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Dossier Summorum Pontificum e i tre anni dal MP: nasce un nuovo Movimento?

Ultimo Aggiornamento: 31/08/2011 11:22
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18/03/2009 23:15
 
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mercoledì 18 marzo 2009

La «Messa nel rito tradizionale»: un dono del Papa e una possibilità in più per tutti i fedeli

Vi riportiamo la conferenza tenuta da don Rigon, intraprendente sacerdote vicentino, poco dopo l'entrata in vigore del Summorum Pontificum.


di Pierangelo Rigon*

Cari Amici, benvenuti (non vi aspettavo così numerosi …) nella piccola, ma come vedete “bella” chiesa di Ancignano, un edificio consacrato nel 1531 e che, con la grazia di Dio, speriamo di riportare al suo primitivo splendore. In questo momento, anzitutto, vorrei esternare la sensazione che sto provando.

Vi confesso che, man mano che si avvicinava il giorno di questa conferenza, c’era in me una sorta di preoccupazione, sorgevano continuamente degli interrogativi: ma sto facendo bene o sto facendo male? Essendo fin qui l’unico sacerdote della Diocesi che si è espresso, favorevolmente, per non dire con entusiasmo, a proposito del motu proprio di papa Benedetto sull’uso dell’antica Liturgia., ed essendo addirittura deciso a celebrarla, non potevo non sentire attorno a me una sorta di curiosità, da un lato, e di diffidenza o sospetto dall’altro. Non sono mancati e non mancheranno tentativi di farmi ragionare, di bloccarmi in questa iniziativa.

In qualche momento, davanti a certe prese di posizione di questi giorni (qualcuno mi ha scritto che la mia decisione è scandalosa e che sono un prete che arrecherà grande afflizione alla Santa Madre Chiesa), il turbamento che mi ha preso è stato forte e ieri sera pensavo di trovare una qualche scusa per rimandare tutto a data da destinarsi. Ormai, comunque, “il dado è tratto”. Tutto sommato, adesso, sono tranquillo e sereno perché non penso che quanto ho detto e ancora dirò abbia alcunché di contrario alla dottrina e che quanto intendo compiere possa risultare dannoso alla Chiesa Cerchiamo di spiegare, con tutta la semplicità possibile, che cosa è accaduto il 7 luglio scorso, quando il Papa ha firmato un documento che s’intitola “Summorum Pontificum”.

Mi rivolgo non a degli specialisti in Liturgia o Diritto Canonico, ma a dei cristiani che desiderano capire meglio un problema di cui si è tanto sentito parlare, e di cui ancora si discute, spesso con troppa superficialità e incompetenza, sui mezzi di comunicazione in questi ultimi mesi. Spero di riuscire nell’intento che mi sono proposto. Il 7 luglio il Papa ha firmato una Lettera Apostolica “motu proprio data”: che cosa vuole dire “motu proprio”? Potremmo tradurre così: “di sua iniziativa, per sua decisione diretta, per un moto della sua propria volontà”. In altri casi il Papa firma, fa propri cioè, ne condivide il contenuto, documenti preparati per es. da vari Organismi della Curia Roma. Quando usa un “motu proprio”, invece, significa che è una dichiarazione che intende fare Lui direttamente, perché avverte la necessità di un chiarimento a proposito di un problema, di una questione che c’è all’interno della Chiesa. Ogni documento, come si sa, ha un titolo che si desume dalle prime due parole, generalmente, del testo.

Poiché la lingua ufficiale della Chiesa è ancora il latino, ecco che – nel caso del motu proprio di cui stiamo parlando – il titolo è questo “Summorum Pontificum” (in italiano le prime parole suonano infatti così: “I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno ….”). Di che cosa si occupa il documento? Qual è la materia oggetto delle disposizioni del Papa? Anche questo è specificato nel titolo: si tratta dell’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Nel 1970, infatti, viene pubblicato il Messale che è frutto di una Riforma seguita al Concilio Ecumenico Vaticano II. Per questo si usa dire “Messale del Concilio Vaticano II”, perché è frutto della Riforma che è seguita a tale Concilio; oppure viene chiamato anche “Messale di Paolo VI”, perché è stato papa Montini a promulgarlo.

