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"restart" ripartire dal Concilio.....

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2011 23:51
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sabato 25 luglio 2009

Restart. Ripartire dal Concilio.

"Riprendiamo da dove eravamo rimasti": così si chiude una lettera scritta a padre Scalese sul suo blog Querculanus. Una frase che ci sembra abbia colto bene la sfumatura benedettiana del Summorum Pontificum e che potrebbe fare da slogan ad un nuovo movimento per la liturgia. Ci scusiamo con il Padre, ma letta questa non abbiamo resistito a riportare tutta quanta l'interessante discussione che in questi giorni si è mossa sulle sue pagine. Grazie.


La scelta.


di Giovanni Scalese*

If only... #3
Lunedì 20 luglio 2009


Don Gianluigi mi ha mandato il seguente messaggio dopo aver letto il mio post di sabato scorso:
«P. Giovanni, ti scrivo circa l'ultimo tuo post "If only... #2". Secondo me sei stato un po' troppo duro e sbrigativo col tuo lettore.

1. Perché criticare il NO [= Novus Ordo] non significa necessariamente ritenerlo invalido (io lo celebro quotidianamente eppure mi sento in dovere di muovere rilievi critici). Se teologi e liturgisti scrivono che c'è bisogno di una riforma della riforma (vedi don N. Bux con il libro "La riforma di Benedetto XVI") una qualche ragione ci sarà. Se il card. Ratzinger poteva scrivere alcuni anni fa che la riforma la quale avrebbe dovuto essere una rivitalizzazione della liturgia, in realtà si è rivelata una "devastazione" (cfr. "La reforme liturgique en question") significa che ci sono ragioni più che fondate per dubitare della reale bontà della liturgia riformata.

2. Tu citi Paolo VI, per indicare la sua volontà di imporre il NO come alternativo al vecchio. E qui si rivela in tutta la sua tragica debolezza l'affare del Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia che ha elaborato la nuova messa. Il papa disse: "Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II". Il papa non si avvide nemmeno che quello che egli aveva approvato smentiva le richieste del Concilio stesso (latino, intangibilità dei testi, gregoriano, polifonia). Quando il Papa se ne avvide, non fece nulla per riportare la riforma ai dettami della Sacrosanctum Concilium.

Egli non seguì e non chiese conto del lavoro del Consilium ad exequendam, tant'è vero che autorevoli membri si lamentarono del modo di procedere precipitoso di Bugnini (cfr. card. Antonelli). Non poteva nemmeno chiedere conto, perché non è stato tenuto un regolare verbale degli incontri e quindi non sappiamo, e manco il papa sapeva, le ragioni che portarono a togliere parti della messa tradizionale e a produrne delle altre. (Perché, per esempio, è stato tolto ogni riferimento esplicito alla Trinità a cui va il sacrificio di lode, sia nell'offertorio sia alla fine? Chi lo propose? con quali motivazioni?).

Ci fu una così "matura deliberazione" che il papa approvò — spero senza accorgersene — una definizione della messa quantomeno ambigua. La messa è un'azione sacrificale, mentre il n. 7 dell'Institutio la definì "riunione del popolo di Dio, che si raduna insieme... per celebrare il memoriale del Signore". Una formula che poteva accontentare anche i sei esperti protestanti che ebbero un ruolo attivo in questa fase, ma che certo limitava il concetto cattolico di messa. Dopo pochi mesi il papa approvò una nuova Institutio modificata. Ma quei concetti così nuovi rispetto alla teologia liturgica cattolica rimasero nei nuovi riti che da essi erano stati ispirati.
Questa nuova messa ancora sperimentale fu celebrata nell’ottobre del 1967; al Sinodo Episcopale, convocato a Roma, fu chiesto un giudizio sulla celebrazione della cosiddetta "messa normativa", ideata dal Consilium. Tale messa suscitò non poche perplessità tra i presenti al Sinodo, con una forte opposizione (43 non placet), moltissime e sostanziali riserve (62 iuxta modum) e 4 astensioni su 187 votanti. Nonostante ciò fu imposta a tutta la chiesa senza sostanziali modifiche.

3. Tu dici: "Che abbiamo impedito ai fedeli di fare esperienza diretta dell'autentica liturgia". Insomma la colpa sarebbe dei vescovi e dei preti che non valorizzano appieno il NO e si lanciano in arbitrarie sperimentazioni. Ma a me sembra che le improvvisazioni e gli arbitrii scaturiscano dalla riforma stessa che lascia aperte troppe porte: quanti vel... pro opportunitate e simili circa i riti da compiere, che hanno finito per confondere le idee, tanto che in ogni paese si celebra un rito diverso.

