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1 Ottobre: S.Teresa del Bambin Gesù

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2015 14:14
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25/08/2012 17:30
 
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«Roma mi ha istruita di più che non i lunghi anni di studio...


...Ho camminato sulla terra stessa degli apostoli, la terra pervasa dal sangue dei martiri, e l’anima mia si è dilatata a contatto con le cose sante»


di Giovanni Ricciardi


In primo piano, Teresa Martin a 15 anni, in una foto dell’aprile 1888. L’anno precedente aveva compiuto il pellegrinaggio a Roma. Sullo sfondo, una pianta antica di Roma e una veduta del Colosseo dall’Arco di Tito; al centro, la lista degli alberghi in cui Teresa soggiornò durante il pellegrinaggio in Italia; a destra, il reliquiario con un frammento del mosaico da lei raccolto durante la visita alla Basilica di Sant’Agnese sulla via Nomentana

In primo piano, Teresa Martin a 15 anni, in una foto dell’aprile 1888. L’anno precedente aveva compiuto il pellegrinaggio a Roma. Sullo sfondo, una pianta antica di Roma e una veduta del Colosseo dall’Arco di Tito; al centro, la lista degli alberghi in cui Teresa soggiornò durante il pellegrinaggio in Italia; a destra, il reliquiario con un frammento del mosaico da lei raccolto durante la visita alla Basilica di Sant’Agnese sulla via Nomentana

Nel 1887 si compiva il giubileo sacerdotale di papa Leone XIII. Tra i numerosi pellegrinaggi organizzati per rendere omaggio all’anziano Pontefice, quello promosso dalla diocesi francese di Coutances ebbe una partecipante d’eccezione: la quattordicenne Teresa Martin, santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto santo.
Teresa aveva già concepito il desiderio di entrare nel Carmelo di Lisieux prima del tempo stabilito, nonostante la giovane età. La partenza per Roma fu vista da molti come un tentativo del papà di farle conoscere il mondo, per distoglierla dal convincimento maturato in quegli anni. E, racconta Teresa, «c’era in realtà di che scuotere una vocazione poco solida». Ma il progetto di Teresa era un altro: chiedere personalmente a Leone XIII il permesso di farsi carmelitana a quindici anni.


«…per sancta et sanctos»

Di questo viaggio in Italia resta il resoconto che la stessa Teresa stese nel suo celebre diario, la Storia di un’anima. Famose sono le pagine in cui descrive l’incontro e il colloquio avuto con il Papa. Meno note sono forse quelle in cui descrive il pellegrinaggio vero e proprio alle memorie della cristianità: «Ah, che viaggio! Mi ha istruita di più da solo, che non i lunghi anni di studio» racconta Teresa. «[…] Ho visto delle cose bellissime, ho contemplato le meraviglie dell’arte e della religione, soprattutto ho camminato sulla terra stessa degli apostoli, la terra pervasa dal sangue dei martiri, e l’anima mia si è dilatata a contatto con le cose sante». Sant’Agostino nel De civitate Dei accenna al grande conforto «per sancta et sanctos».
La notte del 4 novembre 1887 la piccola Teresa, accompagnata dal papà Luigi e dalla sorella Céline, prende la via di Parigi per unirsi al gruppo dei pellegrini: «Papà era gaio; quando il treno si mise in moto, egli cantò un vecchio ritornello: “Roule, roule, ma diligence, nous voilà sur le grand chemin”». La visita a Parigi, la messa a Montmartre, la partenza, la comitiva delle signore della buona borghesia francese, lo sguardo incuriosito del vescovo, le montagne della Svizzera: tutto è registrato nella memoria di Teresa con intensità e grazia.


