A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Parlare in Chiesa ? il capo scoperto? san Paolo e i suoi insegnamenti alle Donne

Ultimo Aggiornamento: 07/03/2015 09:55
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
11/08/2012 16:57
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Paolo apostolo e le donne nella Chiesa.
Febe (Rm 16,1-2) e Lidia (At 16,11-15.40)
di Don Pino Pulcinelli

Mettiamo a disposizione on-line sul nostro sito l’articolo scritto da Don Pino Pulcinelli per il sito www.bibbiaonline.it I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (18/11/2008)


Indice


Introduzione

Bisogna dire subito che il tema di questa breve ricerca non verte in generale sulla concezione della donna in Paolo apostolo – argomento che torna puntualmente alla ribalta quando si affronta quello più ampio del ruolo della donna nella vita e nel ministero della Chiesa (cliccate sul link per altri articoli sull'argomento Donne e la Chiesa) – ma si concentra sull’aspetto specifico del ruolo di collaborazione nell’evangelizzazione che alcune donne hanno avuto nella chiesa nascente di matrice paolina. Quindi non “Paolo e la donna”, ma “Paolo e le donne in quanto collaboratrici nel suo ministero apostolico”.

E tuttavia i due aspetti, quello specifico e quello più generale, sono naturalmente interdipendenti, tanto che risulta indispensabile, prima di focalizzare il discorso sulle due figure che compaiono nel titolo, fornire almeno qualche elemento – necessariamente sommario - che aiuti a ricostruire il quadro storico; negli ultimi decenni questo campo della ricerca ha visto un grande approfondimento, anche grazie all’impulso dell’istanza femminista nella teologia e specificamente nell’esegesi biblica[1].

A questo riguardo Paolo può essere letto e interpretato – come di fatto è successo – in modi opposti, sia come uno dei principali detrattori del ruolo e del ministero della donna nella famiglia e nella chiesa (e pertanto, una delle cause della sua discriminazione nella società di matrice cristiana), oppure come il primo chiaro propugnatore del principio di uguaglianza tra l’uomo e la donna.
E bisogna dire che gli sforzi esegetici non sono riusciti a risolvere del tutto questa palese tensione emergente dai suoi scritti, anzi alcune volte gli studiosi si sono dovuti arrendere di fronte ad affermazioni che prese dal contesto appaiono evidentemente contraddittorie, come vedremo.

Se ci si accinge a studiare i testi che trattano del ruolo della donna nelle prime comunità cristiane, è doveroso fare subito delle precisazioni riguardo alle fonti.
Innanzitutto – con la Schüssler-Fiorenza - si deve ragionevolmente ammettere che “l’effettivo contributo delle donne al movimento missionario cristiano delle origini rimane in larga parte perduto a causa della scarsità delle nostre fonti e del loro carattere androcentrico[2].

Inoltre, se in particolare parliamo di “Paolo e le donne”, va osservato come i testi in questione, che ad una cultura moderna di uguaglianza risultano più “antipatici” nei riguardi delle donne, si trovano soprattutto nelle cosiddette lettere deuteropaoline e pastorali (Col ed Ef, 1-2 Tm e Tt)[3]. Specialmente per queste ultime andrebbe fatto un discorso a parte, in quanto evidentemente riflettono un'epoca diversa, posteriore, con gli autori che manifestano una viva preoccupazione di fronte a delle crisi di carattere dottrinale e autoritativo (cfr. le raccomandazioni a rigettare errori e a "custodire il deposito"; a rispettare le autorità familiari ed ecclesiali, ecc.). Anche la considerazione della donna risente di questo clima di apprensione, così che per favorire la pacificazione e l'ordine ecclesiale, forse in un eccesso di prudenza, si pensa di "restringere il suo campo di azione". Il dramma è che quelle frasi hanno senz'altro influito nell'interpretazione discriminante del ruolo della donna nella chiesa.