4. Ciò che Pio XII condannò nella Mediator Dei si è ripresentato nel NO, come l'archeologismo. Si è idealizzato il primo millennio (vedi comunione in mano e in piedi, scambio di pace), tranne il digiuno eucaristico e la preghiera rivolta a Oriente e si è bandito tutto ciò che era scaturito nel secondo millennio.

5. Infine quello che mi sembra più grave, non è stata rispettata l'essenza del rito romano. La messa tipica iniziava con il canto dell'introito, mentre le preghiere ai piedi dell'altare erano private del celebrante. L'offertorio esprimeva in modo inequivocabile il fine per cui si offre il sacrificio: cancellato completamente con preghiere prese non dalla tradizione, ma addirittura dall'ebraismo. Il canone che era un tutt'uno con le altre parti è stato reso intercambiabile con anafore realizzate a tavolino che non hanno un'origine comune con il rito stesso. La preghiera sotto voce che era una caratteristica codificata dal concilio di Trento e che favorisce la partecipazione intima e spirituale dei fedeli, disprezzata completamente, tanto che oggi si canta anche il canone.

Detto questo, penso che il tuo lettore avesse qualche ragione nell'affermare che non è abbastanza celebrare in latino e bene il NO per riportare un vero spirito liturgico. È insita nel NO la svolta antropologica di Rahner, che porta inevitabilmente il celebrante a sentirsi protagonista della liturgia, non foss'altro perché guarda in faccia i fedeli e parla continuamente per farsi sentire da loro e non da Dio. I fedeli sono condizionati dal suo sguardo, dalla sua espressione, dal tono di voce, dagli interventi ad libitum che possono essere in ogni momento. Rivolgersi a Dio diventa effettivamente un'impresa non facile.
Ma a Dio tutto è possibile».

Accolgo di buon grado l'avviso fraterno di don Gianluigi: se sono stato troppo duro e sbrigativo, chiedo scusa. Coloro che mi leggono da qualche tempo dovrebbero ormai sapere che talvolta mi lascio prendere la mano, specialmente quando si tratta di questioni che mi stanno molto a cuore, come in questo caso.

Per me la riforma liturgica, come tutte le cose umane, non è perfetta: ha molti limiti e potrebbe (dovrebbe?) essere migliorata (e per questo condivido non poche delle osservazioni di don Gianluigi); ma questo non significa che essa debba essere gettata a mare e si debba tornare, semplicemente, alla liturgia pre-conciliare.

Quando si sente parlare della liturgia prima del Concilio, sembra che questa fosse perfetta e che a un certo punto siano arrivati degli iconoclasti che abbiano voluto distruggere tutto, non si capisce bene perché. Se si è sentito il bisogno di una riforma liturgica, qualche motivo ci sarà pur stato. Io ho fatto in tempo a conoscere la liturgia tridentina, perché sono diventato chierichetto prima della riforma liturgica. E ricordo il mio parroco che celebrava la Messa in un quarto d'ora: non era uno spettacolo cosí edificante... Le chiese erano certamente piú piene di ora, ma non c'era tutta quella devozione e raccoglimento che oggi si immagina: in prima fila i bambini (il viceparroco doveva inventarsi tutti gli stratagemmi per tenerli un po' attenti); poi le donne che recitavano il rosario; poi gli uomini (quei pochi che c'erano...) che si facevano i fatti loro; e in fondo alla chiesa i giovani che... guardavano le ragazze. Per questo si è sentito il bisogno di una partecipazione piú attiva. Che poi, con la riforma liturgica, non si sia ottenuto il risultato (probabilmente perché si sono sbagliati i mezzi per raggiungerlo), è un'altra questione; ma perlomeno si dovrebbe riconoscere la buona intenzione e apprezzare lo sforzo per raggiungerlo.

