguarda sé stessa. Si potrebbe dire che lo “spirito famigliare” è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere. E’ scritto a chiare lettere: «Voi che un tempo eravate lontani – dice san Paolo – […] non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). La Chiesa è e deve essere la famiglia di Dio.

Gesù, quando chiamò Pietro a seguirlo, gli disse che lo avrebbe fatto diventare “pescatore di uomini”; e per questo ci vuole un nuovo tipo di reti. Potremmo dire che oggi le famiglie sono una delle reti più importanti per la missione di Pietro e della Chiesa. Non è una rete che fa prigionieri, questa! Al contrario, libera dalle acque cattive dell’abbandono e dell’indifferenza, che affogano molti esseri umani nel mare della solitudine e dell’indifferenza. Le famiglie sanno bene che cos’è la dignità del sentirsi figli e non schiavi, o estranei, o solo un numero di carta d’identità. 

Da qui, dalla famiglia, Gesù ricomincia il suo passaggio fra gli esseri umani per persuaderli che Dio non li ha dimenticati. Da qui Pietro prende vigore per il suo ministero. Da qui la Chiesa, obbedendo alla parola del Maestro, esce a pescare al largo, certa che, se questo avviene, la pesca sarà miracolosa. Possa l’entusiasmo dei Padri sinodali, animati dallo Spirito Santo, fomentare lo slancio di una Chiesa che abbandona le vecchie reti e si rimette a pescare confidando nella parola del suo Signore. Preghiamo intensamente per questo! Cristo, del resto, ha promesso e ci rincuora: se persino i cattivi padri non rifiutano il pane ai figli affamati, figuriamoci se Dio non darà lo Spirito a coloro che – pur imperfetti come sono – lo chiedono con appassionata insistenza (cfr Lc11,9-13)!


Saluti:

 

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. 

Sono lieto di accogliere i partecipanti al Corso promosso dai Missionari Verbiti e l’Associazione italiana delle famiglie con malati affetti dalla sindrome di Von Hippel-Lindau. Saluto il Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta; i militari di Caserta, Avellino e Napoli e i membri dell’Associazione italiana di Medicina Nucleare. Auguro a tutti che la visita presso le tombe degli Apostoli sia un’occasione per rinvigorire la gioia della fede.

Porgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria della Beata Vergine Maria del Rosario. Cari giovani, la speranza che abita il cuore di Maria vi infonda coraggio di fronte alle grandi scelte della vita; cari ammalati, la fortezza della Madre ai piedi della croce vi sostenga nei momenti più difficili; cari sposi novelli, la tenerezza materna di Colei che ha accolto nel grembo Gesù accompagni la nuova vita familiare che avete appena iniziato.





UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 14 ottobre 2015

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La Famiglia 29. - Promesse ai Bambini

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi siccome le previsioni del tempo erano un po’ insicure e si prevedeva la pioggia, questa udienza si fa contemporaneamente in due posti: noi qui in piazza e 700 malati nell’Aula Paolo VI che seguono l’udienza nel maxischermo. Tutti siamo uniti e salutiamo loro con un applauso.

La parola di Gesù è forte oggi: “Guai al mondo per gli scandali”. Gesù è realista e dice: “E’ inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo a causa del quale avviene lo scandalo”. Io vorrei, prima di iniziare la catechesi, a nome della Chiesa, chiedervi perdono per gli scandali che in questi ultimi tempi sono accaduti sia a Roma che in Vaticano, vi chiedo perdono.

Oggi rifletteremo su un argomento molto importante: le promesse che facciamo ai bambini. Non parlo tanto delle promesse che facciamo qua e là, durante la giornata, per farli contenti o per farli stare buoni (magari con qualche innocente trucchetto: ti do una caramella e promesse simili…), per invogliarli ad impegnarsi nella scuola o per dissuaderli da qualche capriccio. Parlo di altre promesse, delle promesse più importanti, decisive per le loro attese nei confronti della vita, per la loro fiducia nei confronti degli esseri umani, per la loro capacità di concepire il nome di Dio come una benedizione. Sono promesse che noi facciamo loro.

Noi adulti siamo pronti a parlare dei bambini come di una promessa della vita. Tutti diciamo: i bambini sono una promessa della vita. E siamo anche facili a commuoverci, dicendo ai giovani che sono il nostro futuro, è vero. Ma mi domando, a volte, se siamo altrettanto seri con il loro futuro, con il futuro dei bambini e con il futuro dei giovani! Una domanda che dovremmo farci più spesso è questa: quanto siamo leali con le promesse che facciamo ai bambini, facendoli venire nel nostro mondo? Noi li facciamo venire al mondo e questa è una promessa, cosa promettiamo loro?

Accoglienza e cura, vicinanza e attenzione, fiducia e speranza, sono altrettante promesse di base, che si possono riassumere in una sola: amore. Noi promettiamo amore, cioè amore che si esprime nell’accoglienza, nella cura, nella vicinanza, nell’attenzione, nella fiducia e nella speranza, ma la grande promessa è l’amore. Questo è il modo più giusto di accogliere un essere umano che viene al mondo, e tutti noi lo impariamo, ancora prima di esserne coscienti.

A me piace tanto quando vedo i papà e le mamme, quando passo fra voi, portarmi un bambino, una bambina piccoli e chiedo: “Quanto tempo ha?” –“Tre settimane, quattro settimane… chiedo la benedizione del Signore”. Anche questo si chiama amore. L’amore è la promessa che l’uomo e la donna fanno ad ogni figlio: fin da quando è concepito nel pensiero. I bambini vengono al mondo e si aspettano di avere conferma di questa promessa: lo aspettano in modo totale, fiducioso, indifeso.

Basta guardarli: in tutte le etnie, in tutte le culture, in tutte le condizioni di vita! Quando accade il contrario, i bambini vengono feriti da uno “scandalo”, da uno scandalo insopportabile, tanto più grave, in quanto non hanno i mezzi per decifrarlo.
Non possono capire cosa succede. Dio veglia su questa promessa, fin dal primo istante. Ricordate cosa dice Gesù? Gli Angeli dei bambini rispecchiano lo sguardo di Dio, e Dio non perde mai di vista i bambini (cfrMt 18,10). Guai a coloro che tradiscono la loro fiducia, guai! Il loro fiducioso abbandono alla nostra promessa, che ci impegna fin dal primo istante, ci giudica.

E vorrei aggiungere un’altra cosa, con molto rispetto per tutti, ma anche con molta franchezza. La loro spontanea fiducia in Dio non dovrebbe mai essere ferita, soprattutto quando ciò avviene a motivo di una certa presunzione (più o meno inconscia) di sostituirci a Lui. Il tenero e misterioso rapporto di Dio con l’anima dei bambini non dovrebbe essere mai violato. E’ un rapporto reale, che Dio lo vuole e Dio lo custodisce. Il bambino è pronto fin dalla nascita per sentirsi amato da Dio, è pronto a questo. Non appena è in grado di sentire che viene amato per sé stesso, un figlio sente anche che c’è un Dio che ama i bambini.

I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in dono, insieme col nutrimento e le cure, la conferma delle qualità spirituali dell’amore. Gli atti dell’amore passano attraverso il dono del nome personale, la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni dei sorrisi. Imparano così che la bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la nostra libertà, accetta la diversità dell’altro, lo riconosce e lo rispetta come interlocutore. Un secondo miracolo, una seconda promessa: noi – papà e mamma – ci doniamo a te, per donare te a te stesso! E questo è amore, che porta una scintilla di quello di Dio! Ma voi, papà e mamme, avete questa scintilla di Dio che date ai bambini, voi siete strumento dell’amore di Dio e questo è bello, bello, bello!

Solo se guardiamo i bambini con gli occhi di Gesù, possiamo veramente capire in che senso, difendendo la famiglia, proteggiamo l’umanità! Il punto di vista dei bambini è il punto di vista del Figlio di Dio. La Chiesa stessa, nel Battesimo, ai bambini fa grandi promesse, con cui impegna i genitori e la comunità cristiana. La santa Madre di Gesù – per mezzo della quale il Figlio di Dio è arrivato a noi, amato e generato come un bambino – renda la Chiesa capace di seguire la via della sua maternità e della sua fede. E san Giuseppe – uomo giusto, che l’ha accolto e protetto, onorando coraggiosamente la benedizione e la promessa di Dio – ci renda tutti capaci e degni di ospitare Gesù in ogni bambino che Dio manda sulla terra.


Saluti:

 

APPELLO

Sabato prossimo 17 ottobre ricorrerà la Giornata Mondiale del Rifiuto della Miseria. Questa giornata si propone di accrescere gli sforzi per eliminare l’estrema povertà e la discriminazione, e per assicurare che ciascuno possa esercitare pienamente i propri diritti fondamentali. Siamo tutti invitati a fare nostra questa intenzione, perché la carità di Cristo raggiunga e sollevi i fratelli e le sorelle più poveri e abbandonati.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana.

Saluto in particolare i Superiori Maggiori dei Chierici Regolari di Somasca e le Religiose dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia.

Sono lieto di accogliere i partecipanti al cammino dell’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia, l’Associazione Italiana Cristiana Centri ed Opere di Solidarietà di Molfetta e i soci della Banca di Viterbo.

Nel giorno in cui si fa memoria del Papa San Callisto martire, a cui sono dedicate le celebri catacombe, auguro a tutti i pellegrini convenuti a Roma che il ricordo di tanti coraggiosi testimoni di Cristo rinvigorisca la fede di ciascuno.

Porgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. In questo mese di ottobre siamo tutti chiamati a sostenere le missioni con la preghiera e la solidarietà. Cari giovani, accogliete con gioia l’invito del Signore a impiegare le vostre migliori energie nell’annuncio del Vangelo; cari ammalati, vi ringrazio, perché l’offerta del vostro sacrificio è molto preziosa per quanti ancora non conoscono l’amore di Dio; cari sposi, continuate a proclamare con la vita l’affetto fedele del Signore!




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/10/2015 13:35
 
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UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 21 ottobre 2015

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La Famiglia - 30. Fedeltà dell’amore

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nella scorsa meditazione abbiamo riflettuto sulle importanti promesse che i genitori fanno ai bambini, fin da quando essi sono pensati nell’amore e concepiti nel grembo.

Possiamo aggiungere che, a ben guardare, l’intera realtà famigliare è fondata sulla promessa - pensare bene questo: l’identità famigliare è fondata sulla promessa -: si può dire che la famiglia vive della promessa d’amore e di fedeltà che l’uomo e la donna si fanno l’un l’altra. Essa comporta l’impegno di accogliere ed educare i figli; ma si attua anche nel prendersi cura dei genitori anziani, nel proteggere e accudire i membri più deboli della famiglia, nell’aiutarsi a vicenda per realizzare le proprie qualità ed accettare i propri limiti. E la promessa coniugale si allarga a condividere le gioie e le sofferenze di tutti i padri, le madri, i bambini, con generosa apertura nei confronti dell’umana convivenza e del bene comune. Una famiglia che si chiude in sé stessa è come una contraddizione, una mortificazione della promessa che l’ha fatta nascere e la fa vivere. Non dimenticare mai: l’identità della famiglia è sempre una promessa che si allarga, e si allarga a tutta la famiglia e anche a tutta l’umanità.

Ai nostri giorni, l’onore della fedeltà alla promessa della vita famigliare appare molto indebolito. Da una parte, perché un malinteso diritto di cercare la propria soddisfazione, a tutti i costi e in qualsiasi rapporto, viene esaltato come un principio non negoziabile di libertà. D’altra parte, perché si affidano esclusivamente alla costrizione della legge i vincoli della vita di relazione e dell’impegno per il bene comune. Ma, in realtà, nessuno vuole essere amato solo per i propri beni o per obbligo. L’amore, come anche l’amicizia, devono la loro forza e la loro bellezza proprio a questo fatto: che generano un legame senza togliere la libertà. L’amore è libero, la promessa della famiglia è libera, e questa è la bellezza. Senza libertà non c’è amicizia, senza libertà non c’è amore, senza libertà non c’è matrimonio.

Dunque, libertà e fedeltà non si oppongono l’una all’altra, anzi, si sostengono a vicenda, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali. Infatti, pensiamo ai danni che producono, nella civiltà della comunicazione globale, l’inflazione di promesse non mantenute, in vari campi, e l’indulgenza per l’infedeltà alla parola data e agli impegni presi!

Sì, cari fratelli e sorelle, la fedeltà è una promessa di impegno che si auto-avvera, crescendo nella libera obbedienza alla parola data. La fedeltà è una fiducia che “vuole” essere realmente condivisa, e una speranza che “vuole” essere coltivata insieme. E parlando di fedeltà mi viene in mente quello che i nostri anziani, i nostri nonni raccontano: “A quei tempi, quando si faceva un accordo, una stretta di mano era sufficiente, perché c’era la fedeltà alle promesse. E anche questo, che è un fatto sociale, ha origine nella famiglia, nella stretta di mano dell’uomo e la donna per andare avanti insieme, tutta la vita.

La fedeltà alle promesse è un vero capolavoro di umanità! Se guardiamo alla sua audace bellezza, siamo intimoriti, ma se disprezziamo la sua coraggiosa tenacia, siamo perduti. Nessun rapporto d’amore – nessuna amicizia, nessuna forma del voler bene, nessuna felicità del bene comune – giunge all’altezza del nostro desiderio e della nostra speranza, se non arriva ad abitare questo miracolo dell’anima. E dico “miracolo”, perché la forza e la persuasione della fedeltà, a dispetto di tutto, non finiscono di incantarci e di stupirci. L’onore alla parola data, la fedeltà alla promessa, non si possono comprare e vendere. Non si possono costringere con la forza, ma neppure custodire senza sacrificio.

Nessun’altra scuola può insegnare la verità dell’amore, se la famiglia non lo fa. Nessuna legge può imporre la bellezza e l’eredità di questo tesoro della dignità umana, se il legame personale fra amore e generazione non la scrive nella nostra carne.

Fratelli e sorelle, è necessario restituire onore sociale alla fedeltà dell’amore: restituire onore sociale alla fedeltà dell’amore! E’ necessario sottrarre alla clandestinità il quotidiano miracolo di milioni di uomini e donne che rigenerano il suo fondamento famigliare, del quale ogni società vive, senza essere in grado di garantirlo in nessun altro modo. Non per caso, questo principio della fedeltà alla promessa dell’amore e della generazione è scritto nella creazione di Dio come una benedizione perenne, alla quale è affidato il mondo.

Se san Paolo può affermare che nel legame famigliare è misteriosamente rivelata una verità decisiva anche per il legame del Signore e della Chiesa, vuol dire che la Chiesa stessa trova qui una benedizione da custodire e dalla quale sempre imparare, prima ancora di insegnarla e disciplinarla. La nostra fedeltà alla promessa è pur sempre affidata alla grazia e alla misericordia di Dio. L’amore per la famiglia umana, nella buona e nella cattiva sorte, è un punto d’onore per la Chiesa! Dio ci conceda di essere all’altezza di questa promessa. E preghiamo anche per i Padri del Sinodo: il Signore benedica il loro lavoro, svolto con fedeltà creativa, nella fiducia che Lui per primo, il Signore - Lui per primo! -, è fedele alle sue promesse. Grazie.


Saluti:

 

Einen herzlichen Gruß richte ich an alle Teilnehmer deutscher Sprache. Besonders grüße ich die Pilger aus dem Erzbistum Berlin mit ihrem Erzbischof Heiner Koch. Der Oktober ist der Rosenkranzmonat. Ich bitte euch, in euren Familien den Rosenkranz insbesondere für die Familiensynode zu beten, damit die selige Jungfrau Maria uns helfe, den Willen Gottes zu erfüllen. Der Herr segne euch alle.

[Rivolgo un cordiale saluto a tutti i partecipanti di lingua tedesca. Saluto specialmente i pellegrini dall’Arcidiocesi di Berlino con il loro Presule, Mons. Heiner Koch. Ottobre è il mese del Santo Rosario. Vi chiedo di pregare nelle vostre famiglie il Rosario, in particolare per il Sinodo sulla Famiglia, affinché la Beata Vergine Maria ci aiuti a compiere la volontà di Dio. Il Signore vi benedica tutti.]

 

Witam polskich pielgrzymów. Moi drodzy, jutro obchodzimy wspomnienie św. Jana Pawła II, Papieża rodziny. Bądźcie jego dobrymi naśladowcami w trosce o wasze rodziny i o wszystkie rodziny, zwłaszcza te, które przeżywają trudności duchowe albo materialne. Wierność wyznawanej miłości, złożonym obietnicom i obowiązkom płynącym z odpowiedzialności niech będą waszą siłą. Przez wstawiennictwo św. Jana Pawła II módlmy się, aby kończący się Synod Biskupów odnowił w całym Kościele poczucie niezaprzeczalnej wartości nierozerwalnego małżeństwa i zdrowej rodziny opartej na wzajemnej miłości mężczyzny i kobiety, i na łasce Bożej. Z serca błogosławię wam, tu obecnym i waszym najbliższym. Niech Będzie pochwalony Jezus Chrystus!

[Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Carissimi, domani celebriamo la memoria di San Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia. Siate suoi buoni seguaci nella premura per le vostre famiglie e per tutte le famiglie, specialmente quelle che vivono nel disagio spirituale o materiale. La fedeltà all’amore professato, alle promesse fatte e agli impegni che derivano dalla responsabilità siano la vostra forza. Per l’intercessione di San Giovanni Paolo II preghiamo che il Sinodo dei Vescovi, che sta per concludersi, rinnovi in tutta la Chiesa il senso dell’innegabile valore del matrimonio indissolubile e della famiglia sana, basata sull’amore reciproco dell’uomo e della donna, e sulla grazia divina. Benedico di cuore voi, qui presenti, e tutti i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!]  

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. Sono lieto di accogliere i cresimati della Diocesi di Faenza-Modigliana, accompagnati dal Vescovo Mons. Mario Toso e l’Associazione per l’assistenza spirituale alle forze armate, con l’Ordinario Militare Mons. Santo Marcianò.

Saluto l’Università Campus-Biomedico di Roma; l’Associazione europea Amici di San Rocco; e i gruppi parrocchiali, in particolare i fedeli di Erba, che ricordano il centenario della nascita del vescovo missionario Aristide Pirovano, sempre in  prima linea nell’aiuto ai poveri. Tutti esorto in questo mese dedicato alle missioni ad accompagnare con la preghiera e con l’aiuto concreto l’apostolato  missionario della Chiesa nei paesi più bisognosi.

Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Domani ricorre la memoria liturgica di San Giovanni Paolo II. Cari giovani, la sua testimonianza di vita sia di esempio per il vostro cammino; cari ammalati, portate con gioia la croce della sofferenza come egli ci ha insegnato con l'esempio; e voi, cari sposi novelli, chiedete la sua intercessione perché nella vostra nuova famiglia non manchi mai l’amore.