Allora, dicevo, la materia del motu proprio è questa: se è quando possa essere celebrata la Liturgia nella forma precedente al 1970, servendosi del Messale anteriore. Vedete che ho collocato i due libri sull’altare. Non sono in opposizione! Sono entrambi guida e strumento per la preghiera della Chiesa, sia pure con accentuazioni diverse e con stile diverso. Il documento di Papa Benedetto è costituito da due parti, utili, insieme, a ricostruire il suo pensiero e la sua proposta. Ci sono delle disposizioni precise e c’è anche una lettera, indirizzata ai Vescovi, per precisare il senso e la portata di queste norme. Nella prima parte del testo papa Benedetto XVI ripercorre, a grandi linee, la storia della Liturgia cristiana (duemila anni!) Nel corso di tutti questi secoli ogni epoca ha lasciato traccia della sua sensibilità, ogni cultura ha apportato qualcosa e la Liturgia è quindi cresciuta – nel tempo - come un albero rigoglioso, con tante fronde, rami. Ogni tanto bisognava potare, sfrondare, ma senza mai tagliare alla radice.

Benedetto XVI dice che “Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dar loro il giusto posto”. Volgendo lo sguardo su questa lunga storia della Liturgia, il Papa si ferma quasi commosso e ammirato sulle figure di alcuni Pontefici che l’hanno preceduto: ecco San Gregorio Magno (tra il VI e il VII sec.), San Gregorio il Grande che riordinò le pratiche liturgiche del suo tempo e ne favorì la conoscenza e la diffusione nel mondo di allora. Il canto gregoriano che è il canto proprio della Liturgia romana, fu per l’appunto – non inventato – ma certamente riordinato e proposto a tutta la Chiesa da questo Papa.Con un volo di quasi mille anni, (seconda metà del 1500) da papa Gregorio si passa a papa San Pio V, di cui si dice che “sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e ‘rinnovati secondo la norma dei Padri’ e li diede in uso alla Chiesa latina. Tra i libri liturgici del rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti”. Per quest’opera compiuta dal papa Pio V, il Messale in uso fino al 1970 è stato allora chiamato anche “Messale di San Pio V” (oppure “Messale del Concilio di Trento” … perché fu redatto sulla base delle indicazioni di quel Concilio).

Benedetto XVI, nella sua carrellata cita poi i Papi che succedettero a Pio V e che assicurarono aggiornamento e ritocchi al Messale (Clemente VIII, Urbano VIII). E poi si arriva più vicini ai tempi nostri con il nome e la figura di San Pio X (1903 – 1914), il quale si fa carico di una vasta opera di promozione liturgica. In un suo documento, ancora un motu proprio, pubblicato a pochi mesi dall’elezione, dice fra l’altro così: “Essendo nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo, e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa” . Dunque il problema della partecipazione dei fedeli alla Liturgia c’era già allora, non è una scoperta recente!

A questo motu-proprio del 1903, papa Sarto fa seguire altri pronunciamenti importanti: un decreto stabilisce la comunione frequente, e anche quotidiana dei fedeli; nel 1910 troviamo un altro famosissimo decreto che riguarda l’ammissione dei bambini alla Santa Comunione. Il Papa stabilisce che quando si raggiunge la cosiddetta età della discrezione (individuata intorno ai 7 anni) e si è in grado di distinguere il pane comune dal pane eucaristico, già da quel momento è possibile dare ai bambini la S. Comunione. Infine, nel 1911, ecco un riordinamento dei salmi all’interno del breviario. Nel 1914, quindi poco prima della morte di questo Santo Pontefice, furono pubblicate le “Additiones et Variationes in Rubricis Missali” (cioè le Aggiunte e le Variazioni nelle rubriche, nelle norme del Messale). Le regole restavano così fissate per tutti i decenni successivi, almeno fino al tempo di papa Giovanni XXIII. Con Pio XII (1939 – 1958) l’interesse per la Liturgia (dopo la lunga pausa dovuta alle guerre e alla situazione sociale e politica del tempo) riprende slancio e, di conseguenza, si attuano ulteriori importanti riforme: nel 1951 viene ripristinata la Veglia Pasquale e nel 1955 riformata tutta la Settimana Santa. Papa Pacelli, inoltre, pubblica un’importantissima enciclica sulla Liturgia, la Mediator Dei (1947) e pensa anche ad una riforma più ampia facendo approntare degli schemi. E così arriviamo negli anni dell’antivigilia del Concilio Ecumenico Vaticano, quando papa Roncalli, il beato Giovanni XXIII apporta alcuni piccoli ma significativi mutamenti nella Liturgia: sappiamo che fa togliere il “pro perfidis iudaeis” dalle preghiere del Venerdì Santo e aggiunge il nome di San Giuseppe alla lista dei Santi nel Canone Romano. Con lui si ha l’ultima edizione del Messale di San Pio V. Per questo si parla anche del “Messale di papa Giovanni” o “Messale del 1962”, cioè dell’anno dell’ultima pubblicazione. Alla conclusione di questa carrellata storica, vorrei far osservare che nella celebrazione della Liturgia cattolica (latino-romana, naturalmente - giacché di essa ci stiamo occupando) vi è stato come un naturale sviluppo: dalle forme più semplici si è passati a riti sempre più complessi e rifiniti.