Quando leggo le critiche di parte tradizionalista al Novus Ordo (che per lo piú hanno un'unica origine: il Breve esame critico del "Novus Ordo Missae", a quanto pare promosso dalla compianta Cristina Campo e presentato a Papa Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci), ho l'impressione che esse partano da un presupposto sbagliato. Tali critiche fondamentalmente consistono in un confronto tra il vecchio e il nuovo rito; e in genere sottolineano gli elementi del vecchio rito assenti nel nuovo. Presupponendo che il vecchio rito fosse perfetto, è ovvio che il nuovo risulti piuttosto carente. Ma probabilmente non è questo l'atteggiamento giusto: il Novus Ordo va considerato in sé stesso, non confrontato col Vetus (e in tale prospettiva penso che Paolo VI lo esaminò). Poi bisogna chiedersi: questo o quell'elemento è valido, è portatore di un significato teologico ortodosso o veicola una qualche tesi piú o meno ereticheggiante? Sinceramente, non mi sembra che nella nuova Messa ci siano eresie. È vero che l'offertorio (o "presentazione dei doni", come oggi viene chiamato) è radicalmente cambiato; è vero che esso non insiste piú cosí tanto sull'aspetto sacrificale; ma forse per questo la Messa ha perso il suo carattere sacrificale? Ci sono altri elementi che lo sottolineano (nello stesso offertorio, Paolo VI in persona volle conservare l'Orate fratres a rammentare tale verità). D'altra parte il Novus Ordo ha messo in luce tanti altri aspetti che nel Vetus Ordo, pur non venendo negati, erano forse un tantino trascurati. La Messa va vista nel suo insieme; non si possono isolare e assolutizzare i diversi elementi. Nell'insieme, mi pare che il nuovo rito della Messa sia equilibrato e piú ricco dell'antico. Ciò non toglie che ci siano alcuni aspetti che possano o addirittura debbano essere rivisti (p. es., il modo in cui sono stati reintrodotti l'oratio fidelium e il rito della pace o il modo di ricevere la comunione).

Che la riforma liturgica sia stata fatta un po' affrettatamente e che essa non sia l'attuazione fedele di quanto previsto dal Concilio, è un dato di fatto. Per questo vado ripetendo che, nonostante le legittime critiche che si possono rivolgere al Concilio, esso costituisce quel punto di equilibrio in cui tutti ci possiamo ritrovare (non solo in campo liturgico). Il Concilio aveva dato delle indicazioni sobrie, ma molto precise, su come si sarebbe dovuta realizzare la riforma liturgica. Il Consilium andò oltre il mandato conciliare (e in questo ha ragione don Gianluigi, con l'avallo di Paolo VI), e ora ne raccogliamo i frutti. Ci si fosse limitati a fare quanto il Concilio aveva prescritto, forse a quest'ora non staremmo qui a discutere.

È proprio in questo contesto di "ritorno al Concilio" che io mi faccio sostenitore di una liturgia rinnovata in latino: non è una mia idea balzana; è semplicemente ciò che aveva previsto il Concilio (Sacrosanctum Concilium, n. 36). Che il gregoriano debba essere il "canto proprio della liturgia romana" (non solo di quella tridentina, ma anche di quella rinnovata), non sono io a dirlo, ma il Concilio (ib., n.116). A proposito, don Gianluigi, hai mai provato a cantare in gregoriano la preghiera eucaristica? Per favore, fallo almeno una volta, poi sappimi dire quel che tu hai provato e la reazione dei fedeli che vi hanno assistito. Tu hai ragione a dire che nelle liturgie postconciliari, il protagonista è diventato il celebrante e i fedeli sono condizionati dalla sua presenza invadente. Ti assicuro, non c'è bisogno di voltare le spalle ai fedeli per scomparire. Basta spersonalizzare il piú possibile la propria performance; basta applicare alla lettera le rubriche del messale: tutti capiranno, senza fatica, che non stai recitando una parte, ma stai semplicemente eseguendo un rito che non ti appartiene, di cui tu sei soltanto un ministro. Il modo di celebrare la Messa, pur non toccando l'essenza del rito, ha la sua importanza, nel Vetus come nel Novus Ordo: tanto la Messa tridentina quanto quella postconciliare possono essere celebrate bene o male; e questo ha la sua incidenza sulla effettiva partecipazione dei fedeli. Forse uno dei limti della riforma liturgica è stato proprio questo: pensare che bastasse modificare qualche rito per ottenere la actuosa participatio. I liturgisti del Consilium forse non si avvidero che ciò che innanzi tutto si doveva fare era cambiare l'atteggiamento con cui ci si accosta ai santi misteri. Pertanto, ben venga una "riforma della riforma", ma con l'accortezza che a nulla varranno le migliori riforme esteriori se, cambiando i riti, non cambieremo anche i cuori.

