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Eucaristia piccolo catechismo eucaristico di mons. Luciano Pascucci

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2017 14:20
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19/04/2017 13:56
 
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  a. Letture.

Il Dio in cui crediamo non è un Dio muto. Entra in contatto con gli esseri che ha creato e parla con loro. L’iniziativa deve sempre partire da lui, perché da lui viene la verità e insieme la salvezza.
Non è solo la lettura di un libro. E’ una parola viva, perché è Cristo glorioso, presente, che parla e che ci interpella. Perciò essa è ‘forza divina di salvezza’: ha la stessa forza creatrice che aveva il ‘Fiat’ della creazione, o che aveva sulla bocca di Gesù, che parlava ‘con autorità’.
La parola di Dio è rivolta direttamente a me e mi interpella. Dalle letture proclamate in chiesa non speriamo di imparare fatti nuovi sulla vita di Gesù, ma di incontrarlo.
Ogni domenica ha tre letture: dal profeta, dall’apostolo, dal vangelo. E c’è un ciclo triennale di letture. Così vengono presentate tutte le pagine centrali della Bibbia.
Ecco come si snoda concretamente questo dialogo d’amore tra Dio e il suo popolo.

Prima lettura.

All’inizio della liturgia della parola risuona la voce del “profeta”, si legge cioè un testo dell’Antico Testamento (tranne che nelle domeniche di Pasqua), che ci parla dell’azione di Dio prima della venuta di Gesù.
La Chiesaè convinta che tutto l’Antico Testamento rende testimonianza a Gesù, perché in Gesù viene portata a compimento la rivelazione di quell’amore di Dio che è il senso di tutto.
Gesù non è un meteorite apparso improvvisamente, ma piuttosto è il compimento di un lungo processo di rivelazione: la storia d’Israele come storia privilegiata di salvezza.
Al termine delle letture, i lettori dicono: “Parola di Dio”, sia per ricordare ancora che la parola proclamata non è semplice parola di uomo, ma parola di Dio, sia per indicare il termine delle lezioni e rendere più facile la successiva acclamazione del popolo: “Rendiamo grazie a Dio”. Il nostro primo rendimento di grazie che facciamo a Dio nella messa è per la Parola di Dio.
Questa acclamazione ha un doppio significato: di rendimento di grazie a Dio per il dono della sua parola, di adesione alla parola ascoltata.
Poi, dopo un attimo di silenzio, segue la proclamazione di un salmo sotto forma responsoriale. L’attimo di silenzio serve per renderci conto che non stiamo ammucchiando letture diverse, ma ci prepariamo a rispondere alla lettura che abbiamo ascoltato.


Canto o preghiera responsoriale.

Quando qualcuno ci parla, è normale rispondergli. Si può paragonare la prima lettura e il salmo ad un dialogo amoroso. Il salmo è la risposta comunitaria, il momento lirico del dialogo: quello in cui la parola nuda si rivela impotente a esprimere l’emozione di un popolo in attuale ascolto del Dio vivo. Questa risposta è attinta normalmente dalla raccolta dei Salmi e dei Cantici della Scrittura.
Rispondiamo alla parola di Dio con la stessa parola di Dio. Che la risposta sia data con un Salmo indica chiaramente l’intenzione della Chiesa: Dio stesso ci mette sulla bocca le parole di una risposta degna. Insomma, ci lasciamo coinvolgere in un dramma che ci è proposto da Dio e noi accettiamo volentieri di “entrare in gioco” nel modo in cui Dio vuole.
Questo canto ha valore in sé: non è accompagnatorio di un rito, come il canto di introito, di offertorio, di comunione. Costituisce una sosta obbligata, provocata dalla parola di Dio ascoltata, durante la quale si gode, indipendentemente da altri riti, di un momento intenso di preghiera, ora di lode, ora di ringraziamento, ora di supplica, a seconda dei casi. Il salmo responsoriale è così chiamato perché di preferenza è cantato in forma responsoriale. In tale forma di esecuzione dei salmi un cantore (il salmista), proferisce i versetti del salmo, l’assemblea intercala un ritornello (responsum), desunto generalmente dal salmo stesso.
Il salmo responsoriale è chiamato anche “graduale”, perché anticamente veniva proclamato dal cantore dai gradini (gradus) dell’ambone.
Il salmo è strettamente legato alla prima lettura; si presenta come un’eco di essa. Vuole dire che il popolo risponde a Dio riutilizzando le sue parole appena ascoltate.


