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A.D. 313 - 2013 1.700 anni dall'Editto di Costantino, chiariamo la questione

Ultimo Aggiornamento: 27/04/2017 21:12
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28/11/2012 12:54
 
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[SM=g1740733] Sono iniziate le celebrazioni per commemorare i 1.700 anni dell’Editto di Milano, sottoscritto nel febbraio 313 da Costantino e Licinio, rispettivamente imperatori d’Occidente e d’Oriente.

Con questo decreto, chiamato Editto di Tolleranza, la cui importanza non sarà mai sopravvalutata, la Chiesa cattolica usciva dalle catacombe e iniziava la sua vita pubblica. 
A dare il via alle commemorazioni a Milano, un convegno intitolato “Ai tempi di Elena e Costantino: tracce di cultura e storia”, ospitato dal Consiglio regionale della Lombardia nella Sala Pirelli, e promosso dal gruppo culturale “Elettra Latina” coordinato dalla professoressa Federica Sposi.

Questo Editto non sarebbe stato possibile, però, senza il trionfo di Costantino sull’usurpatore Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio, il 28 ottobre 312.

A Roma il sindaco Gianni Alemanno ha presentato il programma per le celebrazioni del 1.700esimo ...
... anniversario di questa battaglia, che giungeranno fino al 2 dicembre con incontri, proiezioni e visite guidate in diversi punti della città.

Associandoci anche noi alle celebrazioni, offriamo ai nostri gentili lettori il testo di una relazione in merito, tenuta nell’agosto 2007 all’Università estiva delle TFP dal prof. Roberto De Mattei:

http://www.atfp.it/2008/81-marzo-2008/301-una-fiamma-di-fede-e-coraggio.html

***

Una fiamma di fede e coraggio [SM=g1740752]

di Roberto de Mattei

[Introducendo l’anno del centenario di nascita del grande leader cattolico Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), ispiratore delle Società per la Difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà — TFP, proponiamo ai nostri lettori ampi stralci della conferenza del prof. Roberto de Mattei nell’ultima Università Estiva delle TFP europee, tenutasi in Austria ad agosto.]

È il 27 ottobre dell’anno 312 dopo Cristo. Due eserciti si fronteggiano alle porte di Roma. Il primo esce dalle Mura Aureliane per schierarsi lungo le sponde del Tevere, presso Ponte Milvio. È comandato da Marco Aurelio Valerio Massenzio. Il secondo, sceso verso Roma da Treviri, in Germania, si attesta lungo la via Flaminia. È guidato da Flavio Valerio Costantino. I due contendenti lottano per il titolo di Augusto di Occidente, una delle quattro cariche supreme nella Tetrarchia, il nuovo sistema di governo dell’Impero ideato da Diocleziano.

Saxa Rubra: cambia il destino dell’Impero

La giornata volge al tramonto, quando le truppe di Costantino vedono improvvisamente stagliarsi nel cielo un grande segno luminoso, con una scritta fiammeggiante: In hoc signo vinces. Eusebio di Cesarea, il primo grande storico della Chiesa ricorda l’evento con queste parole: “Un segno straordinario apparve in cielo. (...) Quando il sole cominciava a declinare, Costantino vide con i propri occhi in cielo, più in alto del sole, il trofeo di una croce di luce sulla quale erano tracciate le parole IN HOC SIGNO VINCES. Fu pervaso da grande stupore e insieme a lui il suo esercito”.

L’effetto sulle truppe è impressionante. Nell’esercito di Costantino ci sono molti cristiani. Essi hanno vissuto l’ultima persecuzione, la più terribile, quella di Diocleziano, iniziata nel 297 con l’epurazione dall’esercito di tutti i fedeli di Cristo. I militari cristiani che erano molto numerosi nelle armate imperiali, erano stati posti di fronte ad un’alternativa radicale: abbandonare la loro religione o il loro posto nell’esercito. Vi fu chi scelse la triste strada dell’apostasia, ma molti perseverarono e, lasciato l’esercito, emigrarono in Gallia dove si arruolarono con Costanzo Cloro, l’unico dei quattro tetrarchi che non aveva aderito alle persecuzioni di Diocleziano. Ciò significa che, all’inizio del IV secolo, il numero dei cristiani che affollavano l’esercito di Costanzo, stanziato nelle Gallie e in Britannia, non era irrilevante.

