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Con Gesù davanti all'Eucarestia

Ultimo Aggiornamento: 11/02/2011 12:31
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02/12/2009 17:10
 
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Parrocchia Nostra Signora del SS. Sacramento

Roma, 19 Dicembre 2004



di padre Raniero Cantalamessa

Pericoloso cominciare con il pronome “Egli”... Egli è … l’Eucaristia è.. perché significherebbe parlare di un assente mentre nell’Eucaristia specialmente quando si è in chiesa si può parlare solo tremando sapendo che Colui di cui parliamo è qui.

E credo che forse la lezione fondamentale di questo incontro sia solo prendere atto della verità di questa cosa.

Egli è qui! [SM=g1740752] Come quando Gesù resuscitato appariva alla gente alla Maddalena, ai discepoli, sul lago di Tiberiade, e per un po di tempo erano come voi adesso entrando qui, cioè un po’ svagati, distratti, non concentrati, deconcentrati. Però ci fu un momento misterioso per Maria Maddalena fu quando Gesù pronunciò il suo nome “Maria”. E si accendeva una luce e si riconosceva colui davanti al quale si stava allora Maria Maddalena smette di piangere, corre e il mondo è cambiato. E così i discepoli sulla barca quando Giovanni disse “E’ il Signore”, quello là è il Signore.. sapete che Pietro si gettò in acqua e il mondo cambia. Così per noi quando parliamo dell’Eucaristia dovrebbe avvenire qualcosa del genere un momento in cui prendiamo coscienza che è lui il signore è qui.



Nell’indire l’anno dell’Eucaristia il Papa nella lettera enciclica “Ecclesia de Eucaristia” mette in rilievo uno scopo che mi ha colpito molto, dice che questo anno dovrebbe servire a ridestare lo stupore eucaristico. Cosa vuole dire questo? Vuole dire che questo anno dovrebbe servire ad accorgerci a non dare per scontato questa presenza di Gesù anche se è umile, nascosta, quotidiana come il pane, il vino. Resuscitare lo stupore di questa presenza in mezzo a noi.



Io comincio subito con una esperienza come il Signore, mi ha dato una lezione un giorno qualche tempo fa, a questo riguardo.

Veniva nella nostra chiesa una persona tutte le domeniche che mi colpiva perché stava in fondo, non faceva nessun gesto religioso, nè genuflessione, nè segno di croce, niente, però, quando c’erano le letture della messa la vedevo che stava occhi orecchi tutta attenta. Un giorno poi l’ho fermata e ho voluto vedere cosa c’era dietro. C’era dietro un intellettuale atea di quelle stratificate, proprio una grande cultura che però era in cerca della verità quindi dovunque intravedeva una scintilla, una possibilità di verità lei c’era con tutta l’anima, sono di quelle persone io credo che sono carissime a Dio perché hanno una tale sete di verità che è sete di Dio naturalmente. E allora vedendola così gli ho dato da leggere un libretto sull’Eucaristia, un mio libretto sull’Eucaristia. E dopo un pò di tempo venne e me lo restituì quasi spaventata dicendo “ma lei padre mi ha messo tra le mani non un libro ma una bomba, ma lei si rende conto di quello che ha scritto qui dentro? Che c’è Dio in mezzo a noi, che per il sangue di una persona morta duemila anni fa noi tutti siamo salvati? Ma se questo è vero allora il mondo è tutta un'altra cosa!” “lo sa..” lei mi diceva “che io l’ho letto a volte fino alle due di notte e a volte mi dovevo alzare perché mi tremavano le gambe?” E nel sentirla io provavo una grande vergogna perché io avevo ricevuto la comunione pochi minuti prima ma non mi tremavano le gambe. E lì ho capito. Tanto che nel congedarla le ho detto “lei oggi mi ha dato una bella lezione di teologia”. Io ho capito che cosa veramente proverebbe una persona che prende le cose come le prendeva lei per la quale era tutto nuovo, niente era scontato.



Ecco questo sarebbe un poco lo scopo di questo anno nell’intenzione del Papa, ridestare un pòanche in noi la capacità di stupirci, di meravigliarci colui che i cieli non possono contenere. Diceva Salomone nell’inaugurare il tempio di Gerusalemme “è mai possibile che colui che i cieli dei cieli non possono contenere si era racchiuso in questo tempio?” E se lo diceva lui che non aveva nel tempio se non questo vago senso della gloria di Dio cosa dovremmo dire noi che abbiamo la presenza reale di Dio tra noi.