Seconda lettura.

Un posto notevole è occupato nella liturgia della parola dalla lettura dell’ “apostolo”.
Presenta un passo scelto dalle lettere di S. Paolo o di un altro apostolo. Informa sul pensiero e la vita dei primi cristiani. Il messaggio degli apostoli ci aiuta a comprendere in profondità il mistero di Cristo come rivelazione del Padre, come parola di Dio fatta carne.
Paolo e gli altri autori del Nuovo Testamento sono necessari per incominciare a sondare le insondabili ricchezze di Cristo.


L’Alleluia

L’alleluia (=Lodate Dio!) accompagna la processione del Vangelo. Il versetto dell’ ”alleluia” e il versetto prima del Vangelo sono orientati alla lettura che segue, cioè al Vangelo.
Prima di tutto ci si alza in piedi, perché la lettura del Vangelo è più importante delle altre, per la grande venerazione che abbiamo per Gesù, per le sue parole e per tutto quello che ha fatto. Con l’Alleluia si acclama al Signore che ci parla attraverso il suo Vangelo. E’ come se si dicesse: “Sii lodato Dio, perché il Figlio tuo ci viene a parlare nel Vangelo! Lode a te per la gioiosa notizia del Vangelo! Lode a te per le parole di vita e di luce che stiamo per ascoltare!”. L’alleluia o il versetto prima del Vangelo, se non sono cantati, si possono tralasciare.

La processione al Vangelo è il movimento verso l’ambone (= salire sopra, piano rialzato) di colui che deve proclamare la parola del Vangelo.

  Il Vangelo.

La proclamazione del Vangelo costituisce il momento culminante e più solenne della liturgia della parola: è dato agli uomini ascoltare Cristo stesso, vederlo con gli occhi della fede. E’ il nostro Maestro ed è a lui che si rivolge tutta la nostra attenzione perché ci insegna la verità. La stessa Liturgia insegna che si deve dare ad essa massima venerazione e la distingue dalle altre letture in modo particolare: il ministro incaricato di proclamarla si prepara con la benedizione o con la preghiera.
S’inizia con un piccolo dialogo: “Il Signore sia con voi!” “E con il tuo Spirito” “Dal vangelo secondo…” “Gloria a te, o Signore”. Serve, questo dialogo, a “svegliare la comunità” e renderla consapevole di quanto sta avvenendo.

Dopo essere stato deposto sull’ambone, il libro dei vangeli (evangeliario) può essere onorato con una incensazione.
Nelle celebrazioni più solenni viene usato anche l’incenso, che manifesta e rivela nello stesso tempo; manifesta che siamo di fronte ad un’esperienza che ci supera: da una parte vediamo e ascoltiamo, ma nello stesso tempo quello che accade è più di quanto gli occhi possano registrare o gli orecchi percepire. La nube dell’incenso allude al mistero. Nello stesso tempo l’incenso avvolge di profumo l’ambone, il libro e il lettore. C’è un profumo di vita nella parola di Dio, il profumo che definisce la conoscenza di Dio e del suo Figlio.

