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A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Si avvicinano le elezioni: come deve regolarsi un vero Cattolico?

Ultimo Aggiornamento: 16/04/2012 17:36
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Amici.... il forum non fa politica, ma Difende la vera Fede[SM=g1740733]
Non si schiera da nessuna parte per cercare un profitto, ma è ovvio che si assume la responsabilità a  FAVORE DELL'UOMO E DELLA SUA DIGNITA' IN QUANTO TALE: CORPO ED ANIMA, MAI SEPARATAMENTE....ossia i bisogni materiali quanto quelli spirituali e che non possono essere separati.... e naturalmente condanna PUBBLICAMENTE tutte quelle ideologie che appoggiano un etica ed una morale contraria all'insegnamento della Chiesa Cattolica [SM=g1740722]

NON sostiene i falsi partiti che richiamano come pecore i cattolici per ottenere consensi e poi propongono (e impongono) leggi che favoriscono la strumentalizzazione degli EMBRIONI, strumentalizzano la bioetica, legittimano coppie dello stesso sesso, affondano la Famiglia costituita da Dio e composta da un Uomo e una Donna...NOI NON SOSTENIAMO I CATTOLICI CHE SI RITENGONO ADULTI [SM=g1740729]  NOI riteniamo di avere bisogno DELLA MADRE CHIESA a lei ci affidiamo, a lei vogliamo obbedire perchè sappiamo che il suo insegnamento E' LA VERITA'[SM=g1740721]
.....ecc, ecc, ecc...

dunque, come aiutare i tanti cattolici confusi a trovare una strada sicura per sapere a chi dare il proprio voto e NON offendere Dio? [SM=g1740733]

CLICCATE QUI per le linee GUIDA....

l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica

 [SM=g1740722]

La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”.
La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche[SM=g1740721]  

 

I. Un insegnamento costante             

1. L’impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia si è espresso seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato nella partecipazione all’azione politica: i cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli, «partecipano alla vita pubblica come cittadini».[1] La Chiesa venera tra i suoi Santi numerosi uomini e donne che hanno servito Dio mediante il loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo. Tra di essi, S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici, seppe testimoniare fino al martirio la «dignità inalienabile della coscienza».[2] Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, rifiutò ogni compromesso, e senza abbandonare «la costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime» che lo distinse, affermò con la sua vita e con la sua morte che «l’uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale».[3] [SM=g1740722]

Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà,[4] richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono contribuire attraverso il voto all’elezione dei legislatori e dei governanti e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune.[5] La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente senza l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti, «sia pure con diversità e complementarità di forme, livelli, compiti e responsabilità».[6] 

Mediante l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla coscienza cristiana»,[7] in conformità ai valori che con essa sono congruenti, i fedeli laici svolgono anche il compito loro proprio di animare cristianamente l’ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima autonomia,[8] e cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità.[9] Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è che «i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune»,[10] che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc. 

La presente Nota non ha la pretesa di riproporre l’intero insegnamento della Chiesa in materia, riassunto peraltro nelle sue linee essenziali nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma intende soltanto richiamare alcuni principi propri della coscienza cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico dei cattolici nelle società democratiche.[11] E ciò perché in questi ultimi tempi, spesso per l’incalzare degli eventi, sono emersi orientamenti ambigui e posizioni discutibili, che rendono opportuna la chiarificazione di aspetti e dimensioni importanti della tematica in questione[SM=g1740730]

(...)

6. Il richiamo che spesso viene fatto in riferimento alla “laicità” che dovrebbe guidare l’impegno dei cattolici, richiede una chiarificazione non solo terminologica. La promozione secondo coscienza del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il “confessionalismo” o l’intolleranza religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto.[23]

(..)

Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la “laicità” dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono, indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino. La “laicità”, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa


(..)

7. È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è da rilevare che alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato i lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in considerazione i principi a cui si è fatto riferimento[SM=g1740730]


La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici.

l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica

[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]


Queste parole che ora seguono, le  pronunciò san Pio X......agli inizi del secolo appena trascorso.....esse sono parole e moniti ancora validi per noi oggi, così fortemente turbati e trascinati da dottrine contrarie...
i Cattolici che tali vogliono dirsi, ne prendano atto e le facciano proprie...


" Si guardino i sacerdoti dall'accettare nessuna delle idee del liberalismo, che, sotto la maschera del bene, pretende di conciliare la giustizia con l'iniquità...
I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle di agnello; perciò il sacerdote, che è veramente tale, deve svelare al popolo, commesso alle sue cure, le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene! Siate forti, ed ubbidite a quel comando che è ricordato in Isaia :"Grida, non darti posa, alza la voce come una tromba, e annunzia al popolo mio le sue scelleratezze e alla casa di Giacobbe i suoi peccati"......" [SM=g1740721]


ed infine perchè....

«Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo»(28); o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina.

"AD BEATISSIMI APOSTOLORUM" di Papa Benedetto XV


Su questo e su non altro, si faccia un santo discernimento per andare a votare, magari anche dopo aver PREGATO per ottenere il discernimento.....
diceva il mitico don Camillo del Guareschi ai fedeli che andavano a votare: "ricordatevi che dentro l'urna Stalin non può vedervi, MA DIO SI" !

[SM=g1740680]

[Modificato da Caterina63 12/05/2011 15:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Avviso per gli elettori italiani
residenti in Vaticano


Il 21 e 22 giugno prossimi si terranno i referendum abrogativi di alcuni articoli e commi del Decreto del presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361 e del Decreto Legislativo 20 dicembre 1933, n.533.

I tre quesiti referendari sono i seguenti: 

1) Premio  di  maggioranza alla lista più votata, Camera;

2) Premio di maggioranza alla lista più votata, Senato;

3) Abrogazione candidature multiple.

I cittadini italiani residenti all'estero possono votare per corrispondenza. A ciascun elettore residente nello Stato della Città del Vaticano, che non abbia optato per il voto in Italia entro il 10 maggio, l'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede invierà per posta al domicilio un plico contenete un foglio informativo, che spiega come votare, il certificato elettorale, tre schede di tre colori diversi per ciascun quesito referendario, una busta completamente bianca per l'inserimento delle schede votate, una busta preaffrancata recante l'indirizzo dell'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede.

L'elettore, utilizzando la busta preaffrancata e seguendo attentamente le istruzioni contenute nel foglio informativo, dovrà spedire senza ritardo le schede votate, in modo che arrivino all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede entro - e non oltre - le ore 16 del 18 giugno per essere trasmesse ai fini dello scrutinio a cura dell'Ufficio Centrale per la Circoscrizione Estero istituito presso la Corte di Appello di Roma.
 
L'elettore che alla data del prossimo 7 giugno non avesse ancora ricevuto il plico elettorale, potrà rivolgersi alla Sezione Consolare dell'Ambasciata per verificare la sua posizione elettorale.
L'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede è a disposizione dei cittadini per qualsiasi ulteriore informazione (Addetta Consolare, signora Vincenza Idone, telefono 06 3264881).



(©L'Osservatore Romano - 20 maggio 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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18.05.2009

Elezioni 2009, il vademecum per il voto del 6-7 giugno

Tutte le indicazioni per i cittadini su quando e come si vota, il corpo elettorale e la tessera elettorale

dal sito ufficiale del MINISTERO DEGLI INTERNI

Una raccolta di indicazioni, a carattere generale e facilmente accessibili, che riguardano le elezioni che si terranno in giugno per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, dei Presidenti di provincia e dei Consigli provinciali e dei Sindaci e dei Consigli comunali.

QUANDO SI VOTA

Sabato 6 giugno, dalle ore 15.00 alle ore 22.00, e domenica 7 giugno, dalle ore 7.00 alle ore 22.00, si svolgeranno le operazioni di voto per le elezioni dei 72 membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, dei presidenti e dei consigli di 62 province e dei sindaci e dei consigli di 4.281 comuni (di cui 30 capoluoghi di provincia).

Lo scrutinio dei voti per il Parlamento europeo inizierà a partire dalle ore 22.00 di domenica 7 giugno, subito dopo la conclusione delle operazioni di voto e l’accertamento del numero dei votanti; lo scrutinio dei voti per le consultazioni amministrative avrà inizio alle ore 14.00 di lunedì 8 giugno, dando la precedenza allo spoglio delle schede per le elezioni provinciali, comunali e, eventualmente, circoscrizionali.

In caso di effettuazione del turno di ballottaggio per l’elezione dei presidenti di provincia e dei sindaci – che si svolgerà contemporaneamente alla consultazione referendaria - si voterà domenica 21 giugno, dalle ore 8.00 alle ore 22.00, e lunedì 22 giugno, dalle ore 7.00 alle ore 15.00. Le operazioni di scrutinio avranno inizio nella stessa giornata di lunedì, al termine delle votazioni e dell’accertamento del numero dei votanti, procedendosi prima alle operazioni di scrutinio delle schede referendarie e successivamente, senza interruzione, a quelle per l’elezione dei presidenti delle province e/o dei sindaci.

COME SI VOTA

ELEZIONI EUROPEE 

L’elettore, all’atto della votazione, riceverà un’unica scheda, di colore diverso a seconda della circoscrizione elettorale nelle cui liste è iscritto:

- grigio
per l’Italia nord-occidentale (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia);

- marrone
per l’Italia nord-orientale (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna);

- rosso
per l’Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio);

- arancione
per l’Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria);

- rosa
per l’Italia insulare (Sicilia, Sardegna).

Il voto di lista si esprime tracciando sulla scheda, con la matita copiativa, un segno sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta.

I voti di preferenza − nel numero massimo di tre, tranne che per le liste di minoranza linguistica collegate ad altra lista per le quali può esprimersi una sola preferenza − si esprimono scrivendo nelle apposite righe, tracciate a fianco e nel rettangolo contenente il contrassegno della lista votata, il nome e cognome o solo il cognome dei candidati preferiti, compresi nella lista medesima; in caso di identità di cognome tra candidati, deve scriversi sempre il nome e cognome e, ove occorra, data e luogo di nascita.
 
Non è ammessa l’espressione del voto di preferenza con indicazioni numeriche.



ELEZIONI PROVINCIALI (SCHEDA GIALLA)
 

Ciascun elettore può votare:

• per uno dei candidati al consiglio provinciale, tracciando un segno sul relativo contrassegno; il voto così espresso si intende attribuito sia al candidato alla carica di consigliere provinciale, sia al candidato alla carica di presidente della provincia collegato;

• per uno dei candidati alla carica di presidente della provincia, tracciando un segno sul relativo rettangolo, e per uno dei candidati al consiglio provinciale ad esso collegato, tracciando anche un segno sul relativo contrassegno; il voto così espresso si intende attribuito sia al candidato alla carica di consigliere provinciale corrispondente al contrassegno votato, sia al candidato alla carica di presidente della provincia;

• per un candidato alla carica di presidente della provincia, tracciando un segno sul relativo rettangolo; il voto così espresso si intende attribuito solo al candidato alla carica di presidente della provincia.

Per le elezioni provinciali non è ammesso il “voto disgiunto”, cioè il voto per un presidente della provincia di un gruppo o di un gruppo di liste e per un candidato al consiglio provinciale di un altro gruppo o gruppo di liste.
Per il ballottaggio il voto si esprime tracciando un segno sul rettangolo entro il quale è scritto il nome del candidato prescelto.


ELEZIONI NEI COMUNI CON POPOLAZIONE SUPERIORE A 15.000 ABITANTI DI REGIONI A STATUTO ORDINARIO (SCHEDA AZZURRA)


La scheda reca i nomi e i cognomi dei candidati alla carica di sindaco, scritti entro un apposito rettangolo, al cui fianco sono riportati i contrassegni della lista o delle liste con cui il candidato è collegato.

L’elettore può votare:

• per una delle liste tracciando un segno sul relativo contrassegno; il voto così espresso si intende attribuito anche al candidato sindaco collegato;

• per un candidato a sindaco tracciando un segno sul relativo rettangolo, non scegliendo alcuna lista collegata; il voto così espresso si intende attribuito solo al candidato alla carica di sindaco;

• per un candidato a sindaco, tracciando un segno sul relativo rettangolo, e per una delle liste collegate tracciando un segno sul relativo contrassegno; il voto così espresso si intende attribuito sia al candidato alla carica di sindaco sia alla lista collegata;

• per un candidato a sindaco, tracciando un segno sul relativo rettangolo, e per una lista non collegata tracciando un segno sul relativo contrassegno; il voto così espresso si intende attribuito sia al candidato alla carica di sindaco sia alla lista non collegata (cd. “voto disgiunto”).

L’elettore potrà altresì manifestare un solo voto di preferenza per un candidato alla carica di consigliere comunale, segnando, sull’apposita riga stampata sulla destra di ogni contrassegno di lista, il nominativo (solo il cognome o, in caso di omonimia, il cognome e nome e, ove occorra, data e luogo di nascita) del candidato preferito appartenente alla lista prescelta.

Per il ballottaggio il voto si esprime tracciando un segno sul rettangolo entro il quale è scritto il nome del candidato prescelto.


ELEZIONI NEI COMUNI CON POPOLAZIONE SINO A 15.000 ABITANTI DI REGIONI A STATUTO ORDINARIO (SCHEDA AZZURRA) 

L’elettore, con la matita copiativa, potrà esprimere il proprio voto:

- tracciando un solo segno di voto sul nominativo di un candidato alla carica di sindaco;

- tracciando un solo segno di voto sul contrassegno di una delle liste di candidati alla carica di consigliere;

- tracciando un segno di voto sia sul contrassegno prescelto che sul nominativo del candidato alla carica di sindaco collegato alla lista votata.

In tutti i predetti casi, il voto si intenderà attribuito sia in favore del candidato alla carica di sindaco sia in favore della lista ad esso collegata.
L’elettore potrà altresì manifestare un solo voto di preferenza per un candidato alla carica di consigliere comunale, segnando sull’apposita riga stampata sulla scheda il nominativo (solo il cognome o, in caso di omonimia, il cognome e nome e, ove occorra, data e luogo di nascita) del candidato preferito appartenente alla lista compresa nel medesimo riquadro, senza dover apporre alcun altro segno di voto sul relativo contrassegno. In tal modo, il voto si intenderà attribuito, oltre che al singolo candidato a consigliere comunale, anche alla lista cui il candidato medesimo appartiene nonché al candidato alla carica di sindaco collegato con la lista stessa.

CORPO ELETTORALE

I dati definitivi sul corpo elettorale, riferiti al 15° giorno antecedente la data delle votazioni, saranno acquisiti entro il 3 giugno 2009.
I dati sotto riportati, provvisori, sono aggiornati alla revisione semestrale del 30 giugno 2008.

Le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia interesseranno un corpo elettorale al momento quantificabile in 50.664.596 unità, di cui 24.432.720 elettori e 26.231.876 elettrici.
Le sezioni elettorali complessive saranno 61.225.
Le elezioni in sessantadue province interesseranno 29.940.151 elettori, 14.442.636 maschi e 15.497.515 femmine; 36.451, le sezioni.
Le elezioni in 4.281 comuni interesseranno 18.419.204 elettori, 8.918.298 maschi e 9.500.906 femmine; 22.965, le sezioni.
Considerando una volta sola gli enti interessati contemporaneamente a più tipi di consultazioni, il numero complessivo di elettori sarà di 34.673.113, di cui 16.741.282 maschi e 17.931.831 femmine, e di sezioni sarà di 42.257.

TESSERA ELETTORALE

Il ministero dell’Interno ricorda che gli elettori, per poter esercitare il diritto di voto presso gli uffici elettorali di sezione nelle cui liste risultano iscritti, dovranno esibire, oltre ad un documento di riconoscimento valido, la tessera elettorale personale a carattere permanente, che ha sostituito il certificato elettorale.
Chi avesse smarrito la propria tessera personale, potrà chiederne il duplicato agli uffici comunali, che a tal fine saranno aperti dal lunedì al venerdì antecedenti l’elezione, dalle ore 9 alle ore 19, il sabato di inizio delle votazioni dalle ore 8 alle ore 22 e la domenica per tutta la durata delle operazioni di voto.


[SM=g1740680]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/05/2009 19:13
 
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130 anni fa Papa Leone XIII nominava cardinale J.H. Newman che da anglicano, come sappiamo, divenne un fervente cattolico e non senza sofferto cammino...

ascoltiamo cosa ebbe a dire, quanto segue è tratto da un articolo che uscirà domani sull'O.R.
e che troverete integralmente qui:
Cardinale John Henry Newman; da anglicano a fervente ed innamorato Cattolico


"In un lungo corso di anni ho fatto molti sbagli. Sono lontano da quell'alta perfezione che è propria degli scritti dei santi (...) ma ciò che confido di potermi attribuire in quanto ho scritto è questo: la retta intenzione, l'immunità da interessi privati, la disposizione all'obbedienza, la prontezza a essere corretto, il grande timore di sbagliare, la brama di servire la Santa Chiesa, e, per divina misericordia, sufficiente buon successo".

E proseguiva:
"Godo nel dire che a un gran male mi sono opposto fin dal principio. Per trenta, quaranta, cinquant'anni anni ho resistito, con tutte le mie forze, allo spirito del liberalismo religioso, e mai la Chiesa ebbe come oggi più urgentemente bisogno di oppositori contro di esso, mentre, ahimé, questo errore si stende come una rete su tutta la terra".

"Il liberalismo religioso è la dottrina secondo la quale non esiste nessuna verità positiva in campo religioso, ma che qualsiasi credo è buono come qualunque altro; e questa è la dottrina che, di giorno in giorno, acquista consistenza e vigore. Questa posizione è incompatibile con ogni riconoscimento di una religione come vera. Esso insegna che tutte sono da tollerare, in quanto sono tutte materia di opinione. La religione rivelata non è verità, ma sentimento e gusto, non fatto obiettivo (...) Ogni individuo ha diritto a interpretarla a modo suo (...) Si può andare nelle chiese protestanti e in quelle cattoliche; si può ristorare lo spirito in ambedue e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare insieme in pensieri e affari spirituali, senza avere dottrina comune o vederne la necessità. Poiché la religione è un fatto personale e un bene esclusivamente privato, la dobbiamo ignorare nei rapporti reciproci"
.

davvero profetico!!! e aggiungerei UN MONITO, UNA LEZIONE per noi oggi che come Cattolici andremo a votare....

Notate per altro come le parole del card. Newman corrispondano al Magistero della Congregazione per la Dottrina della Vera Fede sopra riportato...[SM=g1740733]

I Cattolici PARLANO UNA SOLA LINGUA...QUELLA DELLA CHIESA!
DIFFIDATE DELLE IMITAZIONI...


[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L'esito del voto nei ventisette Paesi dell'Ue

Vince l'Europa
dell'astensionismo


Strasburgo, 8. Il partito dell'astensionismo è risultato il vincitore delle elezioni nei ventisette Paesi dell'Unione europea per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. L'affluenza alle urne è stata infatti del 43,09 per cento (circa due punti in meno rispetto al voto del giugno del 2004), il dato più basso da quando l'Europarlamento viene eletto a suffragio universale diretto. Nelle prime elezioni del 1979, la percentuale dei votanti era stata del 61,99 per cento.

Dal punto di vista politico, uno dei dati più significativi riguarda l'avanzata in molti Paesi dei partiti dichiaratamente di destra e ostili all'integrazione europea, che porteranno a Strasburgo una cinquantina di deputati. Alle prossime riunioni del Parlamento europeo si farà dunque sentire il peso delle formazioni euroscettiche, nazionaliste e di orientamento xenofobo, oltre che dei gruppi ecologisti che nel nuovo Parlamento conteranno undici deputati in più.

Le urne hanno comunque sancito la sconfitta delle forze progressiste - in alcuni casi si può parlare di disfatta - e hanno premiato le forze conservatrici. In taluni Paesi, secondo gli ossservatori, il voto è stato inevitabilmente condizionato dalla grave crisi economico finanziaria. Nel nuovo emiciclo europeo, che conterà settecentotrentasei deputati - quarantanove in meno rispetto alla precedente legislatuta - il Partito popolare, impostosi nei Paesi più grandi, dalla Francia alla Spagna, dalla Germania all'Italia, rimarrà di gran lunga il primo gruppo politico. Seguono poi, distaccati di molte lunghezze, i socialisti, che hanno subito un forte ridimensionamento. "È una serata triste per la socialdemocrazia", ha ammesso il presidente del Partito socialista europeo, Martin Schulz. In calo anche i liberaldemocratici.

Stando alle stime non ancora definitive diffuse oggi, il Partito popolare europeo-Democratici europei ottiene duecentosessantasette eurodeputati. Il Gruppo socialista si attesta a quota centocinquantanove, mentre l'Alleanza dei liberali e democratici per l'Europa ottantuno. I Verdi europei-Alleanza libera europea conquistano cinquantuno seggi, le destre dell'Unione per l'Europa delle Nazioni trentacinque, la Sinistra unitaria europea-Sinistra Verde nordica trentatre e gli euroscettici di Indipendenza e democrazia venti. I deputati non iscritti ad alcun gruppo sono dati ancora tra gli ottantasei e gli ottantotto seggi.

La sconfitta più pesante per i socialisti è arrivata dalla Gran Bretagna, dove i laburisti del premier Gordon Brown (al Governo initerrottamente dal 1997) sono crollati ai minimi storici, diventando, con solo il sedici per cento dei consensi, il terzo partito su scala nazionale. Per il Labour si tratta del peggior risultato dal dopoguerra. A vincere sono stati i Tories di David Cameron, con il ventisette per cento dei suffragi. Il secondo partito britannico è quello euroscettico, arrivato al diciassette per cento.

In Francia, nuova vittoria per i gollisti di Nicolas Sarkozy, che hanno ottenuto oltre il ventotto per cento dei voti, e ulteriore sconfitta per i socialisti, fermi al sedici per cento, praticamente alla pari con la sorprendente lista Europa ecologista. L'astensionismo è stato molto alto, con un'affluenza alle urne pari al 40,62 per cento.

In Spagna, rispettando tutti i pronostici della vigilia elettorale, i socialisti del presidente del Governo, José Luis Rodríguez Zapatero, sono stati superati dopo cinque anni dai popolari di Mariano Rajoy.

In Germania, punita la Grande coalizione governativa, passata dal 44,5 al 38,2 per cento. Il voto ha confermato anche la crisi dei socialdemocratici, che hanno perso un ulteriore 0,3 per cento rispetto al già catastrofico 21,5 per cento del 2004. È questo il risultato peggiore di tutta la storia della formazione politica. Se i Verdi con il dodici per cento sono rimasti praticamente fermi al risultato di cinque anni e Die Linke (la Sinistra) è avanzata di un solo punto, arrivando al 7,1 per cento, il risultato più significativo è stato conseguito dal Partito liberale, che ha fatto un balzo in avanti del 4,5 per cento, toccando quota 10,6.

Solo in Danimarca, Svezia e soprattutto in Grecia la sinistra ha retto all'onda d'urto dei conservatori. In Grecia il partito socialista, all'opposizione, ha vinto le europee con un ampio margine del 4,3 per cento nei confronti di Nuova democrazia.


(©L'Osservatore Romano - 8-9 giugno 2009)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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09/06/2009 19:41
 
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La Chiesa riflette sui risultati della consultazione elettorale

Giustizia e difesa della vita
priorità del Parlamento europeo


Roma, 9. "Ai neoeuroparlamentari è affidato il compito di rendere l'Unione una società più giusta, fondata sul rispetto dei diritti umani, sulla dignità della persona, la cooperazione vicendevole, la solidarietà e la sussidiarietà, la giustizia e la difesa della vita". In una nota, il Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee), riunito a Zagabria per discutere sulle questioni sociali, interviene per rivolgere i suoi auguri ai politici eletti alla guida del Parlamento europeo. "Se l'Unione saprà fornire risposte politiche adeguate alle preoccupazioni e alle speranze dei cittadini europei potrà rispondere alla sua vocazione originaria", si legge nel comunicato, a firma del cardinale Péter Erdo, presidente del Ccee. La nota si conclude con l'auspicio "che tra poco anche la Croazia possa far parte dell'Unione europea".

Sull'astensionismo record che ha caratterizzato le ultime elezioni europee si sofferma monsignor Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa, che in un'intervista alla Radio Vaticana sottolinea "la mancata coscienza del ruolo che l'Europa ha per la vita concreta delle singole persone" nonché "la lontananza di fatto tra cittadini europei e istituzioni". Solo un'Europa più unita e più stabile può affrontare le grandi domande del mondo, spiega Giordano, ma "esiste una mancanza di informazione e di fiducia per ciò che avviene a livello globale. Questo è un dato che deve far riflettere l'Europa".

