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Parlare in Chiesa ? il capo scoperto? san Paolo e i suoi insegnamenti alle Donne

Ultimo Aggiornamento: 07/03/2015 09:55
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11/08/2012 17:00
 
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Lidia (At 16, 11-15.40)[45]: il Signore le apre il cuore e lei apre la sua casa alla comunità

Lidia può ben essere un altro esempio di protettrice/patrona, anche se forse non così influente come Febe. Anche lei, ha accolto Paolo e i suoi collaboratori nella sua casa.
Ma prima di esaminare più da vicino il testo, è necessario spendere qualche parola sulla natura del libro che contiene l’episodio del suo incontro con Paolo, gli Atti degli Apostoli.

Sappiamo che l’autore – tradizionalmente identificato con il Luca collaboratore di Paolo (cf. Col 4,14; 2Tm 4,11; Fm 1,24) – ha concepito la sua opera in due parti: Vangelo e Atti; con il libro degli Atti ha l’intento di mostrare la continuità della storia della salvezza che, iniziata con il popolo d’Israele, ha avuto culmine in Gesù, centro del tempo (il Vangelo), e che ora continua nella chiesa per opera dello Spirito santo (Atti). Egli, come premette nel prologo al vangelo, è deciso a offrire un’opera fondata su ricerche accurate (Lc 1,3: παρηκολουθηκοτι ανωθεν πασιν ακριβως καθεζης “avendo indagato con acribia ogni cosa con ordine”), quindi su fatti reali di cui è venuto a conoscenza.

Arrivare a dire però, date queste premesse, che siamo di fronte ad un libro “storico” nel senso che diamo noi oggi correntemente a questo termine, sarebbe fuori della concezione che a quel tempo avevano della storia. L’autore degli Atti – pur basandosi nel complesso su fatti realmente accaduti e tramandati sia per iscritto che oralmente – rilegge questi avvenimenti in una prospettiva teologica: essendo il libro rivolto principalmente a chi è già credente, per rafforzare la sua fede, descrive l’opera dello Spirito santo nel tempo della chiesa, nella sua diffusione “fino agli estremi confini della terra” (cf. 1,8).

Per quando riguarda il nostro caso, nel racconto della prassi missionaria di Paolo, in fin dei conti è soprattutto il punto di vista lucano ad emergere e non tanto quello paolino[46].
E qui va accennato al recente cambiamento di opinione di alcuni studiosi su Luca come l’“evangelista dalla parte delle donne”, opinione altrimenti comune per essere tra gli scrittori sacri colui che dà più spazio alle figure femminili nella chiesa nascente, anche in contrasto con la mentalità dell’epoca; in realtà egli – pur attribuendo loro un ruolo fondamentale nella storia della salvezza (basta pensare ai brani mariani) – tenderebbe ad escluderle da ruoli di responsabilità e di direzione della comunità cristiana[47].

Di queste prospettive – oltre che dalla distanza temporale (almeno una generazione) che separa la stesura degli Atti dalle lettere paoline - occorre tenere conto nell’utilizzare gli Atti come fonte “storica” per la conoscenza di Paolo e della sua attività missionaria, anche in rapporto alle donne.

Scorrendo il cap. 16 – dove troviamo l’episodio di Lidia – abbiamo un saggio di come Luca
rilegge gli avvenimenti in una prospettiva teologica.
Ci troviamo nel cosiddetto “secondo viaggio missionario di Paolo” (in realtà è il primo che compie come “capo missione”), con lui si trova Sila (15,40); insieme hanno l’intento di andare a trovare i fratelli nelle città dove era già stata predicata la Parola (cf. 15,36); così da Antiochia attraversano la Siria e la Cilicia; a Listra prendono con sé Timoteo e attraversano la Frigia e la Galazia; di qui vogliono dirigersi verso la Bitinia, ma “lo Spirito non lo permise loro” (16,7); trovandosi nel porto di Troade, “durante la notte apparve a Paolo una visione” (16,9): un uomo macedone (ανηρ Μακεδων) che lo supplicava di andare da loro in Macedonia ad aiutarli. Il narratore conclude: “Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore”; per lui il macedone era Dio, o meglio, Dio si era servito di questa visione per manifestare la sua chiamata. Al di là di come sono andate concretamente le cose, si vuole dire che Paolo andò in Macedonia sulla base di una chiamata di Dio, spinto dallo Spirito missionario.