 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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04/11/2015 12:51
 
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Piazza San Pietro
Mercoledì, 4 novembre 2015

 

La Famiglia - 31. Rimetti i debiti

Cari fratelli e sorelle

L’Assemblea del Sinodo dei Vescovi, che si è conclusa da poco, ha riflettuto a fondo sulla vocazione e la missione della famiglia nella vita della Chiesa e della società contemporanea. E’ stato un evento di grazia. Al termine i Padri sinodali mi hanno consegnato il testo delle loro conclusioni. Ho voluto che questo testo fosse pubblicato, perché tutti fossero partecipi del lavoro che ci ha visti impegnati assieme per due anni. Non è questo il momento di esaminare tali conclusioni, sulle quali devo io stesso meditare.

Nel frattempo, però, la vita non si ferma, in particolare la vita delle famiglie non si ferma! Voi, care famiglie, siete sempre in cammino. E continuamente scrivete già nelle pagine della vita concreta la bellezza del Vangelo della famiglia. In un mondo che a volte diventa arido di vita e di amore, voi ogni giorno parlate del grande dono che sono il matrimonio e la famiglia.

Oggi vorrei sottolineare questo aspetto: che la famiglia è una grande palestra di allenamento al dono e al perdono reciproco senza il quale nessun amore può durare a lungo. Senza donarsi e senza perdonarsi l’amore non rimane, non dura. Nella preghiera che Lui stesso ci ha insegnato – cioè il Padre Nostro – Gesù ci fa chiedere al Padre: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». E alla fine commenta: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe,  il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,12.14-15).
Non si può vivere senza perdonarsi, o almeno non si può vivere bene, specialmente in famiglia. Ogni giorno ci facciamo dei torti l’uno con l’altro. Dobbiamo mettere in conto questi sbagli, dovuti alla nostra fragilità e al nostro egoismo.
Quello che però ci viene chiesto è di guarire subito le ferite che ci facciamo, di ritessere immediatamente i fili che rompiamo nella famiglia. Se aspettiamo troppo, tutto diventa più difficile. E c’è un segreto semplice per guarire le ferite e per sciogliere le accuse. E’ questo: non lasciar finire la giornata senza chiedersi scusa, senza fare la pace tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle… tra nuora e suocera! Se impariamo a chiederci subito scusa e a donarci il reciproco perdono, guariscono le ferite, il matrimonio si irrobustisce, e la famiglia diventa una casa sempre più solida, che resiste alle scosse delle nostre piccole e grandi cattiverie. E per questo non è necessario farsi un grande discorso, ma è sufficiente una carezza: una carezza ed è finito tutto e rincomincia. Ma non finire la giornata in guerra!

Se impariamo a vivere così in famiglia, lo facciamo anche fuori, dovunque ci troviamo. E’ facile essere scettici su questo. Molti – anche tra i cristiani – pensano che sia un’esagerazione. Si dice: sì, sono belle parole, ma è impossibile metterle in pratica. Ma grazie a Dio non è così. Infatti è proprio ricevendo il perdono da Dio che, a nostra volta, siamo capaci di perdono verso gli altri. Per questo Gesù ci fa ripetere queste parole ogni volta che recitiamo la preghiera del Padre Nostro, cioè ogni giorno. Ed è indispensabile che, in una società a volte spietata, vi siano luoghi, come la famiglia, dove imparare a perdonarsi gli uni gli altri.

Il Sinodo ha ravvivato la nostra speranza anche su questo: fa parte della vocazione e della missione della famiglia la capacità di perdonare e di perdonarsi. La pratica del perdono non solo salva le famiglie dalla divisione, ma le rende capaci di aiutare la società ad essere meno cattiva e meno crudele. Sì, ogni gesto di perdono ripara la casa dalle crepe e rinsalda le sue mura.

La Chiesa, care famiglie, vi sta sempre accanto per aiutarvi a costruire la vostra casa sulla roccia di cui ha parlato Gesù. E non dimentichiamo queste parole che precedono immediatamente la parabola della casa: «Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre». E aggiunge: «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti» (cfr Mt 7,21-23). E’ una parola forte, non c’è dubbio, che ha lo scopo di scuoterci e chiamarci alla conversione.

Vi assicuro, care famiglie, che se sarete capaci di camminare sempre più decisamente sulla via delle Beatitudini, imparando e insegnando a perdonarvi reciprocamente, in tutta la grande famiglia della Chiesa crescerà la capacità di rendere testimonianza alla forza rinnovatrice del perdono di Dio. Diversamente, faremo prediche anche bellissime, e magari scacceremo anche qualche diavolo, ma alla fine il Signore non ci riconoscerà come i suoi discepoli, perché non abbiamo avuto la capacità di perdonare e di farci perdonare dagli altri!

Davvero le famiglie cristiane possono fare molto per la società di oggi, e anche per la Chiesa. Per questo desidero che nel Giubileo della Misericordia le famiglie riscoprano il tesoro del perdono reciproco. Preghiamo perché le famiglie siano sempre più capaci di vivere e di costruire strade concrete di riconciliazione, dove nessuno si senta abbandonato al peso dei suoi debiti.

Con questa intenzione, diciamo insieme: “Padre nostro, rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. [Diciamolo insieme: “Padre nostro, rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”].

Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier le collège Fénelon-Sainte Marie, de Paris, et les autres personnes venues de Suisse et de France.
Chères familles, je souhaite que vous puissiez redécouvrir, à l’occasion de l’Année de la Miséricorde, le trésor du pardon réciproque, et je prie pour que vous en soyez toujours les joyeux témoins. 
Que Dieu vous bénisse !

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare il collegio Fénelon-Sainte Marie di Parigi e gli altri fedeli venuti dalla Svizzera e dalla Francia.
Care famiglie, desidero che voi possiate riscoprire, in occasione dell’Anno della Misericordia, il tesoro del perdono reciproco, e prego perché voi ne siate sempre i giovani testimoni.
Che Dio vi benedica!
]

 

Von Herzen grüße ich die Brüder und Schwestern aus den Ländern deutscher Sprache, insbesondere die Teilnehmer an der Chorpilgerreise des Erzbistums München und Freising. Die Vergebung ist wesentlicher Teil unserer Berufung als Christen. Mit dem Blick auf das Beispiel der Heiligen wollen wir in der Familie, im Freundeskreis, am Arbeitsplatz und in der Gesellschaft die Versöhnung leben. Der Heilige Geist erfülle euch mit seiner Kraft und seinem Frieden.

[Con affetto saluto i fratelli e le sorelle provenienti dai paesi di lingua tedesca, in particolare i partecipanti al pellegrinaggio dei cori dell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga. Il perdono è parte integrante della nostra vocazione cristiana. Guardando l’esempio dei santi, vogliamo vivere la riconciliazione in famiglia, tra amici, negli ambienti di lavoro e nella società. Lo Spirito Santo vi colmi della Sua forza e pace.]

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España y Latinoamérica. Pidamos a la Virgen María que nos ayude a vivir cada vez más las experiencias del perdón y de la reconciliación. Muchas gracias.

Com cordial afecto, saúdo todos os peregrinos de língua portuguesa, em particular o grupo brasileiro de Mogi das Cruzes. O Senhor vos abençoe, para serdes em toda a parte farol de luz do Evangelho para todos. Possa esta peregrinação fortalecer nos vossos corações o sentir e o viver com a Igreja. Nossa Senhora acompanhe e proteja a vós todos e aos vossos entes queridos.

[Con cordiale affetto, saluto tutti i pellegrini di lingua portoghese, in particolare il gruppo brasiliano di Mogi das Cruzes. Il Signore vi benedica, perché siate dovunque faro di luce del Vangelo per tutti. Possa questo pellegrinaggio rinvigorire nei vostri cuori il sentire e il vivere con la Chiesa. La Madonna accompagni e protegga voi tutti e i vostri cari!]

أُرحّبُ بالحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربيّة، وخاصةً بالقادمينَ من الأراضي المقدسةِ ومن الأردن. المغفرةُ هي مقياسُ المحبةِ وهي وقودُها. فالحبُ الحقيقيُّ هو الذي يتخطى الصعابَ ويغفرَ الأخطاءَ. لنصلِّ كي تستطيع الأُسَرُ المسيحيّةُ أن تُجددَ كنزَ المغفرةِ المتَبَادَلةِ، خاصةً خلالَ يوبيل الرحمةِ. ليُبارِكْ الرّبُّ جميعَ العائِلاتِ، ويَحرِسْكُم جميعًا مِن الشِّرِيرِ!‏

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dalla Terra Santa e dalla Giordania. Il perdono è la misura dell’amore e il suo alimento. Il vero amore oltrepassa le difficoltà e perdona gli errori. Preghiamo affinché le famiglie cristiane possano rinnovare il tesoro del perdono reciproco, specialmente durante il Giubileo della misericordia. Il Signore benedica tutte le famiglie e vi protegga dal maligno!]

