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EUSEBIO DI CESAREA: La Storia Ecclesiastica ( libri da 1 a 5 )

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 19:48
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21/09/2009 19:27
 
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.34

COME giuseppe CITA I LIBRI SACRI

  1. "Noi non possediamo libri innumerevoli e in contraddizione fra loro, ma solo ventidue, che raccontano la storia di tutti gli anni passati e che sono ritenuti a buon diritto divini. 2. Di questi, cinque sono di Mosè 45, e contengono le Leggi e la narrazione della storia umana dalla creazione dell'uomo fino alla morte di Mosè, periodo, questo, di poco inferiore a tremila anni. 3. Dalla morte di Mosè fino a quella di Artaserse, rè dei Persiani dopo Serse, i profeti posteriori a Mosè riferiscono in tredici libri gli avvenimenti verificatisi ai loro tempi; gli altri quattro contengono inni a Dio e ammonimenti per la vita degli uomini. 4. Dal tempo che va da Artaserse al nostro è stato riferito ogni episodio in molti scritti, che però non sono degni di fede come quelli a loro anteriori, dato che in essi la successione dei profeti presenta inesattezze. 5. E manifesto dai fatti quindi come noi ci accostiamo alle nostre Scritture. Sebbene sia ormai trascorso un si lungo tempo, nessuno ha osato aggiungere, togliere o completare nulla, e a tutti i Giudei viene naturale, sin dalla prima generazione, ritenerli dogmi divini da seguire fedelmente, per i quali, se necessario, essere disposti anche a morire" 46.
  2. 6. Si noti l'utilità del passo testé riportato. Egli è anche autore di un'altra meritevole opera dal titolo Sul predominio della ragione, da alcuni intitolata Maccabaico 47, perché riguarda le gesta valorose compiute dagli Ebrei in difesa della loro devozione a Dio, narrate nei libri detti Dei Maccabei. 7. Alla fine del ventesimo libro delle Antichità afferma 48 di accingersi a scrivere in quattro libri un'opera sulle opinioni patrie dei Giudei circa Dio e la sua essenza, e sulle leggi, e su che cosa presso di loro è possibile fare e cosa no; dichiara poi di aver ritenuti degni di considerazione, nelle sue opere, anche altri argomenti.

45 Riferimento al Pentateuco.

46 Contro Apione, I, 38-42.

47 L'opera non è da attribuire a Giuseppe. Si tratta invece di un apocrifo dell'Antico Testamento. 48 Antichità giudaiche, XX, 268.


8. È giusto inoltre riportare, per testimoniare la veridicità delle notizie da lui trasmesseci, ciò che egli scrisse alla fine delle Antichità 49. Muovendo a Giusto di Tiberiade 50, fra le molte accuse, anche quella di non aver riferito secondo verità gli avvenimenti contemporanei, che egli, come lui, aveva tentato di descrivere, aggiunge queste testuali parole: 9. "Io, per i miei libri, non ho temuto la stessa tua sorte, ma li ho dati agli stessi imperatori, quando gli avvenimenti in essi descritti si svolgevano ancora sotto i loro occhi; non mi sbagliai infatti pretendendo di perseguire la verità nel riferire le testimonianze. 10. Ho sottoposto i miei scritti al giudizio di molti altri, alcuni dei quali avevano preso parte alla guerra, come il rè Agrippa 51 e alcuni dei suoi consanguinei. 11. L'imperatore TÌ-to volle che solo le mie opere consegnassero agli uomini la conoscenza di quei fatti, e per questo prescrisse di pubblicarle, scrivendo l'ordine di suo pugno. Il rè Agrippa scrisse poi ses-santadue lettere, con cui testimonia la veridicità dei fatti da me narrati" 52. Di queste poi Giuseppe ne riporta due. Ma su di lui basti quanto detto finora.

49 La citazione seguente appartiene in verità alla Autobiografia, per la quale cf. la nota seguente.

50 È autore di un'opera dal titolo Guerra giudaica, in cui, trattando lo stesso periodo esaminato nell'omonimo scritto di Giuseppe Flavio, muove a quest'ultimo l'accusa di aver tradito il popolo giudaico, evidente a suo avviso nel chiaro atteggiamento filoromano impresso alla narrazione degli avvenimenti. A questa accusa Giuseppe rispose con 1''Autobiografia, un opuscolo in cui tenta di dimostrare la propria fedeltà al suo popolo.

51 Agrippa II.

52 Autobiografia, 361-364.

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16. la LETTERA DI clemente

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Di costui si riconosce autentica una sola lettera, tramandata fino ai nostri giorni, ponderosa e mirabile, che egli scrisse dalla Chiesa di Roma a quella di Corinto, dove era sorta una contesa 61. Sappiamo che anche di questa, in moltissime Chiese, nei tempi antichi e nei nostri, si da pubblica lettura 62. Testimone degno di fede dei sollevamenti verificatisi a Corinto al tempo del già citato imperatore è Egesippo.