***

Mons. Bugnini e la riforma liturgica
martedì 21 luglio 2009

Ieri, proprio mentre stavo pubblicando il mio post If only... #3, ho ricevuto la Newsflash del Dr. Robert Moynihan, Direttore di Inside the Vatican (chi legge l'inglese può trovarla sul sito della rivista: la parte che mi interessa inizia col titoletto "The Briefcase Left Behind"). Si tratta di una inquietante intervista a un non meglio precisato Monsignore, indicato al Dr. Moynihan dal Card. Gagnon un mese prima di morire. L'intervista riguarda il caso di Mons. Annibale Bugnini, accusato di essere iscritto alla massoneria, un'accusa arcinota, ma che era rimasta finora sempre circondata da un'alone di dubbio, che poteva far sperare in una calunnia, piuttosto che in una realtà. Invece, a stare a ciò che dice il Monsignore intervistato (e che deve essere molto bene informato sui fatti), "It is certain". Il Monsignore spiega anche come si sia arrivati a tale conclusione, appunto grazie a una valigetta dimenticata.

Giustamente, il Dr. Moynihan pone l'obiezione che chiunque di noi porrebbe: "Ma se è davvero cosí, allora Paolo VI, nell'approvare la nuova Messa, potrebbe essere stato vittima di un inganno. Un fatto del genere non potrebbe mettere in discussione tutta la riforma liturgica? Ma allora, perché Paolo VI non ripartí da zero, se era convinto che ciò fosse vero?". L'obiezione è molto seria; se non si trova una risposta ad essa, saremo destinati a vivere nel dubbio che non solo Paolo VI, ma tutti noi siamo vittime di una grande impostura.

La limitata, ma sufficiente esperienza che ho in materia mi ha fatto giungere alla conclusione che, nella maggior parte dei casi, non si diventa massoni per motivi ideologici, ma semplicemente per interesse (anche se poi, una volta dentro, si è costretti a diventare strumenti per la diffusione dell'ideologia massonica). Mi pare che Mons. Bugnini non faccia eccezione a questa regola. Consideriamo le date. Nella sua Newsflash il Dr. Moynihan riporta anche un interessantissimo articolo di Michael Davies, dal quale si apprende che Mons. Bugnini, che era segretario della Commissione liturgica preparatoria del Concilio Vaticano II, era stato già sospeso dal suo incarico nel 1962 (non si sono mai conosciuti i motivi di tale allontanamento; Bugnini accusò del fatto il Card. Larraona, ma certamente ci doveva essere l'approvazione di Giovanni XXIII). Ora, l'iscrizione alla massoneria avvenne il 23 marzo 1963. Ebbene, che cosa avvenne nel 1964? Bugnini fu nominato da Paolo VI segretario del Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra Liturgia. L'iscrizione alla massoneria aveva avuto effetto immediato...

Ma allora, come mai Paolo VI non rimise in discussione l'intero impianto della riforma liturgica, che era stato ideato e realizzato da un massone? Evidentemente non rinvenne un legame cosí stretto tra i due fatti. Papa Montini, non appena ebbe la certezza della colpevolezza di Mons. Bugnini, lo rimosse dal suo incarico di Segretario della Congregazione per il culto divino e lo inviò Nunzio apostolico in Iran, non perché aveva fatto la riforma liturgica, ma semplicemente perché iscritto alla massoneria. Quanto alla riforma liturgica, evidentemente Paolo VI era convinto della sua bontà: anche se fra i suoi ispiratori c'era un massone, essa non poteva essere considerata una sua creatura né, tanto meno, una riforma "massonica". Lo stesso Pontefice molto probabilmente si considerava il garante di quella riforma: essa era stata fatta sotto il suo personale controllo e portava il sigillo della sua autorità.

***

"Sensus fidelium"
Mercoledì 22 Luglio 2009


Dopo aver letto il mio post di ieri su Mons. Bugnini e la riforma liturgica, Giovanni mi ha mandato il seguente messaggio, di cui lo ringrazio vivamente:

«Fa un po' di senso apprendere che chi ha pensato la Messa, che oggi abbiamo e che per mezzo di voi sacerdoti celebriamo, sia stato un massone. Ma non sembra l'unico caso di commistione tra Chiesa e massoneria.

Qualche tempo fa analizzammo con il mio sacerdote, formatosi in San Giovanni Rotondo, l'architettura della nuova chiesa di San Pio, per intenderci quella di Renzo Piano, perché avevamo capito che il suo architetto era un massone e che la chiesa da uno studio accuratissimo di alcune persone ... era piena zeppa di simboli massonici. Stavamo per partire con una petizione per chiedere alla Santa Sede di proibire il Santo Sacrificio all'interno di quel luogo. Ma poi ci siamo fermati. Perché ci siamo resi conto, forse sbagliando, che in ogni caso dentro quella chiesa c'era e c'è Gesù in anima, corpo e divinità e, ammesso che il diavolo si possa essere impadronito delle progettazione, ormai in quel tabernacolo c'è Gesù il Signore dell'universo che vince sempre su tutto, fosse anche Satana.