Pozdrawiam obecnych tu Polaków. W najbliższą niedzielę w Kościele w Polsce będzie obchodzony Dzień Solidarności z Kościołem Prześladowanym, organizowany przez Fundację Pomoc Kościołowi w Potrzebie i Konferencję Episkopatu Polski. W tym roku pomoc duchowa i materialna w sposób szczególny jest kierowana do chrześcijan w Syrii. Wasze dzieło modlitwy i solidarności niech przyniesie wytchnienie i wsparcie braciom i siostrom, którzy cierpią dla Chrystusa na Bliskim Wschodzie i na całym świecie. Niech wam towarzyszy moje błogosławieństwo. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

[Saluto i polacchi qui presenti. Domenica prossima nella Chiesa in Polonia si celebra la Giornata della Solidarietà con la Chiesa Perseguitata, promossa dalla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre insieme alla Conferenza Episcopale Polacca. Quest’anno l’aiuto spirituale e materiale è indirizzato particolarmente ai cristiani in Siria. La vostra opera di preghiera e di solidarietà porti sollievo e supporto ai fratelli e sorelle sofferenti per Cristo in Medio Oriente e in tutto il mondo. Vi accompagni la mia benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù e le Suore di Santa Dorotea, in occasione dei rispettivi Capitoli Generali, il Gruppo Sielistes dei fratelli delle scuole cristiane e dei Lasalliani.

Saluto il gruppo del Vicariato Apostolico di Anatolia, l’Associazione Amicinsieme e la Fondazione Simpatia e Amicizia. Invito tutti a pregare per i defunti in questo mese di novembre, e il vostro pellegrinaggio alla Sede Apostolica rafforzi il senso di appartenenza all’unica famiglia ecclesiale.

Rivolgo un pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la memoria di San Martino de Porres. La sua grande carità sia di esempio a voi, cari giovani, per vivere la vita come donazione; il suo abbandono in Cristo Salvatore sostenga voi, cari ammalati, nei momenti più difficili della sofferenza; e il suo vigore spirituale dia forza a voi, cari sposi novelli, nel vostro cammino coniugale.





UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 11 novembre 2015

[Multimedia]



Parole all’inizio dell’Udienza generale

In questi giorni la Chiesa italiana sta celebrando il Convegno nazionale a Firenze. I cardinali, i vescovi, i consacrati, i laici, tutti insieme. Vi invito a pregare la Madonna, un’Ave Maria per loro. [Ave Maria]


CATECHESI DEL SANTO PADRE

La Famiglia - 32. Convivialità

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi rifletteremo su una qualità caratteristica della vita familiare che si apprende fin dai primi anni di vita: la convivialità, ossia l’attitudine a condividere i beni della vita e ad essere felici di poterlo fare. Condividere e saper condividere è una virtù preziosa! Il suo simbolo, la sua “icona”, è la famiglia riunita intorno alla mensa domestica. La condivisione del pasto – e dunque, oltre che del cibo, anche degli affetti, dei racconti, degli eventi… – è un’esperienza fondamentale. Quando c’è una festa, un compleanno, un anniversario, ci si ritrova attorno alla tavola. In alcune culture è consuetudine farlo anche per un lutto, per stare vicino a chi è nel dolore per la perdita di un familiare.

La convivialità è un termometro sicuro per misurare la salute dei rapporti: se in famiglia c’è qualcosa che non va, o qualche ferita nascosta, a tavola si capisce subito. Una famiglia che non mangia quasi mai insieme, o in cui a tavola non si parla ma si guarda la televisione, o lo smartphone, è una famiglia “poco famiglia”. Quando i figli a tavola sono attaccati al computer, al telefonino, e non si ascoltano fra loro, questo non è famiglia, è un pensionato.

Il Cristianesimo ha una speciale vocazione alla convivialità, tutti lo sanno. Il Signore Gesù insegnava volentieri a tavola, e rappresentava talvolta il regno di Dio come un convito festoso. Gesù scelse la mensa anche per consegnare ai discepoli il suo testamento spirituale - lo fece a cena - condensato nel gesto memoriale del suo Sacrificio: dono del suo Corpo e del suo Sangue quali Cibo e Bevanda di salvezza, che nutrono l’amore vero e durevole.

In questa prospettiva, possiamo ben dire che la famiglia è “di casa” alla Messa, proprio perché porta all’Eucaristia la propria esperienza di convivialità e la apre alla grazia di una convivialità universale, dell’amore di Dio per il mondo. Partecipando all’Eucaristia, la famiglia viene purificata dalla tentazione di chiudersi in sé stessa, fortificata nell’amore e nella fedeltà, e allarga i confini della propria fraternità secondo il cuore di Cristo.

In questo nostro tempo, segnato da tante chiusure e da troppi muri, la convivialità, generata dalla famiglia e dilatata dall’Eucaristia, diventa un’opportunità cruciale. L’Eucaristia e le famiglie da essa nutrite possono vincere le chiusure e costruire ponti di accoglienza e di carità. Sì, l’Eucaristia di una Chiesa di famiglie, capaci di restituire alla comunità il lievito operoso della convivialità e dell’ospitalità reciproca, è una scuola di inclusione umana che non teme confronti! Non ci sono piccoli, orfani, deboli, indifesi, feriti e delusi, disperati e abbandonati, che la convivialità eucaristica delle famiglie non possa nutrire, rifocillare, proteggere e ospitare.

La memoria delle virtù familiari ci aiuta a capire. Noi stessi abbiamo conosciuto, e ancora conosciamo, quali miracoli possono accadere quando una madre ha sguardo e attenzione, accudimento e cura per i figli altrui, oltre che per i propri. Fino a ieri, bastava una mamma per tutti i bambini del cortile! E ancora: sappiamo bene quale forza acquista un popolo i cui padri sono pronti a muoversi a protezione dei figli di tutti, perché considerano i figli un bene indiviso, che sono felici e orgogliosi di proteggere.

Oggi molti contesti sociali pongono ostacoli alla convivialità familiare. E’ vero, oggi non è facile. Dobbiamo trovare il modo di recuperarla. A tavola si parla, a tavola si ascolta. Niente silenzio, quel silenzio che non è il silenzio delle monache, ma è il silenzio dell’egoismo, dove ognuno fa da sé, o la televisione o il computer… e non si parla. No, niente silenzio. Occorre recuperare quella convivialità familiare pur adattandola ai tempi. La convivialità sembra sia diventata una cosa che si compra e si vende, ma così è un’altra cosa. E il nutrimento non è sempre il simbolo di una giusta condivisione dei beni, capace di raggiungere chi non ha né pane né affetti. Nei Paesi ricchi siamo indotti a spendere per un nutrimento eccessivo, e poi lo siamo di nuovo per rimediare all’eccesso. E questo “affare” insensato distoglie la nostra attenzione dalla fame vera, del corpo e dell’anima. Quando non c’è convivialità c’è egoismo, ognuno pensa a se stesso. Tanto più che la pubblicità l’ha ridotta a un languore di merendine e a una voglia di dolcetti. Mentre tanti, troppi fratelli e sorelle rimangono fuori dalla tavola. E’ un po’ vergognoso!

Guardiamo al mistero del Convito eucaristico. Il Signore spezza il suo Corpo e versa il suo Sangue per tutti. Davvero non c’è divisione che possa resistere a questo Sacrificio di comunione; solo l’atteggiamento di falsità, di complicità con il male può escludere da esso. Ogni altra distanza non può resistere alla potenza indifesa di questo pane spezzato e di questo vino versato, Sacramento dell’unico Corpo del Signore. L’alleanza viva e vitale delle famiglie cristiane, che precede, sostiene e abbraccia nel dinamismo della sua ospitalità le fatiche e le gioie quotidiane, coopera con la grazia dell’Eucaristia, che è in grado di creare comunione sempre nuova con la sua forza che include e che salva.

La famiglia cristiana mostrerà proprio così l’ampiezza del suo vero orizzonte, che è l’orizzonte della Chiesa Madre di tutti gli uomini, di tutti gli abbandonati e gli esclusi, in tutti i popoli. Preghiamo perché questa convivialità familiare possa crescere e maturare nel tempo di grazia del prossimo Giubileo della Misericordia.


Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins de langue française. C’est aujourd’hui la fête liturgique de Saint Martin qui a évangélisé les campagnes de France. Je salue aussi les Hongrois, car il est né en Hongrie. Je confie à sa protection vos communautés et vos familles, afin que, nourries régulièrement de l’Eucharistie, elles puissent toujours devenir pour le monde des écoles de cordialité, d’accueil et de charité.
Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese. Oggi ricorre la festa liturgica di San Martino che ha evangelizzato le campagne di Francia. Saluto anche gli ungheresi, perché lui è nato in Ungheria. Affido alla sua protezione le vostre comunità e le vostre famiglie, affinché, nutriti regolarmente dell’Eucarestia, possano sempre divenire per il mondo delle scuole di cordialità, di accoglienza e di carità.
Che Dio vi benedica.
]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including those from the United Kingdom, Denmark, the Netherlands, Ghana, Japan, Korea andthe United States of America. Upon you and your families I invoke the Lord’s blessings of joy and peace. God bless you all!

[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Regno Unito, Danimarca, Paesi Bassi, Ghana, Giappone, Corea e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore. Dio vi benedica!]

Einen herzlichen Gruß richte ich an alle Pilger deutscher Sprache. Besonders grüße ich die Schülerinnen der Mädchenrealschule St. Ursula aus Donauwörth. Im Monat November gedenken wir besonders der Armen Seelen und begleiten sie mit unserem Gebet. Der Herr segne euch alle.

[Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua tedesca. Saluto specialmente gli studenti della Mädchenrealschule St. Ursula di Donauwörth. Nel mese di novembre ricordiamo in particolare le anime dei defunti e accompagniamole con la nostra preghiera. Il Signore vi benedica tutti.]

