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Eucaristia piccolo catechismo eucaristico di mons. Luciano Pascucci

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2017 14:20
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19/04/2017 13:51
 
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Il saluto

Il sacerdote, che rappresenta Cristo in persona, inizia il dialogo con l’assemblea e ‘annunzia alla comunità riunita la presenza del Signore’. Il saluto iniziale è il primo elemento che ci porta a sottolineare il mistero della presenza di Dio che si attua quando “due o più” sono riuniti nel nome del Signore.
Il saluto può essere prolungato da una monizione. Questa non dà spiegazioni, ma introduce i fedeli nello spirito della celebrazione ed eventualmente anche all’atto penitenziale che segue.
Deve essere breve e preparata bene per creare fin dall’inizio tra celebrante e fedeli un clima di fraterna comunione che deve caratterizzare tutta la celebrazione.
Durante il saluto il sacerdote allarga le braccia e le richiude. Il gesto ‘afferra’, per così dire, il Signore per offrirlo ai fedeli.
- Con questo saluto si capisce chiaramente che non è il sacerdote a presiedere la Messa, ma che è Cristo in persona, presente in mezzo a noi.
- Il saluto del celebrante mette in risalto quella dimensione di accoglienza che deve caratterizzare tutta la celebrazione


1. Il Signore sia con voi!

Così il sacerdote saluta la sua comunità. Un saluto è sempre legato alla situazione. Un saluto profano (come ‘buon giorno’) all’inizio della sacra assemblea del popolo di Dio non è appropriato alla circostanza. La versione del saluto contiene un augurio di benedizione. L’originale latino e greco contiene la constatazione di un dato di fatto. Si dovrebbe correttamente tradurre: ‘Il Signore è (sta) con voi!’. Con il ‘Signore’ si intende Gesù Cristo, il supremo Kyrios, il Figlio di Dio. Il saluto è cristologico. Il Signore è con voi per pregare con voi! Se la formula di saluto si presenta sotto forma di augurio (il Signore sia con voi), ciò significa che si implora, davanti a Dio, la realizzazione della promessa fatta da Gesù.

2. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi.

Questa seconda forma di saluto colpisce per la formulazione trinitaria. Dopo quel piccolo inno trinitario che è il segno della croce, viene ora di nuovo pronunciata una formula trinitaria. Essa rimanda al termine, alla mèta e allo scopo finale della celebrazione presente. Grazia, amore e comunione del Dio uno e trino devono restare con l’uomo quando egli torna a casa. ‘Con tutti voi’ dà al saluto un’ampiezza maggiore, che corrisponde alle braccia aperte del celebrante. Tutti i presenti, anche quelli spiritualmente assenti, anche coloro che non si sono ancora aperti, anche quelli che forse non accettano del tutto il celebrante, tutti sono benvenuti, tutti sono compresi nell’abbraccio.

3. La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi.

Il saluto ‘Grazia e pace’, qualche volta ampliato con ‘misericordia’ è il normale inizio di tutte le lettere paoline e di Pietro, e patrimonio dello stile epistolare cristiano. ‘Grazia e pace’ viene tradotto ottimamente dal saluto francescano ‘Pace e bene’. Grazia e pace sono i doni essenziali di Dio. La grazia è il perdono, la benevolenza, la bellezza di Dio che si schiude a noi. La pace è ciò che consegue da questo, la tranquillità e l’ordine interiore in ogni uomo, fra gli uomini e dell’uomo con Dio.

4. E con il tuo spirito!

E’ la risposta dell’assemblea al saluto del celebrante. Al celebrante consacrato viene augurato che la presenza del Signore lo rafforzi nella grazia spiritualmente feconda della consacrazione. Come dire: “Lo Spirito Santo che ti è stato dato il giorno della tua ordinazione sia con te e agisca in te, perché adempia bene il tuo ruolo di sacerdote”. L’assemblea indica con questa risposta la propria adesione al Signore e il desiderio di ricambiare il suo amore. Per cui Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata.