La stessa cosa in fondo credo valga per la Santa Messa: l'ha composta un massone? Va bene, ma al centro c'è sempre il grande mistero del Sacrificio di Cristo e le mani di voi sacerdoti che fate diventare il pane e il vino Corpo e Sangue di Gesù. E questo è ciò che conta».

Mi sembra una testimonianza molto bella di quel sensus fidelium, che permette alla Chiesa di ritrovare l'orientamento nel bel mezzo della tempesta. Che nella Chiesa ci possano essere delle contaminazioni, non è la prima volta che avviene: è sempre avvenuto, fin dagli inizi della sua storia. Che si debba stare in guardia e mettere in guardia dai pericoli, lo richiedono le virtú della prudenza e della carità. Ma poi, alla fine, dobbiamo starcene tranquilli, sapendo che Cristo ha vinto il mondo (Gv 16:33) e che "le porte degli inferi non prevarranno" (Mt 16:18).

A questo proposito forse può essere utile rammentare quanto affermava il Beato Antonio Rosmini nelle sue preziosissime Massime di perfezione cristiana (che non mi stancherò mai di raccomandare come libro di meditazione):

«TERZA MASSIMA: rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Gesú Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio.

1. Gesú Cristo ha la potestà su tutte le cose, in cielo come in terra, e si è meritato di diventare Signore unico di tutti gli uomini. Per questo egli è anche l’unico che regola tutti gli avvenimenti con sapienza, potenza e bontà inenarrabile, secondo il suo beneplacito divino, per il maggior bene dei suoi eletti che formano la sua diletta sposa, la Chiesa.

2. Perciò il cristiano, per quanto gli avvenimenti possano sembrare contrari al bene della stessa Chiesa, deve godere una perfetta tranquillità e conservare una gioia piena, riposando interamente nel suo Signore. Tuttavia non deve smettere di gemere e di supplicare che avvenga la volontà del Signore come in cielo cosí in terra: cioè che gli uomini pratichino sulla terra la sua santa legge di carità come i santi la vivono in cielo.

3. Il cristiano, dunque, deve bandire dal proprio cuore l'inquietudine e ogni specie di ansietà e di preoccupazione: anche quella che sembra talvolta avere per scopo il solo bene della Chiesa di Gesú Cristo. Molto meno ancora egli deve temerariamente lusingarsi di poter mettere riparo a questi mali prima di vedere chiara la volontà del Signore a loro riguardo. Deve aver presente che solo Gesú Cristo governa la sua Chiesa, e che la cosa che piú gli dispiace ed è piú indegna del suo discepolo, è la temerità di quanti, dominati da cecità di mente e da nascosto orgoglio, senza essere chiamati e mossi da lui, presumono di fare di propria iniziativa qualche bene, anche minimo, nella Chiesa. Come se il divin Redentore avesse bisogno della loro miserabile cooperazione o di quella di chiunque altro. Nessuno è necessario al divin Redentore per la glorificazione della sua Chiesa. Essa consiste nella redenzione dalla schiavitú del peccato, in cui tutti gli uomini si trovano. Solamente per la sua gratuita misericordia egli assume fra i redenti quelli che gli piace elevare a tale onore. Di solito, poi, per le opere piú grandi, egli si serve di ciò che è piú infermo e piú spregevole agli occhi del mondo».

L'atteggiamento giusto del cristiano nei confronti della Chiesa è, sí, quello di lavorare e soffrire con essa e per essa, ma rimanendo sempre nella piú assoluta pace interiore, perché egli sa che, al di là dei Papi, Vescovi e sacerdoti che si succedono (e che possono sbagliare), è Cristo stesso, attraverso il suo Spirito, a guidare la Chiesa.

***

Ripartire dal Concilio.
Venerdì 24 Luglio 2009.