«…non altro che un angolo di stelle»

Il passaggio delle Alpi la entusiasma: «In piedi, allo sportello, rimanevo quasi senza respiro; avrei voluto essere ai due lati del vagone perché, voltandomi, vedevo paesaggi incantevoli e affatto diversi da quelli che si stendevano accanto a me... Guardando tutte queste bellezze, mi nascevano nell’anima pensieri profondi. Mi pareva di capire già la grandezza di Dio e le meraviglie del cielo. La vita religiosa mi appariva tal quale è con i suoi obblighi e i suoi sacrifici minuti consumati nell’ombra. Capivo quanto fosse facile ripiegarsi su se stessi, dimenticare il fine sublime della propria vocazione, e mi dicevo: più tardi, nell’ora della prova, quando, prigioniera nel Carmelo, non potrò contemplare altro che un angolo di stelle, ricorderò ciò che vedo oggi: questo pensiero mi darà coraggio, dimenticherò facilmente i poveri miei interessi vedendo la grandezza e la potenza del Dio che intendo amare unicamente. Non avrò la disgrazia di attaccarmi a delle pagliuzze, dopo che il mio cuore ha presentito ciò che Gesù riserva a coloro che Lo amano».


«Il mio cuore ha presentito ciò che Gesù riserva a coloro che Lo amano»

Il pellegrinaggio, che aveva Roma come meta centrale, fece tappa nelle più importanti città italiane: Milano, Venezia, Padova, Bologna. Dopo Roma, i pellegrini scesero a Napoli, visitarono Pompei per poi risalire ad Assisi, Firenze, Pisa e Genova e fare ritorno a Lisieux il 2 dicembre. Teresa ha del viaggio un ricordo netto e vivo, e non manca di annotare i suoi personali giudizi. Di Milano rammenta la vista che si godeva dall’alto del duomo e le passeggiate in carrozza «che dovevano durare un mese e saziarmi per sempre del mio desiderio di correre senza fatica». Lo spettacolo autunnale di Venezia le appare triste. Bologna le risulta insopportabile «a causa degli studenti di cui è piena e che formavano siepe quando avevamo la sventura di uscire a piedi». Di Napoli ha un ricordo divertito, le restano impressi i colori e le voci: «Il gran numero delle pariglie rese magnifica la nostra passeggiata al monastero di San Martino situato sopra una collina alta che domina la città intera. Purtroppo i cavalli mordevano il freno minuto per minuto, e più d’una volta mi son vista all’ultim’ora. Il cocchiere aveva un bel ripetere continuamente la parola magica dei vetturini italiani: “A-ppippo, A-ppippo” [Ah Pippo, ah Pippo... È curiosa l’ortografia usata da Teresa, ignara del significato: «Appipau, Appipau»] […] i poveri cavalli volevano rovesciar la carrozza, finalmente, grazie alla protezione dei nostri angeli custodi, arrivammo al nostro albergo magnifico». Il brontolio del Vesuvio le fa venire in mente «la potenza del Dio “che guarda la terra e la fa tremare, tocca le montagne, e le riduce in fumo”(Sal 104, 32)». Tra le rovine di Pompei «la folla dei viaggiatori guastava in gran parte il fascino malinconico della città distrutta».


La chiesa di Santa Maria della Vittoria in piazza San Bernardo, in una foto della fine del secolo scorso

La chiesa di Santa Maria della Vittoria in piazza San Bernardo, in una foto della fine del secolo scorso

«…contemplando i muri sui quali Gesù aveva posato i suoi sguardi»

Ma è a Loreto che il racconto di Teresa si fa denso e commosso. «Che dirò della Santa Casa? La mia emozione era profonda mentre mi trovavo sotto il tetto medesimo della sacra famiglia, contemplando i muri sui quali Gesù aveva posato i suoi sguardi divini, mentre camminavo sulla terra che san Giuseppe aveva bagnato con il suo sudore, dove Maria aveva portato Gesù nel suo seno verginale. Ho visto la cameretta ove l’angelo discese presso la Vergine santa». A Loreto si metterà a «grattare furtivamente» le mura della Santa Casa, a Milano, nel duomo, aveva appoggiato la testa all’urna che racchiude il corpo di san Carlo. E così fu anche e soprattutto a Roma.


«Non era un sogno, ero a Roma!»