D'accordo con monsignor Giordano è il vescovo Adrianus Herman van Luyn, presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), per il quale il basso tasso di partecipazione - del 42,85 per cento - "è il segno che manca ancora una società civile europea". Secondo van Luyn, "non è stato posto a sufficienza l'accento su questa emergenza così come era stato fatto sulla nascita del mercato comune". Le istituzioni europee, i Governi nazionali, i partiti politici, "ma anche le Chiese devono porsi la domanda:  abbiamo contribuito sufficientemente alla nascita di una coscienza europea tra i nostri concittadini?".
 
Il presidente della Comece ricorda che davanti alla crisi economica, ai cambiamenti climatici, all'emergenza alimentare a livello globale, non vi è alcuna alternativa a un'Europa unita, che parla una sola voce e che si impegna per la giustizia e la pace sul continente europeo e nel resto del mondo. E "la bassa affluenza alle urne appare ancora più incomprensibile - aggiunge il vescovo olandese - se si considera che il Parlamento europeo aumenterà in modo considerevole influenza e competenza quando il trattato di Lisbona entrerà in vigore".

Da una parte la sconfitta del centro-sinistra, dall'altra l'avanzata del centro-destra e dei cosiddetti "euroscettici". Per monsignor Giordano ciò è spiegabile soprattutto con il problema della sicurezza e con la necessità di avere dei punti di riferimento e delle proposte concrete. "Probabilmente - afferma l'osservatore permanente al Consiglio d'Europa - i cittadini europei hanno visto un centro-destra con delle proposte che salvano maggiormente le tradizioni, i volti dei Paesi, messi di fronte al fenomeno migratorio, all'incontro fra popoli e fra culture, o alla crisi finanziaria. Forse c'è troppa ideologia - spiega Giordano - e questo porta a votare per l'Europa pensando alle situazioni attuali. E c'è poca idealità, mentre occorrerebbe rilanciare l'Europa delle origini, capace di affrontare le questioni mondiali con una visione e con una prospettiva". È soprattutto questo che monsignor Giordano rimprovera agli europei, in particolare agli europei cattolici, cioè di "aver scommesso su altre cose, di aver dimenticato la grande tradizione storica, culturale, politica, cristiana, dalla quale veniamo", e di non aver sufficientemente valorizzato una visione dell'uomo, della società, del rapporto fra i popoli, "che viene dalla luce del cristianesimo".

Restano vecchi e nuovi interrogativi. Uno riguarda la relazione tra Occidente e Oriente:  "Qualcosa non funziona ancora, occorre un ulteriore sforzo di reciproca comprensione - conclude Giordano - e ripensare che tipo di Europa vogliamo. Un'Europa dove le tradizioni delle nazioni siano valorizzate e queste identità possano unirsi in una costruzione comune".


(©L'Osservatore Romano - 10 giugno 2009)
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13/03/2010 16:54
 
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ATTENZIONE....NUOVA ONDATA ELETTORALE 2010

al thread aggiungiamo ed aggiorniamo con la seguente informazione:


Elezioni Regionali, la Diocesi di Roma lascia intendere il proprio 'no' all'abortista Emma Bonino: “Votare chi difende vita e famiglia”

CITTA’ DEL VATICANO - ''Non e' possibile equiparare qualunquisticamente tutti i progetti politici, perche' non tutti incarnano i valori in cui crediamo. Ne' si possono concedere deleghe di rappresentanza politica a chi persegue altro progetto politico, che ci e' estraneo e che non condividiamo''.

E' quanto afferma una nota della diocesi di Roma in merito alle imminenti elezioni regionali, lasciando apertamente intendere il proprio ‘no’ ad un’eventuale elezione della radicale Emma Bonino. Il vicariato di Roma aggiunge che ''il progetto politico che sosteniamo'' e' quello che considera ''diritti irrinunciabili'' la ''liberta' religiosa, la difesa della sacralita' della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, le liberta' fondamentali della persona, la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, aperta alla maternita' e paternita' responsabile, la liberta' educativa e di istruzione, il lavoro retribuito secondo giustizia, la cura della salute, l'apertura agli immigrati in un sistema di leggi che coniughi insieme accoglienza, legalita' e sicurezza, la casa, la salvaguardia del creato''.




Vi ricordiamo che qui:

Il Magistero Pontificio ecclesiale sulla questione politca e sull'omosessualità

abbiamo raccolto tutto, o quasi, il materiale MAGISTERIALE per educarci ad una coscienza veramente Cattolica.....

Ci piace rammentare il don Camillo di Guareschi che ai suoi parrocchiani, in procinto di voto, consigliava: "QUANDO ANDRETE A VOTARE STALIN NON VI VEDE, MA DIO SI!"






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15/03/2010 19:42
 
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Nota del Vicariato di Roma

In merito alle imminenti elezioni regionali


Pubblichiamo una nota del Vicariato di Roma in merito alle imminenti elezioni regionali

In questi giorni di campagna elettorale, segnata da un clima tutt'altro che sereno, qualche organo di stampa e privati cittadini si sono domandati perché "la Chiesa ufficiale nel Lazio non parla", trattandosi di una competizione "anomala" rispetto al confronto tra i tradizionali schieramenti.

La risposta più semplice è che forse non ce n'è bisogno, tanto sono chiare le posizioni.
Ma un paio di considerazioni mette conto farle, a prescindere dal problema delle liste.

Anzitutto il rispetto che si deve ai cittadini, che non sono dei fanciulli spensierati, a cui si devono dispensare buoni consigli e ricordare di continuo i valori in gioco.
Nel contesto di una crisi economica così grave che toglie la serenità a tante famiglie e getta nello sconforto gran parte dei giovani, tutt'altro che speranzosi per il loro futuro, le promesse elettorali riscuotono poca attenzione, perché purtroppo molto bassa è la fiducia verso la classe politica in generale.
I pastori della Chiesa, che nell'esercizio del loro ministero incontrano la  gente ogni giorno, e la comunità ecclesiale restano convinti che le parole che si ascoltano volentieri sono quelle confermate dalla testimonianza della vita e dall'impegno concreto e coerente.

Secondo. La società a cui aspiriamo che, nel rispetto delle regole democratiche e di chi non la pensa come noi, è impegnativo costruire e per la quale ci battiamo, ha un "chiodo fisso" a cui appendere tutto, che è la dignità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, e il suo sviluppo integrale, che - come insegna il Papa - "riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione".

Dunque l'uomo considerato non solo nel suo essere terreno, ma nella prospettiva eterna, senza la quale "il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro", perché "chiuso dentro la storia, esso è esposto al rischio di ridursi al solo incremento dell'avere" (Caritas in veritate, 11).

Il progetto politico che sosteniamo considera diritti "irrinunciabili", quanto al riconoscimento che all'esercizio effettivo, la libertà religiosa, la difesa della sacralità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, le libertà fondamentali della persona, la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, aperta alla maternità e paternità responsabile, la libertà educativa e di istruzione, il lavoro retribuito secondo giustizia, la cura della salute, l'apertura agli immigrati in un sistema di leggi che coniughi insieme accoglienza, legalità e sicurezza, la casa, la salvaguardia del creato.

In una parola, il bene comune che è tale solo se assicura l'insieme delle condizioni di vita sociale grazie alle quali i cittadini possono conseguire il loro perfezionamento. Questi diritti e valori umani e civili, i cittadini cristiani - per i quali la fede non è un sentimento elastico che si modella a piacimento e ad ogni circostanza ma la ragione di senso e il fine della vita - intendono sostenere anche con il proprio voto. Non è possibile  dunque equiparare qualunquisticamente  tutti  i  progetti politici, perché non tutti incarnano i valori in cui crediamo. Né si possono concedere deleghe di rappresentanza politica a chi persegue altro progetto politico, che ci è estraneo e che non condividiamo. E deploriamo ogni forma di propaganda elettorale, spacciata come sostenitrice della visione cattolica, ma che tale non è.



(©L'Osservatore Romano - 15-16 marzo 2010)





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16/03/2010 19:08
 
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Il cardinale Bertone in visita alle Poste e alla Confindustria

C'è fiducia nella Chiesa
nonostante i tentativi di screditarla



"La Chiesa ha ancora una grande fiducia da parte dei fedeli" e, sebbene qualcuno cerchi "di minare questa fiducia", essa "ha con sé un aiuto speciale dall'alto". Lo ha sottolineato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, parlando stamane, martedì 16 marzo, nella sede romana della Confindustria (nelle pagine quarta e quinta pubblichiamo ampi stralci del suo intervento).

Interpellato sui recenti casi di abuso che hanno investito la comunità cattolica in alcuni Paesi europei, il porporato ha evidenziato come i sondaggi dimostrino "un evidente calo di fiducia nei confronti delle istituzioni". Da qui l'auspicio affinché essa venga recuperata "con un senso alto di moralità, ognuno secondo le proprie responsabilità".

Il cardinale ha poi aggiunto:  "Purtroppo - e i media lo raccontano ampiamente - oggi è diffusa la cultura che considera normale, perciò accettabile se non addirittura da invidiare ed emulare, il prevalere della furbizia, del più organizzato, del più informato e del più ricco e potente". Per il segretario di Stato, ciò è frutto di una crisi di valori che ha anche determinato l'introduzione di un distorto modello di crescita, dovuto al crollo delle nascite. Per questo "si deve credere nella vita e sostenerla con tutti i mezzi, aiutando le famiglie a formarsi, sostenendo la nascita e la crescita dei figli".

Il modello di riferimento per il segretario di Stato è quello indicato da Benedetto XVI nella Caritas in veritate, la quale - ha aggiunto - auspica che anche "le imprese responsabili" vengano "assistite dalle istituzioni con la riforma degli ammortizzatori sociali, con sussidi indiretti, sgravi fiscali, creazione di posti di lavoro alternativi seguiti alle ristrutturazioni e alle conversioni di aziende". Licenziare, infatti, "è sempre una decisione dolorosa anche per la stessa impresa che si priva così di competenze che lei stessa ha concorso a creare". La soluzione migliore andrebbe dunque ricercata in una "sinergia tra le aziende e tutte le istituzioni" da portare avanti anche con "interventi appropriati", affinché la disoccupazione "non peggiori il reddito, lo stato sociale e la fiducia". In proposito però il porporato si è detto consapevole che "solo l'imprenditore può prendere in questo senso una decisione responsabile per la sua coscienza. Noi non vogliamo sostituirci agli imprenditori".

Affrontando infine il tema dell'immigrazione, il cardinale Bertone ha denunciato lo sfruttamento dei flussi migratori "secondo logiche disumane e non rispettose della persona. La Chiesa - ha spiegato - non sostiene che gli immigrati debbono essere accolti senza nessuna limitazione. Ma chiede che sia rispettata la loro dignità e non siano sfruttati e fatti vivere in condizioni indegne". Per questo "una preoccupazione importante deve riguardare la formazione da offrire agli immigrati, perché il loro apporto al mondo del lavoro sia più qualificato". "Formazione - ha precisato - che si dovrebbe andare a portare nei luoghi di partenza e passaggio degli immigrati".

E sul tema il cardinale Bertone ha inoltre ribadito che "c'è una perfetta sintonia tra il Papa e la Conferenza episcopale italiana", come testimoniato anche dal documento dei vescovi sul Mezzogiorno, ispirato all'enciclica Caritas in veritate e al suo richiamo all'etica e alla ricerca del bene comune. "E non poteva essere diversamente", ha concluso.

In precedenza il segretario di Stato aveva visitato la sede centrale delle Poste italiane per la benedizione delle nuove sale di controllo del Polo tecnologico di Roma. "La qualità e l'eccellenza straordinarie delle infrastrutture di una delle più grandi aziende del Paese", con oltre 150mila dipendenti, sono state sottolineate dal porporato, che ha però messo in evidenza come "la qualità del servizio" dipenda anche "dallo spirito con cui lo si svolge:  al primo posto - ha detto - deve esserci l'amore della persona umana, specie quando si presenta debole e incerta, come accade agli anziani e ai disabili che si presentano agli sportelli".

Per questo "dagli uffici postali, così diffusi in Italia, ci si attende - ha aggiunto - un'attitudine alla disponibilità e alla cortesia, soprattutto verso le categorie più bisognose e quanti si trovano in difficoltà". E ricordando la vocazione sociale delle poste, il cardinale si è detto consapevole che gli impegni assillanti rischiano di far dimenticare come questo servizio sia un dono anche per chi lo rende, "una vera missione da vivere a servizio della comunità".

Le sale visitate dal cardinale permettono di controllare in tempo reale gli oltre quattordicimila uffici postali sparsi sul territorio nazionale e i canali on line, vigilando su seimila cash dispenser e ben settantamila postazioni di lavoro, dove si effettuano ogni giorno almeno venti milioni di transazioni. Al segretario di Stato sono state mostrate le cabine da cui si combattono le truffe su internet. Nei pochi minuti nei quali egli ha sostato davanti ai monitor, ne sono state individuate una ventina, quasi tutte provenienti da server dell'Europa orientale.


(©L'Osservatore Romano - 17 marzo 2010)
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21/03/2010 11:25
 
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Appello di Massimo Introvigne e di Alleanza Cattolica per i Piemontesi:

"Ci fidiamo di Cota, non ci fidiamo dell'UDC". Piemonte: il nuovo manifesto di Alleanza Cattolica

Ci fidiamo di Cota, non ci fidiamo dell’UDC

Rafforzati da un contatto quotidiano con i candidati e con i piemontesi che hanno seguito con passione la campagna “Alleanza per Cota” di Alleanza Cattolica, ribadiamo con ancora maggiore convinzione l’invito ai cattolici a votare Roberto Cota:

– perché sui valori non negoziabili della vita, della famiglia, della scuola il suo programma è in sintonia con quanto ci sta a cuore come cattolici, mentre la Bresso è per la banalizzazione dell'aborto, per il matrimonio omosessuale, per tagliare i sostegni alle scuole non statali;

– perché il programma di Cota sull'immigrazione è moderato e ragionevole, mentre il Piano Bresso sugli immigrati non protegge dai clandestini, non tutela i piemontesi e prende dalle tasche dei contribuenti quattro milioni di euro all’anno per ambigui carrozzoni regionali;

– perché Cota ha costantemente dimostrato il suo sostegno ai valori non negoziabili in Regione, in Parlamento e in campagna elettorale, mentre la Bresso ancora nelle ultime settimane ha firmato per la vendita in farmacia della pillola del giorno dopo senza ricetta e si è dichiarata “assolutamente d’accordo” con il matrimonio fra due lesbiche “celebrato” a Torino dal sindaco Chiamparino.

Alcuni ci chiedono che cosa pensiamo della posizione dell’UDC. Per quanto nell'UDC ci siano certamente brave persone, pensiamo come cattolici di non potere in alcun modo sostenere l’UDC:

– perché chi fa la croce sull’UDC vota automaticamente il listino della Bresso, che comprende personaggi come Vincenzo Chieppa, segretario dei Comunisti Italiani che inneggia a Cuba e alla Corea del Nord, offre assistenza a chi stacca i crocefissi dalle aule scolastiche e sul suo sito offende il Papa e la Chiesa;

– perché chi fa la croce sull’UDC vota automaticamente la Bresso, le cui posizioni in materia di aborto, eutanasia, unioni omosessuali sono inaccettabili e sono al centro del suo programma;

– perché chi fa la croce sull’UDC sostiene una dirigenza dell’UDC che in Piemonte diffama il cattolico Cota accusandolo in modo assurdo di essere un adepto di “riti celtici del dio Po” e presentando in modo distorto le posizioni di Cota sull’immigrazione, che sono invece rispettose sia dei veri diritti degli immigrati regolari sia dell’identità cristiana delle nostre terre. Questa dirigenza afferma che la Bresso ha sottoscritto con l’UDC un impegno a difendere “la vita e la salute”, ma non spiega che per la Bresso quella dell’embrione o dei disabili come Eluana Englaro non è vita, e che la salute per lei comprende l’aborto. Racconta pure che grazie all’UDC la Bresso ha escluso dalla sua coalizione Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani, che invece gli elettori troveranno regolarmente sulla scheda tra le liste coalizzate con la Bresso con tanto di falce e martello, in strana compagnia con lo scudo crociato dell’UDC, e del resto insieme anche alla lista Bonino-Pannella.

L’invito dunque non cambia: resistendo alle sirene dell’astensione, del voto alle “brave persone” che ignora i principi e i programmi, e ai falsi “patti” con la Bresso che hanno il solo scopo di creare confusione, per la vita, per la famiglia, per la libertà di educazione, per una politica realistica dell’immigrazione votiamo Roberto Cota.

Torino, 18 marzo 2009 Alleanza Cattolica Seguici su
www.alleanzapercota.org 

                                                            Cota 


Rammentiamo a tutti anche la:

NOTA DOTTRINALE DEL CARD. CAFFARRA PER RITENERSI VERI CATTOLICI 
e dei Vescovi dell'Emilia Romagna nonchè la Nota del Vicariato di Roma sopra riportata...


http://www.alleanzacattolica.org/







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23/03/2010 12:44
 
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OTTIMO INTERVENTO DELLA CEI


Card. Bagnasco: la migliore tradizione del nostro cattolicesimo è stare col Papa


In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale. L'evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare. C'è una linea ormai consolidata che sinteticamente si articola su una piattaforma di contenuti che, insieme a Benedetto XVI, chiamiamo "valori non negoziabili", e che emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l'evidenza della ragione e del senso comune. Essi sono:  la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l'indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. Si tratta di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà, che costituisce l'orizzonte stabile del giudizio e dell'impegno nella società. Quale solidarietà sociale infatti, se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole?

"Vi supplico in nome di Cristo:  lasciatevi riconciliare da Dio":  vorrei infine pensare queste parole rivolte a quanti concretamente operano sulla scena politica. E per farlo con qualche efficacia torna forse interessante riferirsi a quella linea di studi antropologici che suggeriscono di scorgere qualcosa di sacro in ciò che fonda ogni società. È una visione che non sorprende i cattolici, che infatti sulla scorta del citato Messaggio quaresimale del Papa, sono chiamati quest'anno a chiedersi che cosa sia la giustizia. Essa esprime sempre un profilo di gratuità che supera quel dare a ciascuno il suo, che è il minimo, per renderla espressiva di una opzione incondizionata per il bene non solo dinanzi al bene ma anche dinanzi al male.




***********************************************************************

 quanti voglion dirsi CATTOLICI comprendano che non è più possibile agire con ambiguità, ma è giunto il momento di stare davvero dalla parte di Cristo difendendo la vita umana fin dal suo concepimento ed alla sua morte naturale e nel mezzo...difendere LA FAMIGLIA E IL MATRIMONIO FRA L'UOMO E LA DONNA e non altro....

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01/05/2010 02:17
 
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Quando ci sarà un partito che si ponga come obiettivi l'eliminazione della 194 e la tutela della famiglia come cellula della società, allora voterò quel partito.

In assenza di esso il mio voto se lo possono scordare sia i berluscones che i sinistrorsi.
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12/05/2011 15:19
 
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Siamo alle prese con una "nuova" tornata elettorale....e come spiegato nel primo messaggio del thread che vi invitiamo a leggere attentamente anche nei suoi collegamenti, il forum NON VUOLE FARE ALCUNA DISCUSSIONE NE PRO, NE CONTRO QUALCUNO....e questo non significa non scegliere o il non assumersi alcuna responsabilità.... questa responsabilità occorre MATURARLA SENZA COMPROMESSI quando c'è di mezzo la vera dignità dell'Uomo che COMINCIA DAL SUO CONCEPIMENTO e termina con la sua morte NATURALE (o per incidente, malattia), ergo non sosteniamo l'eutanasia, nè l'aborto e tanto meno ogni tentativo che dissacri la FAMIGLIA FONDATA DALL'UNIONE TRA UN UOMO E UNA DONNA.... a questo scopo abbiamo aperto questa pagina....le discussioni lasciano il tempo che trovano, non è questo lo spazio comodo per battibeccare....per questo motivo ogni intervento "elettorale" verrà rimosso senza preavviso!

Piuttosto a noi interessa che la VOCE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, EMERGA AL DI SOPRA DI OGNI OPINIONE PERSONALE... E AIUTI IL CITTADINO A FARE LA SUA SCELTA MATURA, SAGGIA E CHE SOSTENGA IL PROGETTO DI DIO PER L'UOMO...

Ognuno di noi dovrà rendere conto a Dio delle sue scelte....che ci creda in Dio o no....


VI INVITIAMO A CONOSCERE MEGLIO :

LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA che cosa è e di cosa parla




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Indicazioni pastorali sulle prossime elezioni amministrative


 

di mons. Giampaolo Crepaldi*

ROMA, giovedì, 12 maggio 2011 (ZENIT.org).- Le elezioni, siano esse politiche che amministrative, sono sempre un momento importante per una comunità. Sono infatti l’occasione per pensare a se stessa e al proprio futuro e per indicare programmi e nomi che possano interpretare questa idea di se stessa e del proprio futuro. E’ vero che nella nostra società i momenti decisionali della politica si sono moltiplicati e, si potrebbe dire, sono usciti dai tradizionali palazzi. C’è oggi una politica “diffusa” nella società e nel territorio. Ciononostante, il momento elettorale conserva una sua indubbia importanza perché in esso il cittadino riflette non solo sui propri bisogni e interessi, ma sul “nostro” bene, il bene di tutti, il bene della comunità percepita come un tutto. E’ così anche per la comunità di Trieste. E’ così anche per le prossime elezioni amministrative.

Il mio compito, come vescovo di questa Chiesa, è di confermare che la comunità cristiana e la fede cristiana non sono estranee a questi momenti importanti della vita della comunità, anzi, dato che esse hanno a cuore l’uomo “via della Chiesa”, come scriveva nella sua prima enciclica, la Redemptor hominis, il Beato Giovanni Paolo II, non possono ritenersi estranee ai momenti in cui l’uomo decide di se stesso e del proprio futuro. Non perché la fede cristiana fornisca ricette politiche o amministrative, ma perché ritiene di aver qualcosa da dire – e di fondamentale importanza – sul senso comunitario della vita umana e sul nostro destino. E’ propriamente qui, sul tema dell’uomo e del suo destino – il suo “cos’è” e il suo “cosa deve essere” – che la fede cristiana scende nella pubblica piazza e fa la sua proposta a tutti gli uomini che cercano la verità.

Credo che non sia corretto interpretare la frase evangelica “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” come se la politica avesse da provvedere ai bisogni “materiali” della persona e la fede a quelli “spirituali”. Sia la politica, sia la fede cristiana guardano alla persona tutta intera. La persona non ha due chiamate diverse: una materiale e una spirituale; non persegue due destini diversi: uno terreno e l’altro eterno; non risponde a due bisogni diversi: il benessere qui e la salvezza di là. La persona è un tutt’uno e cerca semplicemente di essere, di crescere, di maturare in tutte le sue dimensioni; sente che qualsiasi singola dimensione le sta stretta e cerca di respirare al massimo, con i polmoni e con l’anima. La politica, compresa quella amministrativa, non riguarda solo un aspetto della persona, perché nella persona nessun aspetto è pienamente comprensibile se viene staccato dagli altri. La politica riguarda, quindi, tutta la persona, come pure la fede riguarda tutta la persona: la vedono da angolature diverse ma non contrapposte.

Può risultare strana questa mia affermazione. La politica nelle amministrazioni locali – si dice talvolta – riguarda l’organizzazione pratica della vita della comunità: il lavoro, il traffico, l’occupazione, il tempo libero … ; la fede, invece, riguarda altre cose: la preghiera, i sacramenti, lo spirito … Certamente questa visione ha molti aspetti di verità, però se nella persona si vede – come insegna la fede cristiana – la creatura del Padre, l’immagine di Dio, un fratello in Gesù Cristo, una realtà unica ed eminente che non ha eguali nel creato, anche l’organizzazione del lavoro, del traffico, dell’occupazione, del tempo libero … troverà altre e superiori motivazioni e indicazioni operative. Non pensiamo che ci siano da un lato le questioni operative e materiali e dall’altro quelle morali e spirituali. L’uomo è un tutt’uno e la vita è sempre una sintesi. Quando noi compiamo una qualsiasi azione ci mettiamo tutta la nostra realtà di persone umane.

