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10.2.1939 "70 anni fa Pio XI" Il Papa della dignità Ecclesiale

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2009 18:34
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10/02/2009 09:20
 
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Fu Giovanni XXIII a pubblicare il discorso che il suo predecessore non riuscì a pronunciare
«Attenti a chi fraintenderà volutamente le vostre parole»

    "L'Osservatore Romano" del 9-10 febbraio 1959 pubblicò in prima pagina la lettera indirizzata da Giovanni XXIII agli arcivescovi, ai vescovi e agli ordinari locali d'Italia nel ventesimo anniversario della morte di Pio XI e nel trentesimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi. Ne riproponiamo integralmente il testo.

    La familiarità di pensiero e di parola con i ricordi del Nostro veneratissimo predecessore Pio XII Ci è motivo di continua soavità e di grazia nella successione delle settimane e dei mesi, da quando assumemmo la eredità del suo cómpito pontificale.
    Sono richiami, sono risonanze, sono inviti di una esperienza di universale paternità, che Ci tornano a quotidiano incoraggiamento e conforto.
    Ma al di là della figura tanto cara e benedetta di Pio XII, Ci è spontaneo risalire agli altri Pii, che della paterna maestà del loro ministero hanno raddolcito le asprezze della vita umana, fortificando l'affermazione dei princìpi che più interessano lo spirito e li riassumono nella riconosciuta preminenza dei beni soprannaturali e della santificazione delle anime su tutte le ricerche e le conquiste di ordine materiale e temporale.
    Oh! che felice ascendere a ritroso degli anni da Pio XII a Pio XI, a San Pio X, a Pio IX, come per la scala luminosa di Giacobbe così ricca di meraviglie e di sorprese! Di questi giorni torna più vivo il richiamo al Pontefice Pio XI, compiendosi il ventesimo anniversario della sua morte e il trentesimo di uno dei più notevoli avvenimenti della storia contemporanea della Chiesa - cioè dei Trattati Lateranensi - merito preclaro di quel grande spirito di uomo, di Pontefice, non immemore della cara terra che gli diede i natali.
    Nella imminenza presentita della sua fine, quella sua sempre robustissima volontà aveva convocato intorno a sé tutti i Vescovi d'Italia, come figli intorno al vecchio padre per un colloquio estremo.

    Dalla sala del Concistoro in Vaticano quel colloquio nella sua intenzione avrebbe dovuto prolungarsi l'indomani sotto le volte della grande Basilica di San Pietro, che - diceva lui - "ci arride così vicina". Naturalmente, oltre a parecchi richiami sobriamente accennati circa punti interessanti di sollecitudine pastorale, egli si proponeva di aggiungere - e lo voleva fare "con la maggior ponderazione" - qualcosa di più notevole sul tema di importanza collettiva e universale e - son sempre parole sue - "di importanza grande non soltanto per l'Italia".

    Purtroppo al volere mancò la possa. Si potrebbe dire che quel prevalente desiderio di lui di morire sul campo in atto di lavoro e senza malattia, per cui aveva fatta devozione a Sant'Andrea Avellino, il Santo di cui teneva l'immagine in faccia al suo letto, fu soddisfatto al di là della sua attesa. Quando sorella morte se gli accostò, egli stava ancora scrivendo il discorso, in espressioni di commiato ai suoi Vescovi d'Italia, che lo avrebbero potuto ridire poi alle diocesi. Purtroppo la stanca mano si arrestò inerte senza che lo potesse finire.
    Quanto rimane di quel manoscritto meritava bene di essere tenuto in riserbo da ogni sguardo di profana indiscrezione.

    Molte fantasie si sono sbizzarrite a suo tempo sopra gli ultimi segni di un pensiero e di un sentimento che non potevano essere se non alti e nobilissimi, per chi conosce la superiorità spirituale di Pio XI. Ma le circostanze di quelle settimane, non scevre di amarezze per il vecchio Pontefice, avrebbero reso ben spiegabile il suo esprimersi con frasi e toni di troppo giusto risentimento.
    Per un Papa successore non ci sono riserve circa il mistero dello spirito di chi lo precedette nelle responsabilità più gravi e più sacre.
    A vent'anni di distanza dalla morte di quel grande, Noi possiamo assicurarvi che quelle sue "novissima verba" contenevano quanto di più semplice, e insieme di più edificante e di più commovente potevasi attendere da lui, nel senso di una paternità piena di rispetto e di affezione che varranno bene la benedizione al suo nome nei secoli.