Saludo a los peregrinos de lengua española y a todos los grupos provenientes de España y Latinoamérica. Roguemos para que cada familia participando en la Eucaristía, se abra al amor de Dios y del prójimo, especialmente para con quienes carecen de pan y de afecto. Que el próximo Jubileo de la Misericordia nos haga ver la belleza del compartir. Gracias.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, particularmente os fiéis brasileiros de Aracaju, Divinópolis, Pernambuco e São Paulo. Faço votos que este encontro que, nos faz sentir membros da única família dos filhos de Deus, vos ajude a renovar em vossos lares o desejo de valorizar ainda mais os momentos de convívio junto com as vossas famílias. Que Deus vos abençoe.

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese, in particolare i fedeli brasiliani di Aracaju, Divinópolis, Pernambuco e São Paulo. Auspico che questo incontro, che ci fa sentire membri dell'unica famiglia dei figli di Dio, vi aiuti a rinnovare nelle vostre case il desiderio di valorizzare ancora di più i momenti di convivialità insieme alle vostre famiglie. Dio vi benedica.]

أُرحّبُ بالحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربية، وخاصةً بالقادمينَ من الشرق الأوسط. أيّها الإخوةُ والأخواتُ الأعزّاء، مع اقتراب يوبيل الرحمة لنرفع صلاتنا لكي تستقي المشاركة العائليّة على الدوام قوّة وحيويّة من سرّ جسد ودم ربّنا يسوع المسيح فتحمل الإدماج والخلاص للجميع! ليبارككُم الربّ!

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, con l’avvicinamento del Giubileo della Misericordia preghiamo affinché la convivialità familiare possa attingere sempre di più forza e vitalità dal Sacramento del Corpo e Sangue del Nostro Signore Gesù Cristo così da portare inclusione e salvezza a tutti ! Il Signore vi benedica!]

Witam serdecznie pielgrzymów polskich. Dzisiaj w Polsce obchodzicie Święto Niepodległości. W kontekście tego wydarzenia pragnę wspomnieć to, co powiedział św. Jan Paweł II: „Nie można bez Chrystusa zrozumieć dziejów Polski (Warszawa, 2 VI 1979). Służąc Ojczyźnie, trwajcie w wierności Ewangelii i tradycji Ojców. Niech Bóg błogosławi Polskę i każdego z was. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

[Do il mio benvenuto ai pellegrini polacchi. In Polonia, oggi si celebra la festa dell’Indipendenza. In questo contesto ricordo ciò che disse San Giovanni Paolo II: “Senza Cristo non è possibile capire la storia della Polonia” (Varsavia, 2 VI 1979). Perseverate nella fedeltà al Vangelo e nella tradizione dei Padri al servizio della vostra Patria. Dio benedica la Polonia e ciascuno di voi. Sia lodato Gesù Cristo!]

S láskou vítam pútnikov zo Slovenska, ktorí sprevádzajú svojich biskupov počas ich návštevy Ad limina Apostolorum, osobitne kňazov, seminaristov, zasvätené osoby i všetkých veriacich. 
Drahí bratia a sestry, vaša návšteva Ríma nech posilní povedomie príslušnosti k Cirkvi. Sprevádzajte vašich biskupov intenzívnymi modlitbami a nezabudnite na modlitbu aj za mňa. 
Zo srdca žehnám všetkých vás i vašich drahých vo vlasti.

[Saluto con affetto i pellegrini della Slovacchia che accompagnano i loro Vescovi nella visita Ad limina Apostolorum, specialmente i sacerdoti, i seminaristi, le persone consacrate e tutti i fedeli.
Cari fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma rafforzi la coscienza della appartenenza alla Chiesa. Accompagnate i vostri vescovi con intense preghiere e non dimenticate di pregare anche per me. 
Di cuore benedico tutti voi ed i vostri cari in Patria.
]

* * *

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana! Saluto il Gruppo ecumenico di Farfa Sabina; i partecipanti all’incontro sulle cure palliative; l’Ordine degli Assistenti Sociali e il Coordinamento delle Libere Associazioni Professionali.

Oggi celebriamo la memoria liturgica di San Martino, Vescovo di Tours, figura popolarissima specialmente in Europa, modello di condivisione con i poveri. L’anno prossimo, in felice coincidenza con il Giubileo della Misericordia, ricorrerà il 17° centenario della sua nascita.

Rivolgo un saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Il Signore vi aiuti, cari giovani, ad essere promotori di misericordia e riconciliazione; sostenga voi, cari ammalati, a non perdere la fiducia, neppure nei momenti di dura prova; e conceda a voi, cari sposi novelli, di trovare nel Vangelo la gioia di accogliere ogni vita umana, soprattutto quella debole e indifesa.




[Modificato da Caterina63 11/11/2015 12:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/11/2015 17:56
 
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UDIENZA GENERALE


Mercoledì, 18 novembre 2015


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La Famiglia - 33. La porta dell’accoglienza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Con questa riflessione siamo arrivati alle soglie del Giubileo, è vicino. Davanti a noi sta la  porta, ma non solo la porta santa, l’altra: la grande porta della Misericordia di Dio - e quella è una porta bella! -, che accoglie il nostro pentimento offrendo la grazia del suo perdono. La porta è generosamente aperta, ci vuole un po’ di coraggio da parte nostra per varcare la soglia. Ognuno di noi ha dentro di sé cose che pesano. Tutti siamo peccatori! Approfittiamo di questo momento che viene e varchiamo la soglia di questa misericordia di Dio che mai si stanca di perdonare, mai si stanca di aspettarci! Ci guarda, è sempre accanto a noi. Coraggio! Entriamo per questa porta!

Dal Sinodo dei Vescovi, che abbiamo celebrato nello scorso mese di ottobre, tutte le famiglie, e la Chiesa intera, hanno ricevuto un grande incoraggiamento a incontrarsi sulla soglia di questa porta aperta. La Chiesa è stata incoraggiata ad aprire le sue porte, per uscire con il Signore incontro ai figli e alle figlie in cammino, a volte incerti, a volte smarriti, in questi tempi difficili. Le famiglie cristiane, in particolare, sono state incoraggiate ad aprire la porta al Signore che attende di entrare, portando la sua benedizione e la sua amicizia. E se la porta della misericordia di Dio è sempre aperta, anche le porte delle nostre chiese, delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, delle nostre istituzioni, delle nostre diocesi, devono essere aperte, perché così tutti possiamo uscire a portare questa misericordia di Dio. Il Giubileo significa la grande porta della misericordia di Dio ma anche le piccole porte delle nostre chiese aperte per lasciare entrare il Signore - o tante volte uscire il Signore - prigioniero delle nostre strutture, del nostro egoismo e di tante cose.

Il Signore non forza mai la porta: anche Lui chiede il permesso di entrare. Il Libro dell’Apocalisse dice: «Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Ma immaginiamoci il Signore che bussa alla porta del nostro cuore! E nell’ultima grande visione di questo Libro dell’Apocalisse, così si profetizza della Città di Dio: «Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno», il che significa per sempre, perché «non vi sarà più notte» (21,25). Ci sono posti nel mondo in cui non si chiudono le porte a chiave, ancora ci sono. Ma ce ne sono tanti dove le porte blindate sono diventate normali. Non dobbiamo arrenderci all’idea di dover applicare questo sistema a tutta la nostra vita, alla vita della famiglia, della città, della società. E tanto meno alla vita della Chiesa. Sarebbe terribile! Una Chiesa inospitale, così come una famiglia rinchiusa su sé stessa, mortifica il Vangelo e inaridisce il mondo. Niente porte blindate nella Chiesa, niente! Tutto aperto!

La gestione simbolica delle “porte” – delle soglie, dei passaggi, delle frontiere – è diventata cruciale. La porta deve custodire, certo, ma non respingere. La porta non dev’essere forzata, al contrario, si chiede permesso, perché l’ospitalità risplende nella libertà dell’accoglienza, e si oscura nella prepotenza dell’invasione. La porta si apre frequentemente, per vedere se fuori c’è qualcuno che aspetta, e magari non ha il coraggio, forse neppure la forza di bussare. Quanta gente ha perso la fiducia, non ha il coraggio di bussare alla porta del nostro cuore cristiano, alle porte delle nostre chiese… E sono lì, non hanno il coraggio, gli abbiamo tolto la fiducia: per favore, che questo non accada mai. La porta dice molte cose della casa, e anche della Chiesa. La gestione della porta richiede attento discernimento e, al tempo stesso, deve ispirare grande fiducia. Vorrei spendere una parola di gratitudine per tutti i custodi delle porte: dei nostri condomini, delle istituzioni civiche, delle stesse chiese. Spesso l’accortezza e la gentilezza della portineria sono capaci di offrire un’immagine di umanità e di accoglienza all’intera casa, già dall’ingresso. C’è da imparare da questi uomini e donne, che sono custodi dei luoghi di incontro e di accoglienza della città dell’uomo! A tutti voi custodi di tante porte, siano porte di abitazioni, siano porte delle chiese, grazie tante! Ma sempre con un sorriso, sempre mostrando l’accoglienza di quella casa, di quella chiesa, così la gente si sente felice e accolta in quel posto.