A parte questo, va notato che proprio in questo brano la redazione passa bruscamente alla prima persona plurale: “subito cercammo” (16,10). È la prima delle tre cosiddette “sezioni noi” degli Atti (la seconda, in 20,5-15 + 21,1-18; la terza da 27,1 fino a 28,16) nelle quali il lettore non è messo in grado di identificare colui che ora si esprime includendosi nella narrazione.
Senza entrare nella complessa questione[48], possiamo limitarci a dire che, a differenza dall’autore del resto del libro, che si serve di questa sorta di “diari di viaggio”, probabilmente l’autore di queste sezioni è un testimone oculare accompagnatore di Paolo. Accettando invece l’ipotesi tradizionale – per la quale è lo stesso Luca a scrivere anche queste sezioni, magari utilizzando appunti scritti a quel tempo – bisognerebbe ammettere che a quel punto del viaggio, salpando da Troade verso la Macedonia (si passa dunque dall’Asia all’Europa), ai tre (Paolo, Sila e Timoteo) si era aggiunto anche Luca.

Ecco allora gli antefatti dell’incontro con Lidia. Passando per la Samotracia e Neapoli, il gruppo missionario giunge a Filippi, colonia romana[49]. Dopo alcuni giorni – dice il narratore (16,13a) – “di sabato uscimmo fuori della porta [della città], lungo il fiume, dove ritenevamo fosse la preghiera” (τη τε ημερα των σαββατων εξηλθομεν εξω της πυλης παρα ποταμον ου ενομιζομεν προσευχην ειναι).

Già questi elementi indicano che nella città romana c’erano dei giudei o dei seguaci della religione giudaica (simpatizzanti, proseliti e timorati di Dio)[50]; e il fatto che cercassero un luogo un po’ in disparte dove fare la preghiera di sabato (vicino al fiume – il piccolo Gangite, a un paio di Km a ovest della città - probabilmente l’acqua serviva per il rituale delle abluzioni), lascia intendere che non c’era una sinagoga nella città[51]. Per metonimia, προσευχη (preghiera) può indicare anche il luogo dove si svolgeva l’incontro di preghiera (cf. 16,16). Flavio Giuseppe annota che un decreto di Alicarnasso autorizzava i giudei a “fare le loro preghiere (προσευχας) sulla riva del mare, secondo l’uso dei loro padri” (Ant. XIV 10,23)[52].

V. 13b: “Ci mettemmo a sedere e parlammo alle donne che vi erano radunate” (και καθισαντες ελαλουμεν ταις συνελθουσαις γυναιξιν). L’uso del verbo συνερχομαι (“convenire”, radunarsi) mette in evidenza che non si tratta di un incontro casuale, ma un convenire deliberato e comunitario (cf. Lc 5,15; At 2,6.11; 10,45; 1Cor 11,17-34; ecc.): queste donne si sono raccolte in assemblea per fare la preghiera, probabilmente hanno preso da sole l’iniziativa, senza il concorso di uomini (fatto unico in tutto il NT).
Ciò che è casuale è l’incontro con Paolo e i suoi compagni.

Le azioni del sedersi e iniziare a parlare (καθιζω e λαλεω), sono tipiche giudaiche del modo di comunicare un insegnamento, sia nelle sinagoghe che all’aperto (cf. Lc 4,20-21; 5,3; At 13,14-15; Mt 5,1-2; ecc.); l’essere radunati in un luogo con un intento religioso, seduti e parlare indica dunque un contesto di insegnamento, di interpretazione e di predicazione della Scrittura[53]. L’imperfetto segnala un’azione continuativa e ripetuta, il plurale “parlavamo” indica che non è Paolo soltanto a prendere la parola, ma anche i suoi compagni; e c’è da immaginarsi che le donne non siano rimaste sempre in silenzio (come avrebbero potuto Paolo e compagni infatti rendersi conto che esse comprendevano la loro lingua e che erano interessate a quell’insegnamento?).

Il v. 14a ci presenta la figura principale della scena: “E una donna di nome Lidia, commerciante di porpora della città di Tiatira, timorata di Dio, stava ad ascoltare” (και τις γυνη ονοματι Λυδια πορφυροπωλις πολεως Θυατειρων σεβομενη τον θεον ηκουεν).
Il nome Lidia originariamente designava un abitante della regione omonima (colonia della Macedonia), ma almeno a partire da Orazio (Odi I, 8, 1) era già un nome proprio di persona. La donna era di Tiatira, città rinomata per la produzione della tinta di porpora. Il fatto che fosse venditrice (e forse anche fabbricante) “fuori piazza” di questo prezioso prodotto (che amavano sfoggiare nelle corti e tra le famiglie benestanti, cf. Lc 16,19), induce a pensare che Lidia sia stata una donna indipendente economicamente, con delle persone alle sue dipendenze e capace di gestire bene l’impresa commerciale.