    Per rivelarvi qualcosa di quel manoscritto Ci basta il duplice rilievo, che egli vi fece sulle più alte responsabilità della coscienza dei Vescovi in ordine ai Seminari ed alla parola episcopale. Accennando ai Seminari, e toccando degli innumeri particolari che si presentano allo spirito - specialmente a spiriti vigilanti e sperimentati come sono i vostri, - egli scriveva: "Pietà, studi, direzione spirituale e governo esteriore, disciplina e igiene, economia e amministrazione, biblioteca e cucina:  corpo dirigente ed insegnante, personale di servizio, ed ogni più grande e piccola cosa:  sì, ogni più grande ed anche ogni più piccola cosa, perché di piccole cose si intesse la vita quotidiana e rare sono le cose grandi. Così del resto è l'insegnamento - vedasi qui finezza di richiamo - l'insegnamento e l'esempio del gran Padre che è nei Cieli, che governa i mondi e sa l'uccellino che muore nel bosco e il capello che cade dal nostro capo".

    "L'intento nostro - prosegue il manoscritto - è stato unicamente, nostri Venerabili Fratelli nell'Episcopato, per pregarvi, come facciamo di tutto cuore, di venirCi sempre in aiuto per il maggior bene di questi Seminari diocesani ed interdiocesani, secondando le direttive e le cure della Nostra, anzi vostra Congregazione, tutta dedicata a queste istituzioni che vi appartengono:  siano esse diocesane o interdiocesane, a queste particolarmente a cui le altre fanno capo:  venire in aiuto, dunque, facendo anche talvolta corde magno et animo volenti, il sacrificio di qualche soggetto alla diocesi particolarmente utile, pensando che è per una utilità più alta e più vasta, oltre che una vera carità al Papa:  in aiuto, ripetiamo, secondando il rigore dei rettori, nella ammissione e nelle promozioni, pensando che su di essi grava una speciale, formidabile responsabilità, assistita da particolari grazie ed aiuti celesti".

    E conchiudeva questo tocco sui Seminari con familiare richiamo a due suoi ricordi di giovinezza:  di un rettore di Seminario, rimarchevole ed esemplare, ma di carattere parecchio angoloso ed autoritario, di cui peraltro il Vescovo diceva:  "Io finisco sempre per approvare i suoi giudizi per ammissioni e promozioni:  una volta sola ho creduto di aver ragione io:  e dovetti poco appresso convenire che anche quella volta aveva ragione lui".

    E l'altro ricordo richiamava una risposta di Monsignor Agostino Riboldi, suo professore di scienze fisiche, poi Vescovo di Pavia e Cardinale Arcivescovo di Ravenna, alla obiezione che questo rigore di reclutamento avrebbe presto lasciato le parrocchie senza parroci: "Se non vi sarà la Santa Messa, i fedeli saranno dispensati dall'ascoltarla".
    Il manoscritto passa poi dai Seminari ad un altro motivo di pastorale sollecitudine, cioè alla parola episcopale. Val bene il merito di riferire qualche tratto che contiene insegnamenti utili per ogni tempo:  "Quello che stiamo per dire a voi e di voi, dobbiamo anzitutto dire a Noi e di Noi".

    "Voi sapete, carissimi e venerabili Fratelli, come spesso è trattata la parola del Papa. Ci si occupa, e non soltanto in Italia, delle Nostre Allocuzioni, delle Nostre udienze, il più spesso per alterarle in falso senso ed anche inventando di sana pianta; farCi dire delle vere ed incredibili sciocchezze ed assurdità. C'è una stampa che può tutto dire contro di Noi e contro le cose Nostre, anche ricordando ed interpretando in falso e perverso senso la storia vicina e lontana della Chiesa, fino alla negazione di ogni persecuzione in Germania, negazione accompagnata alla falsa e calunniosa accusa di politica, come la persecuzione di Nerone s'accompagnava all'accusa dell'incendio di Roma:  fino a vere e proprie irriverenze:  e si lascia dire, mentre la nostra stampa non può neanche contraddire e correggere.