Quando, nel 305, Costanzo era morto a York, in una spedizione contro i Picti e gli Scoti, le truppe avevano acclamato imperatore Costantino, figlio di Costanzo e di Elena, futura imperatrice e futura santa, mentre i pretoriani a Roma proclamavano imperatore Massenzio. Quest’ultimo aveva invocato gli dei pagani, per chiedere loro la vittoria. La Croce apparsa nel cielo era, senza ombra di dubbio, il simbolo dei cristiani. I due eserciti che ora si affrontavano erano consapevoli che non erano forze meramente umane quelle coinvolte nel terribile scontro. Nella notte, come  narra Lattanzio, Cristo apparve in sogno a Costantino, “esortandolo ad apporre quel simbolo sugli scudi dei soldati con quei segni celesti di Dio e ad iniziare quindi la battaglia”.

Vi sono momenti in cui un uomo può cambiare, con il suo sì o con il suo no, il corso della sua vita. E vi sono momenti in cui dalla scelta di quest’uomo può dipendere la sorte di popoli e di nazioni per i secoli a venire. Accadde in quella notte di ottobre al figlio di Costanzo ed Elena, chiamato a decidere quale sarebbe stato il destino dell’Impero di Roma.
Non sappiamo cosa avvenne nel cuore di Costantino: se la sua decisione fu fulminea o se ebbe dubbi ed esitazioni. Sappiamo però che, la mattina dopo, egli non solo fece imprimere il monogramma di Cristo sui vessilli delle sue legioni, ma che istituì il Labarum, lo stendardo che avrebbe sostituito l’aquila romana di Giove e che tutti i soldati da allora avrebbero dovuto onorare.
La battaglia si svolse furiosa. Costantino riuscì a spingere l’esercito rivale con le spalle al Tevere, dove Massenzio cercò scampo nella fuga. Fu travolto dalle acque e la sua testa fu portata al vincitore, che ascese al soglio dell’Impero.
Cristianesimo e milizia

Il 28 ottobre del 313 la Croce trionfò vittoriosa sul sangue e sulla polvere del grande campo di battaglia di Saxa Rubra, là dove il Tevere fa una grande ansa, prima di costeggiare la Flaminia. Il luogo prese il nome di Saxa Rubra, dal colore del sangue versato sulle pietre. Quel sangue, per la prima volta nella storia, non fu solo sangue cristiano.
Costantino non era cristiano e non divenne cristiano in quella notte, ma rispose affermativamente all’invito di Cristo. Un anno dopo, il 13 giugno 313, egli promulgò l’Editto di Milano con cui ogni legge persecutoria emanata in passato contro i cristiani era abolita e il Cristianesimo diveniva religio licita nell’Impero.
Costantino è celebre per quest’editto che poneva fine all’era delle persecuzioni ed apriva un’epoca nuova di libertà per la Chiesa. È grazie a questo editto che si parla di “svolta costantiniana” nella storia della Chiesa. E tuttavia, nella vita di Costantino ed in quella della Chiesa, l’ora decisiva, fu un’altra: quella in cui per la prima volta la Croce di Cristo, vexilla regis, apparve sul campo di battaglia, difesa dalle spade dei legionari.

C’erano stati eretici, come i montanisti che avevano sostenuto l’incompatibilità del Cristianesimo con le armi. Non era questo l’insegnamento del Vangelo e non era stato questo, nei primi tre secoli, l’atteggiamento dei cristiani. Malgrado le opinioni in senso contrario di Tertulliano, le cui posizioni riflettono la sua evoluzione verso l’eresia montanista, nessun atto del Magistero aveva proibito il servizio militare nel corso dei primi tre secoli. Al contrario, è noto il fatto che in questo periodo storico molti cristiani servirono come ufficiali o soldati nelle legioni romane, conciliando la duplice caratteristica di cristiani e di militari, senza che la Chiesa rivolgesse loro alcun rimprovero per questo motivo: molti di questi furono anzi canonizzati.