In verità, sappiamo bene che noi stessi siamo i custodi e i servi della Porta di Dio, e la porta di Dio come si chiama? Gesù! Egli ci illumina su tutte le porte della vita, comprese quelle della nostra nascita e della nostra morte. Egli stesso l’ha affermato: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Gesù è la porta che ci fa entrare e uscire. Perché l’ovile di Dio è un riparo, non è una prigione! La casa di Dio è un riparo, non è una prigione, e la porta si chiama Gesù! E se la porta è chiusa, diciamo: “Signore, apri la porta!”. Gesù è la porta e ci fa entrare e uscire. Sono i ladri, quelli che cercano di evitare la porta: è curioso, i ladri cercano sempre di entrare da un’altra parte, dalla finestra, dal tetto ma evitano la porta, perché hanno intenzioni cattive, e si intrufolano nell’ovile per ingannare le pecore e approfittare di loro. Noi dobbiamo passare per la porta e ascoltare la voce di Gesù: se sentiamo il suo tono di voce, siamo sicuri, siamo salvi. Possiamo entrare senza timore e uscire senza pericolo. In questo bellissimo discorso di Gesù, si parla anche del guardiano, che ha il compito di aprire al buon Pastore (cfr Gv 10,2). Se il guardiano ascolta la voce del Pastore, allora apre, e fa entrare tutte le pecore che il Pastore porta, tutte, comprese quelle sperdute nei boschi, che il buon Pastore si è andato a riprendere. Le pecore non le sceglie il guardiano, non le sceglie il segretario parrocchiale o la segretaria della parrocchia; le pecore sono tutte invitate, sono scelte dal buon Pastore. Il guardiano – anche lui – obbedisce alla voce del Pastore. Ecco, potremmo ben dire che noi dobbiamo essere come quel guardiano. La Chiesa è la portinaia della casa del Signore, non è la padrona della casa del Signore.

La Santa Famiglia di Nazareth sa bene che cosa significa una porta aperta o chiusa, per chi aspetta un figlio, per chi non ha riparo, per chi deve scampare al pericolo. Le famiglie cristiane facciano della loro soglia di casa un piccolo grande segno della Porta della misericordia e dell'accoglienza di Dio. E’ proprio così che la Chiesa dovrà essere riconosciuta, in ogni angolo della terra: come la custode di un Dio che bussa, come l’accoglienza di un Dio che non ti chiude la porta in faccia, con la scusa che non sei di casa. Con questo spirito ci avviciniamo al Giubileo: ci sarà la porta santa, ma c’è la porta della grande misericordia di Dio! Ci sia anche la porta del nostro cuore per ricevere tutti il perdono di Dio e dare a nostra volta il nostro perdono, accogliendo tutti quelli che bussano alla nostra porta.

 


Saluti:

 

* * *

Il 21 novembre, poi, la Chiesa ricorda la Presentazione di Maria Santissima al Tempio. In tale circostanza ringraziamo il Signore per il dono della vocazione degli uomini e delle donne che, nei monasteri e negli eremi, hanno dedicato la loro vita a Dio. Affinché le comunità di clausura possano compiere la loro importante missione, nella preghiera e nel silenzio operoso, non facciamo mancare la nostra vicinanza spirituale e materiale.


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

Sono lieto di accogliere i sacerdoti di Gubbio, accompagnati dal loro Vescovo, Mons. Ceccobelli.

In questo giorno, in cui celebriamo la Dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, auguro a tutti che la visita alle tombe degli Apostoli rafforzi la gioia della fede.

Porgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani e studenti, in particolare di Afragola e di Roma, la testimonianza degli Apostoli, che hanno lasciato tutto per seguire Gesù, accenda anche in voi il desiderio di amarlo con tutte le forze e di seguirlo; cari ammalati, le gloriose sofferenze dei Santi Pietro e Paolo diano conforto e speranza alla vostra offerta; cari sposi novelli, le vostre case possano essere templi di quell’Amore da cui nessuno potrà mai separarci.

   





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/12/2015 16:47
 
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  Un sacerdote risponde


Mi sono imbattuto in un sito cattolico su un commento ad Amoris Laetitia francamente per me molto triste


Quesito


Carissimo Padre Angelo,
le volevo chiedere un parere utile a tante persone che cercano di seguire gli insegnamenti della Chiesa anche in materia matrimoniale.
Mi sono imbattuto in un sito cattolico su un commento ad Amoris Laetitia francamente per me molto triste, perché questi messaggi rendono il tema “paternità responsabile” / “non liceità della contraccezione” molto ambiguo e rafforzano la diffusissima convinzione che si possa fare quello che si vuole nei rapporti matrimoniali per essere “buoni cristiani”.
Quello che mi dispiace è che chi vuole seguire il pensiero della Chiesa è confuso da AL, perché il giornalista ha gioco facile a ribadire che non “proibendo esplicitamente” di fatto si lascia all’individuo fare come meglio pensa, pur “consigliando” i metodi naturali e citando l’enciclica HV.
E’ evidente che un sito cattolico non è il Papa e nemmeno un vescovo però quello che oggettivamente emerge è che se in 400 e passa pagine di Lettera Pastorale se ne parla così…magari il fatto che sia un tema “non fondamentale” passa come messaggio….
Le evidenzio sotto le parti per me più imbarazzanti.
"Se il Santo Padre avesse voluto condannare formalmente o semplicemente mettere in guardia contro l’uso della contraccezione l’avrebbe fatto, ma non è stato così. Dall’altro lato, non ha detto formalmente che l’uso della contraccezione non è più proibito, ma è facile comprendere perché su questo argomento Francesco rifiuti di essere intrappolato nella logica del “permesso” e del “proibito”. I tomisti diranno giustamente che il papa vuole sostituire la “legge morale” con la “virtù morale”, la crescita della grazia.
In tutta l’onestà intellettuale basata sulla fede, sembra quindi legittimo concludere questa breve revisione critica dicendo che l’esortazione apostolica Amoris Laetitia segna non l’abrogazione ma l’eliminazione, implicita ma reale, del divieto assoluto della contraccezione per le coppie cattoliche.
Prego per lei e la famiglia Domenicana che tanto mi ha aiutato e mi aiuta a seguire Nostro Signore. 
Alberto


Risposta del sacerdote

Caro Alberto,
1. l’affermazione che tu hai riportato dà l’impressione che il papa non abbia voluto condannare la contraccezione e neanche abbia detto il contrario.
Il che farebbe concludere che ognuno infine potrebbe fare quello che vuole, sebbene l’articolista neghi anche quest’affermazione.

2. Ebbene, non è vero che il Papa in Amoris Laetitia non proibisca la contraccezione.
Al n. 80 vi si legge: “Fin dall’inizio l’amore rifiuta ogni impulso di chiudersi in sé stesso e si apre a una fecondità che lo prolunga oltre la sua propria esistenza. Dunque nessun atto genitale degli sposi può negare questo significato,[86] benché per diverse ragioni non sempre possa di fatto generare una nuova vita” (AL 80).
Nessun atto genitale: pertanto la contraccezione coniugale rimane esclusa sempre, dal momento che i precetti morali negativi obbligano semper et pro semper (sempre e in ogni caso).

3. La nota n. 86 fa riferimento all’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, ed espressamente ai numeri 11 e 12.
Ora nel n. 11 è contenuta l’affermazione centrale dell’enciclica: “Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita”.

4. E nel n. 12 si legge: “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna.
Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità”.

5. Quando Amoris laetitia aggiunge: “benché per diverse ragioni non sempre possa di fatto generare una nuova vita” fa riferimento a quanto scritto nel medesimo n. 11 dell’HV: “Questi atti, con i quali gli sposi si uniscono in casta intimità e per mezzo dei quali si trasmette la vita umana, sono, come ha ricordato il recente concilio, "onesti e degni", e non cessano di essere legittimi se, per cause mai dipendenti dalla volontà dei coniugi, sono previsti infecondi, perché rimangono ordinati ad esprimere e consolidare la loro unione”.

6. Sempre Amoris laetitia dice: “In seguito, «il beato Paolo VI, sulla scia del Concilio Vaticano II, ha approfondito la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. In particolare, con l’Enciclica Humanae vitae, ha messo in luce il legame intrinseco tra amore coniugale e generazione della vita: “L’amore coniugale richiede dagli sposi che essi conoscano convenientemente la loro missione di paternità responsabile, sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa. […] L’esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori» (n. 10)” (AL 68).
Riconoscere i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società non è un optional. È la legge morale, la quale non è consigliata, ma comandata.

7. Sempre nel medesimo punto Amoris laetitia parla della dottrina del Vaticano II approfondita da Paolo VI.
In seguito, per quanto concerne i divorziati risposati, dice ancora: “Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina” (AL 79).
Su questi punti, pertanto, non vi è alcun dubbio: Amoris laetitia fa riferimento alla dottrina.

8. Ora la dottrina si approfondisce, si sviluppa, si applica a diverse situazioni ma sempre secondo un criterio di omogeneità, per cui essa rimane la stessa nel medesimo modo in cui noi, pur passando attraverso vari sviluppi, siamo rimasti gli stessi e abbiamo conservato la nostra identità.
Per questo Giovanni XXIII nel discorso inaugurale del Concilio aveva detto: “Il 21 concilio ecumenico - che si avvarrà dell’efficace e importante somma di esperienze giuridiche, liturgiche, apostoliche e amministrative - vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti, che lungo venti secoli, nonostante difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Patrimonio non da tutti bene accolto, ma pur sempre ricchezza aperta agli uomini di buona volontà. 
Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige, proseguendo così il cammino, che la chiesa compie da quasi venti secoli. 
Lo scopo principale di questo concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della chiesa, in ripetizione diffusa dell’insegnamento dei padri e dei teologi antichi e moderni quale si suppone sempre ben presente e familiare allo spirito. 
Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari del Tridentino e del Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettatasia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo
Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”.

