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CIT NO alla comunione ai divorziati risposati

Ultimo Aggiornamento: 14/04/2016 10:03
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Sesso: Femminile
12/04/2016 20:50
 
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B) LE « SEDICI TESI CRISTOLOGICHE » DI GUSTAVE MARTELET, S.I., 
APPROVATE « IN FORMA GENERICA » 
DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

1. Sacramento del matrimonio e mistero della Chiesa

La sacramentalità del matrimonio cristiano emerge in modo più evidente se non viene separata dal mistero della chiesa. « Segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano », come afferma il recente concilio (LG 1), la chiesa è fondata sul rapporto indefettibile che Cristo stabilisce con essa per farne il suo corpo. Quindi l’identità della chiesa non dipende solo dai poteri dell’uomo, ma anche dall’amore del Cristo, che viene continuamente annunciato dalla predicazione apostolica e al quale possiamo partecipare mediante l’effusione dello Spirito. Testimone di questo amore che la fa vivere, la chiesa è quindi il sacramento di Cristo nel mondo, perché essa è il corpo visibile e la comunità che annuncia la presenza di Cristo nella storia degli uomini. Certo, la chiesa-sacramento, la cui « grandezza » viene dichiarata da Paolo (Ef 5, 32), è inseparabile dal mistero dell’incarnazione perché è un mistero che riguarda il corpo; essa è anche inseparabile dall’economia dell’alleanza perché riposa sulla promessa personale fatta da Cristo risorto di restare « con » lei « tutti i giorni fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Ma la chiesa-sacramento partecipa anche al mistero che si può chiamare coniugale: Cristo è legato ad essa con un amore che fa della chiesa la sposa di Cristo, nella forza di un solo Spirito e nell’unità di un solo corpo.

2. L’unione di Cristo e della chiesa

L’unione sponsale di Cristo con la chiesa non distrugge, ma al contrario completa quanto, a modo suo, l’amore coniugale dell’uomo e della donna annuncia, implica o già realizza dal punto di vista della comunione e della fedeltà. In realtà, il Cristo della croce compie quella perfetta oblazione di se stesso, che gli sposi desiderano realizzare nella loro carne, senza però riuscire a raggiungerla mai perfettamente. Verso la chiesa che egli ama come suo corpo, il Cristo realizza quello che i mariti devono fare — come dice S. Paolo — per le loro mogli. Da parte sua la risurrezione di Gesù nella potenza dello Spirito rivela che l’oblazione da lui fatta sulla croce porta i suoi frutti nella stessa carne in cui fu compiuta, e che la chiesa da lui amata fino a morire per essa, può introdurre il mondo nella comunione totale tra Dio e gli uomini di cui essa già gode come sposa di Gesù Cristo.

3. Il simbolo coniugale nella Scrittura

Giustamente quindi l’Antico Testamento usa il simbolismo dell’amore coniugale per indicare l’amore senza limiti di Dio per il suo popolo e, mediante questo popolo, vuole rivelarlo a tutta l’umanità. Specialmente nel profeta Osea, Dio si presenta come uno sposo che con tenerezza e fedeltà senza misura saprà guadagnare finalmente Israele, che all’inizio è stato infedele all’amore immenso con cui era stato amato. Così l’Antico Testamento ci apre, senza esitazioni, la comprensione del nuovo in cui Gesù più volte è designato come lo sposo per eccellenza. Così è chiamato da Giovanni Battista (Gv 3, 29); Gesù stesso si chiama così (Mt 9, 15); anche S. Paolo l’attribuisce a Gesù per due volte (2 Cor 11, 2 e Ef 5, 21-33); lo fa pure l’Apocalisse (22, 17-20); senza citare i riferimenti espliciti che si trovano nelle parabole escatologiche del regno (Mt 22, 1-10 e 25, 1-12).