«Al nostro arrivo era notte, ed eravamo addormentate, ci risvegliò il grido degli addetti alla stazione: “Roma, Roma”. Non era un sogno, ero a Roma!». L’albergo in cui alloggiavano i pellegrini – oggi non esiste più – era in via Capo le Case, vicino a Trinità dei Monti. Nel tratto di strada tra la stazione e l’alloggio, capitò a Teresa di entrare in Santa Maria della Vittoria, a via Venti Settembre, senza sapere che si trattava di un convento carmelitano. Curiosa di scoprire tutto, si inoltrò inavvertitamente nella zona della clausura, finché il superiore della casa non la invitò a uscire. «Non riesco ancora a capire» racconta Teresa «perché mai le donne siano tanto facilmente scomunicate in Italia, ad ogni piè sospinto ci veniva detto: “Non entrate qua, non entrate là, sareste scomunicate!”. […] Un giorno in cui visitavamo un convento di Carmelitani, non mi contentai di seguire i pellegrini nelle gallerie esterne, mi spinsi fino nel chiostro interno... a un tratto vidi un buon vecchio carmelitano che da lontano mi faceva cenno che mi allontanassi, ma io, invece di andarmene, mi avvicinai a lui, e indicandogli i quadri del chiostro gli feci cenno che erano belli. Capì senza dubbio dai miei capelli sciolti e dall’aria giovane che ero una bambina, mi sorrise con bontà e si allontanò vedendo che non si trovava davanti a una nemica; se avessi potuto parlargli italiano, gli avrei detto che ero una futura carmelitana, ma a causa di quelli che fecero la torre di Babele, la cosa mi fu impossibile». Quel carmelitano, a quanto pare si chiamava padre Rodrigo. Fu, anni più tardi, il postulatore della causa di beatificazione di Teresa, causa che si svolse proprio nel convento di Santa Maria della Vittoria.


«Avvicinai le labbra alla polvere arrossata dal sangue dei primi cristiani»

Dei sette giorni trascorsi a Roma Teresa rievoca «soltanto le principali impressioni». Il “percorso” del suo diario si snoda così, a salti, tra le immagini che più le rimangono impresse: il Colosseo, le catacombe, Santa Cecilia, Sant’Agnese, e infine, dopo aver a lungo descritto l’incontro con Leone XIII, le reliquie della santa croce nell’omonima Basilica.
Al Colosseo Teresa è protagonista di una piccola “fuga” dal gruppo, una pericolosa discesa tra i ruderi insieme a Céline sotto gli occhi preoccupati del papà. «La vedevo finalmente» scrive Teresa «quell’arena dove tanti martiri avevano dato il sangue per Gesù e già mi disponevo a baciare la terra che essi avevano consacrata, ma quale delusione! Il centro è soltanto un ammasso di ruderi che i pellegrini possono guardare e basta, perché uno sbarramento impedisce di penetrarvi, del resto nessuno prova la tentazione di entrare in mezzo a quelle rovine. Eravamo dunque venute a Roma per non discendere nel Colosseo? Mi pareva impossibile, non ascoltavo più le spiegazioni della guida, avevo un pensiero solo: calarmi nell’arena... Vedendo un operaio che passava con una scala fui lì lì per chiedergliela, fortunatamente non misi in atto la mia idea perché mi avrebbe presa per pazza. È detto nel Vangelo che Maddalena, rimanendo sempre vicina alla tomba, e abbassandosi più volte, finì per vedere due angeli. Come lei, pur avendo riconosciuto l’impossibilità di attuare i miei desideri, continuai ad abbassarmi verso le rovine tra le quali volevo discendere; finalmente, non vidi angeli, ma quello che cercavo, gettai un grido di gioia, e dissi a Céline: “Svelta, andiamo, ce la facciamo a passare!”. Subito scavalcammo la staccionata che in quel punto toccava i ruderi, ed eccoci a scalar le rovine che si sgretolavano sotto i nostri passi. Papà ci guardava meravigliato per la nostra audacia, e ci disse di tornare indietro, ma le due fuggitive non udivano più nulla; come i guerrieri sentono crescere il coraggio in mezzo al pericolo, così la nostra gioia ingrandiva in proporzione alla difficoltà di raggiungere l’oggetto dei nostri desideri. Céline, più previdente di me, aveva ascoltato il cicerone e ricordandosi che egli aveva segnalato un pezzo di pavimento segnato da una croce come quello su cui combattevano i martiri, si mise a cercarlo; lo trovò ben presto, ci inginocchiammo su quella terra sacra, le nostre anime si fusero in un’unica preghiera. Mi batteva forte il cuore quando avvicinai le labbra alla polvere arrossata dal sangue dei primi cristiani, chiesi la grazia di essere martire anch’io per Gesù, e sentii in fondo al cuore che la mia preghiera era esaudita. Tutto questo fu compiuto in brevissimo tempo; dopo aver preso qualche pietra, ritornammo verso le mura in rovina per ricominciare la nostra impresa rischiosa. Papà, vedendoci così felici, non poté rimproverarci e vidi bene che era orgoglioso del nostro ardimento... Il buon Dio ci protesse visibilmente, perché i pellegrini, essendo un po’ distanti, non si accorsero della nostra assenza, occupati com’erano a guardare le arcate magnifiche sulle quali la guida faceva notare “i graziosi cornichons e i cupides posati su di essi” [Teresa riferisce scherzosamente i termini inesatti cornichons per corniches e cupides per cuspides pronunciati dalla guida poco esperta di francese]; in tal modo né lui né messieurs les abbés conobbero la gioia che ci riempiva il cuore».
L’interno del Colosseo: sono visibili le edicole della Via Crucis