Vorrei, carissimi fratelli e sorelle intrattenermi un pò con voi questa sera su un aspetto dell’Eucaristia. Perché l’Eucaristia è come un prisma che da qualunque lato arriva il raggio di luce sprigiona colori nuovi, luce nuova. E’ un pò come a volte mi sono soffermato proprio a guardare se si guarda da vicino una goccia di rugiada appesa ad una siepe in un mattino sereno di autunno, se si guarda bene in quella goccia di rugiada si riflette tutta la volta del cielo, così è l’eucaristia, in quella piccola ostia in quel frammento c’è il tutto.

Dunque dicevo un aspetto, e l’aspetto è quello che è anche più vicino a noi, quello che coinvolge di più anche i laici, cioè la comunione.

La comunione eucaristica. [SM=g1740753]

Un ateo famoso Feurbach ha detto “l’uomo è ciò che mangia” e voleva dire così che l’uomo si riduce alla sua componente organica materialistica. Ma senza saperlo come avviene spesso tra l’altro, questo ateo ha dato una magnifica definizione del mistero cristiano. Perché il mistero dell’eucaristia diceva già San Leone Magno consiste in questo di farci diventare quello che mangiamo grazie all’eucaristia noi siamo, diventiamo quello che mangiamo, cioè siamo assimilati. Un ‘idea che attraversato la migliore catechesi mistagogica della chiesa, già i padri portavano l’esempio di quello che avviene nell’alimentazione. Nell’alimentazione c’è questa legge che è il principio vitale più forte che assimila quello meno forte, quando uno si nutre dell’altro, per esempio è il vegetale che assimila il minerale non il contrario, è l’animale che assimila il vegetale, è l’animale che mangia l’erba. Quando questo principio è trasportato nel rapporto tra noi e Dio, essendo Lui il principio vitale più forte avviene che quando noi mangiamo l’ostia e apparentemente siamo noi che mangiamo e lui il cibo in realtà è Lui che assimila noi a Sé.

Sant’Agostino nelle Confessioni dice che sentiva la voce di Gesù nel cuore che gli diceva “non sarai tu che assimilerai me a te ma sarò io che assimilerò te a me”.

Vuol dire che l’eucaristia ci assimila a Gesù ma non in un senso così astratto a poco a poco cambia in noi il modo di pensare, trasforma i nostri pensieri, la nostra mentalità, i nostri gusti, i nostri giudizi a misura di quelli di Cristo che poi vuol dire quelli del Vangelo, in questo senso l’eucaristia ci assimila.

Ma con chi con che cosa entriamo in comunione noi nell’eucaristia? Qui San Paolo ha una formula breve ma esaustiva. Nella prima lettera ai Corinzi al capitolo decimo dice “il calice che noi benediciamo non è comunione con il sangue di Cristo? e il pane che noi benediciamo non è comunione con il corpo di Cristo?” Poi passa ad un versetto successivo dove ricompare la parola corpo ma in un senso diverso, dice: “poiché c’è un solo pane noi tutti che mangiamo di quell’unico pane formiamo un solo corpo”.

Allora, nel primo versetto il corpo era il corpo di Cristo, nato da Maria, morto e risorto, in questo caso, nel secondo invece è noi formiamo un solo corpo è la chiesa. E allora vedete che l’Eucaristia è comunione verticale con Dio e orizzontale con la chiesa , con i fratelli poi vedremo alcuni fratelli più degli altri in modo particolare.


Bene, allora esploriamo un pò queste due direzioni.

L’eucaristia è anzitutto comunione verticale o profonda, chiamiamola come vogliamo , le categorie di spazi qui non hanno più senso, con il corpo e il sangue di Cristo. E però qui dobbiamo fare un certo cammino catechetico che non sarà nuovo per tutti ma per molti si. Quando diciamo che riceviamo il corpo di Cristo che cosa riceviamo? Nella nostra mentalità attuale, nel nostro linguaggio, il corpo è una terza parte dell’uomo che unito all’anima e all’intelligenza forma la persona completa.