Essa era una “timorata [o adoratrice] di Dio” (σεβομενη τον θεον). Di per sé l’espressione indica chi è devoto di Dio in senso generico; ma negli Atti indica sempre chi tra i pagani – uomo o donna – è seguace della religione dei giudei e orbita intorno alla sinagoga (i “proseliti” erano invece coloro che, provenendo dal paganesimo, erano divenuti pienamente giudei accettando la circoncisione). Secondo la narrazione degli Atti, è tra questi “timorati di Dio” che la predicazione di Paolo riscosse il maggior successo (At 13,43; 16;14; 17,4.17; 18,7; unica ricorrenza in cui si rivelano ostili a Paolo: At 13,50). A Tiatira c’era probabilmente un insediamento di giudei; è possibile che Lidia abbia conosciuto lì la religione giudaica e vi abbia aderito, divenendo così “adoratrice di Dio [dell’unico]”. Rimane ugualmente a livello di congettura se le donne che erano con lei al fiume per la preghiera fossero giudee o simpatizzanti come lei (e forse anche sue dipendenti nell’impresa commerciale?).

Al continuativo lalèin di Paolo e compagni, fa riscontro il continuativo akouein di Lidia (imperfetto, “stava ad ascoltare”), segno della sua predisposizione ad accogliere l’annuncio cristiano.
V. 14b: “Il Signore le aprì il cuore per accogliere le cose dette da Paolo” (ης ο κυριος διηνοιξεν την καρδιαν προσεχειν τοις λαλουμενοις υπο του Ραυλου). Ecco di nuovo la prospettiva teologica: è il Signore ad aprire il suo cuore alla predicazione di Paolo; solo il Signore è in grado di farlo; è significativo questo verbo tipicamente lucano, διανοιγω (Lc 2,23; 24,31s. 45; At 7,56; 17,3; unica altra ricorrenza: Mc 7,34), da leggere con lo stesso senso che si ritrova nell’episodio dei discepoli di Emmaus: “si aprirono (διηνοιχθησαν) i loro occhi” (Lc 24,31); “Non ardeva forse il nostro cuore quando egli, lungo la via, ci parlava e ci spiegava (διηνοιγεν) le Scritture?” (24,32); “Allora aprì loro la mente all' intelligenza delle Scritture” (Lc 24,45). Specialmente quest’ultima frase sta in parallelo con la nostra:
At 16,14: ης ο κυριος διηνοιξεν την καρδιαν προσεχειν τοις λαλουμενοις υπο του Ραυλου
Lc 24,45: αυτων διηνοιχθην τον νουν του συνιεναι τας γραφας
In entrambi i casi è il Signore ad agire, egli apre il cuore o la mente[54], per accogliere le parole di Paolo o per comprendere le Scritture.

v. 15 “Dopo essere stata battezzata (lei) e la sua casa, ci invitò dicendo: «Se mi avete giudicato fedele al Signore, entrate a casa mia e restate(ci)». E ci costrinse.”
Il narratore, che risulta essere presente alla scena, a questo punto sintetizza e non aggiunge molti particolari; restano dunque aperte alcune domande: Lidia è stata battezzata subito, quel sabato lì al fiume, o ci sono state altre catechesi prima del battesimo?
Se facciamo riferimento a episodi simili (cf. il battesimo di Cornelio, cap. 10 o a quello dell’etiope eunuco, cap. 8,26-39) bisogna optare per un battesimo immediato; se così è stato, resta la difficoltà data dal fatto che insieme a lei viene battezzata “la sua casa” (di cui si deve quindi presupporre la presenza presso il fiume): con questo termine ovviamente è intesa tutta la cerchia di familiari, ma anche la servitù (se c’era) che apparteneva alla casa. Allo stesso tempo si deve dedurre che Lidia fungeva da capofamiglia (era vedova?).
Ma il narratore non ritiene importante fornire questi dettagli, a lui sta a cuore soprattutto mostrare come il Signore agisce attraverso la predicazione dei missionari per la diffusione della sua Parola “fino agli estremi confini”.

A questo punto l’adesione di fede di questa donna, riconosciuta da Paolo e collaboratori e confermata nel battesimo, trova anche una visibilità nel vissuto attraverso il gesto dell’ospitalità da lei generosamente offerta – anzi, quasi imposta ai missionari; e qui Paolo mostra di fare un'eccezione al suo principio di rinunciare al diritto di farsi mantenere dalle comunità[55].
Il verbo qui usato (παραβιαζομαι) letteralmente significa “costringere con la forza, imporre”: l’unica altra ricorrenza è significativo ritrovarla nell’episodio dei discepoli di Emmaus: “essi lo costrinsero (παρεβιασαντο), dicendo: «Resta con noi, perché si fa sera ed il sole ormai tramonta». Ed egli entrò per rimanere con loro» (Lc 24,29).
Come emerge chiaramente, ci sono diversi paralleli tra i due racconti, che permettono di rintracciare la visione teologica che pervade il progetto Vangelo-Atti: l’azione di Cristo risorto continua nell’azione dei testimoni del risorto.
Ad essi – in questo caso Paolo e collaboratori - Lidia apre le porte della sua casa, così come il Signore aveva aperto il suo cuore alle parole di Paolo.