E’ per questo che le elezioni amministrative non devono essere considerate come estranee ai grandi valori umani, che la fede cristiana ci ha insegnato e continua ad insegnarci. L’amministrazione di una città è senz’altro indipendente dal piano ecclesiastico della religione, ma non lo è dall’etica, ossia dai principi morali legati al bene della persona e della comunità e che la fede cristiana ha contribuito a far scoprire e contribuisce oggi a conservare, a difendere e a far respirare.. I grandi valori umani della persona sono per esempio il diritto alla vita, l’integrità della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la libertà per le famiglie di educare i propri figli secondo la propria responsabilità, l’aiuto solidale ai poveri condotto in modo sussidiario, ossia evitando sprechi ed assistenzialismo e favorendo, invece, la creatività e l’assunzione di responsabilità di persone e corpi intermedi.

Davanti alla scheda elettorale, l’elettore sa bene che dovrà decidere non solo del piano urbanistico o della viabilità, ma anche di questi grandi valori. 


Ed è per questo che la Chiesa ha sempre insegnato che non è lecito al cristiano appoggiare partiti che «su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa» (Nota della Congregazione della Dottrina della Fede del 2002).

Questo sia per un dovere di coerenza, sia perché, facendo diversamente, si farebbe un danno alla persona e alla società. Ci sono, infatti, questioni che possono essere affrontate e risolte in molti modi, ed altre che, invece, sono sicuramente sbagliate e contrarie al bene umano.

Oggi gli enti territoriali hanno sempre maggiori competenze anche su queste questioni di fondamentale importanza. Essi possono danneggiare o aiutare la famiglia, possono o meno aprire il riconoscimento pubblico a “nuove forme di famiglia”, possono o meno mettere in atto aiuti concreti contro l’aborto, possono o meno promuovere forme di pubblicità offensive del diritto alla vita, possono soffocare la libertà di educazione delle famiglie oppure fare passi concreti per permettere il suo esercizio, possono sistematicamente combattere la presenza pubblica del cristianesimo o aprirsi ad una collaborazione nel reciproco rispetto. E tutto questo si amplierà ulteriormente in futuro, perché le autonomie si stanno diffondendo e le stesse competenze legislative degli enti locali aumentano.

Anche in occasione di elezioni amministrative, il cristiano che voglia essere fedele agli insegnamenti della Chiesa distinguerà nei programmi le questioni su cui sono lecite molte opinioni da quelle che invece obbligano la sua coscienza. E non darà il suo appoggio a partiti che le prevedano. Cercherà l’onestà personale dei candidati, ma non solo. Cercherà anche l’accettabilità dei loro programmi dal punto di vista dei valori fondamentali che ho elencato sopra e valuterà la storia e il retroterra culturale dei partiti dentro cui i candidati operano.

-----------

*Mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo-vescovo di Trieste.

 

[Modificato da Caterina63 12/05/2011 22:38]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733]PER VOTARE SECONDO COSCIENZA SUPERANDO LE ANTIPATIE E LE SIMPATIE E PUNTANDO PER UN VOTO RESPONSABILE PER LA SALVAGUARDIA DEI VERI DIRITTI DELL'UOMO.....

La bocciatura in Commissione Giustizia della Camera del progetto di legge Concia sulle “norme per il contrasto dell’omofobia e transfobia”




Chi discrimina chi?


di Riccardo Cascioli



19-05-2011

La bocciatura in Commissione Giustizia della Camera del progetto di legge Concia sulle “norme per il contrasto dell’omofobia e transfobia” ha suscitato – come era facilmente prevedibile – un’ondata di polemiche con accuse di inciviltà e barbarie contro i deputati di Pdl, Lega e Udc che hanno votato contro. Li si accusa di favorire la discriminazione degli omosessuali e dei transessuali, ma in realtà se andiamo a vedere il testo del progetto di legge comprendiamo che con la discriminazione contro gli omosessuali non c’entra un bel nulla.

Cosa significa infatti discriminare? Creare una differenza o una distinzione, ci dice un comune dizionario di italiano. In questo caso si tratterebbe di creare una disparità di trattamento ingiustificata a causa di alcune caratteristiche fisiche, sociali, politiche, culturali, economiche e via dicendo.

Cosa propone invece il progetto di legge Concia? Esso è composto di soli due articoli, che aggiungono altrettanti commi a due articoli del codice penale: in pratica, la punizione di un’offesa o una violenza è aggravata se la vittima è un omosessuale o transessuale, e le eventuali attenuanti vengono cancellate; inoltre per chi commette reati di questo genere, in caso di sospensione della pena è previsto un lavoro di pubblica utilità presso associazioni di gay.

In altre parole, chi si è opposto al progetto di legge non ha avallato norme che rendono le persone omosessuali più vulnerabili o meno protette, semplicemente ha valutato che – dal punto di vista di chi è vittima di violenze o offese - le persone omosessuali sono come quelle eterosessuali. Se le parole hanno un senso è chi vuole questa legge che intende introdurre una discriminazione a vantaggio delle persone omosessuali. Peraltro è anche difficile considerare quella omosessuale una minoranza indifesa quando la lobby gay è tra le più potenti e influenti in tutto il mondo occidentale e nelle istituzioni internazionali.

Quindi perché tutto questo scandalo?
Probabilmente perché, non per le persone omosessuali in quanto tali ma per il movimento organizzato di gay e lesbiche, questo tipo di legge non è un obiettivo in sé ma solo un passo verso obiettivi più ambiziosi. Scorrendo i programmi e le strategie dei gruppi organizzati di gay, lesbiche, bisex e trans – vedi ad esempio l’International Gay and Lesbian Association (Ilga) – si comprende che quella che si sta operando è una vera e propria rivoluzione antropologica, dove viene cancellato l’ordine naturale a favore di scelte culturali e personali. In altre parole non esisterebbero più maschio e femmina, come unici generi assegnati dalla natura, ma una serie di orientamenti sessuali – maschio, femmina, trans, omosex, lesbiche, travestiti, bisex e scusate se ne dimentichiamo qualcuno – che ognuno può scegliere liberamente e anche cambiare nel corso della vita. Cancellata ogni oggettività, tutto è soggettivo e relativo. Escluso il diritto di discutere questo approccio.

Ed è per questo che si assiste a una crescente aggressività dei movimenti gay – non delle persone omosessuali – nei confronti di chi non si adegua a questo pensiero politicamente corretto: intimidazioni, denunce, linciaggi verbali come quelli a cui stiamo assistendo in queste ore contro chiunque sia di intralcio al progredire della strategia gay.
E’ questo che dovrebbe allarmare prima di tutto.




Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/#ixzz1NMHJ8z1T

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ELEZIONI/ Gheddo: dalla Chiesa i criteri per votare, oltre le antipatie

mercoledì 25 maggio 2011

A pochi giorni dal ballottaggio milanese, che vede contrapposti Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, sui giornali si torna a discutere di voto cattolico. «Gli appelli a concentrarsi sulla dimensione della concretezza, del fare quotidiano e della progettualità sembrano cadere nel vuoto», ha dichiarato pochi giorni fa il Cardinale Angelo Bagnasco, criticando una politica troppo spesso ridotta a “litigio perenne”. Ieri lo scontro tra Il Giornale e Avvenire sulle parole del cardinale Dionigi Tettamanzi e il chiarimento di mons. Mariano Crociata sul tema delle moschee. Secondo il segretario generale della Cei, la costruzione di una moschea risponde infatti al diritto fondamentale della libertà religiosa, ma occorre tenere conto delle «esigenze di vita sociale e comunitaria della nostra Costituzione», dato che si tratta anche di «luoghi di aggregazione sociale». Ma come orientarsi in questo finale di campagna elettorale che vede i programmi dei candidati ancora in secondo piano? «Per un cattolico è molto più semplice di quanto si creda - dice Padre Piero Gheddo a IlSussidiario.net -. Nella scelta su chi votare il criterio non è la simpatia personale, ma le proposte che vengono portate avanti dai candidati sui temi che la Chiesa oggi ritiene decisivi, in Italia come in tutto il mondo».

A cosa si riferisce?

Parlo di quei “valori non negoziabili” indicati più volte da Papa Benedetto XVI e dalla Conferenza Episcopale Italiana come prioritari: la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale, la difesa della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, la difesa della libertà di educazione e della libertà religiosa. Non sono temi che la Chiesa sceglie a caso, c’è una ragione precisa.

Quale?

Stiamo attraversando una crisi antropologica che riguarda lo stesso concetto di uomo. Se ci si dimentica infatti che l’uomo è una creatura di Dio si può arrivare fino a mettere le mani sulla vita e sulla morte, scivolando verso quella barbarie inseguita da Hitler e da altri come lui. È questo il punto più importante, tutto il resto, anche se condivisibile, viene dopo.

Cosa intende dire?

L’ingiustizia sociale non è stata di certo sconfitta, se chi si batte per questo però sostiene l’aborto, l’eutanasia e l’equiparazione delle coppie gay al matrimonio tra uomo e donna, non andiamo più d’accordo. Da cattolico non potrei mai votare infatti per un candidato che porti avanti queste idee, anche se ha in mente molti  progetti meritevoli.
La libertà di educare, poi, non è certo un tema minore. Le famiglie devono poter scegliere alla pari tra scuole paritarie e scuole pubbliche, come già avviene in Lombardia nel campo sanitario. Tra l’altro, grazie alle paritarie, anche se nessuno lo dice, lo Stato risparmia diversi miliardi di euro l’anno. Non è allo Stato, o al Comune, che spetta la regia di tutto, ma il controllo, per evitare che qualcuno faccia il furbo. Il primato resta quello dell’individuo, come dice il principio di sussidiarietà.

In questa campagna elettorale le polemiche continue non hanno permesso probabilmente di approfondire questi temi. Il Card. Bagnasco ha puntato il dito contro il “dramma del vaniloquio”, quella spirale di «invettiva che non prevede assunzioni di responsabilità».

Sono d’accordissimo con lui, anche se ricordo ancora gli insulti che volavano nella campagna elettorale del ’48 e in quella del ’53. In quegli anni, d’altra parte, si decideva se restare al di qua della “cortina di ferro” e fortunatamente, come ammise poi anche lo stesso Berlinguer, non ci fu un’affermazione delle sinistre. 
Per questo i toni aspri non mi spaventano più, anche se gli schieramenti politici oggi dovrebbero rispettarsi maggiormente e cercare di dialogare. I tempi dovrebbero permetterlo, anche se la fine della Prima Repubblica e la dissoluzione dei partiti ci ha portato in questa direzione. Oggi conta molto di più il carisma personale delle ispirazioni ideali e la demonizzazione reciproca sembra quasi una conseguenza inevitabile. 

Come ne usciremo secondo lei?

Non saprei, la personalizzazione conta ancora moltissimo e non solo in Italia. Registro solo il fatto che qui da noi siamo fermi al ’94: tutta l’attenzione è ancora concentrata su Berlusconi, tant’è che gli attacchi che riceve sono rivolti alla sua persona più che alla sua politica.
L’evoluzione della politica italiana seguirà comunque il suo corso e la Chiesa continuerà a indicare a tutti ciò che conta senza dover dire per chi votare. Ricordo ad esempio nel 1968 i distinguo di un certo mondo cattolico contro l’Humanae Vitae di Paolo VI. “È matto - dicevano - c’è il boom demografico, non bisogna favorire le nascite”. Il Papa tenne duro e la storia gli diede ragione, perché ragionava secondo il Vangelo. D’altronde l’uomo vive nelle cose di tutti i giorni, ma la Chiesa vede più lontano. Spetta alla libertà di ciascuno decidere se ascoltarla. Uno può anche decidere di fare il “cattolico adulto” e disobbedire: la coscienza è sua…

(Carlo Melato)

 

 

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ALTRA NOTIZIA SCONCERTANTE:

DONNE NON PRESTATEVI A QUESTI GUADAGNI, NON DATE VIA LA VOSTRA DIGNITA', NON DATE VIA I VOSTRI FIGLI.....

ELETTORI CATTOLICI, NON SI PUO' VOTARE CHI APPOGGIA E SOSTIENE QUESTA CRUDELTA'



Bimbi con due padri, ecco perchè no
da la BussolaQuotidiana

di Antonio Giuliano
25-05-2011

Per chi da anni denuncia la crisi della figura paterna suona quasi beffarda la grancassa mediatica e culturale di chi vorrebbe famiglie con due padri (come Repubblica del 23 maggio “I figli di due padri”). Ma lo psicanalista Claudio Risè ormai non si scompone più: «Nel nostro orizzonte culturale l’essere umano non viene più considerato come una persona con un suo corpo, ma solo come un oggetto prefabbricato. Qui si sta organizzando la produzione di bambini come adorabili oggetti di consumo». Sulla scia di sponsor del calibro di Elton John o Ricky Martin anche in Italia sarebbero un centinaio le coppie omosessuali che ricorrono all’estero (da noi è vietata) alla maternità “surrogata”: in pratica nell’utero di una donatrice che offre a pagamento il proprio utero viene inserito un embrione formato dall’ovocita di una donatrice e il seme di uno dei due padri. E la campagna mediatica si rianima mentre è in corso in parlamento il dibattito sulla legge sull’omofobia.

Professore perché per un bimbo è importante avere un padre e una madre?
 

In assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio.

Qualcuno le obietterebbe che uno dei due padri (o una delle madri nel caso di coppie lesbiche) potrebbe benissimo svolgere il ruolo della figura materna (o paterna nell’altro caso). 

No. La vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare. Nei paesi anglosassoni e del nordeuropea da tempo ci sono casi di coppie omosessuali con figli: studi sul campo hanno provato che la mancanza di genitori di sesso diverso è fonte di problemi, il più evidente dei quali (quando i genitori sono del sesso opposto al tuo), è la formazione delle tua immagine sessuale profonda.

Quali sono i rischi che corre un bambino/a che cresce senza un genitore di sesso femminile? Tanto più che nella fecondazione assistita eterologa padre e madre sono spesso sconosciuti…

L’esperienza del contatto fisico con la madre, nella cui pancia si è stati, è riconosciuta dalla psichiatria e dalle psiconalisi come fondativa della personalità, e della stessa corporeità…

Nei libri come Il padre l’assente inaccettabile o Il mestiere di padre (entrambi pubblicati dalla San Paolo) denunciava la scomparsa della figura paterna. Ora invece sembra a rischio la figura materna
.

Anche quei libri sono stati scritti per dimostrare che servono entrambi i genitori, entrambi gli aspetti, quello maschile e quello femminile. La verità è che ormai non c’è solo una crisi della paternità. Ma dell’umanità in generale. L’essere umano, attraverso acquisti e affitti di parti del corpo e elementi generativi è diventato un “prodotto fabbricato”, nel senso in cui ne parlava Michel Foucault. Siamo ormai all’interno di un modello culturale “materialista” (ma in realtà molto mentale, perché passa dalla negazione del corpo “naturale”) fondato sulla soddisfazione narcisistica dei bisogni indotti dal sistema di consumo. Il bimbo “fabbricato” è uno di questi nuovi bisogni. È l’effetto del processo di secolarizzazione che ha tagliato anche i rapporti con il padre celeste, Dio: non c’è posto per l’Altro, tanto meno per la dimensione verticale. Ma negando l’ordine naturale e simbolico siamo costretti a negare anche la nostra corporeità (iscritta in essi) come spiego nel mio ultimo libro Guarda tocca vivi. Riscoprire i sensi per essere felici (Sperling & Kupfer, pp. 210, euro 16,50). Altro che superinvestimento nei sensi. L’ideologia consumista, le mode, i media dettano i nostri comportamenti, perfino nell’innamoramento: ci si incontra e ci si lascia in base ai suggerimenti della moda e delle “tendenze”. La sapiente teologia dell’amore di Giovanni Paolo II è stata spazzata via da una sessualità staccata dalla sensualità della persona umana, e consumista. Non stupiamoci, allora, se sono sempre di più quelli che vogliono evadere dal proprio corpo: magari con le droghe o coi disturbi alimentari come l’anoressia. La sacralità del corpo del cristianesimo è stata negata, e i consumi divinizzati. Ma solo riappropriandoci della nostra corporeità potremo relazionarci con gli altri. E con Dio.

[Modificato da Caterina63 25/05/2011 20:16]
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26/05/2011 19:45
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE A SANTA MARIA MAGGIORE

dopo la recita del Santo Rosario con i Vescovi, in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia e per rinnovare l'Atto di affidamento a Maria della Nazione al Cuore Immacolato di Maria del 1959

un testo utile per riflettere prima di andare a votare......



Venerati e cari Confratelli,

siete convenuti in questa splendida Basilica - luogo nel quale spiritualità e arte si fondono in un connubio secolare - per condividere un intenso momento di preghiera, con il quale affidare alla protezione materna di Maria, Mater unitatis, l’intero popolo italiano, a centocinquant’anni dall’unità politica del Paese. È significativo che questa iniziativa sia stata preparata da analoghi incontri nelle diocesi: anche in questo modo esprimete la premura della Chiesa nel farsi prossima alle sorti di questa amata Nazione. A nostra volta, ci sentiamo in comunione con ogni comunità, anche con la più piccola, in cui rimane viva la tradizione che dedica il mese di maggio alla devozione mariana. Essa trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opere d’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Popolo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplica per le sue molteplici necessità. La preghiera – che ha il suo vertice nella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa – è sempre un fare spazio a Dio: la sua azione ci rende partecipi della storia della salvezza. Questa sera, in particolare, alla scuola di Maria siamo stati invitati a condividere i passi di Gesù: a scendere con Lui al fiume Giordano, perché lo Spirito confermi in noi la grazia del Battesimo; a sederci al banchetto di Cana, per ricevere da Lui il “vino buono” della festa; ad entrare nella sinagoga di Nazaret, come poveri ai quali è rivolto il lieto messaggio del Regno di Dio; ancora, a salire sul Monte Tabor, per vivere la croce nella luce pasquale; e, infine, a partecipare nel Cenacolo al nuovo ed eterno sacrificio, che, anticipando i cieli nuovi e la terra nuova, rigenera tutta la creazione.

Questa Basilica è la prima in Occidente dedicata alla Vergine Madre di Dio. Nell’entrarvi, il mio pensiero è tornato al primo giorno dell’anno 2000, quando il Beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa, affidando l’Anno giubilare a Maria, perché vegliasse sul cammino di quanti si riconoscevano pellegrini di grazia e di misericordia.

Noi stessi oggi non esitiamo a sentirci tali, desiderosi di varcare la soglia di quella “Porta” Santissima che è Cristo e vogliamo chiedere alla Vergine Maria di sostenere il nostro cammino ed intercedere per noi. In quanto Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostra vita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà alla sua, a fare “qualsiasi cosa ci dica” (Gv 2,5), certi della sua fedeltà. Questo è il compito essenziale della Chiesa, da Lui incoronata quale mistica sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absidale. Maria ne costituisce il modello: è colei che ci porge lo specchio, in cui siamo invitati a riconoscere la nostra identità. La sua vita è un appello a ricondurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza della Parola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al quale l’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbedienza filiale: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Maria si è fidata: lei è la “benedetta” (cfr Lc 1,42), che è tale per aver creduto (cfr Lc 1,45), fino ad essersi così rivestita di Cristo da entrare nel “settimo giorno”, partecipe del riposo di Dio. Le disposizioni del suo cuore – l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, la lode e l’attesa – corrispondono agli atteggiamenti interiori e ai gesti che plasmano la vita cristiana. Di essi si nutre la Chiesa, consapevole che esprimono ciò che Dio attende da lei.

Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica è incisa la raffigurazione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo originario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’anno 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di Theotókos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinvia al mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della natura umana con quella divina. Del resto, è la persona e la vicenda di Gesù di Nazaret a illuminare l’Antico Testamento e il volto stesso di Maria. In lei si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testamenti.

Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un intero popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele. All’interno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partire da quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rappresentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche le stesse, però, che ne impersonano la speranza; sono il “resto santo”, segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trova corrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senza nulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Maria ne è l’espressione più alta. Su di lei, vergine, discende la potenza creatrice dello Spirito Santo, lo stesso che “in principio” aleggiava sull’abisso informe (cfr Gen 1,1) e grazie al quale Dio chiamò l’essere dal nulla; lo Spirito che feconda e plasma la creazione. Aprendosi alla sua azione, Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitare la storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità per ogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio e quindi di realizzarsi pienamente.

La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità.

A ragione l’Italia, celebrando i centocinquant’anni della sua unità politica, può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa. Essa non persegue privilegi né intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzioni politiche; rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a sostenere i diritti fondamentali dell’uomo.


Fra questi vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa – forte di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio – continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene comune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia; questa rimane, infatti, la prima realtà nella quale possono crescere persone libere e responsabili, formate a quei valori profondi che aprono alla fraternità e che consentono di affrontare anche le avversità della vita. Non ultima fra queste, c’è oggi la difficoltà ad accedere ad una piena e dignitosa occupazione: mi unisco, perciò, a quanti chiedono alla politica e al mondo imprenditoriale di compiere ogni sforzo per superare il diffuso precariato lavorativo, che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare, con grave danno per uno sviluppo autentico e armonico della società.

Cari Confratelli, l’anniversario dell’evento fondativo dello Stato unitario vi ha trovati puntuali nel richiamare i tasselli di una memoria condivisa e sensibili nell’additare gli elementi di una prospettiva futura. Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa, affinché chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfruttare la propria posizione per interessi personali o per sete di potere. Sostenete la vasta rete di aggregazioni e di associazioni che promuovono opere di carattere culturale, sociale e caritativo.

Rinnovate le occasioni di incontro, nel segno della reciprocità, tra Settentrione e Mezzogiorno. Aiutate il Nord a recuperare le motivazioni originarie di quel vasto movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che è stato animatore di una cultura della solidarietà e dello sviluppo economico. Similmente, provocate il Sud a mettere in circolo, a beneficio di tutti, le risorse e le qualità di cui dispone e quei tratti di accoglienza e di ospitalità che lo caratterizzano. Continuate a coltivare uno spirito di sincera e leale collaborazione con lo Stato, sapendo che tale relazione è benefica tanto per la Chiesa quanto per il Paese intero.

La vostra parola e la vostra azione siano di incoraggiamento e di sprone per quanti sono chiamati a gestire la complessità che caratterizza il tempo presente. In una stagione, nella quale emerge con sempre maggior forza la richiesta di solidi riferimenti spirituali, sappiate porgere a tutti ciò che è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente. Assumendo l’educazione come filo conduttore dell’impegno pastorale di questo decennio, avete voluto esprimere la certezza che l’esistenza cristiana – la vita buona del Vangelo – è proprio la dimostrazione di una vita realizzata. Su questa strada voi assicurate un servizio non solo religioso o ecclesiale, ma anche sociale, contribuendo a costruire la città dell’uomo. Coraggio, dunque! Nonostante tutte le difficoltà, “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37), a Colui che continua a fare “grandi cose” (Lc 1,49) attraverso quanti, come Maria, sanno consegnarsi a lui con disponibilità incondizionata.

Sotto la protezione della Mater unitatis poniamo tutto il popolo italiano, perché il Signore gli conceda i doni inestimabili della pace e della fraternità e, quindi, dello sviluppo solidale. Aiuti le forze politiche a vivere anche l’anniversario dell’Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese.

L’esempio di Maria apra la via a una società più giusta, matura e responsabile, capace di riscoprire i valori profondi del cuore umano. La Madre di Dio incoraggi i giovani, sostenga le famiglie, conforti gli ammalati, implori su ciascuno una rinnovata effusione dello Spirito, aiutandoci a riconoscere e a seguire anche in questo tempo il Signore, che è il vero bene della vita, perché è la vita stessa.

Di cuore benedico voi e le vostre comunità.



IL TESTO DELL'ATTO DI AFFIDAMENTO DELLA NAZIONE ITALIANA ALLA VERGINE MARIA
del santo Padre Benedetto XVI

Vergine Maria,
Mater Unitatis,
questa sera intendiamo specchiarci in te
e porre sotto il manto della tua protezione
l’amato popolo italiano.

Vergine del Fiat,
la tua vita celebra il primato di Dio:
alimenta in noi lo stupore della fede,
insegnaci a custodire nella preghiera
quest’opera che restituisce unità alla vita.
Vergine del servizio,
donaci di comprendere a quale libertà
tende un’esistenza donata,
quale segreto di bellezza
è racchiuso nella verità di un incontro.

Vergine della Croce,
concedici di contemplare
la vittoria di Cristo sul mistero del male,
capaci di esprimere ragioni di speranza
e presenza d’amore nelle contraddizioni del tempo.

Vergine del Cenacolo,
sollecita le nostre Chiese a cooperare tra loro,
nella comunione con il Vescovo di Roma.
Rendi tutti noi partecipi del destino di questo Paese,
bisognoso di concordia e di sviluppo.