    "Voi non potete aspettarvi che la vostra parola sia trattata meglio, anche quando è parola dei Sacri Pastori divinamente costituiti, parola predicata o scritta o stampata per illuminare, premunire, salvare le anime.
    "Badate, carissimi Fratelli in Cristo, e non dimenticate che bene spesso vi sono osservatori o delatori (dite spie e direte il vero), che, per zelo proprio o per incarico avuto, vi ascoltano per denunciarvi, dopo, s'intende, aver capito nulla di nulla, e, se occorre, il contrario:  avendo in loro favore (bisogna ricordarcene come Nostro Signore per i Suoi crocifissori) la grande, sovrana scusante dell'ignoranza.

    "Peggio assai quando questa scusante deve cedere il posto alla aggravante di una stolta presunzione di chi crede e dice di saper tutto, mentre evidentemente non sa neppure che cosa sia la Chiesa, che cosa il Papa, che cosa un Vescovo, che cosa quel vincolo di fede e di carità che tutti ci lega nell'amore e nel servizio di Gesù, Re e Signore Nostro. Ci sono, purtroppo, pseudo-cattolici che sembrano felici quando credono di scorgere una differenza, una discrepanza, a modo loro (s'intende), fra un Vescovo e l'altro, più ancora fra un Vescovo e il Papa.

    "Sappiamo che vi sono parecchie ed anche molte, buone, consolanti eccezioni:  persone egregie, che sanno virilmente, nobilmente armonizzare i loro uffici alla loro fede e professione cattolica, con incalcolabile vantaggio della religione, delle anime, delle coscienze, specialmente le giovanili, con ciò stesso del Paese. Vorremmo conoscerli tutti personalmente, come parecchi di voi Ce ne avete segnalati, per ringraziarli e benedirli tutti, ad uno ad uno".
    È su queste parole soffuse di soave paternità che il manoscritto del morente Pontefice si attenua in linee confuse e tremanti. Torna a questo punto il motivo della attualità per cui lo scrisse, cioè il decennale della Conciliazione fissata dal Trattato Lateranense:  le avrebbe certo prolungate ancora, in preparazione della cerimonia del domani in San Pietro:  ma l'indomani il suo corpo giaceva esanime nella Cappella Sistina, in alto, eretta la fronte verso la volta che l'arte di Michelangelo, si direbbe, aveva dipinta per lui, ad immagine dell'accoglimento trionfale che l'attendeva, ben meritato, nelle regioni celesti dopo un Pontificato così glorioso.

    Sull'affaticato manoscritto restano ancora alcune parole, quasi in espressione dell'ultimo anelito di quello spirito magnanimo e che riassumono non tutto ciò che avrebbe voluto dire più ampiamente, ma che appena gli riuscì di formulare e che rimane come prima nota di un canto immortale.
    Egli aveva iniziata la stesura del suo documento con le parole dell'Apostolo:  "Grati estote". Siate riconoscenti. E la riconoscenza voleva rivolta al Signore, che aveva dato all'Italia questo grande beneficio della riconciliazione della Chiesa con lo Stato.

    La sua mano si arrestava sulle stesse parole, "novissima verba", le quali, così come si possono leggere sul manoscritto, segnavano le note finali di una invocazione, che al risentirla ora farà battere di commozione e di tenerezza ogni cuore di buon cattolico e di ogni buon Italiano. Essa non poteva essere offerta sopra un altare più solenne che quello di San Pietro:  come rinnovazione e riconsacrazione di un fatto, che affermò per l'Italia l'alleanza felice della Chiesa e dello Stato.

    Oh! che parole, che parole son queste di esultanza e di pace:
    "Sull'avello secolare e glorioso e sulle sacre memorie degli Apostoli del Signore, che primi portarono il Vangelo in Roma, ed ivi fondarono la Chiesa universale, Noi possiamo dire non già esultanza di ossa umiliate, ma di ossa glorificate.

    "E Noi lo ripetiamo di tutto cuore:  con l'accento della preghiera. Sì:  esultate, ossa gloriose dei Prìncipi degli Apostoli, discepoli e amici di Cristo, che onoraste e santificaste questa Italia benedetta con la vostra presenza, con la vostra opera, con la porpora del vostro nobilissimo sangue. Esultate in questo memorabile giorno, che ricorda Dio ridato all'Italia e l'Italia a Dio, ottimo auspicio di più luminoso avvenire. Nel sorriso di tale auspicio, anche voi profetate, ossa sacre e gloriose, come quelle dell'antico Giuseppe. Profetate la perseveranza di questa Italia nella Fede da voi predicata e suggellata col vostro sangue. Ossa sante, profetate una perseveranza intera e ferma contro tutte le scosse e tutte le insidie che da lontano e da vicino la minacciano e la combattono. Profetate la prosperità, l'onore, soprattutto l'onore di un popolo cosciente della sua dignità e responsabilità umana e cristiana. Profetate, ossa venerate e care, l'avvento od il ritorno alla religione di Cristo a tutti i popoli, a tutte le nazioni, a tutte le stirpi, congiunte tutte e divenute consanguinee nel comune vincolo della grande famiglia umana. Profetate infine, ossa apostoliche, l'ordine, la tranquillità, la pace, la pace, la pace a tutto questo mondo, che, pur sembrando preso da una follia omicida e suicida di armamenti, vuole la pace ad ogni costo, e con Noi dal Dio della pace la implora e confida di averla".