Ma nel linguaggio biblico che è quello di Gesù, di Paolo, non è questo il senso, il corpo non è una terza parte dell’uomo, è tutto l’uomo in quanto vive in una dimensione corporea. La parola “corpo”, quando Gesù dice “prendete e mangiate questo è il mio corpo” ha lo stesso senso che in Giovanni sei

quando Gesù dice “la mia carne è vero cibo”. La carne, cosa vuol dire per Giovanni la carne, non le ossa i nervi ecc, indica tutto l’uomo. Il verbo si è fatto carne vuol dire si è fatto uomo. E quando noi diciamo sangue, è chiaro, specialmente chi ha una mentalità scientifica subito pensa a un organo del corpo, quindi ad una parte di una parte dell’uomo. L’organo della circolazione.

Ma nella bibbia no il sangue per l’ebreo è la sede della vita. Per questo gli ebrei non possono neanche oggi mangiare le carni soffocate, perché contengono il sangue dentro, cioè la vita. Allora se il sangue è la sede della vita, il versamento del sangue è il segno plastico della morte.

Allora quando Gesù dice “prendete e bevete, questo è il mio sangue” o Paolo dice “il calice che noi benediciamo è comunione con il sangue di Cristo”, vuol dire con la sua morte.



E qui si apre tutto un campo, un campo vastissimo perché la comunione vuol dire che ci mette in comunione con il vissuto di Gesù, non un astrazione del corpo, con tutta la vita di Gesù nella sua dimensione che si chiamerebbe ontologica e storica lo svolgersi. Quindi dal primo momento in cui Gesù è stato concepito nel seno di Maria fino all’ultimo, con quello che ha costituito il vissuto di Gesù, il silenzio di Nazaret, la sua crescita, la sua vita di famiglia così normale a Nazaret, i suoi sudori, le sue gioie, le angosce del Getzemani, questo è il corpo tutto.



E quando ci da il sangue dobbiamo pensare Gesù ci da la sua morte, quindi nella comunione entriamo in una profonda unione con la vita e la morte di Gesù.

Ma l’orizzonte si allarga poi, perché la nostra teologia anche la più elementare ci dice che Dio il nostro Dio sono tre persone, però è una, un solo Dio, una sola natura divina. E dove c’è una persona lì c’è tutta la divinità, il che vuol dire che ricevendo il corpo e il sangue di Cristo noi riceviamo anche lo Spirito Santo. E’ inscindibile, inseparabile la stessa unica natura divina. Allora la comunione vedremo apre un’orizzonte dietro l’altro a perdita di vista o a perdita di immaginazione e acquista una dimensione trinitaria, infinita fino a naufragare nel mare di questo infinito.

C’è una corrispondenza perfetta tra quello che avviene nella vita storica di Gesù e quello che avviene nell’eucaristia, nella messa. Nella vita storica di Gesù al primo momento, nell’incarnazione, nel natale, lo spirito santo ci dà Gesù, dà al mondo Gesù, perché Gesù fu concepito per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine. Nell’ultimo, alla fine della vita quando Gesù muore sulla croce, il contrario è Lui che dà lo Spirito Santo al mondo, emise lo Spirito, “ricevete lo Spirito Santo”, disse la sera di Pasqua.

Lo stesso avviene nell’eucaristia, nel momento della consacrazione lo Spirito Santo ci dà Gesù perché sull’altare Cristo si rende presente non per le parole del sacerdote, che non hanno questo potere divino, no? Ma perché dentro le parole del sacerdote c’è la potenza dello Spirito Santo. Dunque al momento della consacrazione lo Spirito Santo dà alla chiesa, al mondo, Gesù. Nella comunione, quando noi riceviamo Gesù, è Gesù che venendo in noi ci dà lo Spirito Santo.

Quindi, chi ha desiderio di Spirito Santo e vuole avere una nuova Pentecoste sa dove deve andarlo a cercare. Il posto più sicuro è l’eucaristia, perché lì riceve la sorgente dello Spirito Santo. Quel costato che emanò sangue ed acqua.