Vergine del Magnificat,
liberaci dalla rassegnazione,
donaci un cuore riconciliato,
suscita in noi la lode e la riconoscenza.
E saremo perseveranti nella fedeltà sino alla fine.



Fraternamente CaterinaLD

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Interessante riflessione di Padre Giovanni Scalese dal suo Blog Senzapelisullalingua


Parliamo un po’ di politica

Sono stato facile profeta, un mese fa, a prevedere come sarebbe andata a finire (qui). Che la decisione di Berlusconi di autorizzare i bombardamenti in Libia costituisse il suo suicidio politico, non ci voleva molto a capirlo. Oh, certo, ci saranno i soliti analisti politici che si preoccuperanno di assicurarvi che la fine di Berlusconi è dovuta soprattutto alle sue intemperanze morali. Io invece vi dico che agli italiani, di Ruby & C., non interessa un fico secco. Gli interessa invece della guerra in Libia. Interessa loro di Gheddafi? Ne dubito. Interessano loro le vittime civili, non solo quelle — messe in mostra dalla TV — di Gheddafi, ma anche quelle — occultate, ma innegabili — della NATO? Forse. Certamente però interessa loro che in un momento di gravissima crisi economica, in cui si chiede a tutti di fare sacrifici, si trovino poi i soldi per una guerra, di cui ancora qualcuno deve spiegarci il perché. Chi pagherà questa guerra? Già si stanno preparando nuove manovre finanziarie, per “mettere a posto i conti”. E chi ne pagherà il prezzo? Gli italiani, appunto, i quali, stufi di questa situazione, hanno voluto mandare un segnale a chi li governa.

Non so se il segnale sarà compreso. Basta vedere le reazioni ai risultati elettorali, per rendersi conto che nessuno a capito nulla. Che la sinistra canti vittoria, non può che suscitare il dubbio: ma ci fanno o ci sono? I “vincitori” di queste elezioni penseranno che gli italiani stiano chiedendo loro di riprendere al piú presto una politica di stampo zapateriano, senza accorgersi che in questi stessi giorni, in Spagna, quel tipo di politica è stata definitivamente liquidata. 

Che fare, allora? Ricompattarci tutti al centro, con Casini, Fini, Rutelli (e Montezemolo)? Se c’è qualcuno che esce sconfitto da queste elezioni, è proprio il “terzo polo”, che dimostra in tal modo la sua vera natura: una operazione di laboratorio, promossa dai poteri forti, come alternativa al berlusconismo; un’operazione che, come tutte quelle di carattere azionista che l’hanno preceduta, non potrà mai raccogliere il consenso popolare.

Ieri Andrea Tornielli ha riferito di un incontro del Segretario della CEI, Mons. Mariano Crociata, con i parlamentari cattolici dei diversi schieramenti. È da un po’ di tempo che si parla della necessità, in Italia, di “una nuova generazione di politici cattolici”. Un discorso ampiamente condivisibile, anche se, almeno per il momento, si fa fatica a vedere in che modo sia possibile attuarlo. La Chiesa possiede ancora le abilità educative (famiglia, parrocchia, scuola, università, associazioni, movimenti) necessarie per poter formare una nuova generazione di politici cattolici? Non credo che si possa accusare di disfattismo chi si permette di avanzare qualche dubbio in proposito. 

Personalmente penso che, nella situazione in cui ci troviamo, non ci si possa fare illusioni su una ricomposizione immediata, come oggi si dice, del “tessuto sociale” in senso cristiano. Dopo secoli di smantellamento della “cristianità” (ché di questo si tratta: la crisi che stiamo vivendo non è, come molti credono, il risultato delle scelte avventate degli ultimi decenni, ma la conseguenza di premesse che affondano le radici lontano nel tempo), non si può pretendere di ricostruirla in quattro e quattr’otto. Al punto in cui siamo arrivati, sono convinto che non si possa piú pensare di risolvere la situazione con interventi limitati, unicamente tesi a salvare il salvabile. La stessa esperienza postbellica della DC dovrebbe insegnare qualcosa (per non parlare delle piú recenti esperienze di presenza dei cattolici nei due poli contrapposti). Penso che non rimanga altro da fare che ricominciare tutto da capo, tornare all’epoca degli apostoli e riprendere ad annunciare il kerygma di Cristo morto e risorto. Nel frattempo tutto ciò che ci circonda sarà definitivamente crollato, e allora si potrà cominciare a ricostruire da zero.

In questi giorni mi è tornato in mente un intervento che feci piú di dieci anni fa, il 19 giugno 1998, quando ero ancora alla Querce, per la presentazione di un libro scritto da un nostro insegnante impegnato in politica: Breviario del buon governo del Prof. Franco Banchi. Mi permetto di riproporvelo, perché ho l’impressione che, nonostante il tempo trascorso, conservi tutta la sua attualità.


Un punto di riferimento essenziale

Spesso si ripete, a ragione, che la politica può essere — deve essere — per il cristiano, una forma di carità. Essa è certamente un servizio, e il servizio è una delle espressioni piú alte della carità. Ma non si dice mai che l’impegno politico per un cristiano è, innanzi tutto, una forma di apostolato. Di solito si dà a questa espressione un significato restrittivo, come se stesse a indicare esclusivamente l’annunzio del vangelo, un compito per altro solitamente demandato al clero.

Afferma il Concilio Vaticano II, nel suo decreto sull’apostolato dei laici: «La missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e di perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico» (Apostolicam actuositatem, n. 5). Dunque un’unica missione, che però si realizza in due direzioni: l’evangelizzazione e la “sacramentalizzazione” da una parte, l’animazione cristiana delle realtà terrene dall’altra. L’apostolato consiste nell’attività della Chiesa ordinata alla realizzazione di questa missione (cf ibidem, n. 2). La Chiesa esercita l’apostolato mediante tutti i suoi membri, sia chierici sia laici, anche se, in genere, ai primi è riservata preferibilmente la predicazione e l’amministrazione dei sacramenti, ai secondi l’animazione cristiana della società. Si tratta comunque pur sempre del medesimo apostolato, svolto in due ordini diversi, quello spirituale e quello temporale. A proposito di tali ordini, il Concilio aggiunge: «Questi ordini, sebbene siano distinti, nell’unico disegno di Dio sono cosí legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creazione, in modo iniziale su questa terra, in modo perfetto nell’ultimo giorno» (ibidem, n. 5). Ne deriva il seguente corollario: «In ambedue gli ordini il laico, che è a un tempo fedele e cittadino, deve continuamente farsi guidare dalla sola coscienza cristiana (“una conscientia christiana continenter duci debet”)» (ibidem).

Dunque, due sono gli ordini, ma una sola è — deve essere — la coscienza: il cristiano deve essere guidato nel suo impegno temporale esclusivamente dalla coscienza cristiana. Bando perciò a tutte le dicotomie — vere e proprie schizofrenie! — che hanno segnato e, purtroppo, spesso continuano a segnare la presenza dei cattolici in politica. Talvolta si pensa che il cristiano abbia due coscienze: una, quella cristiana, a cui far riferimento nella propria vita personale, e un’altra, quella civile, necessariamente “laica”, a cui far riferimento nel proprio impegno nel mondo. Tale atteggiamento è assolutamente inaccettabile per un credente. Più volte, nei giorni scorsi, L’Osservatore romano ci ha riproposto l’esempio di re Baldovino, che preferí dimettersi — ed era disposto a rinunciare al trono — pur di non firmare una legge contraria alla sua coscienza cristiana.

Ma non corriamo, in tal modo, il pericolo di ricadere in una nuova forma di integralismo?


Per evitare l’integralismo

La riflessione della Chiesa negli ultimi anni ha portato a una nuova importante acquisizione, che, se osservata, impedirà di cadere nel pericolo, sempre incombente, dell’integralismo.

La nuova acquisizione consiste nel distinguere vari momenti nell’impegno cristiano, una specie di rifrazione, attraverso la quale, si scoprono, prima dell’impegno propriamente politico, una serie di momenti pre-politici, che non possono in alcun modo essere trascurati, se si vuole svolgere una corretta azione politica.

Innanzi tutto il momento spirituale: il momento della fede, della preghiera, del silenzio, dell’ascolto della parola di Dio, della formazione biblica, teologica e spirituale. È il punto di partenza, che non si può mai tralasciare: è il momento necessario per “abbeverarsi” alla fonte.

Quindi il momento culturale, il momento dell’inculturazione del vangelo, dell’incarnazione del messaggio nelle categorie proprie di una determinata cultura. A questo proposito, meraviglia come oggi si parli tanto di inculturazione con riferimento ai popoli del terzo mondo, e poi a casa nostra si esiga un cristianesimo “tutto spirituale”, purificato da qualsiasi incrostazione culturale. Per capire l’importanza della mediazione culturale, non è necessario ricorrere a Gramsci, con la sua “teoria dell’egemonia”, dal momento che i cristiani hanno sempre fatto ciò che poi Gramsci ha teorizzato: si pensi alla prima diffusione del vangelo o anche, piú vicino a noi, a ciò che avvenne nell’Italia postunitaria, mentre vigeva il Non expedit. Constatiamo con piacere che la Chiesa italiana si è messa su questa strada, con la decisione, presa al Convegno di Palermo, di procedere all’elaborazione di un nuovo “progetto culturale”.

In terzo luogo, il momento sociale, che consiste nell’animazione della società civile. Si pensi ai vari campi in cui è solitamente impegnato il volontariato: i giovani, i tossicodipendenti, gli handicappati, gli anziani, i lavoratori, i disoccupati, gli extracomunitari, gli emarginati in genere. Si pensi ancora alla difesa della vita e dell’ambiente. In questo vasto campo il punto di riferimento rimane la dottrina sociale della Chiesa, che durante quest’ultimo secolo ha allargato i suoi orizzonti dalla questione operaia a tutti i problemi della società odierna.

Infine il momento specificamente politico, che consiste nella presenza del cristiano nelle istituzioni (quartiere, comune, provincia, regione, Stato) e che può comportare anche l’assunzione di determinate responsabilità, ma che non può in alcun modo trasformarsi in pura e semplice “occupazione del potere”. L’autenticità di quest’ultimo momento dipende tutta dai momenti precedenti: solo chi è disposto a percorrere le tappe pre-politiche, sarà anche un buon politico cattolico.


Un errore da evitare

Occorre assolutamente evitare l’errore di pensare che l’unico problema sia da che parte stare, se a destra o a sinistra, o se non sia piuttosto necessario ricostituire un “grande centro”, in cui far confluire tutti i cattolici.

Il problema, in realtà, è molto più profondo. Attualmente noi ci troviamo di fronte non solo a una sinistra, ma anche a una destra e, ahimè, anche a un centro completamente secolarizzati. Allora il vero problema è quello di rievangelizzare la politica. Occorre ricominciare da capo, come duemila anni fa: il cristiano, ovunque schierato, è chiamato a “permeare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico”. Su questo piano, sul piano della fede e dei valori morali, tutti i cattolici sono — devono essere — uniti, al di là degli schieramenti. Devono essere non cattolici di destra, di sinistra o di centro, non “cattolici liberali” o “cattolici democratici”, “cattocomunisti” o “clericofascisti”, ma semplicemente cattolici — come ci ricordava giorni fa L’Osservatore romano (15-16 giugno 1998) — “cattolici senza aggettivi”.


Solo una postilla, a proposito del “progetto culturale”: son passati tredici anni, e il “progetto culturale” è rimasto, appunto, un grande progetto. Questo per dire che non bastano le belle idee, le grandi intuizioni, i programmi dai vasti orizzonti. Forse bisogna proprio ripartire dall’essenziale.

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Così, da settembre, il Vaticano lavorerà per fare il partito dei cattolici (Rodari)

Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Fabiola.


[Modificato da Caterina63 06/08/2011 20:27]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Dal 16 al 18 settembre si svolgerà a Verona il I Festival della Dottrina Sociale, un'iniziativa nata "dall'intreccio relazionale dei soggetti promotori e dai numerosi confronti con le molte persone che vivono la loro attività lavorativa con serietà e onestà", come scrivono gli organizzatori.

L'intento è di "evidenziare idee, azioni e persone che rischiano di stare dentro le cose per costruire un futuro positivo".

Perché un festival? - "La parola festival è di solito abbinata a tematiche di spettacolo molto popolari. L'abbiamo scelta volutamente perché vogliamo portare in piazza il patrimonio della Dottrina Sociale e non lasciarlo al chiuso delle stanze di chi la conosce già. La Dottrina Sociale è stata concepita per essere un lievito, non può stare separata dalla farina della vita quotidiana".

E la Dottrina Sociale?
- "La Dottrina Sociale è il nostro punto di riferimento condiviso - aggiungono -. Essa esprime un pensiero sull'uomo, sulla società e sull'attività umana. Formula un pensiero vero che coniuga ragione e fede. In forza della verità in essa contenuta fa crescere l'azione sui sentieri della giustizia e della pace, motiva all'azione, orienta al bene.
Trasmette il fascino della passione per la sperimentazione di cose nuove che, innestate nella continuità di una tradizione e di una storia, favoriscono lo sviluppo dei singoli e dell'umanità nel rispetto dell'originaria dignità".


Cosa possono fare i giovani?
- "I giovani saranno i protagonisti del Festival in tutte le sue fasi, dalle conferenze in Fiera fino ai momenti culturali e ludici nel centro di Verona. Ai giovani sarà data la responsabilità di interloquire in maniera diretta con esponenti del mondo culturale, economico, politico e sindacale del Paese sui grandi temi della nostra attualità.
Partecipare è un'occasione da non perdere per poter costruire un futuro improntato sul bene comune e sostenuto dalle solide fondamenta della Dottrina Sociale della Chiesa. Insieme ai propri genitori e dirigenti scolastici, i giovani testimonieranno la loro volontà di far parte della comunità educante, in cammino con gli adulti e i propri coetanei, che cresce e si apre alla società".

Auguri!
Per ulteriori informazioni sull'iniziativa e sul programma: http://www.festivaldsc.it/

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Se un Vescovo crea confusione [SM=g1740730]

 

Eccellenza Reverendissima mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, ho letto la Sua intervista su "Famiglia Cristiana" che si apre con la drastica affermazione secondo cui il presidente del Consiglio "deve dimettersi punto e basta. Sarebbe la prima volta che fa qualcosa che giova al Paese", e si conclude con una critica alle iniziative della CEI dove, a proposito dei cattolici presenti in politica, Ella esprime il timore che "si cerchi di ricondurli dentro lo steccato, organizzando una nuova falange offensiva".

Non so se "Famiglia Cristiana" abbia l'abitudine di fare rileggere i testi agli intervistati prima della pubblicazione e, vittima talora anch'io di fraintendimenti, Le chiedo scusa in anticipo se fossero state riportate parole non Sue, certo che in tal caso non mancherà la smentita.

Da sociologo, Le confesso la mia perplessità sulla Sua affermazione secondo cui mentre il cardinale Bagnasco parla come vescovo, Lei esprime opinioni "come cittadino italiano" e non ama "nasconderle per convenienze ecclesiastiche". In linea di principio, il ragionamento non fa una piega e questo giornale ha sempre sostenuto che i vescovi non hanno certamente meno diritti di altri cittadini italiani di dire la loro. In linea di fatto, una elementare sociologia della comunicazione ci insegna che i lettori hanno difficoltà a distinguere fra l'opinione del cittadino e quella del vescovo quando si tratta della stessa persona, e questo anche a prescindere dalla puntuale e prevedibile strumentalizzazione di quotidiani come "Repubblica" che hanno presentato la sua intervista come presa di posizione "dei vescovi" e non di un privato cittadino.

È per questo rischio - che è più di un rischio - che mi permetto rispettosamente di entrare nel merito della Sua intervista. Certamente ci sono affermazioni condivisibili, come quella secondo cui il ciclo politico dell'onorevole Berlusconi sembra ormai volgere alla fine, e l'altra che i suoi comportamenti privati diffondono scandalo fra molti fedeli cattolici. Anche se in questo caso si dovrebbe forse aggiungere che la responsabilità dello scandalo - rispetto a comportamenti privati riprovevoli, ma che avvengono a casa propria dopo avere chiuso la tenda che dà sull'esterno - è condivisa da chi tira la tenda e sbatte il privato in prima pagina. Mi creda, Eccellenza, anche diversi esponenti politici e culturali a Lei più simpatici non rivelerebbero un privato immacolato se fossero colpiti da oltre centomila intercettazioni offerte ai giornali per la libera pubblicazione, il che - Lei così attento alla superiore moralità dei politici stranieri - vorrà convenire che è cosa che accade solo in Italia.

Gli stessi fedeli potrebbero però rimanere sconcertati dalla Sua opinione secondo cui, dimettendosi, l'on.le Berlusconi "sarebbe la prima volta che fa qualcosa che giova al Paese". Sconcertano infatti i fedeli le divisioni tra le autorità ecclesiastiche. Il Santo Padre in discorsi molto importanti ha ringraziato non una ma tre volte il governo italiano per la decisione di ricorrere alla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sul caso del crocifisso nelle scuole, vincendo poi la causa di appello. Si tratta di una decisione presa dal Presidente del Consiglio. Lei pensa che il Santo Padre sbagli e che quella decisione non abbia "giovato al Paese"?

Lo stesso Benedetto XVI ha ringraziato pubblicamente il governo presieduto dall'on.le Berlusconi - la materia mi sta a cuore perché me ne occupo istituzionalmente - per l'impegno profuso a favore dei cristiani vittime di persecuzioni in Pakistan e altrove. Questo giova certo anzitutto ai cristiani perseguitati: ma si sente davvero di dire che non "giova al Paese"? Infine - sono solo esempi - la CEI ha riconosciuto gli sforzi del governo e quelli personali del Presidente del Consiglio - frustrati, ricorderà, da un intervento del Presidente della Repubblica, cui va la Sua ammirazione - per salvare la vita della povera Eluana Englaro. I Suoi colleghi vescovi avevano torto? Anche salvare Eluana non "giovava al Paese"?

Vorrei anche capire meglio che cosa significa la Sua affermazione secondo cui Berlusconi non Le piace per il suo tipico "taglio dell'imprenditore borghese". Lei pensa che gli "imprenditori borghesi" in genere debbano essere eliminati? Sostituiti da che cosa?
Avendo - glielo confesso - qualche simpatia per i principi che ispiravano le società precedenti alla borghese Rivoluzione francese, nonostante le ingiustizie che non mancavano quando questi principi non erano rispettati nella pratica, condivido una critica della borghesia in quanto responsabile di avere "distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo pagamento in contanti. Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco" del Medioevo. Ha scritto qualcosa di simile anche Papa Leone XIII ma avrà riconosciuto le parole, che immagino a Lei più familiari, del "Manifesto del Partito Comunista" di Marx ed Engels.

Mi piacerebbe però sapere se la sua critica della borghesia è in funzione delle soluzioni di Marx ed Engels, quel socialismo che ha portato a regimi a suo tempo definiti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede "la vergogna del nostro tempo", ovvero delle soluzioni della dottrina sociale della Chiesa, che non trovo citata nella Sua intervista.

E qui vedo un ulteriore problema. Lei non nasconde - da cittadino, beninteso - la Sua viva antipatia per il centro-destra, anzi Le "dispiace, per essere ancora più chiaro, che tanti italiani si riconoscano politicamente in Silvio Berlusconi" ed è preoccupato del fatto che, uscito eventualmente di scena il Presidente del Consiglio, continuino a riconoscersi nel suo partito o nel suo schieramento. Alla fine dell'intervista esprime antipatia anche per soluzioni centriste e "cose bianche" che secondo una certa stampa sarebbero viste con favore da Suoi illustri confratelli vescovi. Tolto il centro e tolta la destra, resta solo la sinistra.

Certo per limitare la lunghezza dell'intervista, non Le sono state chieste eventuali riserve e perplessità nei confronti della sinistra e se per esempio il "taglio dell'imprenditore borghese" non abbia qualcosa a che fare anche con Carlo De Benedetti, la famosa "tessera numero uno" del Partito Democratico e l'editore del quotidiano, "Repubblica", che dà la linea politica alla sinistra italiana. Soprattutto, non Le è stato chiesto se prima di concedere il Suo generoso sostegno alla sinistra - sempre come cittadino, ci mancherebbe altro - non abbia fatto qualche domanda su quelli che il Papa chiama principi non negoziabili in materia - per esempio - di eutanasia, riconoscimento delle unioni omosessuali, pillole abortive, libertà per i genitori cattolici di scegliere la scuola cattolica in condizioni di effettiva parità. Se ha fatto queste domande, sarei interessato a conoscere le risposte.

Se non le ha fatte, mi piacerebbe sapere se Lei - come cittadino - sconsiglia esplicitamente agli italiani di seguire l'insegnamento del Santo Padre secondo cui i principi non negoziabili - espressione tecnica che designa solo quanto attiene alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione, cui si aggiunge la libertà religiosa - debbano prevalere su altre materie, pure importanti, quando si compiono scelte politiche. Perché se così fosse Le si porrebbe un piccolo problema. Lei dovrebbe dare un certo consiglio agli elettori della Sua diocesi come cittadino italiano e il consiglio opposto come vescovo, di cui nessuno mette in dubbio la fedeltà ai documenti del Magistero sul primato dei principi non negoziabili e sull'identificazione come non negoziabili di certi principi e non di altro, pure molto rilevanti.

Eccellenza, ammiro la sua passione per la vita sociale e politica del nostro Paese. Condivido molte Sue preoccupazioni per la moralità pubblica, le famiglie in difficoltà, il Sud. Ma auspico che nelle Sue preoccupazioni e nel Suo cuore possano trovare un posto non secondario anche quelle di tanti fedeli per la vita, la famiglia, la scuola cattolica e l'attacco sempre più tracotante alla Chiesa di una parte politica che non è quella guidata dall'on.le Berlusconi.
Con devoto ossequio

Massimo Introvigne



[Modificato da Caterina63 07/10/2011 14:41]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/10/2011 10:10
 
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DEL PERCHÈ NON POSSIAMO DIRCI

DEMOCRISTIANI

 

 

Democristianismo. Come cavallo di troia della Rivoluzione

Breve saggio su un non-senso

La (il)logica del centro. La retorica democristina del “moderatismo”; cioè accettare il male a piccole dosi. Se X (destra) e Y (sinistra) sono in errore, X-Y (centro) è la somma degli errori; e se fosse… Z? Il centro è: ontologicamente stupido, logicamente insulso, cattolicamente incoerente. Il centro democristiano come secolarismo camuffato. L’assolutizzazione della democrazia nei democristiani. De Gasperi, il liberale della “democrazia evangelica”. Wojtyla: il dogma “maggioritario” del democraticismo: “non è ricerca del bene comune ma ricerca del potere”. Modernità cronologica e modernità ideologica. I democristiani come cavallo di troia della rivoluzione: parola di Gramsci. Il “moderatismo”: ovvero il democristiano a tavola, e il peccato di gola. Il democristiano: agente secolarizzante, e la rana bollita. “Si capisce perchè i democristiani non parlino mai di religione e morale. Ma di sociologia e psicologia…”. Cosa resta di “cristiano”? Niente, salvo l’ossequio formale: il clericalismo… i principi venduti per un campanile. Il prototipo democristiano di ieri, di oggi e di domani: il caso Rosy Bindi. Il neo-centrismo è un’illusione: che porterà a risultati anticattolici. Bibliografia minima.

 

 

IN BREVE

Laddove la distinzione tra i due schieramenti sia netta in principio, il centro si trova ad essere una contaminazione. Ma una contaminazione tra opposti è del tutto priva di senso. Si tratta infatti di capire, prima di tutto, quali siano il contenuto della destra e quello della sinistra. Se i due principi o sistemi di principio opposti, alla base di destra e sinistra, sono “entrambi” errati, infatti, la posizione centrista si riduce a un’aggregazione di errori; laddove invece i due principi siano uno giusto e l’altro errato, la contaminazione è ancora più insensata, trovandosi il centro ad essere un cedimento parziale all’errore. Ove l’errore sia di natura morale o dottrinale, ciò aggrava la situazione.

Già, posto in questi termini, il centro è cristianamente inconcepibile: in entrambi i casi, si tratta infatti di aderire a un errore.