Fin dall’inizio della Messa ci si trova così avvolti nella presenza del Signore, che è luce, amore, grazia, pace, pazienza, benevolenza; è tutto quello che c’è di più bello, di più santo, di più desiderabile per creare comunione ed essere un riflesso della SS. Trinità.


d. L’atto penitenziale

La presenza di Cristo in mezzo a noi nella celebrazione eucaristica è fonte di continuo rinnovamento di vita. In questo senso la celebrazione eucaristica è la scuola più efficace per prendere coscienza della nostra condizione di peccatori. Nell’atto penitenziale celebriamo una duplice storia: la storia della fedeltà di Dio (Cristo/Signore…) e la storia della nostra infedeltà (abbi pietà di noi…).
Dietro invito del celebrante-presidente si compie tutti insieme l’atto penitenziale. E’ composto di quattro elementi:
1. Invito all’atto penitenziale riservato al celebrante.
2. Pausa di silenzio. E’ simbolo della presenza dello Spirito che ci fa consapevoli del nostro peccato e della misericordia del Padre..
3. Confessione generale.
4. Preghiera di assoluzione del sacerdote. Questo atto sottolinea un’esigenza di fondo: per accostarsi al Dio tre volte Santo è necessaria la purificazione interiore del cuore, ci vuole il sacrificio del ‘cuore contrito’, che scava nell’intimo lo spazio vitale per la grazia di Cristo. Solo questo ci rende atti a ‘celebrare i santi misteri’. Ci fa sentire più acuto il bisogno di essere salvati mediante l’innesto nel sacrificio di Cristo. L’atto penitenziale, pur non avendo valore di sacramento, ha una sua vera efficacia di perdono. E’ un sacramentale che rimette i peccati veniali a coloro che sono veramente pentiti.
- Ordinariamente per il perdono dei peccati gravi è richiesta la confessione sacramentale, come anche per rinnovare la grazia del sacramento stesso. Questo non vuol dire che è necessario confessarsi sempre prima di ogni Messa, se non ci sono peccati gravi. Per celebrare il Sacramento della Penitenza con calma e con dignità è sempre consigliabile farlo al di fuori della celebrazione eucaristica.

La forma più usata di preghiera penitenziale è il Confiteor. Davanti alla giustizia di Dio e degli uomini ci riconosciamo colpevoli; la colpa, non solo è la cosa più umana per gli uomini, ma anche la cosa più individuale per l’individuo. Per questo si dice: ‘Confesso che ho…’ L’accento sull’Io durante la preghiera comunitaria sottolinea il fatto che con una colpa personale noi feriamo non solamente il nostro cuore, ma anche la comunità, recando danno alla chiesa tutta.
Confesso di aver molto (nimis) peccato! Ogni colpa è troppo di fronte alla grazia di Dio, al bisogno del fratello, al compito di ciascuno. La più grande colpa sarebbe dire: ‘Non vedo alcuna colpa, non so che cosa devo confessare!’. Allora diviene colpa anche la mancanza di discernimento (cf. 1Gv 1,8).
Pensieri: nei pensieri c’è la radice stessa del peccato, perché si annida la superbia e si nasconde soprattutto l’insidia del maligno con i suoi cattivi suggerimenti. La purificazione dei pensieri perciò sta alla base della conversione.
Ai pensieri seguono le parole. Se si pensa male, le parole che ne derivano non possono che essere cattive, false e oltraggiose.
Alle parole seguono le opere, gli atti concreti e anche gli atteggiamenti che feriscono il prossimo e offendono Dio stesso.
Sono da considerare peccati pure le omissioni, ossia il non compiere il bene che si deve e si può fare: anzitutto il dovere specifico della propria condizione. Trascurare di fare il bene solo perché non rientra nei nostri stretti doveri è peccato di omissione.
Durante il Confiteor ci si batte il petto. La narrazione della morte di Gesù ci indica: “Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornarono percuotendosi il petto” (Lc 23,48). Con la Messa noi celebriamo la morte del Signore!
Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa…Quanto è importante compiere bene questo gesto! Esso ci insegna proprio a non puntare mai il dito sugli altri, a non caricare mai gli altri delle responsabilità dei nostri peccati. Senza finzioni, senza maschere o giustificazioni riconosciamo la nostra condizione di peccatori.
L’ultimo elemento dell’atto di penitenza è la supplica per il perdono. (Dio Onnipotente abbia misericordia di noi…). E’ bene chiarire che non si tratta di un’assoluzione nel senso del sacramento della Riconciliazione.