L’uomo macedone (ανηρ Μακεδων) della visione si è rivelato in realtà… una donna! Anzi, un gruppo di donne… una casa che, grazie all’adesione di fede di Lidia, va a costituire il nucleo iniziale di una comunità gloriosa, quella dei filippesi, una comunità che più delle altre darà a Paolo gioia e collaborazione[56]. Inoltre Lidia resta la prima persona in Europa di cui veniamo a sapere che, ascoltando la predicazione dell'Apostolo, accoglie il vangelo e si fa battezzare.

Il battesimo di una donna – non in quanto moglie di qualcun’altro che si fa battezzare “con la sua casa” - è a sua volta la dimostrazione che si sono infrante le divisioni e discriminazioni che impedivano alle donne di entrare in una condizione di uguaglianza con gli uomini; il superamento della circoncisione – dagli ebrei ritenuta indispensabile per entrare a far parte del popolo dei salvati – attraverso il battesimo di tutti i credenti in Cristo, annullava non soltanto il “muro di divisione” tra giudei e non (cf. Ef 2,14), tra schiavi e liberi, ma anche quello della discriminazione in base al sesso. Difficilmente oggi possiamo immaginare l’impatto che questa “buona notizia-novità” deve aver avuto nella vita sociale e religiosa delle persone che a quel tempo abbracciarono la fede cristiana.

È valsa dunque la pena di seguire l’ispirazione divina di venire a Filippi: l’adesione alla fede di questa donna – che nell'ottica lucana ha significative analogie con i discepoli di Emmaus - la rende punto di riferimento per la nascente comunità, e la sua casa diviene chiesa domestica (16,40). La sua storia – di cui siamo venuti a conoscenza tramite il racconto degli Atti – negli intenti del narratore vuole essere anche un paradigma per tutte quelle donne che con il loro coraggio, la loro generosità e impegno missionario hanno reso possibile quella diffusione della Parola di Dio che ha fatto la chiesa.

Conclusione

Da questa breve indagine si può trarre un quadro per il quale è praticamente impossibile tacciare Paolo di misoginia o di discriminazione nei confronti della donna. I dati che riguardano la presenza e il ruolo delle donne nella chiesa delle origini, pur non essendo molto abbondanti, costituiscono una chiara attestazione dell’applicazione del principio fondamentale di uguaglianza nella dignità e nella responsabilità missionaria; questo lo si deduce non soltanto dalle affermazioni sulle donne che si trovano sparse in alcuni suoi scritti, ma soprattutto dalla sua prassi, così come emerge sia dalle lettere che dagli Atti degli Apostoli.

Rispetto all’ambiente e alle varie culture a lui contemporanee (greco-romana e giudaica) su questo punto Paolo non va annoverato tra i conservatori, ma tra gli innovatori coraggiosi: senza rischio di esagerare si può considerare Paolo il più grande araldo della nuova legge di libertà costituita dal Vangelo di Gesù Cristo, in cui è iscritto anche il paragrafo importante del pieno riconoscimento dei diritti alla donna, nella società e nella chiesa.

Un’interpretazione fondata sul pregiudizio di una mentalità maschilista e incapace di cogliere la portata liberatrice della Parola di Dio - e reiterata nel corso dei secoli - ha spinto tanti cristiani autorevoli a discriminare la donna nella famiglia e nella chiesa, causando direttamente la sua marginalizzazione nella società di matrice cristiana.

Grazie a Dio, anche il magistero ufficiale ultimamente ha iniziato a riconoscere questa responsabilità, facendone ammenda, ed invitando tutta la chiesa a cambiare mentalità:

«Non sarebbe certamente facile additare precise responsabilità, considerando la forza delle sedimentazioni culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalità e istituzioni. Ma se in questo non sono mancate, specie in determinati contesti storici, responsabilità oggettive anche in non pochi figli della Chiesa, me ne dispiaccio sinceramente. Tale rammarico si traduca per tutta la Chiesa in un impegno di rinnovata fedeltà all'ispirazione evangelica, che proprio sul tema della liberazione delle donne da ogni forma di sopruso e di dominio, ha un messaggio di perenne attualità, sgorgante dall'atteggiamento stesso di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 29 giugno 1995)[57].

Don Pino Pulcinelli - Roma 2004




[SM=g1740771]  seguono le NOTE

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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