L’idea stessa del compromesso, insito nella posizione centrale tra due posizioni, è cristianamente inaccettabile. Il cattolico nella propria vita non è chiamato a scelte di comodo, a posizioni “moderate” – come invece vuole la retorica democristiana –, cioè di accettazione a piccole dosi del bene, bensì alla radicalità della croce, alla radicalità della santità, senza compromesso alcuno con il male – pur restando ferma l’imperfezione umana.  L’errore fondamentale del democristianismo è il modernismo: cioè il tentativo di stemperare il cristianesimo con il pensiero moderno (in senso ideologico), sulla base di un richiamo a un cristianesimo di facciata, che però svuota quest’ultimo del suo contenuto dottrinale, delle posizioni del Magistero. Lo stesso Antonio Gramsci – filosofo comunista che ha sempre sperato (e la storia gli ha dato ampiamente ragione) che i democristiani potessero essere un cavallo di Troia per la Rivoluzione – scriveva significativamente nei “Quaderni dal carcere”: «Modernismo significava, politicamente, democrazia cristiana»; e aggiungeva che il democristianismo era «una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo», nonché che «il cattolicesimo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida». In altri termini, la DC era contagiata dal secolarismo delle forze progressiste. 

 

 

 

di Filippo Giorgianni da papalepapale.com

 

 

Per troppo tempo, e ancora oggi, presso i cattolici regna sovrana confusione sul fenomeno democristiano. Troppo spesso quello democristiano è stato pensato come il “partito cattolico”, quello in cui rifugiarsi per difendere la visione dottrinale cattolica. Giudizio temerario, se si pone mente a molte infedeltà – concettuali, prima che personali – della DC rispetto al messaggio cattolico. Eppure, di fronte alle eresie progressiste e alle intemperanze e miopie reazionarie, esso, con il suo centrismo, ha rappresentato per molti il giusto equilibrio che ogni buon cristiano dovrebbe perseguire. Si tratta di capire quanto sia fondata questa convinzione sulla base di un giudizio cattolicamente (in senso autentico) orientato.

 

LA (IL)LOGICA DEL CENTRO

QUESTA PERDITA DI SENSO...

Prima ancora che l’analisi breve della DC, è però necessario fare un’analisi breve del centro in genere. In effetti, la cosa meno sensata di una qualunque scena politica è la presenza della categoria del centro. Al di là della connotazione che essa prende in questo o quel paese, già lo stesso centrismo si trova ad essere una posizione illogica. Posta la distinzione tra destra e sinistra (che, per comodità espositiva, qui si utilizzano come fossero etichette relativistiche, o vuote, colmabili di qualsiasi contenuto, sebbene non sia così), si tratta infatti di capire quale consistenza il centro possa avere. In quanto posizione centrale rispetto a due posizioni concettuali definite e conflittuali, il centro si può caratterizzare solo come stemperamento delle due posizioni concettuali contrapposte, quale incontro tra le due posizioni, un compromesso tra le due, un’accettazione di entrambi i principi opposti o le visioni complessive contrapposte. In tal senso, laddove la distinzione tra i due schieramenti sia netta in principio, il centro si trova ad essere una contaminazione. Ma una contaminazione tra opposti è del tutto priva di senso. Si tratta infatti di capire, prima di tutto, quali siano il contenuto della destra e quello della sinistra. Se i due principi o sistemi di principio opposti, alla base di destra e sinistra, sono entrambi errati, infatti, la posizione centrista si riduce a un’aggregazione di errori; laddove invece i due principi siano uno giusto e l’altro errato, la contaminazione è ancora più insensata, trovandosi il centro ad essere un cedimento parziale all’errore. Ove l’errore sia di natura morale o dottrinale, ciò aggrava la situazione.

 

LA RETORICA DEMOCRISTINA DEL “MODERATISMO”. CIOÈ ACCETTARE IL MALE A PICCOLE DOSI

Già, posto in questi termini, il centro è cristianamente inconcepibile: in entrambi i casi, si tratta infatti di aderire a un errore. Più precisamente, in un caso, a un miscuglio di errori, dunque al male; mentre, nell’altro caso, di aderire a un bene contaminato di male, trovandosi illogicamente con l’abbracciare una posizione stemperata, quando si potrebbe (e moralmente si dovrebbe) invece aderire ad una delle due parti in gioco che è quella che esprimerebbe il giusto. L’idea stessa del compromesso, insito nella posizione centrale tra due posizioni, è cristianamente inaccettabile. Il cattolico nella propria vita non è chiamato a scelte di comodo, a posizioni “moderate” – come invece vuole la retorica democristiana –, cioè di accettazione a piccole dosi del bene, bensì alla radicalità della croce, alla radicalità della santità, senza compromesso alcuno con il male – pur restando ferma l’imperfezione umana. Ragion per cui, laddove vi fosse una parte nel giusto, il cattolico non potrebbe che schierarsi con quella parte, senza cercare compromessi; laddove invece non vi fosse alcuna parte nel giusto, si tratterebbe di scegliere il “male minore”, e non certo, tra i due mali in campo, un male intermedio che li assommi (sebbene stemperati). Si potrebbe obiettare, a questo punto, che il centro si potrebbe pur sempre anche configurare come posizione terza, non necessariamente compromissoria tra le due in gioco.

 

SE X (DESTRA) E Y (SINISTRA) SONO IN ERRORE, X-Y (CENTRO) È LA SOMMA DEGLI ERRORI. E SE FOSSE… Z?

Il Grande Conservatore: Augusto del Noce

In altri termini, ove destra sia x e sinistra sia y, il centro potrebbe non semplicemente essere x+y, ma avere invece un contenuto del tutto diverso, ad esempio z. E si potrebbe anche obiettare che, laddove l’x della destra e l’y della sinistra fossero entrambi errati, il centro si configurerebbe come la riaffermazione della giusta posizione – magari della dottrina cattolica – contro i due errori, apparentemente contrapposti. Sennonché, è facile notare come, anche in questo caso, il centro sia logicamente privo di senso: se infatti la posizione terza si trova ad essere realmente altra dalle due in campo, essa non sarebbe allora centrale tra le due, bensì si opporrebbe ad entrambe come un polo si contrappone a un altro polo (sebbene composto da due elementi: destra e sinistra). Il centro non sarebbe realmente un centro, una posizione intermedia, bensì, rispetto ai due poli (destra e sinistra) già esistenti, sarebbe una destra o una sinistra più estrema, a seconda che esso sia più somigliante alla destra o alla sinistra. Né può obiettarsi – come fa il pur ottimo Augusto Del Noce (insolitamente superficiale in tale occasione, se si considera la sua familiarità estrema con autori “conservatori” che smentirebbero la sua prospettiva) – che, posto che la destra sia “conservatrice” e la sinistra “innovatrice”, il centro si possa configurare come la riaffermazione di alcuni principi eterni (ad esempio, i principi cattolici), conservando questi ultimi e innovando il rimanente. La prospettiva («restauratrice»: cfr. Augusto Del Noce, Sul centro, il postfascismo e i comunisti, in Norberto Bobbio e Idem, Centrismo: vocazione o condanna?) della conservazione dei principi all’interno delle innovazioni storiche sarebbe perfettamente corretta in base alla dottrina sociale cattolica che richiede l’applicazione della medesima morale alle diverse (e nuove) situazione storiche. Sennonché ad essere fallace è la base da cui parte l’obiezione: che la destra sia conservatrice e la sinistra innovatrice non è solo tutto da provare, ma è anche privo di fondamento.

 

IL CENTRO È: ONTOLOGICAMENTE STUPIDO, LOGICAMENTE INSULSO, CATTOLICAMENTE INCOERENTE

Giuseppe Prezzolini. Con tutti i suoi errori forse il più grande giornalista italiano. Un antitaliano innamoratissimo dell'Italia. Soprattutto di destra

Non potendosi analizzare adeguatamente adesso la questione su destra e sinistra, si segnala qui solamente che la lettura di molti autori “conservatori” (anche conosciuti da Del Noce) dimostra come costoro non pretendano di tornare a un passato ideale o di limitarsi alla mera conservazione di uno status quo, bensì sposino esattamente la prospettiva che Del Noce attribuisce invece al centro. Scrive, ad esempio, Giuseppe Prezzolini – autore con molti difetti, ma qui impeccabile – nel suo Manifesto dei conservatori: «Prima di tutto, il Vero Conservatore si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; perché il Vero Conservatore intende “continuare mantenendo”, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite. Il Vero Conservatore sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove, ispirate a principi permanenti», così dimostrando che la destra non si configura come anti-innovativa, bensì come giusta conservazione e giusta innovazione, come la restaurazione dei principi eterni proposta da Del Noce. In realtà, l’obiezione delnociana si basa su un fraintendimento del contenuto della destra, dimenticando (stranamente) come l’ottica restauratrice sia propria di molti autori di destra, come nel caso di Joseph de Maistre – autore molto studiato da Del Noce, ma frainteso sul punto, ché il filosofo pistoiese gli attribuisce ingiustamente una prospettiva non realmente restauratrice. Il centro dunque non si può configurare come il giusto equilibrio tra conservazione e innovazione. Da questo punto di vista, il centro è quindi ontologicamente stupido, logicamente insulso, cattolicamente incoerente. È vero che, sin dall’inizio dell’introduzione della diade politica “destra-sinistra” (dopo la Rivoluzione francese del 1789), esso è esistito, ma esso veniva definito significativamente «palude», a intendere un pantano privo di contenuto effettivo. Il centro sta quindi a indicare (oltre che qualcosa di opposto ai principi cattolici) un elemento artificiale inserito nello scenario politico, un elemento perturbatore di una chiara distinzione politica, e si presenta come un surrogato della destra, che però non si oppone in modo autentico alla sinistra.

 

IL CENTRO DEMOCRISTIANO COME SECOLARISMO CAMUFFATO

Impregnato di liberalismo. Sturzo

Passando all’analisi del soggetto democristiano, si deve fare una breve storia della DC per poterne comprendere il significato. La Democrazia Cristiana nasce come partito dalle ceneri dell’esperienza del PPI (Partito Popolare Italiano) di don Luigi Sturzo. A sua volta, quest’ultimo molto deve all’esperienza associativa della Lega Democratica Nazionale dello scomunicato don Romolo Murri, prima forma di “democrazia cristiana” o di “cristianesimo democratico”. Poco spesso si ricorda che Sturzo, pur senza gli eccessi del suo padre spirituale, fu discepolo di Murri e che egli volle chiamare PPI il proprio partito per non impegnare un nome – quello della Lega Democratica o nomi affini come appunto “Democrazia Cristiana” – colpito dal sospetto d’eresia. Sturzo era di orientamento liberale. È bene dire che la sua prospettiva dottrinale non era del tutto distorta rispetto ai richiami del Magistero del tempo – nonostante Sturzo fu, contro il Magistero, interventista nella prima guerra mondiale; tuttavia, la visione sturziana risentiva di un difetto d’origine, presente sin dall’esperienza di Murri: l’assolutizzazione della democrazia. Tutti i movimenti a tendenza liberale o democratica dell’Ottocento, infatti, hanno sempre vissuto il richiamo alla democrazia come a un fine, ultimo spesso. È ciò che avvenne con Le Sillon, movimento modernista francese, presto sconfessato da san Pio X nella lettera enciclica Notre charge apostolique che ribadiva la necessità di non assolutizzare la democrazia e di non considerarla intrinsecamente legata al cristianesimo, nonché sottolineava come la posizione democristiana del Sillon fosse inficiata dal rivoluzionarismo illuminista. In verità, in linea col Magistero di Leone XIII, come ben sapeva il Venerabile professor Giuseppe Toniolo – spesso frainteso dai democristiani –, una democrazia conciliata col cristianesimo è possibile solo nella misura in cui essa si sottoponga alla morale cristiana, e dunque solo nella misura in cui essa non si ponga come un assoluto, come un fine, bensì come un mezzo.



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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L’ASSOLUTIZZAZIONE DELLA DEMOCRAZIA NEI DEMOCRISTIANI. DE GASPERI, IL LIBERALE DELLA “DEMOCRAZIA EVANGELICA”

De Gasperi. Pensò alla democrazia come a un fine

La Chiesa, infatti, insegnava – e insegna a tutt’oggi – che la democrazia, come qualunque altra forma di governo, è indifferente, neutra. Ciò che conta è che il governo avvenga nel rispetto del diritto naturale e del bene comune, unici fini della vita dei singoli e della comunità. Ebbene, il problema dottrinale di quei movimenti cristiani che hanno voluto trovare un terreno d’incontro con l’avversario liberale post-1789, non fu nell’aver voluto valorizzare il profilo della libertà – cosa indubbiamente positiva e presente anche in molti “conservatori”, come Edmund Burke –, bensì, cedendo all’eresia modernista, nell’avere assolutizzato libertà e democrazia, così come avevano fatto i loro avversari liberali. Nonostante l’ingenuo confluire dei cattolici su di essi, tale sfasatura dottrinale sopravviveva sotto le ceneri del PPI, ma soprattutto sopravvisse nella DC. La prospettiva dello stesso Sturzo, influenzato dal modernista Murri, era di disinteressarsi del modernismo – e dunque delle condanne ripetute da parte del Magistero, specie tramite l’enciclica Pascendi dominici gregis.

Similmente avverrà con il liberale Alcide De Gasperi e la sua DC. La Democrazia Cristiana non faceva mistero del suo richiamo esplicito alla Lega di Murri, tessendone le lodi. Sebbene De Gasperi a livello personale non apprezzasse Murri, in nome della propria formazione tomistica, d’altro canto, anch’egli sottovalutava il fenomeno modernistico e, da liberale, non abbracciava del tutto l’ottica di Toniolo – pur utilizzandone la santa figura a scopo propagandistico – e del Magistero, pensando alla democrazia come a un fine, sulla base dell’influenza di Jacques Maritain. In occasione di un discorso a Bruxelles nel 1948, De Gasperi affermava: «Se, come scrive Bergson, la ragione d’essere della Democrazia è la fraternità, occorre altresì ammettere con lui che la Democrazia è per essenza evangelica».

 

WOJTYLA: IL DOGMA “MAGGIORITARIO” DEL DEMOCRATICISMO: “NON È RICERCA DEL BENE COMUNE MA RICERCA DEL POTERE”

Giovanni Paolo II aveva messo ufficialmente in guardia dall'ideologia democraticista

Al di là di qualunque altra contestazione riguardo al fatto che la democrazia sia necessariamente incline verso la fraternità – illusione spesso sconfessata dalla storia –, è evidente come la prospettiva degasperiana e della DC fosse quindi sfasata. Come insegna anche oggi il Magistero della Chiesa – con il beato Giovanni Paolo II (Discorso ai presuli delle province ecclesiastiche di Lisbona e di Évora della Conferenza Episcopale Portoghese in visita «ad limina apostolorum» del 27-11-1992, n. 4) e con il Pontefice regnante Benedetto XVI –, la democrazia può giungere ad esiti totalitari (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 20: «(…) la democrazia, ad onta delle sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale totalitarismo»): il semplice criterio della decisione a maggioranza non può essere assolutizzato a metro della morale: «Presso non pochi pensatori sembra oggi dominare una concezione positivista del diritto. Secondo costoro, l’umanità, o la società, o di fatto la maggioranza dei cittadini, diventa la fonte ultima della legge civile. Il problema che si pone non è quindi la ricerca del bene, ma quella del potere, o piuttosto dell’equilibrio dei poteri. Alla radice di questa tendenza vi è il relativismo etico, in cui alcuni vedono addirittura una delle condizioni principali della democrazia, perché il relativismo garantirebbe la tolleranza e il rispetto reciproco delle persone. Ma se fosse così, la maggioranza di un momento diventerebbe l’ultima fonte del diritto. La storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall’ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità. Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, della sua vita, dell’istituzione familiare, dell’equità dell’ordinamento sociale, cioè i diritti fondamentali dell’uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell’uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile» (Benedetto XVI, Discorso ai Membri della Commissione Teologica Internazionale del 05-10- 2007). E ancora: «In realtà, la democrazia non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell’immoralità. Fondamentalmente, essa è un “ordinamento” e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere “morale” non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 70). La prospettiva democristiana è così del tutto smentita.

 

MODERNITÀ CRONOLOGICA E MODERNITÀ IDEOLOGICA

E' la somma che fa il totale (Totò)

Il fatto è che la Chiesa non rifiuta la Modernità in blocco con le sue esigenze, e quindi non rifiuta le esigenze politiche a cui ha tentato di rispondere (malamente) la Modernità dalla Rivoluzione francese del 1789 in poi. Prendendo implicitamente in prestito una brillante distinzione tra modernità in senso cronologico e Modernità in senso ideologico – adoperata dal già citato filosofo politico cattolico Augusto Del Noce (Modernità. Interpretazione transpolitica della storia contemporanea) –, il Magistero prende atto che le esigenze moderne (modernità in senso cronologico) sono esigenze legittime e buone, ma che le risposte (ideologiche) moderne (Modernità in senso ideologico) a tali esigenze sono peggiori del male che vorrebbero curare. In tal senso, le esigenze di libertà (contro l’assolutismo), a cui rispondeva la Rivoluzione del 1789, erano sane e legittime, ma la Rivoluzione come (presunta) soluzione era (ed è) insana e sbagliata. La Rivoluzione infatti rispose ai problemi sociali con la celebre tripletta “Libertà, eguaglianza e fratellanza” che, con l’introduzione della dicotomia politica tra destra e sinistra, si collocavano a sinistra. Sennonché, la Chiesa insegna che la libertà è sì fondamentale – specie in ambito sociale, dove la Chiesa sposa il principio di sussidiarietà –, ma va sempre subordinata al bene e alla verità: «la libertà non consiste nel fare ciò che piace, ma nell’avere il diritto di fare ciò che si deve» (Giovanni Paolo II, Omelia alla celebrazione eucaristica all’“Oriole Park at Camden Yards” del 08-10-1995, n. 7). La Chiesa non approva la libertà cosiddetta «negativa» – cioè un tipo di libertà assoluta e astratta che pretende l’uomo svincolato dal bene morale e potenzialmente capace di fare ogni cosa –, bensì le libertà concrete e storiche: la libertà cosiddetta «positiva» che realizza l’uomo nel bene, secondo la vocazione specifica che egli abbia.

Inoltre, per la Chiesa – coerentemente con la visione di libertà positiva concreta, legata alla condizione specifica del soggetto –, l’uguaglianza degli uomini nella loro natura è sì effettiva, e quindi essa va difesa, ma non va confusa con l’egualitarismo, cioè con la pretesa di fare gli uomini uguali in tutto e per tutto, in quanto esiste una diseguaglianza legittima, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica ai numeri 1936-1937. Nella Rerum novarum (n. 14) Leone XIII scriveva esplicitamente:«Si stabilisca dunque in primo luogo questo principio, che si deve sopportare la condizione propria dell’umanità: togliere dal mondo le disparità sociali è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali. E ciò torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio, perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l’impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità dello stato». La prospettiva rivoluzionaria illuminista-liberale del 1789 invece sposa una visione distorta (assoluta) di libertà – scriveva John Stuart Mill nel suo Saggio sulla libertà: «La sola libertà che meriti questo nome è quella di perseguire il nostro bene a nostro modo» – nonché una visione sostanzialmente egualitarista dell’eguaglianza.

 

I DEMOCRISTIANI COME CAVALLO DI TROIA DELLA RIVOLUZIONE. PAROLA DI GRAMSCI

Quello sguardo lucido che aveva visto con chiarezza tutto. In anticipo. Gli occhi di Gramsci

Ebbene, la visuale democristiana, sin dai suoi albori, non è la semplice riaffermazione della dottrina sociale cattolica di sempre, ma nasce proprio come un approccio confuso e compromissorio verso la seconda accezione (quella ideologica) di “modernità” e, specificamente, verso la Rivoluzione francese e la sua tripletta concettuale “Libertà, uguaglianza e fratellanza”, rifiutata dal Magistero. Il democristianismo parte dalle giuste esigenze (di libertà autentica; di uguaglianza, rettamente intesa; di fraternità) per giungere alle soluzioni scorrette del rivoluzionarismo. Il suo errore fondamentale è il modernismo: cioè il tentativo – condannato, tra gli altri, da San Pio X nell’enciclica Pascendi Dominici gregis e nel decreto Lamentabili Sane Exitu – di stemperare il cristianesimo con il pensiero moderno (in senso ideologico), sulla base di un richiamo a un cristianesimo di facciata, che però svuota quest’ultimo del suo contenuto dottrinale, delle posizioni del Magistero. Lo stesso Antonio Gramsci – filosofo comunista che ha sempre sperato (e la storia gli ha dato ampiamente ragione) che i democristiani potessero essere un cavallo di Troia per la Rivoluzione – scriveva significativamente nei Quaderni dal carcere: «Modernismo significava, politicamente, democrazia cristiana»; e aggiungeva (I popolari, in L’Ordine Nuovo. Rassegna settimanale di cultura socialista, 01-11-1919) che il democristianismo era «una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo», nonché che «il cattolicesimo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida». In altri termini, la DC era contagiata (anche se “moderatamente”, ma non meno pericolosamente) dal secolarismo delle forze progressiste. Così facendo, la Democrazia Cristiana si è sempre proposta come una forza che prendeva voti di cattolici – moltissimi anche sinceri e fedeli al Magistero – per poi non rispettare la posizione del proprio elettorato (quella della Chiesa), oppure addirittura operando su quello stesso elettorato una sottile pressione ideologica di persuasione avversa al Magistero e favorevole agli avversari. La sua stessa posizione centrista – De Gasperi addirittura parlava di «centro che guarda a sinistra» (Il Messaggero del 17-04-1948) – ne faceva – e fa, a tutt’oggi, dei suoi epigoni – una forza intimamente compromissoria. Come scrisse felicemente il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (Prefazione, in Fabio Vidigal Xavier da Silveira, Frei, il Kerenski cileno): «La sua base è sana ma politicamente sprovveduta. I suoi vertici sono ambigui, a prima vista. Costituita abitualmente da elementi che vanno da un centrismo conservatore – passando per tutte le gamme intermedie – fino a un sinistrismo estremistico, in essa l’influenza dominante non è mai quella degli uomini di destra o dei centristi, ma quella dei politici di sinistra. Questi ultimi finiscono per trascinare sempre più verso sinistra – con riluttanza maggiore o minore degli altri elementi – i vertici democristiani, e con i vertici anche la base. In questo modo, benché tali vertici si blasonino ancora da anticomunisti, tuttavia la maggior parte dei loro membri non omette nulla per rendere sempre più conforme alle tendenze e perfino alle dottrine comuniste tutto quanto intraprendono. Predicatori della concordia a ogni prezzo, ne deducono la convenienza di una intesa cordiale e perfino di una schietta collaborazione con il marxismo. Ma di fronte agli anticomunisti autentici la Democrazia Cristiana dimentica tutto il suo pacifismo e si trasforma in avversaria irosa, costante e irriducibile. (…) [la DC] non è altro che un dispositivo ideologico e politico specificamente fatto per trascinare verso l’estrema sinistra uomini di destra e, soprattutto, centristi ingenui». Del resto, ciò è confermato dalle parole di Francesco Cossiga – che pure era uno dei democristiani più fedeli al Magistero – che ebbe a dichiarare nel messaggio all’Italia del 1992 che il grande “merito” della DC era di aver rinunciato alla propria posizione ideale – «La Dc ha meriti storici grandissimi nell’aver saputo rinunciare alla sua specificità ideologica, ideale e programmatica (le leggi sul divorzio e sull’aborto sono state tutte firmate da Capi di Stato e da ministri democratici cristiani, che giustamente in quel momento hanno privilegiato l’unità politica a favore della democrazia, della libertà e dell’indipendenza)» – nonché è confermato dalle parole esplicite – quasi offensive per il proprio elettorato – di Ciriaco De Mita: «il grande merito della Dc è stato quello di avere educato un elettorato che era naturalmente su posizioni conservatrici se non reazionarie a concorrere alla crescita della democrazia. La Dc prendeva i voti a destra e li trasferiva sul piano politico a sinistra» (Corriere della Sera del 23-08-1999). Del resto, nonostante la DC avesse preso moltissimi voti cattolici grazie all’azione duramente anticomunista dei Comitati Civici del ferreo cattolico Luigi Gedda, De Gasperi diffidava dei Comitati e già Amintore Fanfani si adoperò per radicare la DC fuori dalla Chiesa e scollare il partito dal cordone ombelicale che la legava alle parrocchie, così comportando un allontanamento (e quindi slittamento lontano) dalle ragioni dei propri elettori cattolici – che, fedeli al Magistero, votavano DC in chiave antiprogressista.