Chi proclama il Vangelo (sacerdote o diacono), con il piccolo segno di croce tracciato sul libro dei Vangeli, indica che la sorgente dell’efficacia della proclamazione del Vangelo è Cristo stesso presente nel Vangelo.
Con il triplice segno di croce fatto sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, domandiamo che le parole del Vangelo ci invadano completamente e piantino solide radici nella nostra intelligenza e nel nostro cuore. Domandiamo anche che la nostra intelligenza sia illuminata per comprendere bene e il nostro cuore sia riscaldato per accogliere degnamente queste parole. Con questo segno vogliamo, a fronte alta, farci garanti della parola che Cristo ci ha portato e che è consegnata in questo libro, confessarla con la nostra bocca e soprattutto conservarla fedelmente nel cuore.
Le acclamazioni: una all’inizio della proclamazione del Vangelo, “Gloria a te, o Signore” e una alla fine “Lode a te, o Cristo”, dopo che chi proclama il Vangelo ha detto: “Parola del Signore” sono un rinnovato atto di fede a Cristo che si rende presente durante la proclamazione del Vangelo. “Parola del Signore” “Lode a te, o Cristo!”. Il senso di questa espressione non è: “Parola che il Signore ha pronunciato o vissuto duemila anni fa e che oggi viene da noi ripresa”, ma piuttosto: “Parola che il Signore risorto rivolge oggi alla sua comunità qui raccolta per illuminarla e correggerla, purificarla e muoverla all’amore”.
Nella dimensione dell’amore rientra il bacio che viene dato sul Vangelo dopo il suo annuncio. Il bacio è il ringraziamento per la Parola.

- La parola ‘vangelo’ significa ‘bella notizia’. Per cui: se non ascoltiamo quello che viene letto come se fosse una bella notizia, allora non l’ascoltiamo bene. E’ solo se ascoltiamo tutto, persino il Giudizio Universale, come una buona notizia, per la quale ringraziamo, che abbiamo ascoltato il Vangelo come se fosse Parola di Dio.


L’omelia

L’omelia (conversazione, colloquio, trattenimento familiare) commenta la Parola, la adatta alle situazione degli ascoltatori, li aiuta ad accoglierla e ad ‘entrare’ pienamente nella celebrazione. L’omelia serve a portare il Vangelo al cuore della gente, a scaldare il cuore di chi ascolta, perché cambi il loro cuore.
L’annuncio fatto nell’omelia deve aiutare a trasformare l’ascolto della Parola in accoglienza della Parola. E’ parte integrante della Messa e spetta al celebrante come tale.
L’omelia non è un’interruzione del corso della Messa per insegnare qualcosa; è invece un elemento integrante della Messa stessa che permette di vivere con il massimo di attualità quanto viene proclamato. Arte del predicatore sarebbe riuscire a unire in modo armonico la Parola che è stata annunciata con la Liturgia che si celebra e con l’Assemblea concreta che è presente.
Un’omelia è “riuscita” quando ha aiutato l’assemblea a celebrare bene; e celebrare bene significa lasciare che la propria vita concreta – famiglia, lavoro, amicizia, pensieri, desideri, decisioni – venga toccata dal mistero di Cristo e ne esca rinnovata, convertita. L’omelia deve aprire alla speranza. Un predicatore vero non è tanto quello che coltiva i buoni sentimenti della gente, ma colui che inquieta le coscienze. “All’udire tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro: ‘Che cosa dobbiamo fare, fratelli?” (At 2,37).
Deve avvenire quanto S. Agostino poneva come obiettivo del catechista chiamato ad annunciare ai principianti il cuore del vangelo: “Attraverso l’annuncio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami”. Per parlare efficacemente bisogna avere qualcosa da dire; poi dirlo con chiarezza; e, una volta detto, tacere.
Questa regola si adatta benissimo anche all’omelia: deve avere qualcosa da comunicare, essere chiara, non trascinarsi inutilmente in fiumi di parole. Il compito principale del predicatore è aiutarci a scoprire in ogni testo una fonte di gioia.
L’omelia dovrà avere il calore di un Vangelo, cioè di un lieto annuncio: quel calore che aveva la Maddalena quando andò ad annunciare agli apostoli, col fiato mozzato, che aveva visto il Signore Risorto.


b. Riflessione e preghiera silenziosa.