Don Gianluigi (che ha la mia stessa età), nel rispondere al mio post If only... #3, dice di condividere sostanzialmente la mia descrizione della liturgia preconciliare. Riconosce che i tradizionalisti, allora, non usavano argomenti convincenti per difendere le loro posizioni; al contrario dei giovani, che erano piú battaglieri nel sostenere le loro idee (è anche vero che questa è solo l'impressione che avevamo noi, che all'epoca eravamo giovani, e forse non capivamo abbastanza le istanze di chi era piú vecchio di noi, mentre eravamo molto sensibili a tutto ciò che sapeva di nuovo...). Ad ogni modo, don Gianluigi conclude cosí il suo messaggio:

«Caro Giovanni, ci voleva sí una riforma; era già iniziata quando siamo nati noi; poi è arrivato il tempo dell'assurdo e del brutto: brutte chiese, brutta arte, brutta musica. Riprendiamo da dove eravamo rimasti negli anni 1955-1965».

Concordo pienamente con quest'ultima affermazione. In fondo, è il senso di quanto cercavo di esprimere nell'articolo Concilio e "spirito del Concilio", pubblicato nel primo post di questo blog. In quell'articolo muovevo varie critiche al Concilio (critiche che piacquero molto agli ambienti tradizionalisti, a cominciare dai lefebvriani); fra queste c'era l'obiezione che il Vaticano II non segnava affatto un "nuovo inizio" nella storia della Chiesa, ma costituiva semplicemente una tappa di un movimento di riforma già in corso da svariati decenni, con questa differenza: che fino ad allora le riforme erano state promosse dalla Sede Apostolica ed erano state condivise piú o meno da tutti; il Concilio invece (che si supporrebbe rappresentare l'intera Chiesa) provocò una lacerazione all'interno della Chiesa. Come mai? Che cosa era successo?

In fondo, se consideriamo i documenti conciliari, li troviamo perfettamente in linea con la tradizione immediatamente precedente (anche se poi esso incoraggia un ritorno alla "grande tradizione" della Chiesa). Da questo punto di vista, il Concilio rappresenta il frutto piú maturo di quel movimento di riforma già in corso nella Chiesa. Il problema nacque nel momento dell'interpretazione e dell'applicazione del Concilio: tali operazioni furono praticamente monopolizzate dall'ala progressista, che era già presente nel Concilio, ma che in quella sede aveva dovuto necessariamente scendere a compromesso con l'ala conservatrice per l'approvazione dei documenti conciliari. Dopo il Concilio, sfruttando le ambiguità insite nei testi conciliari e appellandosi a un presunto "spirito del Concilio", la lobby progressista impose la propria interpretazione del Concilio, che sembrava l'unica autorizzata. Anche la riforma liturgica risentí di tale interpretazione unilaterale, che perciò provocò la reazione lefebvriana, polarizzando cosí le posizioni su due atteggiamenti contrapposti e difficilmente conciliabili.

Come uscire da questo vicolo cieco in cui si trova attualmente la Chiesa? Personalmente non vedo altra via di uscita che il ritorno di tutti al punto di partenza, che non è — sia bene inteso — la Chiesa preconciliare, ma il Concilio stesso. Per quanto si possa discutere, legittimamente, sul Vaticano II (dal momento che non si tratta di un concilio dogmatico, ma "pastorale"), bisogna pur riconoscere che esso è l'unico punto di equilibrio, nel quale tutti — tradizionalisti e progressisti — possiamo ritrovarci. Se vogliamo ristabilire la comunione all'interno della Chiesa, penso che dovremmo fare tutti un passo indietro e tornare al Vaticano II e ripartire di lí, senza pregiudizi ideologici, ma lasciandoci condurre esclusivamente dallo Spirito di Dio verso le mete che egli stesso ci indicherà.


*Padre Giovanni Scalese (Roma, 1955) appartiene all'Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo (Barnabiti). È sacerdote dal 1981. Ha conseguito il baccalaureato in filosofia e in teologia alla Pontificia Università San Tommaso (Angelicum) e la licenza in teologia (specializzazione in teologia biblica) alla Pontificia Università Gregoriana. Si è laureato in filosofia all'Università di Bologna con una tesi su "Il Rosminianesimo nell'Ordine dei Barnabiti". Ha insegnato religione, storia e filosofia al Collegio alla Querce di Firenze e al Collegio San Luigi di Bologna. Dal 1994 al 1999 è stato rettore della Querce; dal 2000 al 2006, assistente generale dell'Ordine. Al presente è missionario in Asia. Insieme con Padre Antonio Gentili ha pubblicato "Prontuario dello spirito. Insegnamenti ascetico-mistici di sant'Antonio Maria Zaccaria" (Milano, 1994).


Fonte Querculanus

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[SM=g1740722]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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