Gli ufficiali e soldati cristiani che furono martirizzati in quest’epoca non furono messi a morte per aver rifiutato come cristiani di servire nell’esercito, ma per aver rifiutato di partecipare a cerimonie pagane imposte dai persecutori, ossia per aver rifiutato di compiere atti di idolatria e di apostasia. Tale è l’esempio di sant’Eustachio, di san Sebastiano, dei legionari della XII Fulminata sotto Marco Aurelio, e di san Maurizio della Legione Tebea, sotto Diocleziano.

Guerra giusta

Il Cristianesimo insegnava che era possibile essere buoni cristiani e buoni soldati: era possibile servire in armi un’autorità che veniva riconosciuta come legittima, anche quando perseguitava la fede. Ma l’apparizione della Croce a Costantino significava qualcos’altro: per la prima volta nella storia, appariva un esercito cristiano: un’armata di uomini non tutti cristiani, ma disposti a combattere nel nome di Cristo.
Per la prima volta la Croce non era solo il simbolo della sofferenza nel martirio: diveniva il simbolo della sofferenza nella lotta. Era Cristo stesso, che chiedeva a Costantino e alle sue legioni di combattere e chiedeva di combattere in suo nome: si può combattere dunque in nome di Dio, quando la causa è giusta, quando la guerra è santa, quando Dio stesso lo vuole, come tante volte sarebbe accaduto nella storia.
La battaglia di Saxa Rubra non dimostrava solo la legittimità del combattimento cristiano. Il monogramma di Cristo impresso sul labaro di Costantino esprimeva la teologia politica del Vangelo, riassunta dalla massima Non est potestas nisi a Deo (Rom. 13, 1). Il monogramma di Cristo imprimeva un carattere sacro sul labaro imperiale, conteneva in sé  tutta la Civiltà cristiana del Medioevo.

Il monogramma di Cristo impresso sul vessillo imperiale e l’insegna, in hoc signo vinces, che spronava alla lotta, conteneva la storia dei secoli futuri: il sogno di sant’Ambrogio e di Teodosio di costruire un Impero romano cristiano; la realizzazione del Santo Impero, nell’800 dopo Cristo, con l’incoronazione di Carlo Magno, padre e fondatore della Cristianità medioevale. Nei cerimoniali di incoronazione imperiali e regi che succederanno a quello di Carlo Magno, il sovrano riceve dal consecrator non solo la corona ma anche la spada: Accipe gladium de altare sumptum; la spada è santa come l’altare da cui è presa. Il sovrano deve brandirla vigorosamente per dimostrare la propria decisione di difendere la Chiesa contro i nemici esterni ed interni che la aggrediscono.
Fu in questo spirito che nacquero le crociate, intraprese per difendere la fede e riconquistare i Luoghi Santi. Il grido Deus vult che risuonò sul campo delle crociate riecheggia quello di Saxa rubra: in hoc signo vinces. “Nel lanciare l’appello alle Crociate — scrive il cardinale Castillo Lara — nell’animare i soldati prendendoli sotto la loro alta direzione, i pontefici non si posero mai il problema della incongruenza della guerra con lo spirito della Chiesa, né si domandarono se avevano diritto di organizzare eserciti e lanciarli contro gli infedeli. (…) I Papi di conseguenza non solo non lo consideravano illecito, ma anzi avevano coscienza di esercitare in tal modo un proprio potere: il supremo potere di coazione materiale”.

Nelle crociate la Chiesa esercita la potestas gladii ecclesiastica, il potere di coercizione, non solo spirituale, ma anche materiale, che scaturisce dalla sua natura giuridica di societas perfecta, indipendente da ogni autorità umana. Dal carattere di società perfetta che le è proprio, deriva alla Chiesa, pleno jure, la potestà di coazione, sia sul piano spirituale che su quello materiale. Le crociate costituiscono una espressione storica di questo diritto della Chiesa ad usare della forza materiale per conseguire il suo fine soprannaturale.

Le crociate: un atto di amore

Il professor Jonathan Riley-Smith, caposcuola del rinnovamento degli studi sulle crociate, in un saggio apparso nel 1979 con il titolo Crusading as an Act of Love, La Crociata come atto d’amore, ricorda la bolla Quantum praedecessores, del 1° dicembre 1145, con cui Papa Eugenio III, riferendosi a coloro che avevano risposto all’appello della prima crociata, afferma che essi erano “infiammati dall’ardore della carità”, e alla carità, all’amor di Dio, fa risalire la motivazione profonda di questa impresa.