- “Perciò, chiunque mangia il pane e beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva del calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,27-31). L’apostolo Paolo sembra dire alla comunità: “Guardate che ciò che fate coinvolge responsabilmente la vostra vita e rischia di coinvolgerla irreparabilmente se lo fate con leggerezza! L’indegnità a cui Paolo si riferisce, è soprattutto l’indegnità morale, un comportamento contrastante con il significato dell’Eucaristia che è comunione, amore, unità. L’indegnità è, in concreto, la divisione nella comunità.
L’indegnità radicale è l’autosufficienza. E’ la disattenzione, la superficialità da cui discende in modo ovvio di prendere tutto come viene, quasi fosse dovuto.
Il peccato fondamentale che va combattuto, perché è come un tarlo che corrode lo stile eucaristico della comunità, è la pretesa di ovvietà. Ed è la stessa che abbiamo rispetto alla Parola di Dio, parola che già crediamo di sapere, di conoscere, di aver sentito tante volte. La vera indegnità è di ritenersi degni, di ridurre il dono a dovuto, la grazia a debito, l’amore a calcolo. L’atteggiamento eucaristico è quello di Elisabetta che dice a Maria: “A che cosa devo che la Madre del Signore venga da me?” o quello del centurione romano, che dice a Gesù: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto!” o di Giovanni Battista, che dice di Gesù: “Io non sono degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali!”.
La presunzione di credersi degni dell’Eucaristia apre la porta ad una sufficienza che rende l’Eucaristia poco efficace, perché non la si vede più come dono incredibile, infinitamente grande e immenso di Dio di fronte al quale dobbiamo cadere in riconoscente adorazione.

- “Non dite che non ne siete degni. E’ vero: non ne siete degni, ma ne avete bisogno” (Il S. Curato d’Ars). Vista la nostra incoerenza a vivere il Vangelo sarebbe sbagliato concludere: “Allora è meglio non comunicarsi!”. Del resto dove attingeremmo l’amore che il Signore ci chiede se egli non ci donasse dapprima il suo?
- L’atto penitenziale e le tante altre parti penitenziali della Messa mettono in risalto l’importantissima dimensione penitenziale della Messa.


e. Signore, pietà e Gloria

Kyrie, eleison: è la grande giaculatoria del culto del dio Sole, forse la forma più ardente dell’antica religiosità pagana. Quando un trionfatore percorreva la Via Sacra lungo il Foro Romano verso il Campidoglio, lo si acclamava da ogni parte, dai soldati e dalla folla, con innumerevoli litanie: Kyrie, eleison!
Si tratta di un’autentica supplica, di un lamento da mendicante, di un’implorazione di perdono del peccatore. L’implorazione è in sé lode di colui al quale essa si rivolge; la supplica esprime la fiducia nella bontà e nella potenza del supplicato. Il Kyrie quindi rimane lode anche se è implorazione, anzi proprio perché è implorazione. La migliore interpretazione del Kyrie la dà il successivo ‘Gloria’, il quale loda e implora nello stesso tempo.
Il Kyrios al quale si rivolge il Kyrie è Cristo. Il destinatario di questa preghiera è e rimane Cristo. Il Kyrie è un canto perché Cristo manifesti la sua intercessione presso il Padre.
Questo grido all’inizio dell’Eucaristia esprime il nostro desiderio di tornare a casa.

Gloria: è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata dallo Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. E’ un inno trinitario.
- Il primo movimento di questa sinfonia si chiama trionfo romano (Canto del trionfo). Il Gloria ha origine dalle acclamazioni che, col Kyrie eleison, venivano levate da diversi cori e gruppi durante il corteo trionfale di un vincitore lungo la Via Sacra verso il tempio di Giove Capitolino. Da una parte si canta ‘Laudamus te’, dall’altra un drappello intona ‘Benedicimus te’, più oltre un gruppo ‘Adoramus te’…: è un echeggiare e un cantare, alla maniera di squilli di tromba e rulli di tamburo.
- Il secondo movimento si chiama: canto mattutino. Il Gloria ha origine da un canto mattutino paleocristiano. Già nelle lettere paoline è riconoscibile il tipo di canto che il cristiano ha portato nel mondo. E’ significativo che esso sia posto fra i riti iniziali della Messa domenicale, allo spuntare del sole dell’Eucaristia.
- Il terzo movimento si chiama canto pasquale. Il canto mattutino del Gloria occupa il suo posto liturgico di primissimo piano durante la veglia pasquale. Nondimeno il carattere pasquale del Gloria rimane visibile, poiché ogni domenica è una Pasqua settimanale, ogni festa in onore di un martire è festa di risurrezione. Canto pasquale per il banchetto del Signore.
Ciò che colpisce apertamente nel Gloria è il suo carattere gioioso. E’ pieno di vivacità, mette il cuore in festa, dà il tono a tutta la Messa.