9. Giovanni Paolo II dal canto suo ha detto: “Quanto è insegnato dalla Chiesa sulla contraccezione non appartiene a materia liberamente disputabile tra i teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale degli sposi” (5.5.1987).
Nel medesimo discorso ha detto anche che “emerge a tale proposito una grave responsabilità: coloro che si pongono in aperto contrasto con la legge di Dio, autenticamente insegnata dal magistero della Chiesa, guidano gli sposi su una strada sbagliata.
Benedetto XVI, nel 40° della pubblicazione dell’Humanae vitae ha affermato: “Il Magistero della Chiesa non può esonerarsi da riflettere in maniera sempre nuova e approfondita sui principi fondamentali che riguardano il matrimonio e la procreazione. Quanto era vero ieri, rimane vero anche oggi. La verità espressa nell’Humanae Vitae non muta”.
E la stessa cosa ha detto anche Papa Francesco in Amoris laetitia al n. 80 sopra citato.
Pertanto se l’articolista che hai citato ha detto quanto hai riferito è nell’errore. Per usare il linguaggio di Giovanni Paolo II è su una strada sbagliata e induce nell’errore la coscienza morale degli sposi”.

11. Il Vademecum per i confessori del Pontificio Consiglio per la famiglia (12.2.1997) scrive: “La Chiesa ha sempre insegnato l’intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile. La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale, è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), e alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), ferisce il vero amore e nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana” (n. 2.4).

12. Amoris laetitia cita un testo del Concilio che nel quale l’articolista inciampa in maniera abbastanza clamorosa e conclude malamente. 
Perché il Concilio in tale testo parla del numero dei figli da procreare. Mentre l’articolista applica il testo alle vie da seguire (contraccezione o metodi naturali).
Ecco il testo del Concilio: “Rimane valido quanto affermato con chiarezza nel Concilio Vaticano II: «I coniugi [...], di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi» (Gaudium et spes 50).
Mentre a proposito delle vie da seguire il Concilio dice: “Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo.
Tale legge divina manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge e lo conduce verso la sua perfezione veramente umana” (GS 50).
E ancora: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Mi pare che questo equivoco sia grave.
Ne va della competenza o della buona fede di chi ha scritto quel pezzo.

13. Va detto anche che non era obiettivo del Sinodo pronunciarsi sulla dottrina della Chiesa in tema di contraccezione. Non è stato convocato per questo. In parole povere, il suo obiettivo non era quello di riformare la dottrina dell’Humanae vitae.
Anzi su questo ha richiamato più volte l’enciclica di Paolo VI e ne ha ribadito la dottrina.
Né ha lasciato ai coniugi la libertà di scegliere le vie che vogliono. Qui si tratta di legge divina, che è una legge di vita.
Scegliere il contrario è la stessa cosa che scegliere la morte.
Valgono anche per il nostro argomento le parole che si leggono in Dt 30,19-20: “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri”.
La legge di Dio non è un optional, una via facoltativa, il cui percorso vale quanto il contrario.
L’osservanza della legge di Dio è la stessa cosa che la scelta della vita: dell’amore umano anzitutto, poi del matrimonio e della famiglia e poi anche di qualcosa d’altro.
Fare il contrario è la stessa cosa che scegliere la morte: dell’amore umano anzitutto, poi del matrimonio e della famiglia e poi anche di qualcosa d’altro.
Vale anche per questa materia quanto si legge nella Sacra Scrittura “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza” (Dt 30,19).

14. Infine,  viene detto che il papa “vuole sostituire la legge morale con la virtù morale, la crescita della grazia” come dicono i tomisti.
Ma, proprio come dicono proprio i tomisti, la crescita nella grazia non avviene sostituendo la natura, ma presupponendola, confermandola e sanandola.
San Tommaso è esplicito su questo fin dall’inizio della Somma teologica: “La grazia infatti non distrugge la natura, ma anzi la perfeziona” (Somma teologica, I, 1, 8, ad 2).
Pertanto non va creata opposizione tra legge morale e virtù morale, perché è virtuoso proprio chi si lascia guidare da Dio e dai suoi comandamenti.
“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,21). E San Tommaso commenta: “Qui si noti che il vero amore si esprime e si mostra nelle opere, perché l’amore così si manifesta. Infatti amare qualcuno altro non è che volere a lui del bene e desiderare quello che lui vuole; perciò non ama veramente colui che non fa la volontà dell’amato e non eseguisce quello che conosce come voluto da lui. Perciò chi non fa la volontà di Dio mostra di non amarlo veramente. Ecco perché Gesù afferma: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama, ossia ha un amore vero verso di me” (Commento al Vangelo di Giovanni 14,21).

Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di portare un po’ di chiarezza su punti molto importanti per la vita dei singoli nei loro rapporti con Dio e sui quali alcuni intendono mettere confusione.
Mi auguro anche di aver tolto la tristezza che causata dalla lettura di quell’articolo.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Considerazioni sull’Esortazione post sinodale Amoris laetitia

Quesito

Come era prevedibile, dopo la pubblicazione dell’Esortazione post sinodale Amoris laetitia molti visitatori, sconcertati da quanto riferito dai mezzi di comunicazione sociale o anche da interviste rilasciate da alcuni uomini di Chiesa,  mi hanno scritto chiedendo che cosa stesse avvenendo e chiedendo una parola chiarificatrice.
Ecco quanto ho scritto come risposta generale che tocca alcuni punti del capitolo 8° dell’Esortazione.
Ognuno dei visitatori può trovarvi la soluzione del proprio quesito.
Chiedo scusa se per motivi di brevità e per evitare ripetizioni non riporto i contenuti delle singole mail.


Risposta del sacerdote

1. Premesse

1. Il testo offerto da Papa Francesco sulla famiglia è avvincente nella sua esposizione ed è pieno di carità pastorale nei confronti di coloro che si trovano in stato di sofferenza, di disagio o di non conformità nei confronti dell’insegnamento di Gesù sul matrimonio e sull’amore umano.

2. Leggendo l’Esortazione dall’inizio alla fine, senza preconcetti e senza le caricature dei giornalisti o delle persone intervistate, non ho trovato nessuna rottura con il Magistero precedente, ma una continuità e uno sviluppo, soprattutto nell’atteggiamento di ricerca, di accoglienza, di accompagnamento e di integrazione di coloro che si trovano in difficoltà nell’essere conformi alla logica evangelica.
Alcune espressioni dell’Esortazione sono un po’ enfatizzate a motivo del carattere parenetico del documento stesso e anche del modo proprio di esprimersi di Papa Francesco.
Non bisogna prendere ogni parola come una sentenza dogmatica.

3. La questione più controversa è quella relativa alla Santa Comunione ai divorziati risposati, che tuttavia non viene mai espressamente menzionata nell’Esortazione.
Va notato che soprattutto nel capitolo 8° il linguaggio talvolta è molto sfumato e si può prestare a valutazioni non solo differenti, ma addirittura fra di loro opposte.
Ebbene, proprio in merito a questo capitolo desidero presentare alcune riflessioni generali e poi prendere in  considerazione le espressioni più discusse.

2. Criteri di lettura

1. Il primo criterio di lettura è quello dell’orizzonte nel quale va letta l’Esortazione, pena deformarla.
Quest’orizzonte l’ha fornito Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis splendor.
Nella nota 100 Giovanni Paolo II afferma: “Lo sviluppo della dottrina morale della chiesa è simile a quello della dottrina della fede.
Anche alla dottrina morale si applicano le parole pronunciate da Giovanni XXIII in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962): “Occorre che questa dottrina (= la dottrina cristiana nella sua integralità) certa e immutabile, che dev’essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo.
Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra venerabile dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata” (VS, nota 100).
Qui dunque si trova il principio ermeneutico o di interpretazione: i documenti del Magistero anche in temi morali vanno interpretati secondo l’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento. E non già secondo l’ermeneutica della discontinuitàdella rottura o della svolta rispetto al Magistero di sempre.
Il progresso della dottrina morale della Chiesa avviene sotto l’azione dello Spirito Santo che gradualmente porta alla conoscenza della verità tutta intera, senza mai contraddire o rinnegare il Magistero precedente.
Si tratta dunque di un progresso omogeneo e non dialettico.

2. Fatta questa premessa fondamentale, occorre leggere l’Amoris Laetitia alla luce del Magistero precedente perché lo continua e lo approfondisce, come del resto a più riprese viene affermato dall’Esortazione stessa, come ad esempio quando dice: “Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (AL 79).
Poiché soprattutto il capitolo ottavo dell’Esortazione è stato letto nelle maniere più disparate e contraddittorie, è necessario dire che l’interpretazione esatta, quella indicata dal Magistero, è quella data in meliorem partem, se ci si può esprimere così, e cioè nella linea della continuità.
Anzi, solo questa lettura fa comprendere il testo senza ambiguità e senza contraddizioni.

3. Sicché mentre la lettura in meliorem partem non va incontro ad obiezioni che ne sbarrino la strada, quella data in pejorem partem, e cioè secondo l’ermeneutica della rottura, non porta invece da nessuna parte, anzi va a cozzare contro una miriade di affermazioni del Magistero e si rivela inconcludente e sbagliata.