Certo, ad osservare questo sviluppo con fredda razionalità, si può anche dire che in qualche momento vi sono stati degli eccessi, in altri delle deficienze. Se volessimo fare un paragone, io direi di usare quello dell’edificio, della casa, o anche di un palazzo. Permettete che citi ancora il mio “maestro di liturgia e di vita spirituale”, il beato Ildefonso. Egli fa questa osservazione: “Immaginiamoci un gran palazzo del rinascimento, il quale nel corso dei secoli, per essere stato continuamente abitato, ha dovuto più volte subire delle modificazioni, dei restauri, degli adattamenti agli usi ed ai gusti dei suoi inquilini. Ognuno ha voluto accomodarselo a proprio modo, sicché l’edificio, pur serbando intatte le linee essenziali dell’architettura primitiva, rivelerà una quantità di elementi posteriori, che faranno fede delle varie modificazioni da quello subite. Tale mi sembra la storia dell’Ordinario della Messa dal tempo degli Apostoli al presente ….”

E siamo dunque all’epoca dell’ultimo Concilio: la Liturgia viene trattata come prima materia, al Vaticano II. Tant’é che la costituzione SC (quella appunto dedicata alla Liturgia) viene promulgata il 4 dicembre 1963. Papa Giovanni è morto il 3 giugno dello stesso anno, dopo aver iniziato il Concilio. La costituzione sulla Sacra Liturgia viene dunque promulgata dal successore, Paolo VI. Gli storici fanno notare le date: il 4 dicembre 1563 si chiude il Concilio di Trento, il 4 dic. 1963 il Concilio Vaticano II presenta alla Chiesa il suo primo documento, che riguarda proprio il culto, la lit. Sono passati esattamente 4 secoli. La SC è il momento culminante di un lungo cammino, quello che si chiama il ML, che ha cercato di ridare importanza alla vita spirituale dei credenti, proprio partendo da una miglior conoscenza e partecipazione alla Liturgia. Il documento richiama il senso teologica della lit., ne descrive la natura. E anche traccia alcune linee fondamentali per una sua riforma generale.

Fin qui, tutto sommato, nulla di nuovo … di riforma e di riforme si era parlato spesso nei decenni addietro. La SC fu approvata praticamente all’unanimità (ci furono 2.147 placet, cioè sì, siamo d’accordo, ci sta bene e 4 non placet, cioè la respingiamo). Fra i quattro vescovi che rifiutarono la SC non c’è il nome – si badi bene – di un certo mons. M. Lefebvre. I problemi sorgono all’indomani della promulgazione della SC, allorchè si decide di cominciare subito ad applicarne i principi con delle parziali riforme, i primi cambiamenti. Una data importante è la domenica 7 marzo 1965, quando i sacerdoti cominciano a celebrare rivolti verso il popolo e si introduce anche la lingua italiana, limitatamente, però, alle parti riservate ai fedeli (quelle del sacerdote, invece, rimanevano rigorosamente in latino).

Negli anni successivi al 1965 si lavora molto alla riforma della Liturgia, proprio cominciando dal rito della Messa (“Ordo Missae” si dice in latino). C’è una Commissione centrale, delle sottocomissioni ecc. ecc. Lo studio coinvolge biblisti, liturgisti, pastoralisti, letterati, artisti. Ci si mette a tavolino per affrontare le varie questioni, si fanno anche prove “tecniche”, potremmo chiamarle così, della nuova Messa. Anche davanti al Papa, Paolo VI, in Vaticano La sensazione era che si stesse preparando davvero qualcosa di nuovo, di diverso, di assolutamente originale. Io stesso ricordo un fatterello accaduto nel 1969 (la prima domenica d’Avvento di quell’anno entrò in vigore il nuovo rito): ero appena entrato in seminario e sentivo nell’aria l’eco di tutti questi problemi e cambiamenti che si stavano preparando. In maggio la mia sorellina faceva la Prima Comunione e io raccontai al prefetto (il chierico che, in seminario, assiste i ragazzi più piccoli) che non le avevano regalato il consueto libretto delle preghiere perché, proprio così gli dissi “dovevano cambiare la Messa”. Il prefetto, allora, mi spiegò che la Messa sarebbe rimasta sempre la stessa… sarebbero solo stati modificati alcuni riti. Comunque il clima era quello!