Limitando per il momento il campo ai testi paolini ormai comunemente considerati autentici (1Ts, 1-2 Cor, Fil, Fm, Gal, Rm), troviamo delle affermazioni sulle donne soltanto nella 1Cor ai capp. 7, 11 e 14 e in Gal 3,28, e comunque l’argomento non viene mai esplicitamente messo al centro della trattazione; se egli ne parla è per rispondere a domande sul matrimonio (1Cor 7), o per risolvere problemi contingenti, di carattere “disciplinare”, riguardanti cioè il comportamento delle donne nelle assemblee (1Cor 11 e 14); oppure – e qui abbiamo un brano che si staglia su tutti gli altri (Gal 3,28) - per esprimere le sovvertitrici conseguenze del battesimo che realizza l’unità in Cristo conferendo una stessa dignità alle persone, al di là delle differenze etniche (giudei e greci), sociali (schiavi e liberi) e sessuali (uomini e donne).
In altre due lettere, Fil e Rm, nelle sezioni finali, al momento delle raccomandazioni e dei saluti, Paolo nomina alcune donne per nome, attribuendo loro interessanti qualifiche, su cui sarà utile soffermarsi in vista del nostro tema specifico, a proposito cioè del loro ministero di collaboratrici nell’evangelizzazione.

Già da queste premesse si può comprendere come risulti difficile, se non impossibile, partendo da questi brani arrivare a delineare con sufficiente precisione ciò che Paolo stesso non aveva intenzione di fare in tali scritti, e cioè la presentazione del suo “pensiero sulle donne”. Ciò non significa però che non valga la pena vagliare e valorizzare tutti gli elementi presenti; anzi, proprio dal loro studio, soprattutto se inquadrato nella ricostruzione dell’ambiente storico-culturale delle origini cristiane, emerge la ricchezza e la novità di alcune intuizioni dell’apostolo.

Sempre riguardo alle fonti, un discorso a parte dovrà essere fatto per la particolare opera storiografica costituita dagli Atti degli Apostoli, dove troveremo il racconto dell’episodio riguardante Lidia.

Paolo e la donna in 1Cor 11,2-16 e 14,33b-35[4]; e in Gal 3,28

Negli scritti sicuramente autentici di Paolo i brani che fanno più problema, specialmente se accostati tra loro, si trovano nella stessa lettera, la 1Cor. Il primo è quello in cui egli tratta dell’acconciatura delle donne nelle riunioni di preghiera (11,2-16), il secondo è quello in cui ordina alle donne di tacere nell’assemblea (14,33b-35)[5].

Per il brano di 1Cor 11,2-16, conosciuto soprattutto con il titolo tradizionale “il velo delle donne”[6], la difficoltà maggiore è data soprattutto dal v. 10, una vera crux interpretum: δια τουτο οφειλει η γυνη εξουσιαν εχει επι της κεφαλης δια τους αγγελους; letteralmente: “per questo la donna è tenuta ad avere un’exousia (potere, autorità) sul capo a causa degli angeli”[7].

Tra le numerose ipotesi interpretative, che non ci mettiamo ora ad elencare e valutare[8], una delle più convincenti è quella in cui “εξουσιαν εχειν” viene tradotto con “avere sotto controllo”, e il resto va inteso in questo senso: “per questo (quando la donna profetizza – cf. v. 5) deve avere sotto controllo la sua acconciatura”; cioè le donne quando fanno interventi pubblici nella comunità (profetizzano o pregano in assemblea) devono tenere un abbigliamento e un’acconciatura decorosa, in particolare devono coprirsi la testa[9]. Questa indicazione di Paolo non avrebbe soltanto l’intenzione di regolare il modo di comportarsi (e di abbigliarsi) delle donne, ma soprattutto di contrastare un tentativo di annullare quelle differenziazioni sessuali – di cui la capigliatura è manifestazione tra le più immediate - insite nella natura stessa; in un ambiente di facili costumi come quello della città di Corinto (in cui era diffusa anche l’omosessualità), quest’uso poteva favorire una certa indistinzione e promiscuità, con gravi e prevedibili conseguenze, sia sul versante morale che su quello della testimonianza.