E questa presenza dello Spirito Santo nell’eucaristia, noi latini specialmente, la stiamo riscoprendo, la dobbiamo ancora approfondire, perché avevamo fatto dell’eucaristia qualcosa di staccato, dove non centrava molto lo Spirito Santo. Durante la messa, fino alla riforma del Vaticano II, lo Spirito Santo veniva nominato una volta sola e quasi per inciso nella formula “per Cristo, con Cristo e in Cristo,a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo..” ecc.



Oggi sappiamo che lo Spirito Santo viene invocato prima della consacrazione e dopo. Per i Padri della chiesa non si tratta qui semplicemente di un idea in più, si tratta che dove c’è lo Spirito Santo, c’è la vita, è lo Spirito che dà la vita diceva Gesù a Cafarnao. La carne da sola non serve a niente. Allora dove c’è lo Spirito Santo, se l’Eucaristia diventa anche per noi, la sorgente dello Spirito Santo, c’è quello che i Padri, Sant’Ambrogio ad esempio chiamava “l’ebrezza” spirituale.

I padri non avevano paura di parlare un pò con paradossi, ma parlavano di una “sobria ebbrezza”, “sobria” “ebrezza” sembrano dire il contrario, Nell’eucaristia si realizza questo paradosso, che noi ci inebriamo, ma di una ebrietà, diceva Sant’Ambrogio, che a differenza di quella dell’alcool, della droga e di altre cose, si può essere ebri anche della propria bellezza, del proprio successo. Ci sono delle star televisive che sono manifestamente in stato di ebbrezza, un ebbrezza di se stesse. La differenza, diceva Sant’Ambrogio, in questi tipi di ebbrezza umana la persona esce da se stessa, esce dal proprio limite ed ha l’impressione di spaziare nell’infinito ma, ahimè, esce da se stessa per scendere ad un livello ancora più basso dell’uomo, sub-umano. Perché spesso nell’ebbrezza da alcool, dalla droga, ecc, ci si abbrutisce.

In questa ebbrezza si, l’uomo esce dal suo limite angusto e ha l’impressione dell’estasi, di uscire, ma per vivere ad un livello superiore, quello di Dio, la libertà di Dio, la gioia di Dio.
Certo non possiamo ad ogni comunione noi vivere e sviluppare tutte queste cose, però per questo celebriamo la messa tutti i giorni, perché almeno ogni giorno possiamo attivare un aspetto, un frammento di questa ricchezza enorme che c’è nell’eucaristia.

Ma ancora siccome c’è una sola natura, se riceviamo noi il corpo di Cristo, del Verbo incarnato, dunque riceviamo anche il Padre. Questo Dio sconosciuto e misconosciuto e oggi carico di tanti sospetti sul quale la psicanalisi ha gettato tutto il possibile, sospettano a Dio Padre, è semplicemente la sublimazione del padre terreno ucciso dai figli e poi deificato per sensi di colpa. Questo padre che nella sofferenza degli innocenti spesso porta ad accusare come responsabile.

Ecco, nella comunione forse possiamo riconciliarci con questo padre.

Gesù diceva “non è Mosè che vi ha dato la manna, il pane dal cielo, è il Padre mio che ve lo da”. Dunque, quando andiamo a ricevere la Comunione, carissimi fratelli e sorelle, se per caso una volta lo spirito santo ci accende una scintilla, noi dovremmo vedere in quel sacerdote che ci porge l’ostia il Padre che ti dice “Prendi, ti do il mio Figlio”.



Abbiamo detto che alla luce di Paolo che la comunione ha poi un'altra dimensione, è una comunione con il corpo e il sangue di Cristo e dunque con lo Spirito con il Padre però Paolo poi dice: “Poiché c’è un solo pane noi tutti che mangiamo di quell’unico pane formiamo un corpo solo”. Allora l’Eucaristia ci consacra anche all’unità, all’unità della chiesa, alla riconciliazione a tutti i livelli. Gesù faceva un esempio molto personalizzato, se c’è qualcosa tra te e un fratello, in casa, nel lavoro, nella comunità, ecc. e stai per accostarti all’altare vai a riconciliarti prima almeno con il pensiero, con il cuore e poi torna. Cioè la comunione non si può ricevere in stato di separazione perché sarebbe coma lacerare il corpo di Cristo, come se la mano dicesse, oppure come se la mia testa dicesse “io la mano non l’accetto” ma il corpo non può fare a meno della mano.