Il papa Paolo VI seguiva tutto con molta attenzione, intervenendo, suggerendo, anche decidendo di sua iniziative, alle volte. Per farla in breve, nel 1969 (il 30 nov.) si comincia a celebrare con il nuovo rito e l’anno successivo (1970) esce il Messale completo (quindi non solo il rito, ma anche le varie preghiere, i testi ecc. ecc…). Il Messale del 1970 (anche qui si faccia caso alle date… perché il Messale promulgato da San Pio V è del 1570!) si presenta davvero come qualcosa di nuovo e di diverso rispetto a prima. Non è solo la lingua a fare la differenza, ma anche le novità introdotte ad es. nel cuore della Messa (la preghiera eucaristica era una sola, il Canone Romano, nel vecchio Messale… adesso le preghiere euc. sono quattro e negli anni successivi ne sarebbero state introdotte altre …). Molti riti sono stati ritoccati, semplificati, alcuni aboliti. Certamente i meriti di quella riforma vanno riconosciuti: ci fu un arricchimento dei testi biblici usati nella Messa (ecco il lezionario), il recupero di alcune preghiere antiche e arricchenti per la vita spirituale dei cristiani, il riconoscimento più esplicito dei ministeri laicali Non starò qui a dire il valore e i meriti della riforma che, a mio avviso, sono innegabili e indiscutibili. Se però è concessa qualche osservazione, ne farei almeno una: la riforma del Concilio Vaticano II ha il sapore di una cosa “fatta a tavolino”. Fatta benissimo, ma un po’ fredda. Un riordino della casa, o del palazzo della Lit. (per usare l’immagine già ricordata del card. Schuster …) troppo rigido, in cui ogni cosa doveva essere esattamente al suo posto, tutto ben collocato nei cassetti, nella libreria ecc… Per alcuni una Riforma troppo pesante, esagerata. Si poteva andare più gradualmente. Comunque sia, questo stato di cose ha creato dei problemi che si sono trascinati nel tempo… fino ai nostri giorni! Certo la maggioranza dei cattolici l’ha accolta favorevolmente, o al massimo dolendosi di dover rinunciare a riti, a preghiere, ad abitudini che erano entrati ormai nell’animo di molti. Ma nulla di più C’è stato anche chi, invece, si è spinto fino a dichiarare “eretica” la riforma… un allontanamento impressionante dall’autentica dottrina cattolica. E insieme con la riforma si respingeva poi tutto il Concilio e addirittura si ritenevano illegittimi i papi succeduti a Pio XII (sono i cosiddetti “sedevacantisti” che mi pare esistano ancora … coloro cioè che ritengono la sede di Pietro ancora vacante perché i successori di papa Pacelli avrebbero rinnegato la fede autentica).

Arriviamo quindi a parlare del vescovo Lefebvre e del movimento legato al suo nome, che ha fatto del vecchio Messale un po’ l’emblema delle idee portate avanti. Quando, nel 1988, la ribellione giunge all’estremo con l’ordinazione di quattro nuovo vescovi senza il consenso del Papa, scatta di fatto la scomunica. Quei vescovi (ordinanti … perché oltre a Lefebvre c’era anche un Vescono brasiliano) e ordinati, si erano posti fuori dalla comunione ecclesiale. E’ uno strappo doloroso e papa Giovanni Paolo II non può tentare di far qualcosa. Già nel 1984, per venire incontro alle richieste dei lefebvr. aveva dato disposizione affinchè i Vescovi concedessero un indulto per la celebrazione della vecchia messa a quanti lo domandassero. Poi, avvenuto lo scisma nel 1988, nel tentativo di recuperare i sacerdoti e i fedeli cosiddetti “tradizionalisti” e legati al mov. di mons. Lefebvre, sempre papa Giovanni Paolo II istituisce una commissione che si chiama “Ecclesia Dei adflicta” e che si occupa del problema. E in questo nuovo documento egli invita i Vescovi ad usare “largamente e generosamente” delle possibilità offerte dall’indulto, ossia di concedere la celebrazione in rito antico ai richiedenti. Questa è dunque la disciplina che ha regolato la materia fino al 7 luglio 2007, data appunto di pubblicazione del mp Summorum Pontificum d Benedetto XVI.

Per poter celebrare la Messa con il vecchio Messale c’era bisogno di un permesso speciale del Vescovo. Alcuni Ordinari lo hanno concesso con relativa facilità, altri hanno detto chiaramente: “no”. Per cui in alcune diocesi si potevano celebrare Messe nel rito antico e in altre (per es. Vicenza) ciò non era consentito. Questa, per sommi capi, la storia più recente. Ovviamente ho dovuto sintetizzare molto ma spero di essere stato chiaro. Adesso cerchiamo di capire meglio che cosa stabilisce questo mp di papa Benedetto, di cui sentiamo parlare assai e che forse tanti non hanno mai letto (del resto … consentitemi la malignità … è un po’ difficile reperirlo anche nelle librerie cattoliche).