L’interno del Colosseo: sono visibili le edicole della Via Crucis

A Teresa non basta sapere o vedere da lontano. Davanti alle reliquie dei martiri sente il bisogno di accostarsi, di toccare con mano. Sarà così anche alle catacombe, dove incontrerà, per così dire, due nuove amiche.


«…tanto mi appariva profumata l’atmosfera che vi si respira»

«Anche le catacombe mi hanno lasciato una impressione molto dolce» racconta. «Sono tali e quali me le ero figurate leggendone la descrizione nella vita dei martiri. Dopo aver passato là una parte del pomeriggio, mi sembrava di esserci soltanto da qualche attimo, tanto mi appariva profumata l’atmosfera che vi si respira». Bisognava bene portare a casa qualche ricordo delle catacombe, così Céline e Teresa lasciarono che la processione si allontanasse un poco, e poi si calarono insieme fino in fondo all’antica tomba di santa Cecilia, e presero della terra consacrata dalla presenza di lei. «Prima del viaggio a Roma, non avevo alcuna devozione particolare per quella santa ma, visitando la casa trasformata in chiesa [cioè la Basilica di Santa Cecilia in Trastevere], luogo del suo martirio, e venendo a sapere che ella è stata proclamata regina dell’armonia non già a causa della sua bella voce né del suo ingegno per la musica, bensì in memoria del canto virginale ch’ella fece udire allo Sposo celeste nascosto in fondo al suo cuore, sentii per lei più che una devozione: una vera tenerezza d’amica... Ella divenne la mia santa prediletta, la mia confidente intima... Tutto in lei mi rapisce, soprattutto il suo abbandono, la sua fiducia illimitata che l’hanno resa atta a verginizzare anime, le quali non avevano mai desiderato altre gioie se non quelle della vita presente».


«Sentii per Cecilia più che una devozione: una vera tenerezza d’amica...»