Così quando noi facciamo la comunione con il tacito presupposto che quella persona lì, con me non deve avere niente a che fare. Noi stiamo dicendo a Gesù: “scegli! O me o lei!” E’ cosa che non può fare. Voi sapete bene che un figlio non può mettere un genitore davanti a questa scelta così drammatica: “Scegli tra me e un mio fratello!”. Un genitore non può scegliere!

E dunque la comunione ci consacra. Significa l’unità della chiesa e la produce, non meccanicamente, con la nostra collaborazione.

Sant’Agostino diceva “guardate come il processo traverso cui si fa il pane è lo stesso processo attraverso cui nasce la chiesa”. Come nasce il pane? Era prima frumento nei campi, è stato trebbiato, è stato prima mietuto, riunito nell’aia, poi macinato, farina, poi impastato con l’acqua, non è ancora pane deve essere cotto con il fuoco, poi c’è il pane.

E allora Sant’Agostino che parlava dei catecumeni, della gente da poco battezzata, diceva “E’ esattamente quello che avete fatto voi, eravate dispersi, lontani nei campi del mondo e la parola di Dio vi ha riuniti, vi ha mietuto vi ha portato sull’aia della chiesa. Poi attraverso i digiuni, le penitenze, la preparazione al battesimo, siete stati con me macinati per diventare farina. Poi siete stati impastati con l’acqua, nel battesimo, non è ancora pane, non siete ancora corpo di Cristo. E’ venuto lo Spirito Santo, il fuoco dello Spirito e siete diventati corpo di cristo. Vedete come Gesù ha voluto scegliere un simbolo che già per se stesso ci parla di questa imprescindibile unità di coloro che ricevono il corpo di Cristo. Ne scaturiscono anche delle conseguenze molto pratiche e siccome Agostino era un uomo molto pratico, teologo da vertigini e nello stesso tempo di una capacità e una praticità estrema, in un discorso lui dice: “se tu vai a ricevere l’eucaristia però sei in rotta con un fratello, quel fratello può essere tua moglie, tuo figlio, il tuo collega di lavoro, insomma ognuno ha il suo. Quella persona l’hai tagliata fuori, non gli parli più, non vuoi riconciliarti poi vai a ricevere la comunione e sei pieno di fervore con Gesù. Allora io ti dico: “a chi somigli?” Tu somigli a qualcuno che vede arrivare da lontano un amico che non vede da diversi anni e pieno di gioia gli corre incontro, si leva sulle punte dei piedi per abbracciarlo e poi baciarlo sulla fronte, ma facendo questo non si accorge che gli sta calpestando i piedi con scarpe chiodate. Perché i fratelli sono i piedi di Gesù e Gesù potrebbe dire: “Tu mi onori invano, mi fai male, perché i piedi sono i poveri, i fratelli”. Attento dunque, quando ti viene data l’eucaristia ti viene detto: “il corpo di Cristo” e tu dici: “Amen”. Attento, perché Amen significa “si, accetto”. Allora tu in quel momento stai accettando si il corpo di Cristo, nato da Maria Vergine, ma stai accettando anche l’altro corpo, il fratello!

Una meravigliosa scuola dunque l’eucaristia di riconciliazione, di pace. In questi tempi parliamo tanto di pace. Perché manca la pace è vero? Però ricordiamocelo che, la pace non viene a livello mondiale se non c’è a livello personale. Miliardi di gocce di acqua sporca non faranno mai un mare pulito. E miliardi di cuori senza pace non faranno mai un umanità in pace, quindi la pace deve cominciare dentro e qualche volta quando soprattutto sventolavano da tutti i balconi queste bandiere tricolore, io in una predica a San Pietro ho detto: Va benissimo, è chiaro che è un segno questo da favorire, però se dentro quella casa, dentro quella finestra si litiga, non ci si ama varrebbe la pena prendere lo straccetto e metterlo dentro. Esporre dentro la bandiera della pace non agli altri fuori.