Si sa che già prima di essere eletto Benedetto XVI, allora card. Ratzinger, non aveva mai nascosto rispettose osservazioni anche critiche al modo con cui era stata condotta la riforma liturgica e nei suoi scritti aveva sempre espresso ammirazione e qualche volta rimpianto per certi aspetti dell’antica liturgia (cito solo il problema della posizione del sac.. durante la Messa e quindi la collocaz. dell’altare …). Una volta eletto ha evidentemente pensato di rivedere tutta la questione e di certo l’ha fatto con molta ponderazione, perché di questo documento si parlava da parecchio tempo. Intanto il papa ha chiarito una cosa: il vecchio Messale non è stato mai abrogato da nessuno. Forse qualcuno, al tempo della Riforma del Vaticano II, pensava che si dovesse procedere ad un tale atto formale o, almeno sperava che il Messale di Pio V cadesse in disuso e basta. Paolo VI si è semplicemente limitato a dire che il messale da lui promulgato era pienamente legittimo e quindi da accettare come tale.

A questo punto, piaccia o non piaccia, il Papa Benedetto XVI si è pronunciato definitivamente: il vecchio Messale non è mai stato abrogato e quindi, di per sé, si può ancora usare. Ma come, e in quali condizioni? Non c’è il pericolo che si creino, cosa impensabile, due “riti romani”? Sarebbe antistorico, antilitugico… Papa Ratzinger, da uomo di grande intelligenza qual è, ha risolto così la questione: nel Messale di Paolo VI c’è la forma normale, ordinaria, di celebrare l’Eucaristia; nel Messale di Giovanni XXIII (pubblicato nel 1962) c’è la forma straordinaria, ma comunque lecita, di celebrazione. Quando si può dunque usare tale forma? A quali condizioni? I casi più comuni che possono verificarsi sono questi:

- ogni sacerdote, quando celebra in forma privata (non significa che debba chiudersi in chiesa e non farlo sapere a nessuno … ma semplicemente che quella non è una Messa d’orario) può scegliere o l’uno o l’altro messale. Ed inoltre, precisa il papa, “Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario (nel mio caso l’Ord. è il Vescovo, che comunque io a suo tempo ho informato)

- A queste messe in latino celebrate in forma privata, dice ancora il papa, possono essere ammessi anche i fedeli che lo desiderassero;

- nelle parrocchie in cui c’è un gruppo stabile di fedeli che desiderano tale celebrazione, il parroco deve “accogliere volentieri la richiesta”.

Se si fa un’interpretazione restrittiva del mp e, soprattutto, se non si vuole assolutamente saperne della vecchia messa, ci sono sicuramente degli appigli possibili: basta dire che non c’è il gruppo stabile, che nessuno ha fatto domanda, che il prete non è comunque capace di dire quella messa perché non ha studiato il latino, non conosce il rito, non gli piace e insomma non lo vuole e basta! Il gioco è fatto e il problema risolto. Io parto invece da un altro presupposto. Se il papa sostiene che “ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”, se dunque il papa riconosce la bontà e la validità del vecchio rito, non vedo perché si debba essere avversi quasi per partito preso. E non capisco perché sia quasi sconveniente farlo conoscere.

A questo punto io vorrei andare molto sul piano soggettivo, aprirmi alla confidenza con voi. Tanti mi hanno infatti domandato perché tanto interesse, da parte mia, per il recupero della Messa antica. Se avessi fatto come fan tutti o quasi, certo avrei dormito sonni più tranquilli. Allora vorrei insomma spiegarvi con molta semplicità perché mi sono deciso a fare questa battaglia (e il termine non vi paia eccessivo, perché effettivamente c’è da lottare contro l’ostilità, generalmente fatta di silenzio, per questo tipo di scelte). Non è stato facile, sapete, e so che ci sarà ancora molto da soffrire. Però bisogna avere un po’ di coraggio quando si è convinti della bontà di una cosa. Una volta ho letto questa frase: “Se non sei disposto a soffrire per le tue idee, o queste non valgono niente … non vali niente tu!”.