Offrire la propria vita è la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, poiché ci fa perfetti imitatori di Gesù secondo le parole del Vangelo, secondo cui “nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua vita per Lui e per i suoi fratelli” (Gv. 3, 16; 15, 13). Questa testimonianza è comune ai martiri e ai crociati. Se il martirio è l’atto con cui il cristiano è disposto a sacrificare la sua vita per preservare la propria fede, la crociata appare, nelle sue motivazioni più profonde, come l’atto con cui il cristiano è disposto ad offrire la propria vita, per il bene soprannaturale del prossimo, difendendolo con il suo combattimento. Nei crociati, la prospettiva del martirio è insita nel signum super vestem: la Croce rossa sull’abito bianco. Quella stessa Croce, nell’ottobre del 312, era apparsa nel cielo, per indicare ai legionari di Costantino la via della lotta e della vittoria.

Quando Marcantonio Colon-na, comandante della flotta pontificia nella battaglia di Lepanto, prestò giuramento nella cappella papale, l’11 giugno 1571, ricevette dalle mani del Papa, oltre al bastone del comando, una bandiera di seta rossa. Su questa bandiera era impresso il Cristo crocefisso tra i principi degli apostoli Pietro e Paolo; sotto di essi vi era lo stemma di Pio V e come motto: In hoc signo vinces.
Plinio Corrêa de Oliveira, “crociato del secolo XX”

[SM=g1740717] [SM=g1740720]  In hoc signo vinces.
Sotto questa insegna può porsi la vita di Plinio Corrêa de Oliveira,  entrato nella storia come “il crociato del secolo XX”.

La personalità di Plinio Corrêa de Oliveira fu senza dubbio prismatica ed ogni definizione, anche quella di “crociato” può essere considerata riduttiva. Eppure la parola “crociato”, più di ogni altra gli si addice e, sotto certi aspetti, ne riassume la sua vocazione. Cercherò di offrire qualche elemento di riflessione su questo punto.

Plinio Corrêa de Oliveira volle un giorno riassumere il senso della sua vita e della sua opera in queste poche parole vergate di sua mano:

“Quando ancora molto giovane considerai rapito le rovine della Cristianità, affidai ad esse il mio cuore, voltai le spalle al mio futuro e di quel passato carico di benedizioni feci il mio avvenire”.

Per comprendere queste parole, per comprendere la grandezza della vocazione di Plinio Corrêa de Oliveira, si può meditare su un punto che il Concilio Vaticano I ha definito articolo della nostra fede: la possibilità per la ragione umana di raggiungere la certezza dell’esistenza di Dio e di credere in Lui, seguendo un itinerario che ascende a Dio dalle cose create, perché, secondo le parole di san Paolo, “le perfezioni invisibili di Dio, fin dalla creazione del mondo, sono rese visibili all’intelligenza degli uomini, per mezzo degli esseri che Egli stesso ha fatti” (Rom. I, 20).
Si potrebbe affermare, per analogia, che esiste la possibilità, per l’anima umana, di conoscere e amare la Chiesa, attraverso le sue opere e, in primis, attraverso le perfezioni della Civiltà cristiana di cui essa è Madre. La contemplazione di una cattedrale, l’ascolto di una melodia gregoriana o polifonica, la lettura di un capolavoro come la Divina Commedia o le Lusiadi, infonde, nella nostra anima la certezza che tutto il bello, il bene e il vero prodotto dall’uomo nella storia, ha la sua sorgente soprannaturale nella Chiesa, definita da Pio XII “principio vitale della società umana”.
Negli anni in cui il giovane Plinio entrava nell’agone della vita, la Prima Guerra mondiale travolgeva i pilastri della società cristiana, ma quanto di essa sopravviveva era sufficiente per rivelarne al suo cuore tutta la grandezza. Questa grandezza era innanzitutto spirituale, si alimentava alla fonte della Grazia, di cui era Madre e custode la Chiesa.