17. la PERSECUZIONE AL TEMPO DI domiziano

A Roma Domiziano, che diede prova di grande crudeltà contro molti, condannò a morte, senza regolare giudizio, molti patrizi e molti altri uomini illustri, e senza validi motivi punì ad esili oltre confine e a confische di beni molti altri notabili, divenendo così, dopo la sua morte, degno erede di Nerone per la sua pari ostilità ed empietà verso Dio. Domiziano fu il secondo imperatore a muovere una persecuzione contro di noi, sebbene suo padre Vespasiano non ci avesse mostrato alcuna ostilità.

18. L'APOSTOLO giovanni E L'APOCALISSE

1. Si narra che in questo tempo l'apostolo ed evangelista Giovanni, che era ancora in vita, fu condannato all'esilio nell'isola di Patmo per avere testimoniato la parola divina. 2.

61 A motivo dei disordini scoppiati in seno alla Chiesa di Corinto, dove i presbiteri erano stati destituiti arbitrariamente, Clemente scrive nel 96 a quella comunità, ammonendola alla sottomissione ai vescovi in nome della loro autorità, ricevuta direttamente dagli apostoli. Su Clemente cf. infra, 38 e M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 33-34.

Ireneo , scrivendo nel quinto libro dell'opera intitolata Contro le eresie sul numero che l'Anticristo porta negl'Apocalisse z di Giovanni, dice testualmente così: 3. "Se fosse necessario in questo momento svelare apertamente il nome dell'Anticristo, esso potrebbe essere stato proclamato da lui, che ne vide anche la manifestazione, avvenuta non molto tempo fa, ma quasi al nostro tempo, all'incirca verso la fine del regno di Domiziano 6-1" 65.

4. L'insegnamento della nostra fede risplendeva in quel tempo a tal punto che persino autori lontani da essa non ricusarono di narrare, nelle loro opere storiche, la persecuzione e le testimonianze che la riguardano. Essi ne indicano con precisione la data, poiché riferiscono la condanna all'esilio nell'isola di Ponza, avvenuta nel quindicesimo anno del regno di Domiziano 66, di Flavia Domitilla, figlia della sorella di Flavio Clemente, uno dei consoli romani di allora, rea di avere testimoniato la sua fede in Cristo. Oltre alla condanna all'esilio di costei riportano anche quella di moltissimi altri 67.

19. domiziano ORDINA DI UCCIDERE I DISCENDENTI DI davide

Un'antica tradizione riferisce che alcuni eretici, approfittando di un decreto di Domiziano che ordinava l'uccisione dei discendenti di Davide, accusarono i discendenti di Giuda (questi era fratello carnale del Salvatore aa) di avere tale discendenza e di essere imparentati, per questo, con il Cristo. Queste cose racconta Egesippo, dicendo testualmente:

2 Ap 13, 18. àa\ Cf. Mt 13, 55; Me 6, 3.

63 Su Ireneo cf. supra, II, n. 55.

64 Nel 95 d.C. 6^ Contro le eresie, V, 30, 3.

66 II riferimento è all'anno 85 d.C.

67 Su questa condanna cf. anche Suetonio, Vita di Domiziano, 15, 1; Cassio Dione, Storia romana, LXVII, 14

20. I DISCENDENTI DEL NOSTRO salvatore

1. "Della famiglia del Signore erano ancora in vita i nipoti di Giuda, quello ritenuto fratello carnale di Cristo. Costoro, accusati di essere discendenti di Davide, furono trascinati dal-Vevocatus 68 al cospetto di Cesare Domiziano, che temeva, come Erode, la venuta del Cristo. 2. Egli chiese loro se erano discendenti di Davide; avuta risposta affermativa, domandò quante sostanze avessero e di quanto denaro fossero in possesso. Essi risposero che entrambi avevano novemila denari soltanto, metà per ciascuno, non in contanti, dicevano, ma corrispondenti al valore di un'estensione terriera di soli trentanove pletri 69, da cui pagavano le tasse e traevano nutrimento, coltivandola con le proprie mani". 3. Gli fecero vedere poi le mani, mostrando come prova della propria fatica la rudezza della superfìcie e i calli su di esse formatisi a causa del continuo lavoro. 4. Interrogati su Cristo, sulla natura del suo regno e sul come, sul dove e sul quando si sarebbe manifestato, dissero che esso non era di questo mondo, ne terreno, ma celeste e angelico, e avrebbe avuto compimento alla fine dei secoli, quando, salendo in gloria, Cristo avrebbe giudicato i vivi e i morti e avrebbe dato a ciascuno in base alle proprie azioni70. 5. A queste parole Domiziano non manifestò nessuna ostilità nei loro confronti, ma si mostrò anzi benevolo, lasciandoli liberi e mettendo fine, con un decreto, alla persecuzione contro la Chiesa. 6. Quelli che furono liberati si misero a capo delle Chiese come testimoni e discendenti per nascita dal Signore; instaurata la pace, vissero fino ai tempi di Traiano 71.