    Con questa citazione finale, venerabili e carissimi Confratelli nell'Episcopato, il misterioso segreto del discorso di Pio XI nel decennale dei Trattati Lateranensi è svelato. E voi potete ben constatare se vi è in esso qualcosa di meno appropriato per qualcuno, o meno corrispondente alla dignità pontificale, o alle nobili e serene aspirazioni di un gran cuore di pastore e di padre.

    Una delle soddisfazioni più care della vita, in ogni tempo e circostanze, è il "gaudium de veritate":  e Sant'Agostino ci avverte che la verità è il "cibus animae".

    Questo omaggio reso alla verità su un episodio così interessante per la storia religiosa e per la vita civile dell'Italia cattolica vuol essere per tutti, clero e fedeli, un incoraggiamento a proseguire il buon cammino, affinché "sic transeamus per bona temporalia ut non amittamus aeterna".

    Così la protezione dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, così i fatti e gli esempi preclari dei Pontefici che Ci precedettero, restino indirizzo e guida al buon pensare ed al bene operare. "Nella luce dei candidi taumaturghi splendori di Lourdes", il Santo Padre Pio XI iniziava il suo estremo documento:  in questa stessa luce auguriamo che il grande avvenimento di trent'anni or sono continui ad essere auspicio di prosperità e di pace; mentre in segno di particolare predilezione impartiamo a tutti voi, venerabili Fratelli, ai fedeli affidati alle vostre cure e alla diletta Italia l'Apostolica Benedizione.

    Dal Vaticano, il 6 febbraio 1959, anno primo del Nostro Pontificato.

    IOANNES PP. XXIII



(©L'Osservatore Romano - 9-10 febbraio 2009)


Dagli appunti inediti del cardinale Eugenio Pacelli e di monsignor Domenico Tardini
Gli ultimi giorni
di Papa Ratti

    È da tempo in preparazione l'edizione completa e criticamente annotata dei cosiddetti "Appunti di udienza" autografi del cardinale Eugenio Pacelli, segretario di Stato di Pio XI, dal 1930 al febbraio del 1939, quindi alla morte di Papa Ratti e alla vigilia della sua elezione a Pontefice il 2 marzo 1939. Tale edizione - di cui si prevede la pubblicazione del volume relativo al 1930 nel corso di quest'anno - è curata dal vescovo barnabita Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, dal viceprefetto, il gesuita Marcel Chappin, responsabile dell'Archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato (al quale appartengono i preziosi "Appunti") e da Giovanni Coco, dell'Archivio Segreto Vaticano. Dall'Archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (Stati Ecclesiastici, Pos. 576 P. O., fasc. 607) anticipiamo i testi - curati dal prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano - relativi alle ultime udienze concesse da Papa Ratti al cardinale Pacelli e a monsignor Domenico Tardini in relazione al famoso discorso che Pio XI era fermissimamente intenzionato a pronunciare l'11 febbraio 1939.

    [Udienza del cardinale segretario di Stato Pacelli con Pio XI del 10 gennaio 1939. È un appunto autografo come i seguenti]

    "Adunata dei Vescovi:  metterla in cammino. Mandare una lettera ai Vescovi e dire che il S. Padre è venuto nel pensiero di non lasciar passare l'occasione. L'11 Febbraio è la data della Conciliazione, l'Apparizione della Beata Vergine di Lourdes, vigilia della Coronazione. Inoltre 60 Sacerdozio, 20 Episcopato. Vuol celebrare nella grande famiglia dei Fratelli dell'Episcopato questo complesso di feste. Ce ne è abbastanza per giustificare tale adunanza. L'adunata si potrebbe fare il Sabato, la vigilia dell'Incoronazione. Forse è il caso di sentire Mgr. Respighi [Carlo Respighi, prefetto delle cerimonie pontificie]. Avvisare Mgr. Tardini [Domenico Tardini, Segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari]. Mandare alcuni in giro nei centri principali, affinché poi di là si avvisino gli altri".