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IL “MODERATISMO”: OVVERO IL DEMOCRISTIANO A TAVOLA, E IL PECCATO DI GOLA

L'apice della rivoluzione nella Chiesa, camuffata di abiti monacali: l'ideologo don Giuseppe Dossetti

Questo slittamento verso il secolarismo del 1789 è, per di più, peggiorato con il proliferare di nuove sinistre: se la linea degasperiana cedeva verso il liberalismo del 1789, ben presto, in seno alla DC si presentarono credenti disposti a cedere anche al socialcomunismo, la nuova sinistra nata nell’Ottocento e sviluppatasi nel Novecento. È il caso della linea di don Giuseppe Dossetti che, lungi dall’applicare la dottrina sociale della Chiesa, ha perennemente ricercato un punto di incontro con il comunismo, nonostante le ripetute condanne del comunismo ad opera del Magistero cattolico. La riprova di tutto quanto è stato detto è nelle parole pubbliche del segretario democristiano Flaminio Piccoli del 1982: «quel grande processo di trasformazione che in molte nazioni d’Europa è stato realizzato sotto la prevalente egemonia socialdemocratica o laburista, è stato ottenuto in Italia sotto la prevalente guida di un partito democratico cristiano. […] il processo di modernizzazione altrove collaudato dallo spirito capitalistico originario dell’etica protestante, o da quello illuministico della Rivoluzione francese, o da quello socialista-marxista-leninista, della Rivoluzione d’ottobre, in Italia questo cambiamento affonda nella tradizione cristiana propria dei cattolici democratici». Alla fine, di fronte ai problemi sociali, la fede per i democristiani è sempre stata relegata nel privato – in modo conforme all’ottica moderna (in senso ideologico) che vorrebbe la fede irrilevante in ambito socio-politico –, come dimostrano le parole al solito fumose di Aldo Moro del 20 luglio 1975: «La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo della coscienza alcune valutazioni rigorose, alcune posizioni di principio […] che fanno ostacolo ora alla facilità di contatto con le masse ed alla cooperazione politica. Vi sono cose che la moderna coscienza attribuisce alla sfera privata e rifiuta siano regolate dalla legislazione ed oggetto dell’intervento dello Stato. Prevarranno dunque la duttilità e la tolleranza». Tale impostazione si basa sul “moderatismo”, la pretesa di esser “moderati”. Come già accennato all’inizio, questa prospettiva è incompatibile con il cattolicesimo – che richiede l’accettazione del bene (e il rifiuto del male) senza se e senza ma –, ma c’è di più: essa è anche priva di senso logico. Il moderatismo è la pretesa di accettare con moderazione i principi che si dovrebbero avere: esso è lo spostamento della moderazione dal piano dei comportamenti a quello dei concetti. Ma la moderazione è una virtù che si applica non ai principi, bensì alle azioni, ai comportamenti: essa è la capacità di relazionarsi con le cose senza legare il cuore ad esse: l’uomo che applica la virtù della moderazione verso il cibo – moderandosi nel mangiare – è un uomo virtuoso perché sa rapportarsi bene col cibo, non ne è legato. Ma costui non è moderato nell’accettare il principio: anzi, nel moderarsi a tavola, l’uomo virtuoso applica in modo pieno il principio, combattendo in modo pieno il peccato di gola. Un democristiano a tavola dovrebbe invece lasciarsi andare all’ingordigia, ma con “moderazione”, in quanto, coerentemente col suo moderatismo dei principi, dovrebbe rifiutare solo moderatamente il peccato di gola. In questo non c’è alcuna virtù, bensì vizio celato dalla “politica” dei piccoli passi. Un peccato, ma a metà o a tre quarti.

 

IL DEMOCRISTIANO: AGENTE SECOLARIZZANTE. E LA RANA BOLLITA

Il democristianismo è quindi basato anche su un equivoco, e, nonostante si presenti come difensore del cattolicesimo nella società e nella politica, si riduce, alla fine, in un agente secolarizzante. Esso non è diverso da quelli che presenta come propri avversari: l’unica differenza è nella diversa velocità con cui secolarizza la società: se i suoi avversari progressisti la secolarizzano con più velocità perché accettano in modo pieno i propri principi secolaristi, esso invece secolarizza con una velocità meno elevata, ma, proprio perché poco elevata, in modo più profondo, in quanto lo slittamento progressivo, quasi indolore, è quello più efficace – seguendo la legge del piano inclinato denunciata dal beato Giovanni Paolo II (Discorso ai giovani per il Giubileo della Redenzione del 14-04-1984, n. 3); si rimanda qui pure alla metafora della rana bollita di Olivier Clerc (La grenouille qui ne savait pas qu’elle était cuite… Et autres leçons de vie): se si mettesse una rana in un pentolone pieno d’acqua fredda e si accendesse il fuoco sotto la pentola, l’acqua si riscalderebbe poco a poco. Appena l’acqua divenisse tiepida, la rana troverebbe il calore gradevole, continuando a nuotare. Ma progressivamente il calore sale e l’acqua diventa più calda, più di quanto la rana gradisca, ma essa, nonostante la spossatezza, non si preoccupa o spaventa perché non sente un pericolo immediato. Ma, dopo un poco, l’acqua si fa caldissima, e però la rana, pur soffrendo il caldo terribile, è ormai indebolita, assuefatta, e quindi non reagisce, fin quando non resterà semplicemente morta, cotta nel calderone. Ebbene, se la stessa rana fosse stata direttamente immersa nell’acqua a 50° centigradi, immediatamente avrebbe percepito il pericolo e avrebbe dato il necessario ed efficace colpo di zampa che l’avrebbe fatta fuggire dalla pentola, salvandosi la vita. Ciò significa che, quando un cambiamento si effettua gradualmente, sfugge alla consapevolezza di chi vi è sottoposto e non suscita in questa persona, per la maggior parte del tempo, nessuna reazione, anche se il cambiamento dovesse essere pericoloso per lei. I democristiani dunque, come tutti i “moderati”, «Sono moderati, non già in ragione di principi che loro appartengano, ma facendo un passo di meno nella stessa direzione dei loro avversari, essendo un poco più timidi nelle stesse assurdità, abbandonandosi agli stessi eccessi con un resto di pudore, versando una goccia d’acqua in un vino che non è il loro» (Abel Bonnard, I moderati. Il dramma del presente). Che la Democrazia Cristiana sia stata un fattore di secolarizzazione e un tradimento lento e progressivo del cattolicesimo non solo è dimostrato dalle candide parole di Flaminio Piccoli, ma anche dai fatti storici che ricordano come sia stata la Democrazia Cristiana a firmare una serie di piccoli e grandi tradimenti della dottrina cattolica – da certe formule ambigue o disastrose della Costituzione italiana, alle leggi sull’aborto e sul divorzio.

 

SI CAPISCE PERCHÈ I DEMOCRISTIANI NON PARLINO MAI DI RELIGIONE E MORALE. MA DI SOCIOLOGIA E PSICOLOGIA…”

Persino un esponente del progressismo cattolico come Pietro Scoppola ha preso atto, nel suo La «nuova cristianità» perduta, che le aperture del centro alle sinistre sia stato secolarizzante: «In definitiva, il centro-sinistra non solo non pone le premesse per frenarle, ma anzi accentua le spinte verso il processo di secolarizzazione della società». L’idea stessa di un centro che possa potenzialmente allearsi (e che quindi di fatto si allei) con la sinistra, come mostra la storia, ha prodotto solo secolarismo. Alla fine, l’unico giudizio pienamente cattolico sulla DC è quello del già citato Del Noce – che pure era suo teorico e suo parlamentare indipendente – nel suo carteggio con la filosofa Maria Adelaide Raschini (in Filosofia oggi n. 132/2010): «Abbiamo pensato che il partito democristiano intendesse infondere alla democrazia uno spirito cristiano, e che soltanto fosse incoerente, o che non disponesse di uomini a ciò adatti. Invece, dobbiamo riconoscere che è perfettamente coerente, rispetto a un reale programma che deve però essere formulato in altro senso; partito democristiano è il partito che vuole convertire i cristiani alla democrazia come morale. Quanto a dire alla morale che era già stata perfettamente definita dai sofisti: quel che piace ai più, quello è vero e giusto, è bello, è buono; e siccome l’opinione dei più può essere manipolata, e chi sa manipolare è il furbo, allora l’élite sarà dei furbi soltanto dei furbi. Si capisce così perché i democristiani non parlino mai di religione e di morale, ma sempre di sociologia, psicologia ecc.», concludendo altrove (Soffocare tra le verità impazzite, in Il Sabato, 19-09-1987) laconicamente che: «É quel che è accaduto in Italia nel quarantennio democristiano. Una secolarizzazione così piena non era riuscita né ai giacobini, né ai massoni, né ai comunisti e la ragione deve esserci».

 

COSA RESTA DI “CRISTIANO”? NIENTE, SALVO L’OSSEQUIO FORMALE: IL CLERICALISMO. I PRINCIPI VENDUTI PER UN CAMPANILE…

...SONO IN (S)VENDITA!

Cosa resta allora di cristiano in tutto ciò? Resta l’ossequio formale, il clericalismo. Nella sfasatura dottrinale che caratterizza il democristianismo, esso ribalta il giusto equilibrio tra sfera spirituale e temporale. La dottrina cattolica (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota circa l’impegno dei cattolici nella vita politica) insegna infatti che vi sono elementi – il “minimo sindacale” dei cosiddetti «principi non negoziabili» e, più in generale, la promozione del bene comune (cioè il bene morale a livello sociale) – su cui il laico, anche politico, non può mai cedere, a cui mai può rinunciare nel proprio agire. Ciò a cui è sempre vincolato è la morale, dalla quale non può svincolarsi, perché non è nel carisma del laico fissare i principi morali, bensì è suo ministero applicarli. Schematicamente si potrebbe dire che attiene alla sfera spirituale la morale e la sua individuazione è esclusivo appannaggio del chierico, del sacerdote (Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, n. 24), mentre attiene alla sfera temporale il governo dell’ambito socio-politico ed esso è esclusivo appannaggio del laico (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 43).

Ciò non significa che il laico sia solo un passivo esecutore di ogni volontà del chierico, anzi. L’autonomia del laico nell’ambito temporale, insegna la Chiesa, c’è: ma essa non è sui principi, bensì verte sulle modalità di applicazione dei principi stessi. Il laico non deve sottostare a qualunque richiesta del sacerdote, ma solo ai suoi ammonimenti morali (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 43). L’autonomia del laico non è quindi nell’individuare cosa sia morale, ma nel modo di applicare quest’ultima; la sua autonomia è nei mezzi, in cui non viene in rilievo direttamente la morale. La sua autonomia è nelle «cose tecniche» (Pio XI, Quadragesimo anno, n. 41). Poiché però il democristiano cede proprio nell’ambito morale al secolarismo, l’unico modo che gli resta per ossequiare politicamente la religione, cui dovrebbe appartenere, è venire incontro alle esigenze secondarie della religione stessa, le stesse su cui il politico invece avrebbe una sua autonomia. E così, se sulla carta il laico dovrebbe applicare i principi morali fissati dal chierico e non necessariamente venire incontro a tutte le sue richieste legittime – come il restauro dei campanili e delle facciate delle chiese – o non legittime – come la decisione politica attiva del sacerdote in consiglio comunale –, si assiste nei fatti al ribaltamento perfetto della prospettiva: il laico democristiano non applica i principi, ma restaura prontamente i campanili e si rivolge al sacerdote per il suo parere nel redigere i piani comunali. In pratica, si scade, da un lato, nel puro clericalismo, nell’assecondare il sacerdote nelle questioni meno rilevanti, dove sussisterebbe l’autonomia laicale, eccettuandosi invece, dall’altro lato, dall’obbedire nelle questioni più importanti, in cui l’autonomia laicale non sussiste minimamente. Clericalismo nelle questioni laicali, laicismo nelle questioni clericali: è la realizzazione perfetta e inconsapevole del rischio – denunciato dal beato Giovanni Paolo II (Discorso ai Vescovi statunitensi di Baltimore, Washington, Atlanta e Miami in visita ad limina Apostolorum del 02-07-1993, nn. 2-6) e da Sua Santità Benedetto XVI – di «clericalizzare il laico e di laicizzare il chierico».

 

IL PROTOTIPO DEMOCRISTIANO DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI. IL CASO ROSY BINDI

GEMELLI DIVERSI.... TUTTO E' COMPIUTO! Come aveva previsto Gramsci

In conclusione, il prototipo democristiano è Maria Rosaria (Rosy) Bindi. Il democristiano è sostanzialmente un credente che ha smarrito la retta prospettiva di fede, inseguendo prospettive mondane. Di recente, ad esempio, l’esponente del PD, in netto, stridente ed esplicito contrasto col Magistero – nonché in maniera pure profondamente insultante verso i cattolici che ascoltano il Magistero, quasi essi non fossero “pensanti” –, ha dichiarato ad un convegno di Agire politicamente che: «(…) c’è un disagio fortissimo, da parte di tutti i cattolici pensanti, che non sono coloro i quali credono che la fede si affermi a colpi di crocifisso da inchiodare sulle pareti degli uffici pubblici o delle aule scolastiche. Occorre però uscire dal disagio (…). Occorre dire ai nostri vescovi di riprendere in mano il percorso abbandonato del concilio Vaticano II, di lasciare perdere i “valori non negoziabili” perché in politica bisogna negoziare per raggiungere sintesi migliori e perché quell’ambito spetta ai laici, che non possono subire scomuniche perché si inoltrano nella difficile arte della mediazione». Si diceva che la Bindi è il prototipo democristiano. Ciò non perché non esistano anche democristiani ingenui, in buona fede e fedeli alla prospettiva cattolica, né perché non vi siano vari modi di essere democristiani (indubbiamente vi sono democristiani più ambigui) – pur nella medesima e comune riserva mentale di fronte alla dottrina cattolica –, ma perché la Bindi ne è il risultato coerente, l’esempio perfetto: un cristianesimo svuotato della sua colonna vertebrale (dottrinale), che pone ossequio a falsi idoli, come la democrazia. Nel caso specifico, la cosa è poi assai più grave. Infatti, la linea politica della Bindi – e dei cattolici confluiti nel centrosinistra del vecchio Ulivo – si richiama alla (e si nutre della) prospettiva dossettiana.

Ebbene, come ha mostrato efficacemente don Gianni Baget Bozzo, il pensiero di don Dossetti – oltre a dimenticare del tutto il principio di sussidiarietà (Giacomo Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale) – tendeva a mettere da parte il diritto naturale – che è il cardine e fondamento dei suddetti principi non negoziabili – e ad assolutizzare invece i principi e le istituzioni della Costituzione repubblicana (diritto positivo), facendo sottostare così (esplicitamente o implicitamente) la morale naturale alle leggi civili, nonostante la Chiesa insegni che il diritto positivo, le leggi umane, debbano sottostare al diritto naturale e non viceversa. Il risultato di una tale prospettiva è il disinteresse totale nei confronti della morale naturale – ribadita dalla Chiesa –, che dovrebbe essere il fine del cattolico in politica, e una preoccupazione smodata per quelli che sono invece solo dei mezzi – le istituzioni democratiche. Non è raro sentire Rosy Bindi – o altri prodotti del dossettismo e del democristianismo in genere – lamentarsi del cattivo stato di salute della democrazia e delle istituzioni, nonché invocare la Costituzione, piuttosto che i principi morali affermati dalla Chiesa.

 

IL NEO-CENTRISMO È UN’ILLUSIONE. CHE PORTERÀ A RISULTATI ANTICATTOLICI.

Alla luce di quanto detto, nella prospettiva odierna, ha dunque senso riproporre un nuovo movimento di centro che unisca i cattolici? La storia, oltre che la logica, ci dimostrano che non solo non ha concettualmente senso, ma che esso si è sempre perennemente risolto in posizioni contrarie alla dottrina cattolica, e quindi in un tradimento delle intenzioni di molti che lo hanno votato. L’errore (o, forse, gli errori) di fondo del democristianismo infatti non è collocato in un passato ormai ininfluente. Nella misura in cui ci si collochi al centro dello scacchiere politico, nella misura in cui l’eventuale nuovo soggetto sia popolato dai vecchi democristiani – gli stessi volti che hanno popolato il passato democristiano, sposando l’ambiguità della DC (Buttiglione, Fioroni, Casini, Cesa, etc.) –, nella misura in cui ci si richiami retoricamente alle figure democristiane del passato, il democristianismo – o il neocentrismo – odierno (o di domani) è necessariamente orientato verso il compromesso con prospettive anticattoliche. È vero che, a livello locale o singolare, sono possibili delle eccezioni, cioè è possibile che dei singoli si collochino in partiti neo-democristiani e però mantengano un’identità cattolica cristallina, ma ciò non significa che il soggetto democristiano, per ciò stesso, si possa salvare nel suo complesso e sia la casa dei cattolici: quand’anche vi siano singole figure coerenti, l’ascesa di quei singoli all’interno di un contesto di cattolici che invece cedono rispetto alla propria identità, è un’ascesa oggettivamente impossibile: farsi strada nel contesto di un ambiente incoerente verso la dottrina cattolica e pretendere di fare di quell’ambiente un ambiente pienamente cattolico è palesemente un’illusione. Chiunque si impegni in (o voti) partiti di questo genere, in nome di quest’illusione, finisce semplicemente col portare avanti soggetti che, nel loro complesso, ne trascineranno l’impegno (o il voto) verso sponde inevitabilmente sgradite, in un continuo gioco di illusioni di carta e tradimenti di fatto. Il massimo risultato ottenibile in un partito democristiano è incidere nel proprio ristretto spazio personale, all’interno del proprio bacino geografico, e nulla di più. Detto altrimenti, facendo un esempio, se anche vi fosse un politico cattolico coerente schierato nel partito centrista alle comunali, il massimo che si otterrà sarà che i cattolici del comune interessato avranno un buon cattolico a livello comunale. Ma, nel momento stesso in cui votassero il partito ad altri livelli – provincia, regione, parlamento –, perché indotti dal buon esempio comunale, si troverebbero col votare cattolici incoerenti disposti al compromesso. La figura del buon cattolico democristiano conduce così al più assurdo dei paradossi: nonostante la sua condotta politica esemplare, egli fungerà da specchietto per le allodole che, pur a fronte della sua buona politica (dal punto di vista cattolico), favorirà una cattiva politica a livello complessivo. Il buon cattolico centrista opera bene nel suo campo, ma induce i suoi elettori a votare dei traditori che opereranno male nel proprio. È, ancora una volta e anche qui, il dramma perenne del centrismo: secolarizzare, nonostante si appaia difensori della fede che si sta secolarizzando.

 

 

Bibliografia minima:

AA.VV., Questione cattolica e questione democristiana, Cedam, 1987

Gianni Baget Bozzo, L’intreccio. Cattolici e comunisti 1954-2004, Mondadori, 2004

Gianni Baget Bozzo e Pier Paolo Saleri, Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica, Ares, 2009

Abel Bonnard, I moderati. Il dramma del presente, Volpe, 1967

Giovanni Cantoni, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di “compromesso storico” sulla soglia dell’Italia rossa, Edizioni Cristianità, 1980

Giovanni Cantoni, «Rifondazione democristiana», rinnovamento dell’egemonia dei «cattolici democratici» e rinascita del movimento cattolico, in Cristianità, anno XXI, n. 215-216, Piacenza marzo-aprile 1993

Plinio Corrêa de Oliveira, Prefazione, in Fabio Vidigal Xavier da Silveira, Frei, il Kerenski cileno, Edizioni Cristianità, 1973

Eugenio Corti, Il fumo nel tempio, Ares, 2001

Roberto de Mattei, Il centro che ci portò a sinistra. Le responsabilità della classe dirigente cattolica analizzate dopo la lettera ai vescovi italiani di Giovanni Paolo II del 6 gennaio 1994, Edizioni Fiducia, 1994

Augusto Del Noce, Cristianità e laicità. Scritti su «Il Sabato» (e vari, anche inediti), Giuffrè, 1998

Cornelio Fabro, La trappola del compromesso storico. Da Togliatti a Berlinguer, Logos, 1979

Stefano Fontana, L’età del Papa scomodo. Chiesa e politica negli ultimi tre anni, Cantagalli, 2011

Filippo Giorgianni, Dov’è la Destra che non c’è?, in Riscossa Cristiana (sito: <http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=679:dov-la-destra-che-non-ce-di-filippo-giorgianni&catid=54:societa-civile-e-politica&Itemid=123>)

Marco Invernizzi (a cura di), 18 aprile 1948. L’«anomalia italiana», Ares, 2007

Marco Invernizzi, L’Unione elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici, Edizioni Cristianità, 1993

Marco Invernizzi e Paolo Martinucci (a cura di), Dal «centrismo» al Sessantotto, Ares, 2007

Giuseppe Montalbano, Inconciliabilità tra marxismo e cattolicismo, Krinon, 1986

Jacques Ploncard d’Assac, Apologia della reazione, Edizioni del Borghese, 1970

Giovanni Zenone, A sinistra di Dio. Origine e destino del laicismo, Fede&Cultura, 2007

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[SM=g1740733] breve riflessione mia:

wuao!! argomento appassionante e molto ben composto….
mi piacerebbe che si potesse approfondirlo maggiormente in quella diabolica e perversa associazione fra l’idea di una democrazia-EVANGELICA… dalla originale “democrazia” nata in campo greco e che significava semplicemente “governo del popolo”…
Entrando nello specifico Gesù Cristo non ha mai rilasciato il “governo al popolo”….al contrario, lo ha definito un gregge per il quale è necessaria la figura del pastore… ;-)
DEMOS, che significa appunto POPOLO e cratos che significa POTERE era, nel Vangelo, specifico alla LEGGE DI DIO verso la quale il popolo doveva attendere – liberamente e per essere veramente libero – attraverso L’AUTORITA’ degli Apostoli ai quali Cristo aveva dato ogni potere, soprattutto scegliendo Pietro, dandogli LE CHIAVI e sostenendo che tutto ciò che avrebbe legato sulla terra sarebbe stato legato in cielo e tutto ciò che avrebbe sciolto sulla terra sarebbe stato sciolto nei cieli….nonchè,, ancor più importante, IL POTERE DI RIMETTERE I PECCATI…

L’idea dunque di De Gasperi sul suo concetto di democrazia-evangelica… non regge assolutamente, semmai si spinge verso quella linea del protestantesimo liberale, portabandiera di una idea di democrazia frammista al vangelo, senza l’autorità di Pietro, ma con l’autorità ai pastori e ad un sinodo mondiale…

[SM=g1740771]
[Modificato da Caterina63 15/10/2011 14:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733]All'articolo sopra sulla Democrazia, postato in tre parti, uniamo quanto segue per una maggior comprensione.....

Etsi Deus non daretur
dittatura del relativismo o premessa di libertà democratiche?
S.E Mons. Carlo Caffarra, Paolo Flores d'Arcais


Paolo Flores d'Arcais, direttore di MicroMega, sostiene che per prendere davvero sul serio le ragioni dell'altro occorre affrontare anche i temi scomodi, le divergenze, le domande che spesso non si fanno. Una delle quali è: la religione (cattolica) è compatibile con la democrazia? Secondo Giovanni Paolo II, una democrazia, per essere tale, deve promulgare leggi solo in conformità con il "diritto naturale".

Ma niente è veramente "contro natura" - oppure tutto, tutta la storia dell'uomo (in quanto scimmia che non obbedisce agli ordini e si dà una norma). L'istinto, negli uomini, non è cogente come negli animali, la cultura è sempre "contro natura". Ma anche se al posto della Natura (= Creazione) mettessimo la Storia, cadremmo sempre nell'obbedienza a un ente. La democrazia è invece la prima forma di convivenza non basata sulla trascendenza, la prima forma autonoma (autos-nomos: norme date da sé). La democrazia non tollera una Verità pubblica, tollera solo la diversità, la pluralità delle opinioni: si basa su un pluralismo morale. Dittatura del relativismo? come teme ora Benedetto XVI... Ma l'opposto quale sarebbe? la "democrazia della verità assoluta", ovvero una contraddizione in termini. Relativismo è semplicemente il riconoscimento di altre opzioni etiche. Nessuna maggioranza può mai decidere sulla mia vita e sulla mia libertà di scelta: è intollerabile che una qualsiasi maggioranza possa impedirmi di farmi aiutare a morire (così come possa impedire che sia una donna a decidere sul proprio feto). Ergo: se la fede pretende di porsi come "verità di ragione" , esiste un effettivo problema di compatibilità fra religione e democrazia.

