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Ultimo Aggiornamento: 21/07/2016 13:57
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21/11/2015 11:39
 
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FEDE E RAGIONE
 

Si avvicina l’anno 2016, in cui cadrà il decimo anniversario del discorso tenuto a Ratisbona nell’Aula Magna dell’Università. Papa Ratzinger amava molto gli anniversari. Si tratta di uno dei vertici della sua analisi culturale della storia dell’Europa e del suo confronto con l’islam. Tragedie come quella di Parigi l’hanno reso ancora più attuale. 

 - VAI ALLO SPECIALE "PARIGI, 13 NOVEMBRE"

di Massimo Introvigne
Benedetto XVI con principe giordano Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, uno dei firmatari del Messaggio indirizzato al Papa nell’ottobre 2007


Si avvicina l’anno 2016, in cui cadrà il decimo anniversario del discorso tenuto a Ratisbona nell’Aula Magna dell’Università il 12 settembre 2006. Papa Ratzinger amava molto gli anniversari. Qualcuno potrebbe pensare che celebrare quello del discorso di Ratisbona lo amareggerebbe, visto quanto poco fu capito e quanto spesso fu travisato. Ma forse gli farebbe piacere, perché si tratta di uno dei vertici della sua analisi culturale della storia dell’Europa e del suo confronto con l’islam. Tragedie come quella di Parigi l’hanno reso ancora più attuale. Mi porto dunque avanti con il lavoro, e avvio una meditazione che spero possa accompagnarci nel corso del 2016.

A Ratisbona Benedetto XVI parte da un dialogo che vede contrapposti nel 1391 ad Ankara l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un saggio persiano musulmano. L’imperatore gioca fuori casa, dopo avere ricevuto un invito che non può rifiutare ad accompagnarlo in una partita di caccia dal sultano turco Bayazet I, il cui minaccioso esercito è molto più potente del suo. Sulla passione per la caccia di Bayazet, Manuele si permette anche qualche battuta: il sultano si aspetta, dice, di trovare in Paradiso non solo le famose vergini, ma anche un buon numero di cani da caccia. Notiamo, di passaggio, che benché Bayazet I sia passato alla storia come un sovrano piuttosto crudele, da certi punti di vista la tolleranza di questi musulmani turchi del XIV secolo regge favorevolmente il paragone con quella di parecchi musulmani moderni. Manuele può permettersi – in un Paese musulmano e in pubblico – non solo la battuta sui cani paradisiaci, ma anche quelle aspre critiche a Muhammad la cui semplice citazione da parte di Benedetto XVI indusse l’islam fondamentalista a proteste, manifestazioni di piazza e perfino omicidi nel 2006.

Non amando la caccia, Manuele si trova un altro passatempo. Sulla piazza di Ankara, organizza unaspecie di talk show dove di fronte a un folto pubblico dibatte per ventisei serate con un intellettuale musulmano – ma lo stesso imperatore è un appassionato di filosofia – sui meriti rispettivi del cristianesimo e dell’islam. Tuttavia, nel 1391 certamente Manuele non può invocare il Vangelo o la teologia di fronte a un pubblico musulmano: propone allora al suo interlocutore di discutere non sulla base della fede, ma della ragione. L’islamico accetta, ma il dialogo non va da nessuna parte perché Manuele e il musulmano hanno due idee diverse della ragione. Per l’imperatore greco la ragione è il fondamento filosofico di tutte le cose. Per il musulmano questo fondamento non esiste: il suo Dio, Allah, «non dipende da nessuno dei suoi atti» e può cambiare ogni minuto le leggi che regolano il mondo, così che ogni conoscenza razionale è incerta e provvisoria.

Per l’islamico argomentare in base alla ragione significa semplicemente citare fatti empirici. La suanozione di ragione è meramente strumentale. Da questo punto di vista il quarto dei ventisei dialoghi fra l’imperatore e il saggio islamico, apparentemente una disputa – precisamente – “bizantina”, ha invece la sua importanza. Manuele II contesta l’opinione di alcuni musulmani secondo cui, dal punto di vista della capacità di conoscere con certezza la verità, l’anima dell’uomo e quella degli animali non sono poi così diverse. Niente affatto, ribatte Manuele: l’uomo ha la ragione, che gli animali non hanno. Ed è evidente che importanti qui non sono tanto gli animali, ma la possibilità della ragione umana di conoscere la verità.