Dunque l’eucaristia è una magnifica scuola di riconciliazione, di pace. Non stiamo parlando solo a livello intimistico, personale, perché da qui l’eucaristia è davvero globale è il sacramento della globalizzazione; perché nell’eucaristia converge tutto il mondo. Già Sant’Ireneo diceva: l’eucaristia in qualche senso, in qualche modo è il riassunto del mondo intero. Perché in quel pane c’è la terra che lo ha prodotto, l’aria, la pioggia, il cielo, il sole che lo ha fatto germogliare, c’è il lavoro degli uomini che l’hanno seminato, mietuto. C’è il lavoro di chi lo ha trasportato, quindi i trasporti, l’industria che lo ha trasformato in pane. C’è tutto il lavoro umano. C’è la terra, frutto della terra e del lavoro dell’uomo e dunque sull’altare arriva davvero in qualche modo tutto il mondo. Ogni messa è una messa sul mondo.



Un ultima riflessione. Tra questi fratelli, dei quali l’eucaristia ci spinge ad occuparci, dicevo ci sono delle categorie privilegiate. E sono queste categorie privilegiate che le dobbiamo fare noi perché le ha fatte lui Gesù: ero affamato, ero assetato, ero nudo, ero malato, ero forestiero, ero in carcere, l’avete fatto a me. Colui che sull’altare dice sul pane: “questo è il mio corpo” dice anche di queste persone, dei poveri, di tutte queste categorie, dice la stessa cosa: “Questo è il mio corpo”. Perché il senso di “l’avete fatto a me” è questo “sono io… lì ero io”.

Di nuovo qui voglio condividere un esperienza quando questa verità mi è esplosa dentro un giorno. Mi trovavo a predicare in un paese del terzo mondo, e vedevo per le strade, frotte di bambini con qualche straccetto addosso, mosche sulla faccia, che rincorrevano i carri di immondizie per poter trovare nel momento in cui venivano scaricati in questa immensa discarica. E allora passando in macchina attraverso questi cortei così tristi e dovendo parlare sull’eucaristia alla gente, Gesù faceva prima la predica a me e mi diceva: “Guardali bene, guardali… quello è il mio corpo”. C’era d’avere il fiato mozzo… e dunque l’eucaristia è un sacramento anche sociale e San Giovanni infatti ci dà la chiave per leggerla così l’eucaristia. Lui dice nella prima lettera: “Se lui ha dato la vita per noi…” tutti si sarebbero aspettati che la frase continuasse dicendo “anche noi dobbiamo dare la vita per lui”. No! Questa è la logica umana, la logica della Traviata, dove Violetta dice ad Alfredo: “Amami Alfredo, amami quanto io t’amo”. Ami me io amo te. Questa è la logica umana.

Giovanni dice: “Se lui ha dato la vita per noi, noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” e poi continua: “Chi sono questi fratelli? Se uno è nel bisogno e tu puoi dargli e chiudi il tuo cuore. Come puoi dire che l’amore di Dio è in te?”.

Il filosofo Pascal, verso la fine della vita aveva una malattia dello stomaco che non gli permetteva di ritenere il cibo e per questo, a quel tempo erano molto scrupolosi, non gli davano il viatico, non gli davano l’eucaristia e lui continuava a chiedere e non gli davano l’eucaristia. Alla fine disse: “mandatemi un povero qui in stanza, chiamatemi un povero, perché se non posso comunicare con il capo almeno voglio comunicare con il suo corpo”.

Lui aveva capito.

Ecco, l’eucaristia dicevo, in un certo senso per un cristiano è tutto, è un qualcosa davvero di incredibile.

Una suora carmelitana, beatificata da Giovanni Paolo II qualche anno fa, un’araba, si chiama la “piccola araba” di fatti, Suor Maria di Gesù Crocifisso, amava tanto l’eucaristia, ed era talmente lei compresa da questo mistero che dal suo banco, quando si avvicinava il tempo della comunione, le sorelle vicino la vedevano che non riusciva a stare ferma, come se si slanciasse ogni momento, poi quando tornava al banco dopo aver ricevuto la comunione, a volte la sentivano esclamare, sottovoce piena di gioia: “Ora ho tutto! Ora ho tutto!” Perché di fatti una che ha ricevuto l’eucaristia ha tutto.