È per questo, molto probabilmente, che Paolo richiede che la donna che profetizza non deve perdere ciò che per la cultura del tempo rappresenta un contrassegno forte di femminilità. Ma richiedendo questo, allo stesso tempo egli ammette chiaramente che la donna possa parlare pubblicamente nell'assemblea (cf. v. 4); ciò è da tenere presente, quando si va ad interpretare nel capitolo 14 la celebre frase: αι γυναικες εν ταις εκκλησιαις σιγατωσαν; “le donne nelle assemblee tacciano” (14,34; rafforzato subito appresso con: ου γαρ επιτρεπεται αυταις λαλειν; “infatti non è permesso loro di parlare”; e al v. 35: ισχρον γαρ εστιν γυναικι λαλειν εν εκκλησια; “è infatti vergognoso per una donna parlare nell’assemblea”). Come risolvere il problema?

Il fatto che alcuni codici antichi pongono i vv. 34-35 dopo il v. 40 (nessuno però li omette) è segno che hanno creato delle difficoltà nei lettori (e nei copisti). Non è però sufficiente questo indizio per dedurre un’interpolazione post paolina. Accettando questa ipotesi, essa naturalmente risolverebbe il problema alla radice e scagionerebbe di fatto l’apostolo da due grandi accuse: da una parte dall’incoerenza con se stesso (per quanto scritto poco prima al cap. 11) e dall’altra da una disdicevole coerenza con la mentalità corrente sia nel mondo giudaico che in quello ellenistico-romano, decisamente discriminante nei confronti delle donne[10].

Una soluzione da non scartare a priori è quella che sottolinea la diversità di soggetti o di tipo di discorso tra i due brani[11]. In 1Cor 11 si tratterebbe di un parlare orante e profetico (προσευχομενη η προφητευουσα) delle donne, in 1Cor 14 Paolo rimprovererebbe un parlare (λαλειν) disordinato e confusionario che reca disturbo all’assemblea e non la edifica. D’altra parte la stessa ingiunzione a tacere Paolo la usa nei confronti del glossologo se nell’assemblea non c’è chi possa interpretare il suo parlare in lingue con il Signore (14,28).

Un’altra ipotesi che va prendendo piede negli ultimi vent’anni è quella che in questi versetti problematici vede la citazione di uno o più slogan diffusi da chi nella comunità era ostile alla partecipazione attiva delle donne (gruppo che Paolo dunque non appoggerebbe)[12]. Senza escludere questa che è ritenuta da numerosi studiosi la migliore ipotesi, bisogna dire però che non c’è traccia, né nella grammatica e nemmeno nella sintassi, dell’inizio di un discorso diretto.

Alla fine del suo lungo e approfondito studio su questo brano, così conclude Biguzzi: “Tutto quello che nei secoli si è tentato di dire riguardo a 1Cor 14,33b-35 sembra insoddisfacente” (p. 153).

Qui più che mai vale allora il principio generale che occorre far attenzione a non isolare un testo, tanto più bisogna guardarsi dall’assolutizzarlo e poi identificare il pensiero di chi l’ha scritto con quel testo lì. Quindi è sicuramente sbagliato – oltre che improprio dal punto di vista metodologico e contenutistico – prendere questo testo (mulieres in ecclesiis taceant) per riassumere il pensiero di Paolo sulle donne.

Se si volesse per forza sceglierne uno che esprima i principi ispiratori, al di là di questioni disciplinari contingenti, allora non c’è dubbio che occorra riferirsi a Gal 3,28 [in un contesto in cui si parla dell’essere “figli di Dio” proprio dei battezzati, rivestiti di Cristo e appartenenti a lui, cf. 3,26-29][13]:

ουκ ενι Ιουδαιος ουδε Ελλην
Non c'è giudeo né greco;

ουκ ενι δουλος ουδε ελευθερος
non c'è schiavo né libero

ουκ ενι αρσεν και θηλυ
non c'è maschio e femmina

παντες γαρ υμεις εις εστε εν Χριστω Ιησου
tutti voi infatti uno siete in Cristo Gesù.