Munito della sua nozione meramente strumentale di ragione, il musulmano usa nel quinto dialogol’argomento che pensa chiuda la discussione: la prova della superiorità dell’islam sul cristianesimo è che le armate del Profeta stanno vincendo ovunque, e lo stesso impero di Bisanzio è ridotto a uno staterello. Naturalmente tre secoli dopo, quando a partire dalla sconfitta di Vienna nel 1683 i musulmani cominceranno a perdere le battaglie e le guerre, l’argomento potrà essere rovesciato. Ma non è questo il punto. Per Manuele II – e per Benedetto XVI – la vita, i diritti umani e la possibilità di convivere fra religioni diverse sono garantite solo da una fiducia nella ragione come strumento capace di conoscere la verità che vale per tutti, cristiani e musulmani, credenti e non credenti. Se manca questa fiducia nella ragione, tra persone di fede diversa quale sia la verità è deciso da quali eserciti vincano, e oggi da chi sia più capace di fare esplodere bombe. La verità – e Dio stesso, che è verità – diventano semplici funzioni della violenza.

È stato detto molte volte, e con ragione, che il discorso di Ratisbona non voleva essere un discorso“sull’islam”. L’islam è assunto come esempio di una perdita della fiducia nella ragione e nel diritto naturale che ha contagiato anche l’Europa e l’Occidente. Qui l’incontro fra fede e ragione si è sviluppato paradossalmente a una «sintesi tra spirito greco e spirito cristiano». Faticosamente raggiunta, fin da subito questa armonia è stata messa in crisi. La storia della modernità in Occidente è ricostruita nel discorso di Ratisbona di Benedetto XVI come un seguito di tentativi di “de ellenizzazione”, cioè di negazione, in diverse e distinte “ondate”, della tesi corretta la quale postula che «il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana» e della sintesi che fa dell’Europa quello che essa è, perché solo così si salva l’unità fra fede e ragione.

Se stampiamo il discorso di Ratisbona, ci troviamo otto pagine dedicate all’Europa e una e mezzaall’islam. Se questo va ricordato, non è meno vero che quello che si dice dell’islam è decisivo. San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et ratio, ricordava che per volare l’uomo ha bisogno di due ali, fede e ragione. Se l’ala della ragione diventa ipertrofica a scapito dell’ala della fede, ci troviamo di fronte al laicismo. Se l’ala della fede diventa ipertrofica a scapito dell’ala della ragione, ecco il fondamentalismo. L’uomo, come l’aereo, ha bisogno di due ali per volare. Diversamente, non vola e si schianta. La Chiesa non promuove affatto uno sviluppo anomalo dell’ala della fede contro l’ala della ragione, anche se ammonisce sulle conseguenze del laicismo, dove la ragione nega la fede. Vuole l’armonia fra le due ali, consapevole che solo così si può volare.

A Ratisbona Benedetto XVI ha messo a fuoco il problema dell’islam. A un certo punto della sua storia, spaventato da forme di razionalismo che seducevano molti suoi filosofi, ha chiuso il dialogo fecondo che aveva avviato con la cultura greca. Ha bruciato i libri di filosofia, e qualche volta per non sbagliare ha bruciato anche i filosofi. Ma così facendo, per evitare il razionalismo, è caduto nell’errore opposto del fideismo, che diventando politica nel XX secolo si sarebbe chiamato fondamentalismo. Benedetto XVI, lo abbiamo ricordato su queste colonne (clicca qui), è il Papa che ha indicato come obbligatorio il dialogo con l’islam. Un dialogo, però, che non si esima dall’indicare ai musulmani quanti danni nella loro storia abbia fatto la separazione della fede dalla ragione e mostri come questa separazione porti inevitabilmente alla violenza. 

Non per denigrare o offendere l’islam, ma per invitarlo a riflettere sulla necessità dell’armonia frala fede e la ragione. Solo accettando che la ragione fonda un diritto naturale e diritti da riconoscere a tutti a prescindere dalla loro religione, l’islam – senza rinunciare alla sua identità – potrà trovare la via per isolare il fondamentalismo e fondare una condanna definitiva della violenza.