Ecco, io ho, personalmente, un legame molto forte con l’antico rito, perché lo sfondo in cui è nata la mia vocazione sacerdotale è proprio il servizio all’altare, come chierichetto, nel periodo in cui quel rito stava per essere riformato secondo le indicazioni conciliari del Vaticano II (siamo, ahimé, nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso). Anzi, volendo risalire ancora più indietro nel tempo, vorrei rivelarvi un particolare curioso della mia primissima infanzia: la mamma mi racconta spesso che, talvolta, mi cantava il “Dies irae”, la sequenza della “Missa Defunctorum” come filastrocca per farmi addormentare. L’ incontro con l’antica liturgia, quindi, è stato veramente precoce, direi un naturale assorbimento con il latte materno. E’, quindi, un legame affettivo che ritengo meritevole di rispetto, anche se so benissimo che i “nostalgici” sono guardati con molto sospetto, oggi. Gli studi teologico-liturgici, naturalmente, sono stati condotti sul Messale di Paolo VI, che è veramente una miniera ancora inesplorata e che, senza ombra di dubbio, è e resterà la forma normale della celebrazione eucaristica. Di questo Messale ben conosco la genesi e la ricchezza biblica ed eucologica (cioè delle preghiere e delle formule liturgiche). Sia chiaro che non ho alcuna preclusione contro questo libro della preghiera cristiana e cattolica che è legato al nome di un grande pontefice, Paolo VI, appunto!

Mi fa tristezza, invece, che alcuni, i quali si ergono a paladini del Concilio Vaticano II, coloro che non accettano il mp di Bn XVI o che sperano cada presto nel dimenticatoio, costoro spesso non conoscono bene neanche il Messale del 1970 e tanto meno lo utilizzano e qualche volta lo stravolgono …. Ma ritorniamo alla mia scelta di utilizzare, insieme al Messale riformato, anche quello precedente. Essa si fonda anche sul fatto che la mia tesi di dottorato, e mi domando se non possa essere stato un segno del destino, anzi meglio un segno della Provvidenza, la mia tesi di dottorato – dicevo - in Sacra Liturgia ha riguardato proprio il commento del beato Schuster all'antico messale romano (l’opera più nota del benedettino è infatti il Liber Sacramentorum).

Per questo dunque ho deciso di celebrare, qualche volta e senza stravolgere la prassi consueta, anche nell’antico rito. Ci ho riflettuto, mi sono studiati i documenti, ho sottoposto il mio desiderio al Vescovo e, dato che non mi sono giunte proibizioni di sorta, mi sono avvalso di questa facoltà che il Papa concede. Certo le critiche non mi mancano, sia da parte di qualche confratello che di qualche laico. Però mi sono accorto che (ma non sto naturalmente parlando di chi mi critica… parlo in generale) spesso si parla senza cognizione di causa. E succede che i più ostili alla Messa in latino siano quelli che, magari, della Messa non gliene importa proprio niente! Ora vediamo le più comuni obiezioni al ripristino del vecchio rito. Quando si parla della Messa in latino, da parte di chi vi si oppone si fa spesso notare che essa impedisce la partecipazione dei fedeli proprio per alcuni ostacoli che frappone tra il sacerdote celebrante e i presenti al Rito. Allora cerchiamo di riflettere un po’su questo tipo di problemi. Ne elenco tre (il latino, la posizione del sacerdote durante la Messa, il silenzio che avvolge gran parte della celebrazione)

1) La difficoltà della lingua, anzitutto!

Ormai il latino è sempre meno conosciuto e studiato e non sono pochi gli stessi ecclesiastici che non lo conoscono affatto. Che senso ha rimetterlo in auge in chiesa, con il rischio che appaia qualcosa di lontano, di riservato a pochi eletti, che faccia pensare al culto cristiano come a un insieme di formule magiche ?

Per rispondere a queste domande ci vorrebbe una Conferenza apposita. Allora, anche qui, solo qualche rapida osservazione. Che il latino sia stato abbandonato nel normale curriculum dei nostri studenti è un dato di fatto: a parte i giovani che frequentano i licei, per gli altri non esiste più l’opportunità di un accostamento, sia pure elementare alla lingua che ancora considerata quella ufficiale della Chiesa. C’è stato, almeno nel più recente passato, un’opposizione che potremmo dire di tipo ideologico allo studio del latino: è la lingua dei ricchi, di chi ha potuto permettersene lo studio, serve solo per creare separazione, distanza tra il popolo e pochi privilegiati. Meglio abbandonarla. Forse alcune posizioni di questo tipo sono state e sono presenti nella anche nella Chiesa.

Perché allora il Papa propone, al di là della stessa questione dell’antico rito, che si riprendano, anche nella Lit. riformata, alcune formule in latino? (Nella esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis, egli invita alla conoscenza della fondamentali preghiere anche in latino). Certamente vi è una motivazione teologica: far percepire la continuità della preghiera cristiana, comprendere che siamo immersi nell’unico e costante flusso di una umanità che si apre con le sue suppliche a Dio Onnipotente. In ogni tempo e in ogni luogo. Quindi l’idea della tradizione, del trasmettere. Il Papa, inoltre, indica anche un’utilità pratica nell’esortazione a riprendere il latino: sempre più ci sono incontri internazionali di credenti e sempre più vi è la necessità di pregare insieme. Ma con quale lingua, se non quella che per secoli e secoli ha espresso l’identità dell’orazione cristiana, appunto.