f. Colletta

Con la colletta, questi riti trovano il loro culmine e la loro conclusione. Essa ha lo scopo di raccogliere, riassumere (probabilmente dal latino colligere) le aspirazioni e le preghiere che sono nel cuore dei fedeli in una formula comunitaria, in cui viene espressa ‘l’indole della celebrazione’: si crea così il clima spirituale in cui ognuno è chiamato ad entrare.
E’ una preghiera in sintonia con il messaggio offerto dalla liturgia della Parola, verso la quale orienta e di cui frequentemente è la sintesi. La sua funzione è proprio quella di aiutare i fedeli ad accostarsi alla Parola di Dio cogliendone l’ispirazione globale e profonda, per interiorizzarla e custodirla nel cuore.
L’orazione ha tre parti:
- Il primo elemento è l’introduzione, il breve invito “Oremus-preghiamo”. Il sacerdote dice esortando, convincendo, con entusiasmo, coinvolgendo anche se stesso: ‘Preghiamo’.
- La seconda parte non viene detta: è in silenzio. Rivela l’agire dello Spirito, che anima l’assemblea all’orazione; serve per prendere coscienza di essere alla presenza del Signore e per poter formulare nel proprio cuore la preghiera personale e non formulata.
- La terza parte è l’orazione vera e propria. Oratio significa discorso celebrativo.
Questa è la tripartizione dell’orazione: allocuzione, formula di preghiera, augurio.
Il primo elemento dell’orazione contiene una memoria, un ricordo delle gesta e del volere di Dio.
Il secondo elemento denota l’umile atteggiamento orante di chi supplica; occasionalmente esso è costituito anche da una sola parola: per esempio, quaesumus (preghiamo, di grazia, per favore).
Il terzo elemento annuncia ciò che ci auguriamo.
Orazione non significa preghiera, ma discorso. Essa è una preghiera sotto forma di discorso, discorso poetico, solenne con Dio, discorso sotto forma di preghiera. Chi è che tiene il discorso? Visto esteriormente è il presbitero, colui che presiede l’assemblea sacra del popolo di Dio. Tuttavia il presbitero parla solo come rappresentante di un altro che lo ha eletto a suo strumento: il vero oratore è Cristo. E’ Cristo che tiene il discorso! Lo si capisce anche dalle braccia allargate del sacerdote che lo rappresenta. Esse ricordano le braccia stese e inchiodate del Crocifisso, con le quali egli vuole abbracciare tutti. Egli è sempre vivo per intercedere a nostro favore (cf. Eb 7,25). Chi tiene il discorso è Cristo. Egli parla sotto forma di preghiera al popolo che ha condotto di fronte al Padre. Queste preghiere si distinguono per brevità, chiarezza e concisione.
Sono quasi sempre rivolte “ad Patrem per Filium in Spiritu Sancto”, secondo le linee fondamentali della preghiera cristiana e dell’economia della salvezza che per Cristo e nello Spirito Santo ci conduce al Padre.
La Chiesarivolge la sua orazione a Dio in Cristo, in sintonia con la sua sensibilità per essere sempre e solo nella volontà del Padre. Così il nostro pregare entra nello stretto rapporto che qualifica la reciproca relazione Padre-Figlio. Il Padre e il Figlio nello Spirito sono i protagonisti della nostra preghiera.
L’Amen conclusivo proclamato da tutta l’assemblea è segno di adesione alla preghiera fatta dal celebrante a nome di tutti.

Dopo questi riti e preghiere, gli animi dei fedeli sono disposti all’ascolto della Parola di Dio e alla celebrazione della Cena del Signore.

  LITURGIA DELLA PAROLA


La liturgia della Parola proclama il disegno di Dio sul cosmo e sull’umanità e quindi interpreta nel modo più ricco il senso dell’eucaristia. Per questo il massimo di attuazione della parola è, naturalmente quello che si compie nella celebrazione dell’Eucaristia. Ogni assemblea liturgica rappresenta il luogo privilegiato della proclamazione della Parola, poiché in essa godiamo della potenza sacramentale del Risorto. Il motivo è evidente. L’Eucaristia contiene, nel sacramento del pane e del vino, il gesto supremo di amore con cui Gesù ha donato la sua vita per noi, si è chinato a lavare i nostri piedi, ci ha riconciliato al Padre, ha stabilito la nuova ed eterna alleanza. In questo senso l’Eucaristia contiene tutto il senso della Bibbia, anzi tutto il senso del cosmo. La Bibbia non fa altro che esprimere attraverso una lunga narrazione e una molteplicità di parole quello che la croce di Gesù dice in un unico, totale gesto di amore. Per questo, quando la Parola di Dio viene annunciata nell’Eucaristia, essa possiede il massimo di forza, comunica l’energia dell’amore di Dio, muove alla conversione e rigenera alla vita nuova, che è appunto vita in Cristo.’Rigenerati non da un seme corruttibile, ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna’ (1 Pt 1,23).
La Chiesaè stata definita anche come ‘una comunità in ascolto’. Il nuovo popolo di Dio è chiamato ad ascoltare Cristo: è lui infatti, presente, che parla al suo popolo quando nella Chiesa si leggono le Scritture (cf. SC 7). Deve accoglierne le parole e rispondergli con la preghiera e col canto. Gesù Cristo non è presente solo nella forma sacramentale, ma anche nella celebrazione della Parola di Dio. Questo vale soprattutto per il Vangelo.
Non si tratta, dunque, di leggere semplicemente un brano della Bibbia, ma di “celebrare”, cioè di accogliere con stupore, gioia, riconoscenza, docilità, fede, la parola che al Signore piace inviarci.
La liturgia della Parola è un evento, qualcosa che succede. L’essenziale è che appaia quello che avviene: il Signore ha convocato la sua comunità e instaura con essa un dialogo di comunione e di amore.
La percezione della presenza del Signore si dimostra soprattutto nel modo con cui la Parola di Dio viene proclamata dal lettore e nell’attenzione con cui viene da tutti ascoltata.