Monsignor Carlo Caffarra, Arcivescovo Metropolita di Bologna, cita San Tommaso: è libero chi esiste per se stesso, è schiavo chi agisce per un padrone; perciò chi fugge il male perché gliel'ha ordinato Dio (e non perché è male) non è libero. Poi richiama Socrate e la vigilia dell'esecuzione, quando il filosofo rifiutò la fuga che gli si proponeva perché lo riteneva un atto ingiusto. E come lo si stabilisce? gli chiesero. Ce lo deve dire la verità che è in ciascuno di noi. "Verità" significa dunque che esistono atti o comportamenti che deturpano l'essenziale dignità dell'uomo e che la persona umana ha una naturale capacità di individuare ("naturale" non in senso puramente biologico, bensì in quanto capacità della ragione di discernere ciò che è bene e ciò che è male).

Primo problema: da dove deriva questo "tu devi" senza "tu vuoi"? sono io stesso a produrre questa voce? e allora come mai non riesco a liberarmene a piacimento?
Secondo problema: se questa voce è in ciascuno di noi, perché ciò che è giustizia al di là dei Pirenei è ingiustizia al di qua?

La questione ha un enorme impatto politico: se non esiste una verità sul bene e sul male, la democrazia diventa la provvisoria convergenza di interessi opposti; se non è possibile richiamarsi a una ragione universalmente valida, prevale prima o poi l'interesse del più forte. Richiamarsi a una ragionevolezza nel nostro stare insieme significa richiamarsi a un bene che supera me e l'altro, ma di cui nello stesso tempo facciamo entrambi parte. E affermare l'esistenza di una verità sul bene e sul male non significa imporla.

Flores d'Arcais invita a un esperimento di coscienza: prendere alla lettera le parole di Giovanni Paolo II (che paragonò l'aborto all'Olocausto in quanto entrambi mali morali su scala di massa) e immaginarsi di dover andare a cena con una donna che ha abortito: si proverebbe la stessa sensazione che se si andasse a cena con un carnefice nazista? Evidentemente l'analogia del Papa era irragionevole. Cicerone, per esempio, considerava la schiavitù parte della natura stessa delle cose. Molte donne africane - altro esempio - perpetuano il rito delle mutilazioni alle figlie perché non farlo sarebbe "male". Solita domanda: chi decide? Ovvero: l'appello alla coscienza di ciascuno di noi andrebbe benissimo se, scavando ognuno in se stesso, si arrivasse a un nucleo comune. Ma non è così.
Le comunità moderne sono pluraliste, composte da individui che mettono in discussione le norme degli altri. Quale allora il dato comune necessario? l'uso della logica e un minimo di valori democratici, tra cui uno è certamente fondante: la sovranità di tutti, il rispetto dell'individuo inteso come riconoscimento reciproco del "tu" e non solo come affermazione dell'"io".

Caffarra specifica che si riconosce l'altro non quando se ne tollera l'esistenza ma quando se ne afferma la dignità (e si vuole il suo bene). Legittimo, dunque, parlare di un minimo denominatore etico che fondi la convivenza democratica, a patto però che si cerchino valori da condividere e non regole del gioco su cui accordarsi. Il modello competitivo di democrazia pare oggi inadeguato, si va verso una società di tipo deliberativo (con possibilità per ciascuno di arrivare a deliberare, a fornire consenso motivato su valori e modelli). Il relativismo etico fatica a giustificare una democrazia veramente deliberativa, che invece trova fondamento nella grande stima della ragione umana come capacità di discernere a proposito del bene e del male.

Flores d'Arcais ricorda che "democrazia" non è solo un modo di regolare i conflitti attraverso procedure, ma è autonomia, confronto, dialogo, e soprattutto è un grande esperimento: il tentativo di ridurre al minimo i valori comuni. E il valore comune minimo è il riconoscimento della pari dignità di ognuno come titolare di un frammento di sovranità. Due esempi fra altri (l'assistenza al suicidio, il matrimonio omosessuale) chiariscono che non ci si può appellare al concetto di "bene comune" per ciò che riguarda la sfera strettamente personale. Non è possibile cioè imporre all'altro, con la forza della legge, qualcosa "per il suo bene".
Caffarra respinge l'alternativa secca: o tu appartieni a te stesso o appartieni all'altro. La verità è invece: tu appartieni a te stesso per l'altro. Il vero confronto è dunque giocato sulla ricerca di una visione diversa dell'uomo, che comprenda l'amore come chiave per capire l'uomo e la società. Originariamente l'uomo è in comunione con l'altro uomo, è cioè costruito in ordine all'altro (senza il quale fallisce). Ecco dunque il criterio fondamentale per la democrazia: noi siamo in ordine all'altro, la deliberazione razionale non parte da zero ma da questa comunione che esiste originariamente. Oggi dunque la vera questione non è né lo scontro di civiltà né altro, bensì una questione antropologica: la definizione dell'uomo.


http://www.centrosandomenico.it/cgi-bin/csd_anno_resoconto?CODICE=20050621



[SM=g1740771]



Intervento di Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino - Montefeltro

Al convegno  Le ragioni della democrazia

Bologna, Sala della Traslazione  - Convento di san Domenico – 31 marzo 2007

 

“… Il dialogo nasce dalla convinzione. La violenza nasce dall’assenza di convinzioni…”

 

 

“Qui sta già cominciando il futuro. O forse sarebbe meglio dire che il passato finisce.  Il passato totalitario che, con buona pace di tutti, prima di essere islamico, è stato occidentale.

E prima di essere islamico è stato il totalitarismo dell’illuminismo, portato deviatamente alle estreme e tragiche conseguenze nei grandi sistemi totalitari di destra o di sinistra.

Vorrei svolgere brevemente tre punti.

1) La democrazia è la regolamentazione della vita del popolo. Quindi il soggetto della democrazia è il popolo che deve essere messo in grado di vivere in modo integrale la propria identità. E quindi la propria cultura, le opzioni fondamentali in cui si riconosce. E sprigionare da questa cultura  posseduta, qualunque essa sia,  l’energia intellettuale e morale e la capacità di creatività di cui è  la fonte.

La democrazia custodisce  e promuove il popolo, non sostituisce il popolo. Non è una formula tecnica che sostituisce il popolo. E’ quell’ethos, diceva Platone, che consente al popolo di essere custodito, e di essere educato.

Questo non è il nuovo, è l’antico. Questa era la democrazia quando non si parlava di democrazia. Questa è la democrazia che vibra nelle pagine di san Tommaso d’Aquino. Ma questa è la democrazia che vibra in tante pagine della grande filosofia greca (non in tutte perché poi anche la filosofia greca di piega a un interesse di tipo totalitario). Questa vibra certamente nel grande profetismo ebraico, ecco perché Benedetto XVI ci ha riproposto l’Occidente, la più grande civiltà di tutti i tempi. Ce l’ha proposta in questa sinergia straordinaria di interrogare greco,  di domandare greco. Il profetismo ebraico è la certezza della fede cristiana, una sinergia che non si può rompere perché altrimenti anche i singoli fatti di questa sinergia ne risulterebbero gravemente compromessi. La democrazia è dunque la cura della vita del popolo.

2) Vorrei dopo aver dato questa definizione cercare di farvi vedere in che senso dobbiamo uscire da un concetto di democrazia che è prevalso fino ad oggi e avviarci in un itineriario che può aiutarci a costruire o ricostruire quello vero.

La democrazia dell’età moderna è il tentativo di incentrare tutto sull’individuo caratterizzato da una enorme capacità intellettuale, morale e tecnologica, e quindi sulla creazione di una società perfetta, di una società che, come volevano i giacobini francesi, doveva essere in grado di assicurare la felicità ai sudditi.

La novità della Dichiarazione dei diritti della Rivoluzione francese non sta tanto nei principi della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, che sono la quintessenza delle grandi culture della tradizione, compresa della tradizione laica. La novità è una novità inquietante: lo Stato deve assicurare la felicità ai sudditi. Così mentre scoprivano  la cittadinanza, i cittadini erano retrocessi a sudditi, come non era mai accaduti nei secoli precedenti.

Allora la democrazia diventa una aggettivazione. Non c’è stato nessun totalitarismo che non si sia detto democratico. C’era la democrazia del nazifascismo e nessuno poteva dire che non fossero democratici anche perché una certa parte di questi totalitarismi sono  arrivati democraticamente al potere. La democrazia ha aggettivato i totalitarismi. Cioè la democrazia è servita ai totalitarismi per prendere forza, per realizzare il grande progetto dell’omologazione dei popoli sulle strutture istituzionali, prime fra tutte lo Stato.  Lo Stato è tutto, è l’insieme di tutti i valori etici. E’ l’unico grand soggetto etico che esiste nella storia. Per questo una volta che si sia pensato lo Stato in modo rigorosamente filosofico, o rigorosamente sociologico, o rigorosamente tecnologico, non esiste nessuna possibilità di dissenso. Perché lo Stato, diceva Tommaso Hobbes, è l’uscita dall’inferno per entrare nel paradiso. Allora la democrazia è diventata un’aggettivazione al servizio di un potere  che la precedeva e la utilizzava.

Ma anche la democrazia di oggi, quella imperfezione che è stata così acutamente introdotta da Dario Fertilio, è una democrazia totalmente o soltanto procedurale, che serve il totalitarismo di oggi che non marcia più al passo dell’oca, che non ha più le bandiere brune o le camicie rosse, ma può avere ancora i suoi gulags, perché può essere che la società tenda a diventare un gulag.o la gente essere trattata come gente che abita nei gulag. Come dire? C’è questo impero tecno-scientifico - per usare ancora un’espressione cara a Benedetto XVI - c’è questo impero tecno-scientifico per cui l’uomo è oggetto di manipolazioni scientifiche, non più  dell’ideologia socio-politica, ma dell’ideologia tecno-scientifica, per cui è  la scienza che decide  quando l’uomo nasce, se nasce, come deve essere curato, come deve essere accanito, come deve essere non accanito, come deve essere facilitata la sua uscita dalla storia.

Ora la democrazia è procedurale, la democrazia che affida ai magistrati di decidere il destino della vita. La democrazia che affida alle maggioranze e alle minoranze non la votazione di leggi operative, ma leggi etiche; si pretende cioè di dare valore etico alle leggi. Le leggi possono essere votate a maggioranza, diceva Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae, ma se sono intrinsecamente contraddittorie, o contrarie alla natura, anche se hanno ricevuto il riconoscimento democratico non diventano buone. Sono leggi sbagliate che vincolano, ma rimangono sbagliate.

Ecco, noi assistiamo, quando parliamo di democrazia, a questa oscillazione che tende ad avere nostalgia del passato. La democrazia aggettiva un potere e il potere ha celebrato il suo trionfo negli ultimi due secoli attraverso l’orribile figura della manipolazione. I padri del Concilio ecumenico Vaticano II nella Gaudium et Spes hanno scritto  una frase bruciante, “dove manca il senso di Dio” -  io direi dove manca il senso del mistero,  così laici e cattolici su questo punto di partenza sono assolutamente uguali - “l’uomo diventa spesso particella di materia o cittadino anonimo della città umana”. Questa è la democrazia che non è democrazia, ma aggettivazione di una struttura di potere, sociale politico economico, o anche soltanto generalmente ideologico, massmediatico.

3) Allora, terzo ed ultimo passaggio: qual è l’itinerario che vivo e vedo vivere accanto a me in questi amici e in tanti altri amici? Per questo oggi è una promessa, un seme che contiene una grande promessa. Dobbiamo ripartire dal soggetto della democrazia. Il soggetto della democrazia è un popolo. ma un popolo è un popolo perché è una realtà di persone. Perciò dobbiamo tornare alla radicale indisponibilità della persona umana a qualsiasi altra istanza che non sia quella del mistero che in qualche modo l’ha prodotta e generata.

La persona è fatta a immagine e somiglianza di Dio - ed è la Bibbia, la Bibbia prima ancora che la rivelazione cristiana, che ci mette dentro questa grande verità. Questo uomo sta di fronte a Dio, che Dio si mette di fronte e rispetta integralmente nella sua libertà. Dio che è la verità ha amato più la libertà dell’uomo che la propria verità, e ha accettato di essere sfidato dalla libertà dell’uomo fino alla libertà del peccato, che è una libertà negativa ma è pur sempre una libertà.

Allora la persona, nel suo movimento verso il mistero, nel suo movimento verso la conoscenza del senso profondo della vita, quell’itinerario che va verso il vero, il bene, il bello e il giusto - per richiamare qui Agostino e la sua straordinaria descrizione di questo movimento dell’uomo verso il mistero, questo essere dell’uomo immediatamente oltre se stesso, come diceva Pascal -  l’uomo supera infinitamente l’uomo.

Dobbiamo ripartire di qui. Dobbiamo sentirci persone e vivere la nostra personalità nella sua ultima e irripetibile originalità. Questo essere della persona di fronte al mistero fa nascere la società. La societas nasce dal senso del mistero. La societas non nasce semplicemente dalla razionalizzazione dei bisogni culturali, psicologici, affettivi,  sessuali e quant’altro, la societas nasce dal senso del mistero. L’uomo e la donna si associano perché sono l’uno per l’altro segno del mistero. Perché sono l’uno per l’altro possibilità di un cammino verso il senso profondo della vita, lo diceva Shakespeare, lo faceva dire a Romeo: “Mostrami un'amante nel dramma umano, che è comune a tutte le culture, a tutte le religioni, mostrami un’amante che sia pur bellissima;  a che servirà la sua bellezza, se non come un segno dove legga il nome di colei che di quella bellissima è la più bella?                     L’uomo non ha bisogno della donna, l’uomo cerca nella donna un aiuto per amare Dio, per conoscere Dio. La donna non ha bisogno dell’uomo nel senso deviato e massificato con cui il massmedia fa passare oggi l’idea di amore, amore fisico. L’uomo ha bisogno della donna e la donna dell’uomo per stare veramente di fronte al mistero e per assumersi le proprie responsabilità di fronte al mistero. Questo io credo sia l’itinerario: dalla persona alla famiglia, dalla famiglia alla crescita di realtà associative che formano un popolo. E un popolo si dà una cultura, scopre necessariamente alla sua base una cultura che lo radica nella tradizione, che lo rende acutamente presente e lo spalanca al futuro.

Le culture sono diverse, ma tutte ineriscono, diceva Giovanni Paolo II nell’Allocuzione all’UNESCO del 1 giugno 1980, a una cultura primaria e fondamentale nel quale l’uomo esprime la sua identità.

Questo è l’itineriario che dobbiamo fare.

Nella diversità delle accentuazioni culturali, noi dobbiamo aiutare noi stessi e i nostri amici uomini a percorrere il cammino che va dalla persona alle famiglia e dalla famiglia al popolo, e che quindi chiede alle istituzioni non di sostituire né persone, né famiglia, né popolo, ma sussidiare la persona la famiglia e il popolo.  L’istituzione non nasce come soggetto, nasce come rete di sussidi,  e il principio di sussidiarietà è certamente il modo piu impegnativo in cui l’istituzione è sfidata. Deve servire quello che tomisticamente si chiamava il bene comune.

Allora permettetemi un’ultimissima osservazione.  Il problema della democrazia dipende dall’educazione. Bisogna che le varie culture abbiano la libertà di andare a fondo della propria identità, di possederne criticamente la struttura, di essere capaci di formulare una ragione adeguata della loro cultura che consenta di comunicare questa cultura agli altri.  

Allora nasce il dialogo.

Il dialogo nasce dalla convinzione. La violenza nasce dall’assenza di convinzioni. Non si è fondamentalisti, non si è violenti perché si hanno troppo ragioni. Aristotele diceva: si chiede alle mani quello che non si può  avere dalla ragione. Il dialogo fiorisce su un costume dialogico che è sostenuto e realizzato pienamente dalla libertà di educazione.

Un popolo come il nostro che a 150 anni quasi dalla sua cosiddetta unità nazionale non si è ancora visto riconoscere dei diritti fondamentali della persone e della famgilia come quello di un’autentica libertà di educazione, e quindi libertà di strutture educative, è un popolo che rimane aperto alla possibilità di un degrado di tipo totalitario.

Il mio grande e indimentciato maestro Mons. Giussani, quando io facevo il liceo, diceva alle istituzioni di allora, mandateci piuttosto in giro nudi ma non toglieteci la libertà di educazione. Il futuro che stiamo faticosamente costruendo, amici miei, e concludo, è un dialogo fra laici non laicisti e cristiani non clericali.

Il laicismo è una deriva della laicità, è un irrigidimento della laicità. Il laicismo è pregiudiziale, la laicità è comprensiva. La laicità vive di quell’uso largo della ragione di cui Benedetto XVI ha parlato a Regensburg. Il cristiano non clericale è quello che  non affida meccanicamente la sua fede  a nessuna forma di struttura o di istituzione storica se non all’unica che ha fissato Gesù Cristo, e che è la Chiesa, una realtà come disse Jean Guitton, una realtà estremamente agile e funzionale e che sa seguire tutti i passaggi della storia. E’ esattamente all’opposto di quello che viene comunemente immaginato, non c’è nessuna struttura che sia agile ai tempi della storia, come la Chiesa, nella sua struttura essenziale, non nelle sue articolazioni, che possono essere contingenti e tutte riformabili. Ecco, laici non laicisti e cristiani non tradizionalisti, cristiani non clericali, sono il futuro perché rimettono al centro la cultura, sulla cultura si ritrova la persona, si ritrova la famiglia, si ritrova l’articolazione sociale e soprattutto si vive quella realtà dell’educazione che è il fondamento della democrazia.

 

Vi ringrazio.

  [SM=g1740722]

 

 


[Modificato da Caterina63 15/10/2011 14:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740722] Mons. Negri: I cattolici e la politica
08 Set 2011


I cattolici e la politica
di Mons. Luigi Negri
Che cosa significa la politica per un cattolico? Può esistere una vera democrazia fondata sul relativismo culturale? Con quali criteri votare?
[SM=g1740733]
 
Esiste una concezione totalitaria della vita politica e in particolare dello Stato. Un'idea secondo la quale l'umanità trova il suo compimento vero perché si crea lo Stato giusto, in qualsiasi modo si qualifichi (di destra, di sinistra, e così via). L'idea è che lo Stato è tutto ed è - in quanto realizza questo potere - "uno Stato etico", come diceva Gentile. Lo Stato ha una sua ideologia, una sua morale e per questo ha le sue scuole, le sue strutture culturali, e coloro che vogliono far parte di questo Stato debbono professare l'ideologia dello Stato. Chi decide di non partecipare all'ideologia dello Stato, è fuori, è un dissidente.
 
La Chiesa negli ultimi cento anni della sua storia ha avuto la preoccupazione fondamentale di contrapporsi a questa concezione, di dire che lo Stato non è l'assoluto, che esiste una priorità della persona e che lo Stato è al servizio della società. La dottrina sociale della Chiesa - almeno dalla Rerum novarum fino alla Centesimus annus - ha fatto una battaglia ampia, vera e appassionata contro questo totalitarismo.
 
La politica oggi tende a mettere in moto e a raccogliere esigenze di partecipazione, le più ampie possibili, alla vita e alla gestione della società: c'è un fenomeno di partecipazione alla vita sociale e politica che si può riassumere nel termine democrazia.
 
Tutto ciò avviene in un contesto di rilevante pluralismo culturale. Esistono nella vita sociale esperienze diverse, e concezioni della vita, della persona, della famiglia, delle istituzioni diverse. Qual è la tentazione? È pensare che la vita sociale e le istituzioni si fondino sul relativismo culturale e quindi sul relativismo etico: come dire che una società è tanto. più rispettosa delle diversità delle posizioni, quanto più circola l'idea che non c'è una verità, che tutte le posizioni sono sostanzialmente equivalenti, e che quindi i valori etici, cioè i criteri di comportamento che sempre hanno fatto riferimento a una verità, sono anch'essi assolutamente equivalenti. La società è tanto più democratica quanto più nessuno gioca in questo contesto la pretesa di una verità, e quindi la pretesa di una legge morale valida per tutti, di criteri di riferimento validi per tutti. La società è tanto più forte, quanto più - per esempio sul tema della vita - non si fa una scelta determinante: si lascia convivere l'idea che la vita incomincia subito all'atto del concepimento e finisce all'atto della morte e non si può manipolarne l'inizio e la fine, con l'idea per cui la vita comincia tre settimane dopo oppure è un coagulo più o meno casuale di cellule, o addirittura un oggetto di carattere bio-fisiologico che può essere sottoposto a ricerche che non si fermano di fronte a niente.
 
In questa idea di società democratica non c'è legge morale, non ci sono criteri valutativi. È la società della televisione, è la società della maggioranza. È la società che fa diventare criteri di riferimento i comportamenti sociali più diffusi, che fa diventare veri e legali i provvedimenti che sono stati votati a maggioranza. Per cui una legge sostanzialmente immorale come quella dell'aborto diventerebbe i valida e morale per tutti perché è stata votata a maggioranza.
 
Sulla politica di oggi stende la sua ombra una posizione che non è meno grave dell'ideologia del secolo scorso, una ideologia sostanzialmente relativista che ha il culto della democrazia come una procedura: quello che è stato votato a maggioranza è valido.
 
Nel 1981, in quello straordinario documento che è la Dives in misericordia, - che dovrebbero leggere non solo i cattolici ma tutti gli uomini politici Giovanni Paolo Il scrive che "il pericolo che incombe sulla società di oggi non è quello dell'olocausto nucleare, ma della perdita della libertà di coscienza delle persone, delle famiglie, dei popoli, delle nazioni, ottenuta attraverso l'uso senza scrupoli dei mezzi della comunicazione sociale" (n. 11).
 
Oggi, dire la parola "democrazia" in un contesto che oscilla dalla ideologia del "sentito dire" della televisione alla ideologia della maggioranza, significa dire una cosa estremamente debole ed equivoca, dove la maggioranza equivale a valore in sé; mentre la maggioranza ha valore in quanto tende a regolare la vita sociale, ma non fa diventare vera e valida una posizione culturale. Oggi non ci sono più le grandi ideologie totalitarie con i colori delle camicie e delle bandiere, o con quella violenza ideologica per cui la gente si è massacrata nelle piazze, nelle scuole e nelle università; ma c'è questa ideologia non meno pervasiva, per cui se dici "io credo in questo e credo che questa sia la verità" sei sostanzialmente nemico della democrazia.
 
La vita della società ha come soggetti reali non questo piattume senza differenze, coagulato da quest'idea relativistica sul piano teorico e sul piano etico. La società è l'incontro dei diversi. È il luogo dove esistono esperienze di vita, di cultura, concezioni dell'uomo; la cultura intesa nel senso sostanziale e fondamentale insegnato da Giovanni Paolo Il, cioè l'impegno dell'uomo col suo destino. Non si può impegnarsi col proprio destino senza arrivare a un'idea di verità proclamata come tale: può non essere adeguata, può essere un'approssimazione, una profezia (ogni cultura è una profezia della cultura vera).
 
La società è fatta dal dialogo di identità diverse. Per dialogare non bisogna mettere fra parentesi la propria identità, perché ciò contribuisce alla confusione, e nella confusione domina chi ha più potere. Un potere magari surrettizio, quello dei mezzi della comunicazione sociale, che non si verifica mai, che non si vota mai, che non è sottoposto a verifica, perché è un potere autonomo, autosufficiente.
Allora, si contribuisce alla politica giocando fino in fondo la propria identità.
 
La politica è l'arte del compromesso, ma non del compromesso ideale: del compromesso pratico. E tanto più si è radicali nel compromesso pratico, quanto più l'identità si gioca a tutto campo. Ci sono delle battaglie sociali e politiche che la Chiesa indica ai suoi figli, e che non possono essere disattese: le battaglie sul valore della persona. Innanzi tutto la persona intesa come vita, perché la persona è una vita fisica: esiste la persona perché esiste un'anima unita a un corpo, quindi non può esserci una partecipazione intensamente cristiana alla vita politica, se non è innanzi tutto determinante la battaglia per la vita e la sua sacralità. Il rispetto assoluto della vita implica il dovere di obiettare e di ostacolare norme legislative o disposizioni che siano anche soltanto una riduzione minimale del rispetto assoluto che si deve alla vita, dal suo concepimento fino alla morte.
 
La seconda battaglia è quella relativa alla verità e alla libertà della persona, quindi ai diritti fondamentali: la libertà religiosa, la libertà di coscienza, la libertà della famiglia, la libertà di aggregazione sociale, la libertà di cultura, di educazione, i principi fondamentali di solidarietà, di sussidiarietà, una concezione del rapporto vita/realtà statale e istituzioni in cui le istituzioni non siano realtà che si impongono alla vita sociale, ma che servono il bene comune.
 
È dall'appartenenza ecclesiale che nasce una cultura politica, e le voci di questa battaglia politica le dà la Chiesa: il radicale servizio alla vita, alla persona e ai suoi diritti fondamentali, il servizio a una società ricca e articolata che non può essere dominata dalle strutture istituzionali, ma dev'essere servita dalle strutture istituzionali. Questo a me pare un cammino di autentica laicità.