Contemplando le rovine della Cristianità Plinio Corrêa de Oliveira conobbe e amò profondamente la Chiesa e decise di servirla. Dal suo amore per la Chiesa nacque la decisione di difendere la Civiltà cristiana, combattendo a viso aperto contro i suoi nemici. “La combattività cristiana — scrisse — ha significato unico di legittima difesa. Non c’è per essa altra possibilità di legittimità. È sempre l’amore per una cosa offesa, che spinge il cristiano alla lotta. Ogni lotta è tanto più vigorosa quanto più elevato è l’amore con cui si combatte. Per ciò stesso, nel cattolico non c’è maggior combattività di quella con cui egli lotta in difesa della Chiesa, oltraggiata, negata, calpestata”.

Così era accaduto per le crociate che furono imprese difensive, non aggressive, nate dall’amore verso la Chiesa e la Civiltà cristiana. La Cristianità medievale visse sempre in guerra di legittima difesa contro i barbari che incalzavano l’Europa a nord e a est, e contro i musulmani che la aggredivano a sud. Se gli uni e gli altri non avessero violato le sue frontiere, se avessero permesso l’opera di evangelizzazione dei missionari, se avessero rispettato i Luoghi Santi, non vi sarebbero state le crociate.

Un nuovo nemico minacciava ora la Civiltà cristiana: un processo distruttivo che affondava le sue radici nell’umanesimo rinascimentale e che si era sviluppato attraverso le tappe storiche del Protestantesimo, della Rivolu-zione francese e del comunismo. Plinio Corrêa de Oliveira ingaggiò una guerra mortale contro la Rivoluzione anticristiana che, dopo la Prima guerra mondiale, prendeva la forma dei due “fratelli nemici”: il comunismo e il nazionalsocialismo.

La voce Cristianità, che giungeva dolente dal passato, risuonò profondamente nel cuore del giovane studente di Diritto dell’Università di San Paolo, del giovane Presidente dell’Azione Cattolica paulista, del giovane deputato all’Assemblea Costi-tuente, del giovane direttore del Legionario. Plinio Corrêa de Oliveira voltò le spalle al suo futuro e “di quel passato carico di benedizioni” fece il suo avvenire.

In che senso il suo avvenire può essere equiparato a quello di un crociato? In fondo, si potrebbe obiettare, nessuna crociata fu bandita dai Papi nel XX secolo e Plinio Corrêa de Oliveira lottò, ma non impugnò mai le armi. Usò la penna, la parola, l’esempio, più simile, sotto certi aspetti, a un grande apologeta, a un grande controversista, a un dottore della Chiesa, piuttosto che a un crociato.

La risposta a questa obiezione è semplice. Sant’Agostino afferma che martyres non facit poena, sed causa. Questa sentenza significa che ciò che rende il martire tale non è la morte violenta, la sofferenza subita, ma la ragione ultima della sofferenza e della morte: il fatto che la morte sia inflitta in odio alla verità cristiana. I martiri furono tali non per le loro sofferenze, ma perché offrirono la loro vita per la Chiesa. Analogamente si potrebbe dire che ciò che rende la crociata tale non è l’uso delle armi, non è la sofferenza della lotta armata, ma il fine stesso dell’impresa: il servizio della Civiltà cristiana e, attraverso essa, della Chiesa. La lotta del crociato è direttamente orientata alla difesa della Civiltà cristiana, così come la sofferenza del martire è direttamente orientata a testimoniare la verità della Chiesa.

Nessuno, meglio di Plinio Corrêa de Oliveira, comprese, nel secolo XX, il nesso intimo e profondo che lega la Civiltà cristiana alla Chiesa. Egli comprese che la Rivoluzione è un processo che, attraverso la distruzione dell’ordine temporale cristiano, mira a colpire a morte la Chiesa “Corpo Mistico di Cristo, maestra infallibile della Verità, tutrice della legge naturale e, in questo modo, fondamento ultimo dello stesso ordine temporale”. La Rivoluzione mira a impedire alla Chiesa la sua missione di salvezza delle anime che essa esercita non solo nel suo potere spirituale diretto, ma anche nel suo potere temporale indiretto. La Contro-Rivoluzione che sorge in difesa della Chiesa “non è destinata a salvare la Sposa di Cristo” che “non ha bisogno degli uomini per sopravvivere. Al contrario, è la Chiesa a dare vita alla Contro-Rivoluzione, che, senza di essa, non sarebbe attuabile e neppure concepibile”:
La Chiesa è l’anima della Contro-Rivoluzione