4. Gesù, sposo per eccellenza

Benché questo titolo sia ordinariamente trascurato dalla cristologia, esso deve trovare per noi tutto il suo significato. Allo stesso modo che Gesù è la via, la verità, la vita, la luce, la porta, il pastore, l’agnello, la vigna, perfino l’uomo, poiché riceve dal Padre « il primato su tutte le cose » (Col 1, 18), con la stessa verità e a buon diritto, è anche lo sposo per eccellenza, vale a dire, « il maestro e il signore », quando si tratta di amare l’altro come la propria carne. Perciò la cristologia del matrimonio si deve iniziare da questo titolo di sposo e dal mistero che esso richiama. In questo campo, come in ogni altro, « nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo » (2 Cor 3, 11). Ad ogni modo, il fatto che Cristo è certamente lo sposo per eccellenza, non va separato dall’altro che è il « secondo » (1 Cor 15, 47) e « l’ultimo Adamo » (ibid., 15, 45).

5. Adamo, immagine di quello che doveva venire

L’Adamo della Genesi, inseparabile da Eva, al quale Gesù stesso si riferisce in Mt 19 in cui tratta la questione del divorzio, non è pienamente comprensibile se non si vede in lui « la figura di colui che doveva venire» (Rm 5, 14). Perciò la personalità di Adamo, in quanto simbolo iniziale dell’umanità intera, non è una personalità stretta è ripiegata su se stessa. Essa è, come anche quella di Eva, di ordine tipologico. Adamo, come anche noi stessi, va visto in rapporto con colui che gli dà il suo significato ultimo: Adamo non è comprensibile senza Cristo, ma anche Cristo, a sua volta, non è comprensibile senza Adamo, vale a dire, senza l’umanità intera — come anche senza tutto ciò che è umano — la cui apparizione è salutata nella Genesi come voluta da Dio in modo assolutamente particolare. Di conseguenza, la coniugalità che costituisce Adamo nella sua verità d’uomo, spetta anche a Cristo attraverso il quale essa viene realizzata, essendo stata ristabilita. Distrutta per una mancanza di amore, davanti alla quale anche Mosè ha dovuto arrendersi, essa può ritrovare in Cristo la verità che le spetta. Infatti, con Cristo appare nel mondo lo sposo per eccellenza che può, in quanto « secondo » e « ultimo Adamo », salvare e ristabilire la vera coniugalità che Dio non cessa di volere per il bene del « primo ».

6. Gesù rinnovatore della primordiale verità della coppia

Interpretando la prescrizione mosaica sul divorzio come un risultato storico derivato dalla « durezza del cuore », Gesù osa presentarsi come rinnovatore deciso della verità primordiale della coppia. Nel suo potere di amare senza limiti e di realizzare con la sua vita, morte e risurrezione, un’unione senza pari con l’umanità intera, Gesù ritrova il vero significato della parola della Genesi: « quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi » (Mt 19, 6). Per lui, d’ora in poi, l’uomo e la donna possono amarsi nel modo che Dio da sempre vuole che facciano, poiché in Gesù si manifesta la stessa sorgente dell’amore che è il fondamento del regno. Così il Cristo riconduce tutte le coppie del mondo alla purezza iniziale dell’amore promesso; abolisce la prescrizione che aveva creduto un dovere ratificare la propria miseria, non potendo eliminarne la causa. Nella concezione di Gesù, la coppia iniziale ritorna ad essere quello che era stata sempre agli occhi di Dio: la coppia profetica in cui Dio rivela l’amore coniugale cui l’umanità aspira e per il quale essa è fatta, ma che essa non può raggiungere, se non in colui che insegna agli uomini che cosa sia l’amore. Da allora, l’amore che rimane fedele, la coniugalità che « la durezza » dei nostri cuori » riduce a un sogno impossibile, ritrova in Gesù uno stato che solo lui, in quanto ultimo Adamo e sposo per eccellenza, ha il potere di comunicargli nuovamente.