I lettori siano veramente idonei e seriamente preparati. Pertanto un bambino-lettore, per la sua incapacità a comprendere e a proclamare in modo dignitoso e comprensibile, non è un buon servizio reso alla Parola di Dio e alla comunità che la deve ascoltare. Si preferisce parlare di “proclamazione” anziché di “lettura” delle lezioni. Il termine “proclamazione” implica una particolare densità di significato. La parola di Dio, proclamata nell’assemblea liturgica, è attuale comunicazione di un messaggio di Dio alla comunità e ai singoli. E’ Dio stesso che parla per bocca del suo ministro per rinnovare l’alleanza con il suo popolo. Il lettore deve, dunque, annunciare con chiarezza e semplicità. La chiarezza è fondamentale. Chi ascolta deve poter capire bene quanto viene annunciato. Per questo non vanno bene lettori improvvisati; chi legge, se vuole leggere bene, dando il senso corretto alle parole e il ritmo corretto alle frasi, deve conoscere bene il testo, averlo letto più volte a voce alta, articolando i suoni. Deve sapere, il lettore, che Dio parla all’assemblea attraverso la sua voce, ma questo richiede necessariamente che l’assemblea capisca quanto viene letto.
Qualcuno potrebbe pensare che, siccome è Dio stesso che parla attraverso la voce del lettore, la lettura debba avere qualcosa di enfatico che ne sottolinei la forza. E’ vero il contrario. Ogni enfasi attira l’attenzione sul lettore che diventa in qualche modo attore. Ma nella liturgia della parola il lettore è solo strumento; quindi deve essere evitata accuratamente ogni drammatizzazione impropria perché appaia in tutto il suo splendore la parola stessa.

I fogli volanti sono in contraddizione con l’atteggiamento dell’assemblea e con la natura comunitaria della celebrazione. Mediante l’ascolto l’assemblea manifesta l’attitudine fondamentale e permanente della Chiesa “in religioso ascolto della Parola di Dio”. E’ necessario un ascolto totale della Parola di Dio che viene proclamata; ascoltarla fissando lo sguardo su colui che parla. E’ Dio che parla! Merita che lo si ascolti veramente. Bisogna insegnare all’assemblea a seguire la liturgia della parola ascoltando (non leggendo le letture nel foglietto). Il motivo è che la lettura è personale (ciascuno legge sul suo foglietto, col suo ritmo di lettura) mentre l’ascolto è comunitario (tutti ascoltano l’unica parola che viene proclamata, che fa la Chiesa). Ora, siccome lo scopo della liturgia della parola (e di tutta la liturgia) è quello di formare un unico popolo, non ha evidentemente senso che ciascuno legga per conto suo. E’ invece pieno di significato che tutta l’assemblea, dopo aver ascoltato, esprima la sua adesione unanime alla parola udita.
In tutte le azioni liturgiche Dio parla al suo popolo; il popolo risponde a Dio con il canto e la preghiera; la parola di Dio è rivolta alla comunità, la risposta alla parola di Dio è data dalla comunità.

La dimensione dialogica caratterizza tutta la Messa, ma in particolare la liturgia della Parola.
La liturgia della parola è da considerare come la lettera d’amore che Dio ci manda, un lungo e sempre risonante discorso d’amore dello sposo alla sua sposa. Per cui se noi-chiesa siamo la sposa veramente innamorata dello Sposo (Teofilo), che è Cristo, leggiamo e rileggiamo le sue parole appassionate, senza stancarci mai. Due suggerimenti molto concreti:

- leggere e meditare le letture della domenica già prima di venire in chiesa
- venire in chiesa un po’ prima della Messa e così dispormi a questo ascolto appassionato della parola. Sarebbe un controsenso arrivare in chiesa dopo la proclamazione della parola di Dio.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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