La Chiesa è dunque una forza fondamentalmente contro-rivoluzionaria, ma non si identifica con la Contro-Rivoluzione: la sua vera forza sta nell’essere il Corpo Mistico di Nostro Signore Gesù Cristo. Nondimeno, l’ambito della Contro-Rivoluzione oltrepassa, in un certo senso, quello ecclesiale, perché comporta una riorganizzazione di tutta la società temporale dalle fondamenta. “Se la Rivoluzione è il disordine — afferma il pensatore brasiliano — la Contro-Rivoluzione è la restaurazione dell’Ordine. E per Ordine intendiamo la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Ossia, la Civiltà cristiana, austera e gerarchica e, nei suoi fondamenti, sacrale, antiugualitaria e antiliberale”.

Chi combatte, dice S. Agostino, non combatte per la guerra, combatte per la pace, e la pace di chi combatte per Cristo è la pace di Cristo, realizzata da una società integralmente cristiana. Questa meta è espressa dal ideale della Regalità sociale di Gesù Cristo, il cui Regno non è di questo mondo (Gv, 18, 36), ma a questo mondo si estende, e in questo mondo inizia a realizzarsi, perché solo a Cristo è stata data ogni potestà in cielo e in terra (Mt, 18, 28).

Combattere per la Civiltà cristiana significa combattere per l’instaurazione di tutte le cose in Cristo (Ef. 1, 10). Restaurare in Cristo, secondo le parole di san Pio X, “non solo ciò che appartiene alla divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio, ma anche ciò che (…) da quella divina missione spontaneamente deriva: la civiltà cristiana nel complesso di tutti e singoli gli elementi che la costituiscono”.

Ciò che fa il crociato tale è il fine, non i mezzi della lotta. Non è l’uso delle armi, ma il proposito di combattere per il Regno di Cristo a formare un cuore crociato. Plinio Corrêa de Oliveira fu il crociato del secolo XX, perché tutta la sua vita fu spesa in difesa della Civiltà cristiana. Fu questa la sua specificità, la sua essenza, la causa della sua santità, perché fu in questo servizio che le sue virtù brillarono con particolare eroismo.

Il beato Urbano II non combatté in prima persona davanti alle mura di Gerusalemme, ma bandì e infuse lo spirito di quella Prima crociata che fu il modello di imprese analoghe e successive. San Bernardo di Chiaravalle non impugnò la spada, ma trasmise ai templari, prima che la Regola di un Ordine, lo spirito degli ordini religiosi e militari che sarebbero fioriti nella Cristianità. Plinio Corrêa de Oliveira non difese con le armi la Civiltà cristiana, ma infuse lo spirito di lotta a tutti coloro che avrebbero dovuto difenderla, anche dopo la sua morte.

Egli stesso nel maggio del 1944 tracciò, su Il Legionario, un primo bilancio della sua vita, che appare quasi come il testamento, ma anche il programma di una crociata:

“Innanzitutto, abbiamo sempre amato il Romano Pontefice. Non c’è stata una parola del Papa che non sia stata da noi pubblicata, spiegata, difesa. Non c’è stato un interesse della Santa Sede che non abbiamo rivendicato col massimo ardore di cui una creatura umana sia capace. Nelle nostre parole, grazie a Dio, non c’è stato nessun concetto, nessuna sfumatura, che discordasse dal Magistero di Pietro anche solo in una virgola, in una riga. Siamo stati su tutte le linee gli uomini della Gerarchia, le cui prerogative abbiamo difeso con strenuo ardore, contro quelle dottrine che pretendono di sottrarre all’Episcopato e al Clero la direzione del laicato cattolico.