7. La sacramentalità del matrimonio evidente nella fede

La sacramentalità del matrimonio cristiano diventa allora una evidenza per la fede. Poiché i battezzati fanno parte visibilmente del corpo di Cristo che è la chiesa, Cristo attira dietro di sé il loro amore coniugale per comunicargli la verità umana di cui, al di fuori di lui, questo amore è privo. Egli lo fa mediante lo Spirito, in forza del potere che ha come secondo e ultimo Adamo, di assumersi e di far giungere a compimento la coniugalità del primo Adamo. Lo compie anche in conformità alla visibilità della chiesa, in cui l’amore coniugale, consacrato al Signore, diventa un sacramento. Nel cuore della chiesa, gli sposi attestano che s’impegnano nella vita coniugale attendendo da Cristo la forza di attuare questa forma d’amore che, senza di lui, è esposta al pericolo. In questa maniera, il mistero caratteristico di Cristo come sposo della chiesa, s’irradia e può irradiarsi sulle coppie che gli sono consacrate. Il loro amore coniugale viene così approfondito e non svilito, perché è riferito all’amore di Cristo che li sostiene e li fonde. La speciale effusione dello Spirito che è propria del sacramento, fa sì che l’amore di queste coppie diventi l’immagine stessa dell’amore che Cristo ha per la chiesa. Tuttavia, questa effusione costante dello Spirito non dispensa mai le coppie di cristiani dalle condizioni umane della fedeltà, perché mai il mistero del secondo Adamo sopprime o sostituisce in qualcosa la realtà del primo.

8. Il matrimonio civile

Ne deriva la conseguenza che non si può realizzare l’entrata nel matrimonio cristiano solo attraverso il riconoscimento di un diritto puramente « naturale » circa il matrimonio, qualunque sia il valore religioso che a questo diritto si riconosca o possieda realmente. Infatti nessun diritto naturale può avere la forza, di per se stesso, di realizzare il contenuto di un sacramento cristiano.

Se lo si pretendesse nel caso del matrimonio, si finirebbe per falsare il significato del sacramento il cui scopo è quello di consacrare a Cristo l’amore degli sposi battezzati, affinché sviluppi in loro gli effetti trasformati del suo mistero. Perciò, mentre gli stati considerano il matrimonio civile come un atto sufficiente per fondare, dal punto di vista sociale, la comunità coniugale, la chiesa invece, senza negare a questo matrimonio ogni valore per i non battezzati, contesta che esso possa mai bastare per i battezzati.

Per loro va bene solo il matrimonio sacramento, che suppone da parte dei futuri sposi la volontà di consacrare a Cristo un amore il cui valore umano dipende, in ultima analisi, dall’amore che Cristo ha per noi e ci comunica. Ne consegue che l’identità del sacramento e del « contratto », su cui il magistero apostolico si è formalmente impegnato nel XIX secolo, dev’essere intesa in modo tale che rispetti veramente il mistero del Cristo e la vita dei cristiani.

9. Contratto e sacramento

L’atto di alleanza coniugale, spesso chiamato contratto, che raggiunge la realtà di sacramento quando si tratta di sposi cristiani, non si stabilisce come semplice effetto giuridico del battesimo.

Per il fatto che la promessa coniugale di una cristiana e di un cristiano è un vero sacramento, tocca la loro identità cristiana, che viene assunta da loro a livello dell’amore che si giurano in Cristo. Mentre il loro patto coniugale li dona l’una all’altro, li consacra anche a colui che è lo sposo per eccellenza e che insegnerà a loro diventare anch’essi dei coniugi realizzati. Il mistero personale di Cristo penetra, quindi, dall’interno la natura di patto umano o di « contratto ».

Esso diventa sacramento solo se i futuri sposi accettano di entrare nella vita coniugale passando attraverso Cristo al quale, mediante il battesimo, sono incorporati. La loro libera adesione al mistero del Cristo è talmente essenziale alla natura del sacramento che la chiesa vuole assicurarsi, attraverso il ministero del presbitero, circa l’autenticità cristiana del loro impegno. Quindi l’alleanza coniugale umana non diventa sacramento in forza di uno statuto giuridico, efficace per se stesso indipendentemente da ogni adesione liberamente data al battesimo. Lo diventa invece in virtù del carattere pubblicamente cristiano che comporta nel suo intimo l’impegno reciproco e che, inoltre, permette di stabilire in quale senso gli sposi stessi sono ministri del sacramento.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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