3. L’interpretazione in meliorem partem di alcune affermazioni

1. Il n. 302 dell’Esortazione ricorda una grande varietà di motivi da tenere presenti nella valutazione dei singoli casi:
“Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime in maniera decisiva: «L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» (n. 1735). In un altro paragrafo fa riferimento nuovamente a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza, l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali (n. 2352). Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione sull’ammissibilità alla Comunione dei divorziati risposati(24 giugno 2000), 2)” (AL 302).
Ebbene, quelli elencati sono tutti motivi per cui un tribunale ecclesiastico può dare e anzi già dà una sentenza di nullità del matrimonio contratto.
Per evitare che all’interno delle comunità cristiane si dica che ad un divorziato risposato è stata data l’assoluzione e ad un altro no, la cosa migliore è quella di procedere ordinatamente che è quella ottenere una sentenza di nullità del matrimonio ed eventualmente di sanare in radice l’unione contratta civilmente.
È questa la prima via suggerita da Papa Francesco con la riforma della procedura nelle cause matrimoniali. 
Tanto più che egli stesso ha chiesto che la sentenza venga data entro un anno, senza lungaggini.
Questo è il metodo più ordinato e sicuro.
Al contrario, lasciare tutto alla valutazione non sempre illuminata del parroco o del confessore può rendere insicuri e può causare confusione e malumore nelle comunità. Facilmente si potrebbe argomentare: perché ad uno sì e ad un altro no?

2. Al n. 299 si legge: “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni forma di scandalo”.
Anche questo va sempre tenuto presente.
Qualora il sacerdote desse l’assoluzione ad un divorziato risposato o ad una persona convivente, è necessario ricordare che si può fare la Santa Comunione solo là dove non si è conosciuti come divorziati risposati o conviventi. Diversamente si genera scandalo tra i fedeli.
La Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i testi legislativi “circa l’ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati” del 7 luglio 2000 dice: “Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - «soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Familiaris consortio, 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza.
Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla Comunione eucaristica solo remoto scandalo” (2 c).
Remoto scandalo significa che si può fare privatamente o là dove non si è conosciuti come divorziati risposati o conviventi, evitando così di causare giudizi, confusione, sconcerto e scandalo tra i fedeli.

3. In quest’ottica va letto anche quanto si legge al n. 305: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti”.
Qui implicitamente l’Esortazione ribadisce che per accostarsi alla Santa Comunione è necessario essere in grazia di Dio.
Questa non è una norma umana ma divina, come ricorda la Sacra Scrittura: “Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).

4. Circa quanto è scritto nella nota 351: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (EG 44). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (EG 47)”.
Qui il Papa non dice tout court di dare la Santa Comunione ai divorziati risposati.
Prevede che coloro che sono pentiti e vivono in graziae cioè senza rapporti adulterini o di fornicazione, possano ricevere l’assoluzione e possano partecipare all’Eucaristia, anche facendo la Santa Comunione, sempre remoto scandalo.

5. Inoltre quando il Papa dice che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» afferma una cosa profondamente vera.
Proprio perché siamo tutti deboli, anche se viviamo in grazia di Dio, abbiamo bisogno di fortificarci di questo Pane per sostenerci nel cammino verso il Cielo.
Ma rimane sempre vero che chi è spiritualmente morto, perché si trova in peccato mortale, prima di nutrirsi in maniera salutare di questo cibo, ha bisogno di risuscitare e di ritrovare la vita soprannaturale attraverso la Confessione, che dai santi Padri viene definita come un secondo Battesimo.
Pertanto il sacramento proprio di chi è spiritualmente morto è la confessione.
Diversamente si realizza quanto ha detto la Sacra Scrittura: “Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore” (1 Cor 11,27).

6. Qualcuno ha detto giustamente che dar da mangiare ad un morto serve a farlo puzzare ancora di più.
Ed è per questo che Giovanni Paolo II ha detto: “A questo dovere lo richiama lo stesso Apostolo con l’ammonizione: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11,28). San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta.
Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi» (Omelie su Isaia 6, 3).
In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolicastabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione» (CCC 1385). 
Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale” (Ecclesia de Eucaristia, 36).

7. Al n. 298 il Papa riconosce che vi sono “divorziati che vivono una nuova unione… consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe” e che “seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della separazione”.
In nota (n. 329) aggiunge: “In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli» (Gaudium et spes, 51).
In merito a questa nota che ha attirato l’attenzione di molti va detto:
- primo: il Papa ricorda l’insegnamento di Familiaris consortio che chiede di non vivere more uxorio e cioè in castità, come amici e fratelli e sorelle; 
-secondo: il Papa, pur facendo riferimento al Concilio che parla di intimità coniugale, parla solo di intimità. È chiaro che in ogni caso non sarebbe coniugale perché i due non sono marito e moglie.
- terzo: vuol dire che pur “accettando di vivere come fratello e sorella”, se succede che talvolta vadano oltre, si deve usare pazienza ed esortarli a fare quanto dice Paolo VI nell’Humanae vitae: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (HV 25).
Questo significa comprendere in meliorem partem.
Dare un’altra interpretazione significa che il 6° comandamento che vieta i rapporti sessuali tra persone che fra di loro non sono sposate subisca delle eccezioni.
Ma “i precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si tratta infatti di proibizioni che vietano una determinata azione semper et pro semper, senza eccezioni, perché la scelta di un tale comportamento non è in nessun caso compatibile con la bontà della volontà della persona che agisce, con la sua vocazione alla vita con Dio e alla comunione col prossimo. È proibito ad ognuno e sempre di infrangere precetti che vincolano, tutti e a qualunque costo, a non offendere in alcuno e, prima di tutto, in se stessi la dignità personale e comune a tutti” (Veritatis Splendor, 52)

8. In merito al n. 301 si legge: “La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”.
A dire il vero questo non è mai stato detto né nel Magistero né nei manuali di Teologia. 
Basterebbe ricordare la Dichiarazione della Congregazione del Clero in riferimento al cosiddetto ‘caso Washington’: “Le particolari circostanze che accompagnano un atto umano oggettivamente cattivo, mentre non possono trasformarlo in un atto oggettivamente virtuoso, possono renderlo incolpevole o meno colpevole o soggettivamente giustificabile” (26.4.1971).
Il Papa allora si riferisce a quello che può essere stato detto da prete Tizio o Caio. Qui troviamo, come si diceva all’inizio, il carattere parenetico e proprio di Papa Francesco.
Presa la frase in se stessa, bisognerebbe dire che non corrisponde alla realtà perché questo non è mai stato detto.

9. Analogamente al n. 304 si legge: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano”.
Letta superficialmente quest’affermazione sembra una critica alla morale finora insegnata.
Ma questo non corrisponde alla verità perché si è sempre detto che i criteri per discernere la moralità di un atto sono tre: oggetto (finis operis), intenzione (finis operantis) e circostanze.
Anche qui il Papa si riferisce al comportamento di qualcuno che senza guardare al soggetto e alle circostanze può aver giudicato solo in base alla legge morale. Allora questo, sì, è meschino, anzi è sbagliato.

10. Sempre al n. 301 il Papa scrive: “Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù (Somma Teologica I-II, 65, 3, ad 2), in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù» (Ib., ad 3)”.
San Tommaso, dopo aver detto che insieme alla grazia vengono infuse anche le virtù morali, dice: “Talora capita, per una difficoltà nata dall'esterno, che chi possiede un abito provi difficoltà nell'operare, e quindi non senta piacere e compiacimento nell'atto: è il caso di chi avendo l'abito della scienza, per la sonnolenza o per un'infermità, prova difficoltà nell'intendere. Allo stesso modo talora provano difficoltà nell'operare gli abiti delle virtù morali infuse, a causa delle disposizioni contrarie lasciate dagli atti precedenti. La quale difficoltà non capita ugualmente nelle virtù morali acquisite: poiché mediante l'esercizio degli atti, col quale vennero acquistate, furono tolte anche le disposizioni contrarie” (ad 2). 
E nell’ad 3: “Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, per il motivo indicato sopra; sebbene essi abbiano l'abito di tutte le virtù”.
Ebbene, qui San Tommaso vuol dire che alcuni esercitano malamente una determinata virtù o non la esercitino affatto (ad esempio: la devozione o il raccoglimento nella preghiera) a motivo delle disposizioni lasciate dalle azioni precedenti (ad esempio: l’essere afflitti o contrariati per una brutta notizia o per una grossa discussione. Allora, come emerge dall’esperienza, si prega male, con poco raccoglimento e con molte distrazioni).
Ma un conto è esercitare male una virtù o non esercitarla affatto, per cui si ha poco merito o non si merita niente.
Un altro conto invece è compiere un peccato grave contrario a quella virtù. Col peccato si demerita sempre e si offende il Signore.
Tra l’altro per San Tommaso se un singolo atto contrario ad una virtù acquisita non fa perdere tale virtù perché l’atto contraria l’atto ma non l’abito (sicché se uno si ubriaca una volta non si può dire che ha perso la virtù della sobrietà), tuttavia vi farebbe eccezione la lussuria: “Ma con un atto di lussuria la castità viene meno di per se stessa” (Sed actu luxuriae castitas per se privatur”, s. tommaso, In II Sent., d. 42, q. 1, a. 2, ad 4).
Per cui interpretando in meliorem partem questo n. 301 dell’Esortazione si può dire che i divorziati risposati, anche se vivono come fratello e sorella, dovendo stare insieme a motivo della presenza dei figli, non esercitano nel migliore modo la castità.
Ma se con questo testo si volesse dire che vivono in grazia anche se hanno rapporti sessuali sarebbe completamente sbagliato, perché è contrario non solo all’insegnamento di San Tommaso, ma a quello di Dio e della Chiesa.

Interpretati così, i punti più scottanti dell’Esortazione non fanno difficoltà.
Mentre molte difficoltà nascono da una lettura diversa.
Va considerato infine che questa Esortazione è tutta permeata da un clima di accoglienza e di misericordia. Questo è lo stile che le si è voluto dare.
E ne va tenuto conto.

Padre Angelo Bellon, o.p.




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[Modificato da Caterina63 03/06/2017 10:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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