“Non c’è stato equivoco, confusione o tempesta che sia al riguardo riuscita a lasciare la più lieve macchia sul nostro stendardo. Abbiamo difeso a tutto campo lo spirito di selezione, di formazione interiore, di mortificazione e di rottura con le vergogne del secolo. Abbiamo lottato per la dottrina della Chiesa contro i torvi eccessi del nazionalismo statolatrico che ha dominato l’Europa, contro il nazismo e il fascismo in tutte le sue varianti, contro il liberalismo, il socialismo, il comunismo e la famigerata ‘politique de la main tendue’. Non si è levato nessuno contro la Chiesa, in nessuna parte del mondo, che non sia stato contestato dal Legionário.

“Contemporanemente, non abbiamo mai perso di vista il dovere di alimentare in ogni modo le devozione alla Madonna e al Santissimo Sacramento. Non c’è stata una sola iniziativa genuinamente cattolica che non abbia avuto tutto il nostro entusiastico appoggio. Alla nostra porta non ha bussato nessuno, che avesse in mira solo la maggior gloria di Dio, senza trovare un’ospitalità in colonne amiche e accoglienti. In questa vita, c’è una buona battaglia da combattere. Ora siamo sfiniti, sanguinanti in tutte le membra. Usciamo da questo combattimento estenuati, feriti. In compenso, non osiamo chiedere altro, come premio, che il perdono di tutto quanto inevitabilmente c’è stato di fallibile e di umano in questa opera che dovrebbe essere tutta per Dio, diretta a Dio solo”.

Fu in perfetta coerenza con questo spirito che, nel gennaio del 1951, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira  aprì il primo numero di Catolicismo con un articolo non firmato, “La crociata del secolo XX”, destinato a divenire un autentico manifesto della Contro-Rivoluzione cattolica. Bisogna rileggere quelle pagine con attenzione, meditandole, come si leggono quei testi ispirati dalla Grazia, che non perdono la loro attualità nel corso del tempo.

“È questa la nostra finalità, il nostro grande ideale. Avan-ziamo verso la Civiltà cattolica che potrà nascere dalle rovine del mondo moderno, come dalle rovine del mondo romano è nata la civiltà medioevale. Avanziamo verso la conquista di questo ideale con il coraggio, la perseveranza, la decisione di affrontare e vincere tutti gli ostacoli, con cui i crociati marciavano verso Gerusalemme”.

Queste parole esprimono innanzitutto una teologia e una filosofia della storia. Quando Plinio Corrêa de Oliveira scrive, all’indomani della Seconda Guerra mondiale, il mito dominante è ancora quello del progresso. L’idea di progresso dopo aver costituito l’anima delle principali correnti del pensiero europeo dell’Ottocento — dal liberalismo al socialismo — era penetrata all’interno della Chiesa con il modernismo, le cui idee fermentavano sordamente sotto il pontificato di Pio XII. Dopo la sua morte, il pensiero cattolico sarebbe stato dominato dalle tesi progressiste di Jacques Maritain. Nel suo libro «Umanesimo integrale», apparso nel 1936, il filosofo francese affermava la sua fede nella irreversibilità del mondo moderno e del ruolo storico che in esso avrebbe giocato il marxismo. In quegli stessi anni Plinio Corrêa de Oliveira prevedeva il sorgere di una “Quarta Rivoluzione”, il crollo del mondo moderno e la fine del comunismo, o meglio la sua metamorfosi, il passaggio dall’ipertrofia dello Stato alla dissoluzione dello Stato, dallo Stato comunista al comunismo senza Stato, dall’utopia del progresso al regno del caos.

Sulle rovine del mondo moderno sarebbe sorta la Civiltà Cristiana del XXI secolo: “Avanziamo verso la conquista di questo ideale con il coraggio, la perseveranza, la decisione di affrontare e vincere tutti gli ostacoli, con cui i crociati marciavano verso Gerusalemme”. Con parole analoghe, nel suo ultimo libro, Plinio Corrêa de Oliveira rivolge ai nobili e alle élites tradizionali, un appello estremo alla crociata.

“Se il nobile del secolo XX si mantenesse consapevole di questa missione — egli scrive — e se, animato dalla fede e dal amore per la vera tradizione, facesse di tutto per esserne all’altezza, otterebbe una vittoria di grandezza non minore di quella conseguita dai suoi antenati, quando contennero i barbari, respinsero l’Islam oltre il Mediterraneo, e sotto il comando di Goffredo di Buglione abbatterono le mura di Gerusalemme”.