In questo che è probabilmente un testo o inno battesimale diffuso presso le prime comunità cristiane[14], ci sono tre binomi formati da opposti che trovano in Cristo il proprio superamento: c’è la dicotomia che è insieme etnica, culturale e religiosa: giudeo / greco; quella sociale-classista: schiavo / libero; e infine la dicotomia sessuale maschio / femmina; da notare che la scelta di usare i due neutri αρσεν και θηλυ, cioè maschio e femmina, invece che uomo / donna sembrerebbe addirittura voler annullare la differenza che è insita nella natura stessa[15]. In realtà dal contesto si evince che questo binomio vuolesoprattutto sottolineare come l’essere in Cristo (attraverso la fede e il battesimo) è ora il criterio nuovo che informa i rapporti interpersonali e conferisce uguale dignità alle persone, indipendentemente da tutti i condizionamenti, anche quelli sessuali.

Queste categorie, assieme a quelle espresse dai primi due binomi, non possono più avere un influsso discriminante sulla persona[16]. L’affermazione di Gal 3,28 è dunque molto forte, e il principio del superamento delle discriminazioni che viene propugnato costituisce indubbiamente uno dei fondamenti essenziali del cristianesimo: da questo punto non si può più tornare indietro[17].

È interessante infine confrontare l’affermazione di Gal 3,28 con il testo di 1Cor 7: infatti lì – mentre si sta trattando dello status in cui si viene chiamati - si ritrovano chiari elementi dello stesso triplice binomio: il “circonciso/incirconciso” del v. 18 (περιτετμηνος τις εκληθη μη επισπασθω εν ακροβυστια κεκληται τις μη περιτεμνεσθω) corrisponde a giudeo/greco; l’altra esatta corrispondenza l’abbiamo nei termini schiavo/libero dei vv. 21-22; l’ultimo binomio, “non c’è più né uomo né donna”, non compare tale e quale, ma a ben vedere è presente a più riprese in tutto il capitolo, quando Paolo – in modo sorprendente e innovativo rispetto alla cultura circostante – non fa altro che applicare a casi concreti proprio quel principio di uguaglianza e di reciprocità tra l’uomo e la donna (più specificamente, moglie/marito)[18] espresso a chiare lettere in Gal 3,28[19]. In questo senso si può affermare che Paolo con Gal 3,28 non rimane a livello di teoria, ma viene da lui stesso messo in pratica nel disciplinare la vita della comunità.

Un'altra osservazione – che malgrado la sua ovvietà conviene ribadire – è quella che in casi come questi va considerato il condizionamento storico e culturale di tali pronunciamenti in campo disciplinare: essi sono stati scritti in occasione di vicende contingenti e circoscritte a quel particolare periodo storico della chiesa e non vanno perciò indiscriminatamente considerati normativi per la chiesa di oggi (e quando purtroppo lo si è fatto non è stato certamente un bene per la chiesa); non siamo infatti di fronte a principi dottrinali generali, la cui validità si estenderebbe a tutte le epoche, ma a indicazioni fortemente influenzate dalle situazioni e problemi concreti di determinate comunità paoline.

Da questa base di partenza è praticamente impossibile affermare che Paolo in via di principio chieda che le donne tacciano nell’assemblea; ogni seria ricostruzione della condizione della donna nelle prime comunità cristiane di matrice paolina non può non tenerne conto.

Infine, un argomento molto importante, difficilmente conciliabile con il mulieres in ecclesiis taceant è la prassi stessa di Paolo che emerge sia dalle lettere che dagli Atti degli Apostoli, e qui arriviamo al nostro tema specifico.





[SM=g1740771]  continua........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:59. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com