E se vogliamo assecondare queste indicazioni del Papa, dobbiamo pur tornare a insegnare ai nostri fedeli un po’ di latino. Non è mica la fine del mondo, caspita! Nel mio piccolo ho già fatto un po’ d’esperienza e ho visto che la cosa è possibile: ho fatto imparare ai bambini della Prima Comunione il Pater Noster. Sono stati felici e contenti, e con loro le catechiste e le mamme. Nulla di così traumatico. Anzi: c’è uno di questi ragazzini che, ogni qualvolta m’incontra, vuole cantarmi il Pater Noster in gregoriano. E io l’ascolto con molta soddisfazione! Si aggiunga che il latino della Liturgia è un latino tutto sommato abbastanza semplice , abbordabile: non è quello classico di Cicerone, certo non alla portata di tutti. E’ quel latino della Messa che, quasi alla fine del romanzo, davanti a don Abbondio, Renzo riconosce come “latino buono”; al contrario del latino canonico all’inizio della storia, quando don Abbondio gli aveva indicato tutti gli impedimenti al suo matrimonio. Con qualche buon sussidio si può arrivare persino al dialogo tra i fedeli e il sacerdote. In passato ci erano riusciti. E perché non dovrebbe essere possibile ancora? Un’altra osservazione: sì, certo, un po’ di fatica e d’impegno, quanto alla lingua della Messa nell’antico rito è richiesto. Perché non siamo disposti a farlo se crediamo nella bellezza e nella grandezza della Liturgia? Ed infine anche questa: non sempre partecipare significa capire tutto. Forse che comprendiamo tutto della Messa anche in italiano? Certe preghiere, certe formule, certi concetti sono veramente elevati. Si tratta, in fondo, del Mistero di Dio che ci supera sempre! E nessuno dei nostri linguaggi può racchiuderlo!

2) La posizione del sacerdote durante la Messa nel vecchio rito. Si dice che “il prete volta le spalle ai fedeli”. Ed è vero, perché è proprio così. Ma perché lo fa? Non certo per mancanza di galateo o perché vuol rimanere più raccolto, meno disturbato dai fedeli. In passato le Chiese erano sempre fatte in modo che il sacerdote, durante la preghiera, fosse rivolto ad est ed è per questo che, anche la Chiesa di Ancignano, ad es. è costruita così, con l’abside ad est. Diverso è il caso, mettiamo, della Basilica di San Pietro, dove l’est è dato dal portone d’ingresso: però anche in quella condizione il Celebrante, il Papa, guardava ad Oriente. Per questo il Papa, anche prima della rif. Lit. celebrava rivolto al popolo, avendo il sole nascente di fronte a sé. C’è stato quindi questo simbolismo del sole nascente, che è Cristo Signore per i fedeli cristiani, ad influenzare la collocazione degli altari e la posizione del sacerdote. Noi abbiamo smarrito questo simbolismo che è importantissimi: la fede ci invita non tanto a dialogare tra di noi (cosa importante, si capisce!), ma a guardare agli altri attraverso Cristo Morto e Risorto. Per questo, oggi, si cerca di recuperare il concetto di “versus Deum” (stare rivolti a Dio) della preghiera e non solo il “versus populum” (essere rivolti al popolo). E’ molto significativocce il nuovo cerimoniere del Papa abbia voluto ricollocare la Croce al centro dell’altare sul quale celebra il Vescovo di Roma, mentre prima era di lato. E non importa se così il volto del papa è meno inquadrabile dalle telecamere! La Croce non può essere un disturbo, anzi! Dovrebbe costituire per tutti il punto di riferimento dello sguardo, dell’interesse, del cuore, dei sentimenti. Sennò la Lit. è un parlarci addosso! Mi colpisce sempre quella preghiera (è nuova, si trova nel Messale di Paolo VI che, quindi, non disdegno certo) e dice che “nessuno ha niente da dare ai fratelli se prima non comunica con te, Signore ….”. Allora va benissimo la fratellanza, il dialogo, la comunicazione fra di noi, però – per favore – prima comunichiamo con Nostro Signore Gesù Cristo. Ecco allora il senso di una posizione che non comprendiamo più e che ci appare assurda. E che invece ha ancora una sua ragion d’essere, almeno quando si celebra con il vecchio rito: tutti rivolti al Signore, anche il prete, alla testa dei suoi fedeli!