Anche queste parole vanno meditate. In esse ritroviamo lo spirito di tutti i combattenti cristiani che, a partire da Saxa Rubra, nel corso dei secoli non hanno arretrato di fronte al nemico: hanno riposto tutta la propria fiducia in Dio, hanno combattuto e hanno vinto.

In hoc signo vinces. È questo e non altro lo spirito del Messaggio di Fatima, che si conclude con una visione al cui centro campeggia “una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia”, ai cui piedi il Santo Padre “venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni”. Una Croce che evoca terribili persecuzioni, ma anche lotte cruente, sullo sfondo di una città in rovine che ricorda quelle rovine del mondo moderno da cui, secondo Plinio Corrêa de Oliveira, sarebbe nata la Civiltà cristiana, come dalle rovine del mondo romano era nata la Civiltà medioevale.

La fiducia in questa vittoria ricevette un suggello soprannaturale nel messaggio di Fatima.  Plinio Corrêa de Oliveira non aveva ancora nove anni quando, all’estremo opposto di quella Europa in cui faceva la sua comparsa il comunismo, la Santissima Vergine, affidò ai tre pastorelli della Cova da Iria un messaggio drammatico, illuminato dalle parole, piene di speranza: “Infine il mio Cuore Immacolato trionferà”.

Queste parole, come quelle di Cristo a Costantino, sono oggi un segno che si leva all’orizzonte. Il messaggio di Fatima, come quello di Saxa Rubra, è un appello alla lotta e al trionfo della Civiltà cristiana, che Saxa Rubra dischiuse nella storia e che Fatima promette di restaurare nel suo splendore.

Tra le condizioni richieste dalla Madonna a Fatima per l’instaurazione del suo Regno, vi è la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato. Consacrare significa ordinare e subordinare a Dio l’uomo e la società. La promessa del trionfo del Cuore Immacolato esprime l’ideale di sacralizzazione dell’ordine temporale rappresentato dalla Civiltà cristiana, che si sottomette interamente a Dio e riconosce la suprema regalità di Gesù Cristo e di Maria.

Questo trionfo si proietta sul nostro futuro, ma al termine di una lotta la cui eco giunge ai nostri cuori da secoli lontani. “La vita della Chiesa e la vita spirituale di ogni fedele — scrisse Plinio Corrêa de Oliveira, riferendosi a santa Teresina — sono una lotta incessante. Talvolta Dio concede alla sua Sposa periodi di grandezza splendida, visibile, tangibile. Egli dà alle anime dei momenti di straordinaria consolazione interiore o esteriore. Ma la vera gloria della Chiesa e del fedele risultano dalla sofferenza e dalla lotta. Lotta arida, senza bellezza sensibile né poesia definibile. Lotta nella quale si avanza talvolta nella notte dell’anonimato, nel fango del disinteresse o dell’incomprensione, sotto la bufera e i bombardamenti scatenati dalle forze congiunte del demonio, del mondo e della carne. Ma lotta che riempie di ammirazione gli Angeli del Cielo e attira la benedizione di Dio”.

È questa la nostra lotta oggi in corso e dobbiamo comprenderne la portata, pur nell’aridità. Noi siamo gli eredi di coloro che un giorno levarono con entusiasmo gli scudi a Saxa Rubra. Siamo gli eredi di coloro che sventolarono la bandiera della Chiesa sui campi delle crociate e nelle acque di Lepanto.
Siamo e vogliamo essere gli eredi del crociato per eccellenza del XX secolo: Plinio Corrêa de Oliveira. Vogliamo fare nostra la sua battaglia contro la Rivoluzione. Vogliamo fare nostra la sua certezza soprannaturale nella vittoria finale della Contro-Rivoluzione.
Come lui, noi non impugniamo armi materiali. La nostra lotta non è armata, ma pacifica e incruenta. Ma proprio perché è pacifica, il nostro spirito di lotta è più intenso, più radicale e più determinato.

Noi siamo gli eredi di Plinio Corrêa de Oliveira e nel suo nome ripetiamo:
[SM=g1740717] [SM=g1740720]  In hoc signo vinces.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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