E qui vorrei dire un ultima parola dal momento che i Sacramentino da cui ci troviamo hanno questo carisma, hanno diffuso nella chiesa, tra gli altri, questo carisma dell’adorazione eucaristica, vorrei dire anche una parola che senso ha dopo quello che abbiamo detto sulla comunione, l’adorazione, stare a guardare Gesù. Qualcuno addirittura (e purtroppo sbaglia) dice: “Ma il pane è fatto per essere mangiato non per essere guardato”. Allora che senso ha l’adorazione eucaristica che pure il Papa raccomanda così tanto e che oggi fiorisce nella chiesa in tante forme, i nostri fratelli Sacramentino hanno un carisma assodato, con molta esperienza alle spalle, ma oggi tantissime iniziative nuove stanno nascendo centrate sull’adorazione eucaristica.

Bene, il senso di questo è che noi non riusciamo nel breve tempo della messa ad interiorizzare tutto il mistero, abbiamo bisogno di tempi in cui far entrare dentro di noi il mistero, rifletterci per permettergli dentro di noi di esprimere le sue potenzialità e per questo è chiaro che non basta aver ricevuto l’eucaristia, dobbiamo correre fuori delle messa se abbiamo la possibilità di stare del tempo davanti al santissimo quello è il tempo in cui, in un certo senso, l’eucaristia agisce in noi non per via di alimentazione ma per via di contemplazione. Non entrando dalla bocca ma dagli occhi.

A me piace l’esempio di quello che avviene nella primavera, che si chiama il processo della fotosintesi o la clorofilla. In primavera le piante, furbe, non cominciano a gettare fuori i fiori o i frutti. Cominciano ad emettere le foglie per prima cosa. Perché? Perché queste foglie, stando esposte al sole assorbono degli elementi nutritivi dell’atmosfera e con la luce solare li fissano, li trasmettono alla pianta, che può così svilupparsi e dare i frutti. Ecco, io vedo in questo un immagine dell’anima che sta davanti al Santissimo, passa del tempo in contemplazione. Sono foglioline che guardano il sole e assorbono l’ossigeno che è lo Spirito Santo. E a volte dico che l’anima che sta in adorazione davanti all’eucaristia potrebbe fare sua quella poesia, così cara agli studenti perché consiste di un solo verso, di chi? Di Ungaretti che dice: “mi illumino d’immenso”.

La persona che sta davanti all’eucaristia può davvero dire in senso spirituale: “mi illumino d’immenso”. Si. Abbiamo bisogno di guarire i nostri occhi non meno della nostra bocca. Il mondo d’oggi ha trovato nell’immagine il veicolo privilegiato, oggi non si legge più, si legge poco, tutto passa attraverso l’immagine: film, televisione, internet. E’ un’orgia di immagini. Purtroppo poi come sempre su quest’immagine, su questo che è un prodotto splendido della tecnica si innesta la cupidigia umana di denaro per cui l’immagine è diventata strumento di denaro, di potere, da qui tutti gli abusi che si fanno delle immagini. E’ diventato il veicolo dell’anti Vangelo. E dunque oggi è diventato importantissimo che noi mettiamo un filtro ai nostri occhi. Non è tanto importante oggi digiunare dai cibi, perché a quello ci pensa già la preoccupazione della dieta, non occorre che parliamo noi sacerdoti del digiuno, oggi bisogna parlare del digiuno dalle immagini, filtrare le immagini.

Allora stando di fronte a Gesù, guardando Gesù, noi guariamo i nostri occhi da tutto quello che passa che è l’anti Vangelo. Si dice nel libro dei Numeri che ad un certo momento gli ebrei si erano ribellati e Dio mandò dei serpenti che mordevano la gente, che moriva. Dio disse a Mosè di fare un serpente di bronzo e di metterlo su un asta, chi guardava era guarito. E Gesù si è appropriato di questo strano simbolo e ha detto: “Come Mosè elevò il serpente nel deserto così sarà elevato il Figlio dell’Uomo, perché chi vede e crede, lui non muoia”.

Allora alle volte bisogna approfittare di questo, se i nostri occhi sono malati, se siamo stati feriti dai serpenti della lussuria, dell’invidia, della pornografia e tutto il resto, la cosa migliore da fare è andare a lavare i nostri occhi facendo entrare l’immagine di Gesù eucaristico, facendo imprimere nei nostri occhi quell’immagine di Gesù eucaristico e così capiamo anche la bellezza di questa ultima dimensione dell’eucaristia che è la contemplazione e l’adorazione.



Sia Lodato e Ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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