 

Una falsa battaglia contro l’Islam

islam_francia
(di Roberto de Mattei) Tutti gli analisti hanno messo in luce il fallimento dei servizi di sicurezza in Francia nel tragico 13 novembre. La causa prima di questo fallimento, più che all’inefficienza, risale alla incapacità culturale della classe politica e amministrativa francese, che non riesce a risalire alle cause profonde del terrorismo e ai giusti rimedi per combatterlo.

Il terrorismo che oggi dilaga nel mondo è figlio della Rivoluzione dell’89 e della lunga serie di rivoluzionari di professione, anarchici, socialisti e comunisti, che tra l’Ottocento e il Novecento praticarono la violenza di massa e realizzarono i primi genocidi della storia dell’umanità. I cosiddetti fondamentalisti hanno innestato l’esperienza del terrorismo europeo sul tronco di un’ideologia intrinsecamente totalitaria qual è l’Islam, una religione politica che si è sempre affermata con la violenza.

Il progetto di inserire l’Islam all’interno dei valori repubblicani può nascere solo dalla mente di chi si rifiuta di comprendere il ruolo della dimensione religiosa nella storia e tutto riduce a conflitti economici o politici. Questa mentalità è all’origine dei clamorosi errori che, nella loro politica mediterranea, hanno accomunato la Francia di Sarkozy e di Hollande agli Stati Uniti di Barack Hussein Obama.

Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 fu annunciata a gran voce la «primavera araba», nella convinzione che la caduta dei “tiranni”, in Egitto, Libia e Siria, avrebbe inaugurato una nuova era di democrazia, di libertà e di sviluppo sociale in Africa e Medio Oriente. Obama, Sarkozy e poi Hollande, erano convinti che si potesse passare in maniera indolore dai regimi dittatoriali alla democrazia e che questa “rivoluzione democratica” avrebbe consegnato agli Stati Uniti e alla Francia le chiavi delle risorse economiche di quei territori. Nel febbraio 2011, la Francia ha iniziato a bombardare la Libia per favorire una “rivoluzione democratica” attuata dai ribelli jihadisti.

Il risultato è stato l’ascesa dell’Islam radicale, la morte di oltre 150mila persone e l’esplosione di sanguinose divisioni tribali nel mondo musulmano. L’anno seguente Hollande ha appoggiato Mohammed Morsi, neo-eletto presidente egiziano legato al movimento dei Fratelli musulmani, ed è stato tra coloro che più si sono dati da fare per scalzare dal potere il presidente siriano Bashar al Assad. Nel 2013 la Francia si è adoperata perché l’Unione Europea togliesse ogni embargo che le impedisse di rifornire di armi, istruttori e sostegno economico i ribelli jihadisti siriani.

Ora si apprende che la strage di Parigi era pianificata in Siria, in quegli stessi ambienti che fino ad un anno fa godevano della fiducia francese. Ma va anche sottolineato che i terroristi sono immigrati di seconda o terza generazione, di nazionalità belga e francese, formatisi in quei ghetti urbani in cui si consuma il fallimento dell’utopia multiculturalista.

A credere in quest’utopia è rimasto Barack Obama che all’indomani della carneficina ha dichiarato che «la divisa “liberté, égalité, fraternité” non evoca solo dei valori francesi, ma dei valori che tutti condividiamo»ma anche, a quanto pare, le autorità del Vaticano, secondo cui «i musulmani possono essere coinvolti nell’Anno santo», perché «nel mondo lacerato dalla violenza, è il momento giusto per lanciare l’offensiva della misericordia».

La misericordia è una grande virtù cristiana, ma se è emancipata da quelle della giustizia e della fortezza, diviene la versione ecclesiastica della cultura della resa laicista. Questa cultura oggi si esprime nell’accettazione di ogni deviazione culturale e morale, fino a comprendere il satanismo, una anti-religione a cui tanti giovani tributano inconsapevolmente il culto nei concerti rock. E per una simbolica nemesiKiss the devil è il titolo della canzone che veniva suonata sul palco del Bataclan, quando i terroristi hanno iniziato la loro strage. La cultura della morte, di stampo islamico o relativista, può essere affrontata e vinta solo dall’autentica luce del Vangelo. (Roberto de Mattei)





[Modificato da Caterina63 21/11/2015 11:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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