Teresa parla ex abundantia cordis. La bellezza della vita cristiana l’affascina esattamente come affascinava i primi cristiani. Per questo sente una connaturalità con quella esperienza e la traduce nel termine amicizia, che, come il testo rivela, non è affatto metaforico. Come Cecilia, anche Teresa avrebbe potuto dire: «Ecco, il mio Signore rende il centuplo di quanto gli si offre». Non che la bellezza del creato non l’affascini, ma è questo di più di bellezza che le interessa perché solo corrisponde all’attesa del cuore. Basta leggere le righe in cui descrive, nel viaggio di ritorno, il litorale ligure come le appariva dai finestrini del treno: «Ecco, corriamo lungo il mare, e la ferrovia è tanto vicina che mi pare che le onde arrivino fino a noi (questo spettacolo fu causato da una tempesta, ed era sera, cosicché la scena appariva ancor più maestosa), ora ecco delle aperte distese di aranceti dai frutti maturi, di verdi olivi dalla ramaglia lieve, di palme graziose... Al cader del giorno vedevamo numerosi piccoli porti di mare che s’illuminavano di mille piccole luci, mentre in cielo scintillavano le prime stelle. Ah, che poesia mi riempiva l’anima mentre vedevo tutte quelle cose per la prima e l’ultima volta. Senza rimpianto le vedevo svanire, il cuore mio aspirava a meraviglie diverse». Così Cecilia le diviene cara: «Santa Cecilia è simile alla sposa dei cantici, in lei vedo “un coro in un campo d’eserciti”. La sua vita non è stata se non un canto armonioso in mezzo anche alle prove più grandi, e ciò non mi stupisce, perché “Il santo Vangelo riposava sul suo cuore”, e nel suo cuore era lo Sposo delle vergini». Teresa accenna così a un particolare della Passio di santa Cecilia, che forse aveva letto nelle vite dei martiri: «Cecilia portava sempre il Vangelo di Cristo nascosto nel seno e sia di notte che di giorno mai cessava di parlare del Signore nelle sue preghiere e assai spesso gli chiedeva di conservarla nella verginità».


«Agnese era un’amica d’infanzia che andavo a trovare nella sua casa»

«Così ti ha desiderata Cristo. Così ti ha scelta Cristo... Abbraccia dunque Colui che ti ha cercato». Sono parole di sant’Ambrogio per Agnese, la giovanissima martire che la Chiesa di Roma venera in modo così speciale da ricordarla, insieme a Cecilia, nel Canone Romano. «La visita alla chiesa di Santa Agnese [la Basilica di Sant’Agnese fuori le Mura sulla via Nomentana] mi fu di grande dolcezza, era un’amica d’infanzia che andavo a trovare nella sua casa, le parlai lungamente di colei che porta così bene il suo nome [la sorella Agnese, già allora nel Carmelo, futura destinataria del diario di Teresa], e feci tutti i miei sforzi per ottenere una reliquia di quest’angelica patrona della mia madre carissima, avrei voluto portarla a lei, ma non ci fu possibile avere altro che una pietruzza rossa staccatasi da un ricco mosaico la cui origine risale al tempo di sant’Agnese e che lei stessa dovette guardare spesso. Non era incantevole che l’amabile santa ci desse ella stessa ciò che cercavamo e che ci era proibito di prendere? L’ho considerato sempre come un pensiero delicato e una prova di quell’amore col quale la dolce sant’Agnese considera e protegge la madre mia carissima!».


«Bisognava che trovassi sempre il modo per toccare tutto»

«Una pietruzza rossa... che Agnese dovette guardare spesso». Colpisce in Teresa questo modo così fisico di accostarsi alla memoria di Cristo a Roma. Teresa se ne rende essa stessa conto proprio quando si trova davanti alle reliquie più preziose, l’ultimo e il più caro dei ricordi del suo pellegrinaggio romano: «Nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme potemmo vedere alcuni frammenti della vera croce, due spine ed un santo chiodo racchiusi dentro un magnifico reliquiario d’oro cesellato, ma senza vetro, perciò io trovai il modo, venerando la reliquia preziosa, d’insinuare il mignolo in uno spazio del reliquiario, e potei toccare il chiodo che fu bagnato dal sangue di Gesù. Fui veramente troppo audace». Teresa sembra chiedersi se non abbia osato troppo, se non abbia esagerato: «Ma il Signore vede il fondo dei cuori,» aggiunge, «sa che l’intenzione mia era pura, e che per niente al mondo avrei voluto fargli dispiacere, agivo con lui da bambina che si crede tutto permesso e considera come propri i tesori del Padre». Era proprio così, conclude Teresa: «Bisognava che trovassi sempre il modo per toccare tutto».




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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