    [Udienza pontificia al cardinale Pacelli del 17 gennaio 1939]

    "Quanto alla riunione dei Vescovi rimane fissata per il giorno 11 Febbraio. All'Ambasciatore [conte Bonifacio Pignatti Morano di Custoza, ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede] si può aggiungere che si sarebbe fissato per questa celebrazione il giorno 11. Se desiderano di sapere in che cosa consisterà questa celebrazione, si può dire che alcuni Vescovi, avendo dimostrato il loro desiderio di ripetere quello che avevano già fatto per l'Esposizione della stampa cattolica, il Santo Padre ben volentieri ha accolto questo desiderio e ha invitato i Vescovi che vogliono essere presenti a venire".

    [Sempre di mano del segretario di Stato]

    "Questa risposta è stata comunicata all'Ambasciatore d'Italia nello stesso giorno Martedì 17 Gennaio, alle ore 12".

    [Comunicazione dell'Ambasciatore d'Italia al cardinale Pacelli, 19 gennaio 1939]

    "Il Capo del Governo è rimasto soddisfatto della risposta del S. Padre relativamente alla celebrazione del Decennale della Conciliazione e in linea di massima è disposto a fare qualche cosa insieme o d'accordo e ha dato l'incarico al Sottosegretario Bastianini, in assenza del Ministro Ciano, di preparare qualche cosa. Come sua idea, il Capo del Governo ha detto che si potrebbero fare discorsi concordati e scambiare messaggi. Una Messa al Campo? Mussolini era ora in ottime disposizioni. Se i Vescovi vengono a Roma dal S. Padre, sarebbe forse bene che fossero ricevuti dal Capo del Governo.
    Risposta del S. Padre (20 Gennaio 1939):  Scambio di Messaggi, sì. Se Mussolini manda un Messaggio, il S. Padre risponderà.
    Parlerà come Papa ai Vescovi.
    Dire a Mussolini che il S. Padre pure è rimasto soddisfatto della sua risposta di fare d'accordo; però che non lasci venire la data del decennale senza avere risposto alla lettera del S. Padre. Il S. Padre aspetta ancora, e crede di essere in diritto di aspettare quale effetto abbia avuto la parola del Re, che sperava di mettere le cose sulla via conciliativa. Il S. Padre stesso esprimeva nel discorso di Natale che il Signore desse ai governanti lo spirito di verità e di giustizia:  ed ha visto che questa stessa speranza è anche in altri. Tra gli altri il Patriarca di Venezia [Card. Adeodato Giovanni Piazza] nel suo noto discorso diceva che si aspettava che venga una buona risoluzione, una parola definitiva, che non è ancora venuta. Quindi non lasci venire quel giorno senza che il Papa possa dire qualche cosa. Non vuol trovarsi nella necessità di dire che Mussolini è stato scortese e fedifrago. Se egli sa il suo dovere, richiamandogli quelle parole del Re; s'intenda lui col suo Sovrano. Far capire che metterebbe il S. Padre in un penoso imbarazzo:  di dover dire ai Vescovi:  il mio dovere l'ho fatto, ma non sono stato seguito, perché, mentre il Re è stato cortese ed ha accennato ad una possibilità di intesa, Mussolini ha voluto essere scortese e fedifrago.
    Quanto ai Vescovi il S. Padre non crede che sia il caso che vadano da Mussolini, specialmente perché i Vescovi sono stati invitati dal S. Padre dopo aver saputo che la cosa era gradita e desiderata; invitati a venire dal Papa, non da Mussolini".

    [Udienza pontificia del 21 gennaio 1939]

    "Sulla questione del decennale. Il S. Padre è disposto a fare qualche cosa d'accordo, ma il nostro accordo sarà fatto col Re. Il Concordato è stato firmato da Sua Santità e da Sua Maestà. Quindi, se vi devono essere Messaggi, il nostro primo Messaggio sarà al Re. Occorre togliere qualunque speranza che si possa prendere altra via".