IL TIMONE - N. 34 - ANNO VI - Giugno 2004 - pag. 18 - 19

[SM=g1740722]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733]Abbiamo detto fin dal primo post che qui NON vogliamo fare politica, non quella politica da strada, da manifestazioni... DA IDEOLOGIA... nè per proteggere un Partito piuttosto che un altro, NON CI INTERESSA.... a noi interessa la politica di Cesare che ci riguarda NEL BENE COMUNE, con tutto ciò che questo supporta, PER LE TASSE GIUSTE, in quella economia corretta del dare a Cesare ciò che è di Cesare.... e appoggiamo e sosteniamo quel Cesare di turno che si sforza o si sforzerà di ASCOLTARE  anche la Dottrina Sociale della Chiesa, che si sforzerà di appoggiare LA LEGGE DI DIO, LA LEGGE NATURALE.... tutto il resto NON ci deve interessare... ed anzi, ci potrà interessare quando tal Cesare si dovesse prodigare per andare contro questa Legge per sostenere LE IDEOLOGIE DEL MOMENTO....in tal caso non potremmo mai tacere, ma anzi, muover battaglia!

Ordunque è stato sfornato il Governo TECNICO.....
a parte il golpe al quale abbiamo assistito e al quale tristemente ci hanno abituati, è onesto dire che nessuno qui ha nulla da dire sulle persone, in quanto tali, e circa la indiscutibile serietà dei ruoli che svolgono i nuovi Ministri compreso Monti nuovo Capo del Governo e vero i quali rivolgiamo a Dio Padre la supplice Preghiera affinchè operino con onestà e giustizia.... ma ci è lecito mettere immediatamente a nudo alcuni nodi già vistosi....

Apro la riflessione con un breve articolo di Paolo Rodari dal suo Palazzo Apostolico, con il quale ci mette in luce quelle ombre che da ieri avevamo anche noi intravisto:

Governo Monti. Spine per i cattolici

Tutto si può dire oggi tranne che la chiesa cattolica italiana abbia di che brindare dalla formazione del nuovo governo Monti.

Lorenzo Ornaghi, che la chiesa avrebbe voluto all’istruzione, è andato ai beni culturali, una diminutio non da poco.

Andrea Riccardi, che gradiva gli esteri, si deve accontentare della cooperazione e dell’integrazione, un nuovo dicastero senza portafoglio.

Ma la vera nota dolente (dal punto di vista della chiesa) rimane la sanità. Il nuovo ministro Renato Balduzzi è l’ideologo dei Dico. Consigliere giuridico del ministro della Sanità Rosy Bindi dal 1996 al 2000, dal 2002 al 2009 è stato presidente nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic, già Movimento Laureati di Azione Cattolica) e in questa veste chiese ai suoi di non andare al Family Day.

Pubblicato su palazzoapostolico.it mercoledì 16 novembre 2011



[SM=g1740729] bè.... Riccardi VOLEVA? Di che cosa si lamenta la CEI? quando si fanno COMPROMESSI SI PAGANO I CONTI!!
La Chiesa dovrebbe BRINDARE  per il nuovo Governo? [SM=g1740729]  ma per favore!! non si brinda ai compromessi.....

Francamente NON ci attendiamo miracoli da questo Governo Tecnico che nasce con l'ennesimo golpe dai guanti bianchi.... noi attendiamo che la Dottrina Sociale della Chiesa e la LEGGE DI DIO, LA LEGGE NATURALE venga rispettata, pregheremo affinchè i miracoli avvengano, ma chiediamo a questi Signori di mettersi una mano sulla coscienza e di evitarci il peggio....
Al momento vi invitiamo a non dimenticare quali siano le basi corrette (che troverete all'inizio di questo thread) affinchè un vero Cattolico presti il suo onesto servizio allo Stato, alla Nazione, alla Comunità, mediante la Legge Naturale e la GIUSTIZIA DI DIO.... e non certo con quella umana e con gli interessi economici e politici....

In questo blog degli amici di papalepapale.com ho letto una bella domanda alla quale è stato un dovere rispondere:

bella domanda la sua: ma voi, in Italia, i comunisti DOVE LI VEDETE?
La conosce la storiella o, se preferisce visto che è firmata da un AUTORE IMPECCABILE, la parabola dei LUPI TRAVESTITI DA AGNELLI? :-)

C’è una profezia di Pio XII quando, appoggiando e sostenendo Alcide De Gasperi, alle prese con il nuovo Governo e con il nuovo andamento politico italiano, e per la formazione dell’Europa unita…. lo ammonì di NON FIDARSI dei comunisti, anzi, di più, di metterli FUORI LEGGE come il fascismo…. era il momento buono, gli italiani avevano ancora conservato un briciolo di sano “timor di Dio”, le elezioni furono vinte in maggioranza piena dai democristiani, era il momento buono per chetare i comunisti e per evitare ogni compromesso con loro….. ma de Gasperi credette di saperne più del Papa…. gli disobbedì pienamente e Pio XII allargando le braccia come ad invocare la pazienza divina, profetizzò: non si costruisce un paese sull’utopia, questa Italia pagherà duramente questa scelta infausta…

Da allora abbiamo fatto seguito ad una precipitazione continua: il compromesso, i compromessi uno dietro l’altro ci hanno portato a definire legittimo UN OMICIDIO, quello dell’aborto…. per non parlare del divorzio che è stato alla radice della distruzione della famiglia e dell’arricchimento dei psicologi e psicanalisti….
aumento del 30% dei suicidi, la depressione come malattia sociale…. la decadenza dei costumi, lo schiacciamento dei valori, il dilagare dell’AIDS, l’affossamento del sano SENSO DEL PUDORE…. la disaffezione verso la politica, l’ideologia partitica assunta QUALE NUOVO DIO: MAMMONA!
e per non parlare di Giorgio la Pira… e del caso Aldo Moro, altro discepolo di Montini, Paolo VI, vero artefice di un PROGETTO DEVASTANTE che avrebbe dovuto vedere i comunisti insieme ai cattolici, governare il Paese…. il progetto messo a segno DAL GOVERNO PRODI con il suo primo governo con d’Alema, L’ULIVO, SEGNO DELLA LORO PACE, era il 1994/e 1996, Prodi: uno degli ultimi eredi della scuola bolognese e di quel progetto…DISEGNATO DAL FRATELLO DI ROMANO PRODI…. è qui che s’innesca il ruolo e l’immagine di BERLUSCONI, qui esce allo scoperto….QUI CI RITROVIAMO CON UNA VOCE FUORI DAL CORO….
Non ero e non sono socialista, ma l’unica voce fuori dal coro, verso la quale tende da allora Berlusconi, fu quella di Craxi…. e non solo perchè con la firma del rinnovato Concordato con la Chiesa salvò la stessa da un Governo catto-comunista che voleva espropriarla dei suoi DIRITTI in Italia, ma soprattutto perchè aveva individuato coraggiosamente quanto fosse necessario SGANCIARE L’ITALIA DAI PADRONI AMERICANI….. studiatevi il caso Sigonella…e la strage di Ustica… Craxi pagò duramente quella presa di posizione, non venne perseguitato perchè aveva “tanti soldi” fatti con il partito, al Governo non è mai interessato chi rubasse, ma chi osava fare una politica DIVERSA DA QUELLA AVANZATA NEI COMPROMESSI….
Berlusconi diventa quella voce di una parte di italiani che avendo seguito quegli eventi, e avendoli compresi, darà una speranza per continuare a SMASCHERARE I LUPI TRAVESTITI DA AGNELLI, I COMUNISTI…..
Siamo in politica, pertanto sarebbe stato illusorio pensare di avere UN SANTO per fare questo SPORCO LAVORO ;-)

Berlusconi non è il santo, ma è colui che ha avuto il coraggio di fare questo sporco lavoro e c’è riuscito…. per la prima volta in Italia dal dopoguerra, GLI ITALIANI LEGITTIMAMENTE CHIAMATI ALLE URNE E VOTANTI, avevano scelto di buttare fuori i comunisti, la falce e martello, dal Parlamento…..
tutto è avvenuto DEMOCRATICAMENTE E LEGITTIMAMENTE… senza guerra civile… ciò che aveva chiesto Pio XII a De Gasperi, riuscì di farlo a Berlusconi… ma troppo tardi!

Infatti, nel frattempo e compreso il pericolo, parte di quei comunisti cominciarono ad indossare la pelle dell’agnello: dopo la morte di Berlinguer e dopo Bertinotti, nasce la sinistra MODERATA… CHE ABBANDONA FALCE E MARTELLO E SI COPRE DEL NUOVO VESSILLO: L’ULIVO…. hanno capito che se vogliono i voti dei cattolici che tutti schifano ma dei quali non disdegnano i voti, devono FARSI MANSUETI…. devono cambiare politica e devono PUNTARE SUI TEMI DOTTRINALI MODERNISTI: liberta’, liberta’ di uccidere i concepiti, libertà di accoppiarmi con chi voglio…. ma la libertà non basta OCCORRE UNA LEGGE CHE TUTELI LA MIA LIBERTA’ PERSONALE…. e giùvvia con una serie di leggi devastanti per il nostro futuro….

Sensa dubbio la mia è una semplificazione dei fatti, ma è una parte della politica scorretta, quella che spesso viene taciuta… quella che fa capire il ruolo pesante e devastante che una parte delle membra della Chiesa ha avuto e continua ad avere… un catto-comunismo condannato dai Pontefici eppure sempre alla ribalta, pronti a continuare ad ingannare gli italiani e chi si vuole lasciar ingannare….

In 48 anni di vita non ho mai visto perseguitare una persona, LEGITTIMAMENTE SCELTA E VOTATA DAI CITTADINI, IN UNO STATO CHE VANTA ESSERE DEMOCRATICO, come lo è stato Berlusconi, in modi così subdoli, velenosi, diabolici, perversi….portandoci inesorabilmente a SUBIRE CONTINUI GOLPE, imponendoci programmi e Ministri che nessuno aveva votato nè scelto democraticamente… e basta leggere la formazione del nuovo Governo asceso con l’ennesimo golpe per comprendere come sia evidente la medesima battaglia dei DEMOCRATICI O DEMOCRISTIANI O PEGGIO: DEMONICRISTIANI….TRADITORI DELLE LEGGI DIVINE, usurpatori del legittimo Cesare… e per senso cristiano mi fermo qui ma ripetendo come Cesare di allora quando venne colpito alle spalle, a tradimento: Tu quoque Brute fili mi? Anche tu Bruto figlio mio? come CITTADINI DI QUESTA PATRIA siamo anche responsabili della morte di Cesare per INSEGUIRE MAMMONA che altri non è che L’IDEOLOGIA CATTO-COMUNISTA che si pone contro Dio e contro il legittimo Cesare….



che tempi CUPI!! [SM=g1740749]







[Modificato da Caterina63 18/11/2011 11:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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03/12/2011 15:33
 
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e così dovrebbero rispondere TUTTI I VESCOVI al Magistero del Pontefice:


Il Laboratorio dei principi non negoziabili


di Stefano Fontana
03-12-2011

A Trieste nasce qualcosa di nuovo nel campo della formazione dei cattolici all’impegno politico. L’arcivescovo Giampaolo Crepaldi ha annunciato oggi la prossima esperienza del “Laboratorio Trieste”. Lo ha fatto stamattina durante il Convegno di presentazione del Terzo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo curato dall’Osservatorio cardinale Van Thuân di cui mons. Crepaldi è presidente. Lo ha fatto in un salone gremito dello splendido Palazzo Diana, recentemente restaurato.

«Se la Chiesa si interessa di formare i propri fedeli ad una testimonianza di verità e coerenza nella politica – ha detto mons. Crepaldi - lo fa perché la sua missione è ordinare a Dio tramite i fedeli laici le cose temporali. Nel rispetto della loro legittima autonomia ma anche nel riconoscimento dello spazio che è dovuto a Dio nel mondo, senza del quale anche tale loro legittima autonomia viene progressivamente meno». «Ecco perché la Diocesi – ha proseguito l’arcivescovo - ha pensato ad un progetto, che cerchi di superare i limiti di progetti analoghi realizzati in questi ultimi anni, che sia un progetto organico, vale a dire inserito organicamente nella vita della Chiesa locale e non qualcosa di a se stante, che operi a tre livelli complementari: il livello della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico; il livello dei Tavoli di confronto tra cattolici impegnati in politica e ilo livello dei Tavoli di confronto tra cattolici e laici». «Il progetto si avvarrà di un Testo base – ha concluso - che ho già preparato e che spiega il senso, le modalità di svolgimento e le finalità del Laboratorio Trieste. Questi elementi caratterizzeranno il Laboratorio di Trieste come un servizio importante e innovativo della Chiesa cattolica di Trieste per il bene della città e a gloria di Dio».

Sono evidenti, da queste parole dell’Arcivescovo, le tre principali novità del Laboratorio Trieste. La prima è la sua organicità. Esso consta di tre elementi – la Scuola di formazione sociale e politica, gli incontri di confronto tra cattolici impegnati in politica e gli incontri tra cattolici e laici – coordinati tra loro dentro un progetto unitario. Singole esperienze sono state fatte anche altrove. In molte diocesi c’è la Scuola, in altre sono stati tentati incontri tra cattolici e tra cattolici e laici … è però una novità il fatto di pensare le tre cose insieme, in modo che si sostengano reciprocamente. Naturalmente con ciò cambia anche la fisionomia di ognuno dei tre momenti. La Scuola, per esempio, dovrà essere di Dottrina sociale della Chiesa e non di come si fa una campagna elettorale o come è fatto il bilancio del comune.
Dovrà essere una scuola che prepara dei fedeli laici ad un impegno alto, in collegamento con la comunità cristiana e dentro una prospettiva di fede e di dottrina cattolica. Non potrà essere una Scuola tecnica, ma formare alla Dottrina sociale della Chiesa dentro la più vasta area della dottrina cristiana e dentro la vita della fede ecclesiale .

La seconda novità è che ci sia un Testo base scritto dal vescovo che spiega il progetto nei suoi fondamenti, nella sua ispirazione, nei suoi metodi e nei suoi fini. Ciò impegna autoritativamente il vescovo ed impegna anche i partecipanti a lavorare dentro la Chiesa e non come battitori liberi, nel solco della Tradizione e non a servizio delle proprie opinioni. Il Testo base descrive la cornice che tutti devono accettare perché il Laboratorio possa essere una esperienza cattolica. Questo evita ogni forma di orizzontalismo: il Testo base spiega molto bene che lo scopo dell’impegno politico dei cattolici è ordinare a Dio le cose temporali.

Qui emerge anche la terza principale novità. Spesso analoghe esperienze sono partite dall’esistente ed anno raccolto attorno ad un tavolo o ad una Scuola persone espressive del cosiddetto “mondo cattolico”. Questo mondo cattolico è oggi però piuttosto frammentato e in esso vi si parlano linguaggi molto vari. Basti pensare che sui famosi principi non negoziabili di Benedetto XVI esistono molte posizioni diverse. Urge allora definire prima (sottolineo l’avverbio prima) alcune premesse oggettivamente connesse con la fede cattolica e con gli insegnamenti della Chiesa – oltre che della retta ragione – che i partecipanti al Laboratorio accettano, non per consenso soggettivo ma perché senza quelle premesse non c’è la forma cattolica dell’iniziativa. Questa novità rovescia quanto si fa comunemente: di solito, infatti, si pensa che l’unità debba essere lo scopo finale di esperienze di questo tipo. A Trieste invece si pensa che debba essere la premessa iniziale, altrimenti non si può parlare un linguaggio comune.

Queste premesse gettano poi una luce anche sui momenti del dialogo con i laici, perché senza sapere chi si è risulta molto difficile dialogare. Le novità del Laboratorio Trieste sono anche altre. Non ci resta, per il momento, che attendere il Testo base per comprendere tutta la portata di questo Laboratorio e poi vederne la pratica attuazione. Penso che sarà qualcosa di molto interessante.




pro-memoria

 

Governo Prodi: per non dimenticare

Cattolici adult(erat)idi Mario Palmaro

Vita, morte e nessun miracolo dell’esecutivo di centro sinistra. Dalla tutela della vita umana e della famiglia naturale ai rapporti con la Chiesa: un bilancio fallimentare. Il Timone ha raccolto per voi le prove.


[Da «il Timone», n. 71, marzo 2008, pp. 12-13]

«Io duro perché faccio» aveva affermato Romano Prodi il 28 dicembre 2007, parlando con alcuni giornalisti. Non l’avesse mai detto. Dopo quella profezia ottimistica, per il Governo di centro sinistra - che ha sempre avuto una salute cagionevole - la situazione è letteralmente precipitata: prima l’emergenza rifiuti in Campania, poi le dimissioni del Ministro della Giustizia Clemente Mastella e l’abbandono della maggioranza da parte dell’Udeur. Un’agonia politica che ha avuto il suo epilogo la sera di giovedì 24 gennaio 2008, quando il Senato ha sfiduciato l’esecutivo.
Una crisi senza rimedio, visto che - dopo il tentativo fallito da Franco Marini - il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sciolto le Camere, e ha fissato nuove elezioni per il13 e il14 aprile. «Duro perché faccio», aveva detto il Presidente del Consiglio. Ma che cosa ha fatto in venti mesi il Governo guidato da Romano Prodi in tutte quelle materie che Benedetto XVI ha definito "non negoziabili"? Converrà che a parlare siano i fatti.

Maggio 2006: Comunisti e Radicali al potere. La formazione di Governo è sostenuta da 21 partiti, e conta 103 membri tra ministri e sottosegretari: è l’esecutivo più numeroso di sempre.
Ma, soprattutto, è il primo governo della storia repubblicana a vedere la partecipazione diretta di Rifondazione Comunista e dei Radicali italiani, divenendo così l’unico governo sostenuto dall’intera sinistra parlamentare, cosa che non accadeva più dal 1947.

Maggio 2006: la sperimentazione sugli embrioni. Non sono ancora trascorsi quindici giorni dalla nascita dell’esecutivo, che il ministro dell’Università e della Ricerca Fabio Mussi ritira, a Bruxelles, l’adesione italiana a una moratoria nell’uso degli embrioni come cavie di laboratorio, voluta dal governo Berlusconi insieme a Germania, Polonia, Slovenia, Austria e Malta. È il 30 maggio 2006. Mussi auspica apertamente «il cambiamento della legge 40».
Infuria la polemica politica. Ma, pur di salvare la ghirba del Governo, i cattolici che sostengono la maggioranza bocciano una mozione presentata dall’opposizione, nella quale la tutela dell’embrione è affermata in maniera inequivocabile.

Giugno 2006: l’anticamera dell’eutanasia. I partiti di governo lanciano nella mischia il senatore Ignazio Marino, "cattolico", che il 27 giugno 2006 presenta - insieme alla capogruppo dell’Ulivo al Senato Anna Finocchiaro - un disegno di legge sul "Testamento biologico", anticamera dell’eutanasia. Questa iniziativa - guardata con approvazione anche da settori dell’opposizione - sembra destinata al successo, e viene fermata solo dalla caduta del Governo.

Settembre 2006: al Papa ci pensino le Guardie Svizzere. Romano Prodi è a New York per intervenire all’Onu. È il 19 settembre e un giornalista gli domanda che cosa ne pensi dell’allarme lanciato da Ali Agca, che ha parlato di pericoli per il viaggio in Turchia del Papa. «Che cosa vuole che sappia, io, della sicurezza del Papa in Turchia? Non so nulla, in proposito, vedranno le sue guardie...» è la sconcertante risposta del premier.

Novembre 2006: la droga raddoppia. Il ministro della Salute Livia Turco, "cattolico", emana un decreto sul tema delle droghe: viene innalzato da 500 a 1000 milligrammi il quantitativo massimo di cannabis che può essere detenuto per uso personale. È il 13 novembre 2006. Si scatenano aspre polemiche e dopo alcuni mesi il decreto viene affondato da una decisione del TAR.

Febbraio 2007: i Dico per le unioni tra omosessuali. È la sera dell’8 febbraio 2007 quando tutti i principali telegiornali si aprono con le immagini del Ministro delle Pari opportunità Barbara Pollastrini e del Ministro della Famiglia Rosy Bindi che annunciano con toni trionfalistici il disegno di legge sui Dico. La sigla - che significa "DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi" - indica la volontà del Governo Prodi di riconoscere una serie di diritti alle coppie di fatto, anche dello stesso sesso. È il provvedimento più contestato di tutta la breve vita dell’esecutivo di centro sinistra. Il Ministro Bindi si giustifica dicendo che alla stesura del decreto «hanno collaborato molti giuristi cattolici», guidati da Renato Balduzzi (presidente del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e da Stefano Ceccanti (ex presidente della FUCI - Federazione Universitaria Cattolica Italiana). La Chiesa e le opposizioni intervengono duramente, e ne scaturisce una mobilitazione che sfocia nel Family Day, a Roma, il 12 maggio 2007. Anche esponenti della maggioranza prendono poco alla volta le distanze dai Dico, che naufragano.

Il rapporto con la Chiesa cattolica. La vicenda dei Dico porta il Governo al minimo storico nei rapporti fra potere politico e Chiesa in Italia. Alcuni cattolici che fanno parte dell’esecutivo tentano di far credere che i Dico siano compatibili con il Magistero, e vengono apertamente sconfessati dalla Conferenza episcopale. I partiti della sinistra al governo (comunisti, verdi, socialisti) e i radicali aprono il fuoco contro "l’ingerenza del Vaticano nella politica italiana". I rapporti con la Chiesa resteranno tesi per tutta la legislatura.

Luglio 2007: arrivano i CUS. Di fronte al fallimento clamoroso dei Dico, la maggioranza non demorde e si inventa i CUS (Contratti di Unione Solidale). È il 12 luglio del 2007. I due conviventi, anche dello stesso sesso, ricorreranno al notaio o al giudice di pace. L’ideatore è il senatore Cesare Salvi. L’iter del provvedimento sembra più facile di quello toccato ai Dico, ma viene bruscamente interrotto dalla fine del governo.

Luglio 2007: attacco alla legge 40 del 2004. Il Ministro della Salute Livia Turco - con l’appoggio di ampie fette della maggioranza - avvia un progetto di riforma delle Linee Guida della Legge 40 sulla fecondazione artificiale. Obiettivo: rendere più permissiva la legge in vigore, aggirando alcuni divieti in essa contenuti. Proprio quando il Ministro sta per pubblicare il regolamento, il governo cade. Ma in queste settimane la Turco potrebbe ancora emanare le nuove regole, che affosserebbero la legge vigente.

Gennaio 2008: il bavaglio al Papa. C’è lo zampino del Governo nella vergognosa vicenda della Sapienza: mentre monta l’ostilità contro la visita del Papa, Prodi e i suoi ministri tacciono. Parleranno soltanto quando il Pontefice annuncerà di aver rinunciato. Il Ministro degli interni Giuliano Amato - rivela Andrea Tornielli su il Giornale – avrebbe consigliato il Papa di inventarsi una malattia diplomatica e restarsene a casa.

Che fine hanno fatto i protagonisti? A futura memoria, è interessante ricordare che cosa fanno oggi i protagonisti di questi atti. Romano Prodi ha annunciato che non si ricandiderà. Fabio Mussi e Cesare Salvi sono esponenti di spicco della Sinistra Arcobaleno, che candiderà come premier Fausto Bertinotti. Livia Turco è una dirigente del nuovo Partito Democratico guidato da Walter Veltroni. Rosy Bindi è stata candidata alle primarie del Partito democratico e ne è elemento di spicco. Barbara Pollastrini è uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito democratico. Del quale fanno parte anche Ignazio Marino, Giuliano Amato e Anna Finocchiaro.

Conclusioni

Di fronte a fatti così eloquenti, si impongono alcune considerazioni. La prima: il Governo Prodi ha progettato una serie di attentati alla legge naturale e alla libertà di parola della Chiesa, che non si sono concretizzati solamente per la sua fine prematura. Dunque, la caduta del Governo Prodi è stata provvidenziale. Secondo: è la prima volta nella storia repubblicana che è il governo (e non il Parlamento) a farsi direttamente promotore di iniziative così numerose di marca anti-cattolica. Terza e ultima considerazione: il giorno in cui ognuno di noi dovrà andare a votare, sarà bene non dimenticare questi venti mesi di autentico assedio ai valori che contano. La minaccia continua.

© il Timone
www.iltimone.org

[Modificato da Caterina63 16/04/2012 17:36]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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