3) Altra grande difficoltà che si fa notare, a proposito del vecchio rito, è il fatto che il sacerdote fa quasi tutto lui e, oltretutto, recita la gran parte delle preghiere non solo in latino, ma anche sussurrandole (subissa voce, secrete …), praticamente in silenzio. Beh, questo è vero! E’ una caratteristica dell’antico rito che comunque ci aiuta forse a riscoprire il valore di una partecipazione fatta anche e soprattutto interiormente. Ciò che conta non è il continuo agitarsi, durante la Messa, ma lo stare davanti a Dio che garantisce la sua presenza nel Mistero celebrato. Partecipazione fatta soprattutto di fede … e non è poco se riscopriamo questo valore

4) Un quarto aspetto della messa antica che potrebbe far difficoltà e quello legato alla rigidità delle norme (ogni gesto, anche il più piccolo, dev’essere fatto in un modo piuttosto che in un altro … le dita si tengono così e non colà, le braccia si sollevano o si allargano secondo la rubrica). Si usa sempre dire, infatti, a proposito della vecchia Liturgia, che era mummificata, ingessata. E invece adesso tutto è più libero, spontaneo. Eppure anche questo ha un suo significato: nella Liturgia io non posso inventare nulla, non posso mettere niente di mio (fantasia, capacità di conduzione, trovate particolari per attirare l’attenzione). La Liturgia, e questo lo diceva l’allora card. Ratzinger, non vive di sorprese accattivanti, ma di lente e solenni ripetizioni . Per tanti sacerdoti (e qualche volta è capitato anche a me …) il problema è: cosa faccio oggi per “svegliare un po’ la gente … perché non si stanchi venendo a messa ...” Le preoccupazioni di questo tipo hanno portato ad atteggiamenti sempre più disinvolti, come se una buona Liturgia dipendesse dalle capacità del prete a condurre uno spettacolo, uno show …. No, la Lit è un patrimonio che ti viene affidato. Non hai alcun diritto su di essa: né quanto alle parole, né quanto ai gesti. Tutto ti è consegnato. Io dico sempre che, se qualcosa di mio devo metterci, questa è la mia poca o tanta fede. La testimonianza che io ci credo veramente in quel che celebro, in quello che sta accadendo quando sono all’altare. Sia ben chiaro che questo vale per tutti e due i Messali, quello di Pio V e quello di Paolo VI! Dunque una certa fissità è indispensabile. Noi ci lasciamo condurre dal rito maturato nella sapienza plurisecolare della Chiesa e, attraverso il rito ci apriamo al mistero insondabile del Dio Uno e Trino. * La possibilità che ha dato il Papa di celebrare secondo l’antico rito è un “dono” (nel senso che tanti lo desideravano ma ormai non ci contavano più..) ed è una possibilità, non un obbligo. A me sembra dunque che Benedetto XVI con questo mp che si cerca di occultare o di disattendere ci abbia dato prova di grande saggezza, amore, accoglienza per tutte le sensibilità belle e buone – nessuna esclusa - che ci sono all’interno del variegato mondo cattolico. Solo il tempo ci dirà la lungimiranza di questo Pontefice che molti dichiarano un affossatore del Concilio. Proprio lui che, al Vaticano II, è stato uno dei periti più apprezzati e profondi. Sto per concludere, ma prima vorrei tentare di rispondere ad un’ultima domanda. Quali sono le categorie di persone, di fedeli, alle quali ha pensato il Santo Padre pubblicando il m.p.? Si sente dire spesso che la concessione è stata fatta per recuperare i lefebvriani scismatici (ma non è ancora stato dimostrato che ciò sia stato sufficiente) o per accontentare persone anziane e nostalgiche (ed questo possiamo anche concederlo, e comunque sia chiaro che il massimo rispetto si deve a questi fedeli). Ci può essere qualche altra categoria interessata? Per es. i giovani? Il Santo Padre scrive: “Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del M del 1962, si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma particolarmente appropriata, per loro, d’incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia” Io non avrei mai creduto a queste parole del Papa, cioè che dei giovani che non hanno mai conosciuto il rito direttamente quand’era in voga, si interessassero ad esso, prima di incontrare questo giovanissimo amico. Si chiama Davide Saron, è di Vicenza, e da qualche tempo mi fa da “istruttore”. Proprio con la sua testimonianza vorrei concludere il mio intervento che, spero, sia stato un po’ utile alla comprensione dei problemi legati al mp di papa Benedetto. Grazie … caro Davide… se vuoi dire qualcosa ci faresti un dono immenso …


*Parroco di Ancignano, dottore in Liturgia


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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