    [Udienza del cardinale Pacelli all'Ambasciatore d'Italia, 3 febbraio 1939]

    "L'Ambasciatore d'Italia si è detto dolente di non poter portare alcuna buona risposta. 1) Quanto alla risposta di Mussolini alla lettera del S. Padre non se ne fa niente. Non vuole andare a Canossa (l'Ambasciatore ha espresso, ma in modo puramente personale, la speranza che, passata la data fissa, si possa ottenere). 2) Quanto alle richieste modificazioni circa la legge in difesa della razza, Mussolini ha pure detto che non si sente di sabotarla. 3) Circa l'intervento alla cerimonia in S. Pietro mi è parso dal modo di parlare dell'Ambasciatore che la preoccupazione nasca dal timore che il S. Padre faccia un discorso con allusioni sfavorevoli e che questo discorso sia poi pubblicato. 4) Se il S. Padre lo chiama, l'Ambasciatore è naturalmente sempre disposto a recarsi in Udienza".

    [Udienza pontificia del 4 febbraio 1939, dalle ore 11, 30 alle ore 11,45]

    "Rispondere all'Ambasciatore d'Italia nei seguenti termini:  Il S. Padre si ricorda di quello che ha fatto Pio iv, milanese  anch'esso,  che  all'Imperatore  [Carlo v], il quale nicchiava per cooperare al Concilio di Trento, fece dire:  Dite all'Imperatore che se il Concilio non lo vuol fare lui, lo facciamo Noi, perché vogliamo essere cavalieri et buoni cristiani. Al S. Padre rincresce piuttosto per lui (Capo del Governo) e per l'impressione che ne avrà il popolo. Parlando (ai Vescovi) il S. Padre non potrà dire di essere contento di questa assenza (del Governo dalla funzione in S. Pietro)".

    [Udienza del cardinale Pacelli all'Ambasciatore d'Italia, 4 febbraio 1939, ore 11,15]

    "Comunicato questa mattina al Sig. Ambasciatore di Italia [il testo della udienza precedente]. Durante la conversazione l'Ambasciatore mi confermò risultare dagli Atti che la risposta del Re al S. Padre fu suggerita testualmente dal Capo del Governo. L'Ambasciatore è preoccupato per le conseguenze che il prossimo discorso del S. Padre, se ci fossero rimproveri al Governo e fosse poi in qualche modo divulgato, potrebbe arrecare. Si potrebbero avere in Italia condizioni simili a quelle della Chiesa in Germania".

    [Appunto autografo del cardinale Eugenio Pacelli]

    "Lunedì 6 febbraio 1939, ore 10 antimeridiane. L'Ambasciatore d'Italia è venuto a comunicarmi che per la funzione in S. Pietro Sua Maestà il Re si farà rappresentare dal Principe di Piemonte [Umberto di Savoia] e il Governo col suo Capo si farà rappresentare dal Ministro Ciano".

    [Dai ricordi di monsignor Domenico Tardini]

    25 gennaio 1939:  "Il S. Padre è molto calmo. Mi parla del discorso, anzi dei discorsi che terrà ai Vescovi d'Italia l'11 e il 12 febbraio. Tratterà vari punti: i Vescovi e i Seminari, i Vescovi e l'Azione Cattolica, i Vescovi e il Concordato, i Vescovi e le parole, parole pubbliche e private, parola scritta, parlata e ...telefonata. Il S. Padre intende esortare i Vescovi alla massima prudenza. E aggiunge il S. Padre:  dovrò anche parlare del vulnus al Concordato".
    1 febbraio 1939:  "Il S. Padre è abbastanza calmo. Mi ripete lo schema del discorso (o meglio dei discorsi) che farà ai Vescovi d'Italia. Parole...telefonata [...]. Dico al S. Padre che Hitler, nel discorso del 30 gennaio, ha parlato della Chiesa con tono molto aspro e con voce eccitata; ha parlato, cioè, con rabbia. Il S. Padre mi interrompe:  E io parlerò con rabbia anche maggiore".
    8 febbraio 1939:  "Il Papa sta male. Il prof. Buonanome ha riscontrato disturbi alla prostata [...], ha notato debolezza cardiaca (40-44 pulsazioni), conseguenza dei disturbi di circolazione. Eppure il S. Padre ha dettato lui stesso un comunicato che comincia così:  Il Papa sta bene; ma per precauzione si astiene dal dare udienze per poter esser pronto alle cerimonie di sabato e domenica. Abbiamo un po' modificato questo sbalorditivo..annunzio per non dir bugie, pur non dicendo tutta la verità!".

                                    

(©L'Osservatore Romano - 9-10 febbraio 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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