Non è imposta, ma è raccomandata. E’ il momento personale e meditativo della risposta: una libera effusione dell’anima. Questa pausa di silenzio è necessaria perché la parola proclamata penetri in profondità e acquisti efficacia.
La parola di Dio nasce dal silenzio. La fretta, guardare continuamente l’orologio, non aiuta i fedeli a vivere l’incontro personale con Dio: l’uomo infatti ha bisogno di silenzio per cogliere quelle voci che solo nel raccoglimento diventano fonte di luce, di sapienza, di gaudio interiore dello spirito. Dobbiamo imparare a riempire gli spazi di silenzio con lo stare alla presenza di Dio e con il dialogo intenso e personale con lui. Un silenzio abitato, un silenzio eloquente, un silenzio che non deve essere riempito da movimenti del corpo, della testa, degli occhi, ma dalla lode e dalla quiete. A volte ci sono silenzi impazienti che sono peggio del rumore.
Per una celebrazione degna e fruttuosa devono essere assicurati i tempi di silenzio previsti:
- prima dell’inizio della Messa
- all’atto penitenziale
- dopo la liturgia della Parola
- dopo la comunione

c. Il Credo

E’ un ‘sì’ gridato con gioia a Dio. Esprime l’adesione alla Parola ascoltata. La Parola di Dio seminata nel nostro cuore ottiene frutti e ci orienta ad abbandonare i nostri pensieri e a vivere i pensieri di Dio. Dobbiamo avere il coraggio di schierarci. Recitare il Credo è da coraggiosi.
Dopo ‘l’ascolto della fede’, ‘l’obbedienza della fede’, che prepara al sacrificio, la cui anima è un atto di suprema obbedienza al Padre. Durante il “Credo” i fedeli stanno in piedi, volendo con questo atteggiamento, esprimere l’ardore e la fermezza della loro fede. Si inchinano profondamente alle parole “e per opera dello Spirito Santo…”. La professione di fede è un’adesione esplicita a Dio che è Trinità; Lui è il termine della nostra fede, alla quale la Chiesa ci educa.



d. La preghiera universale o dei fedeli

Fa da cerniera, conclude la prima parte della celebrazione e introduce alla seconda. Il suo carattere è appunto l’universalità. E’ una sollecita attenzione alle necessità locali, che pastore e gregge devono guardare insieme: ma ciò che va contemperato con le esigenze della Chiesa universale e di tutto il mondo. La successione delle intenzioni è ordinariamente questa:

Per le necessità della Chiesa.
Per i governanti e la salvezza di tutto il mondo.
Per tutti quelli che si trovano in particolari necessità.
Per la comunità locale.

Queste intenzioni si possono adattare e anche completare con l’aggiunta di intenzioni particolari alla concreta assemblea.
E’ detta anche “preghiera dei fedeli”, perché è stata riservata dalla tradizione ai battezzati. Essi, dopo essere stati nutriti dalla parola di Dio, facendo eco ad essa, ed esercitando il loro sacerdozio battesimale, pregano per l’intera umanità. E’ il momento di lasciar battere il nostro cuore secondo le dimensioni dell’universo, di essere sensibili verso le sofferenze, le pene, le speranze di tutti gli uomini. E’ segno di carità anche pregare per gli altri.
Con la preghiera dei fedeli portiamo tutto il mondo dentro la Messa. E’ il momento di implorare Dio perché si mostri buono e generoso verso tutti. Con questo intervento l’assemblea intende esprimere la propria partecipazione alla preghiera di Cristo che “risorto sta alla destra di Dio e intercede per noi” (Rm 8,34). Infatti cos’è la preghiera dei fedeli se non l’espressione dell’amore stesso di Cristo per tutti gli uomini?

La dimensione di intercessione che caratterizza tutta la celebrazione eucaristica, è presente in particolare nella preghiera dei fedeli.
E’ una preghiera che può facilmente scadere e prestarsi ad abusi. Le intenzioni di preghiera siano intenzioni di preghiera, non piccole omelie, non trattati teologici, non sfoghi personali.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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