^8 Con questo nome venivano designati gli ufficiali che costituivano un corpo di guardia permanente presso l'imperatore. Essi non avevano funzioni militari, ma solo giuridico-amministrative.

69 Misura greca equivalente a 100 piedi.

70 Espressione di origine scritturistica (cf. Mt 16, 27; Rm 2, 6).

71 Traiano regnò dal 98 al 117 d.C.

7. Questo dice Egesippo. Anche Tertulliano fa menzione di Domiziano dicendo: "Anche Domiziano, degno erede della crudeltà di Nerone, ha tentato di comportarsi come lui. Ma avendo, credo, un po' di buon senso, si tirò subito indietro, richiamando anche coloro che aveva condannato all'esilio" 72.

8. Dopo Domiziano, che regnò per quindici anni73, prese il potere Nerva, sotto il quale il senato romano deliberò l'abrogazione delle disposizioni di Domiziano, il rimpatrio e la restituzione delle ricchezze a coloro che erano stati esiliati ingiustamente. Riferiscono queste notizie gli scrittori che hanno composto opere sugli avvenimenti di quel tempo 74. 9. La tradizione degli antichi ci ha tramandato che allora anche l'apostolo Giovanni fu richiamato dall'esilio nell'isola di Patmo e tornò a vivere ad Efeso 75.

21. terzo CAPO DELLA chiesa DI alessandria FU CERDONE

A Nerva, che regnò per poco più di un anno 76, succedette Traiano. Nel primo anno del suo regno ad Avilio, che aveva retto la diocesi di Alessandria per tredici anni, succedette Cerdone. Questi fu il terzo ad essere eletto vescovo di questa città a partire da Anniano, che fu il primo. In questi anni Clemente era ancora vescovo di Roma, terzo fra quelli succeduti a Paolo e Pietro nell'episcopato della città; Lino fu il primo e secondo dopo di lui Anacleto.

'^ Apologetico, ^,4. ^Dall'81al 96d.C.

74 Cr. Suetonio, Vita di Domiziano, 23; Cassie Dione, Storia romana, LXVIII, 1; Plinio il Giovane, Panegirico, 52.

75 Cf. supra, 18, 1.

76 Dal 96 all'inizio del 98 d.C.

22. ignazio È SECONDO VESCOVO DI antiochia

Dopo Evodio, primo vescovo della Chiesa di Antiochia, divenne illustre in quei tempi, secondo dopo di lui, Ignazio 77. Nello stesso anno Simeone ricevette, secondo dopo il fratello del nostro Salvatore, la guida della Chiesa di Gerusalemme nel periodo che stiamo esaminando.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.35

23. STORIA DELL'APOSTOLO GIOVANNI

1. In questi tempi lo stesso apostolo ed evangelista Giovanni, che Gesù amava, viveva ancora in Asia e, tornato dall'esilio nell'isola di Patmo dopo la morte di Domiziano, si rimise a dirigere le Chiese locali. 2. Che in questi tempi era ancora vivo basterebbe a provarlo la testimonianza di due autori degni di fede, araldi dell'ortodossia ecclesiastica: Ireneo e Clemente di Alessandria 78. 3. Il primo, nel secondo libro dell'opera Contro le eresie, scrive testualmente così: "Tutti i presbiteri che incontrarono in Asia Giovanni, il discepolo del Signore, testimoniano che egli si mantenne nella tradizione. Rimase infatti con loro fino al tempo di Traiano" 79. 4. Nel terzo libro della stessa opera afferma questa stessa cosa dicendo: "La Chiesa di Efeso, fondata da Paolo, è testimone verace della tradizione apostolica per la presenza di Giovanni, che vi rimase fino ai tempi di Traiano" 80.

5. Inoltre Clemente, illustrando lo stesso periodo di tempo, tramanda questo racconto nella sua opera dal titolo Chi è quel ricco che si salva? 81, utilissima a coloro che gradiscono ascoltare cose belle ed edificanti.

'_' Su Ignazio cf. infra, 36. ^ Su questo autore cf. infra, V, 11. /9 Contro le eresie, II, 22, 5.

80 Contro le eresie. III, 3, 4.

81 Cf. supra, n. 78.

Leggi con attenzione quello che egli dice: 6. "Ascolta un racconto che non è una favola, ma una storia veritiera tramandataci sull'apostolo Giovanni e custodita nella memoria. Dopo la morte del tiranno 82 Giovanni, richiamato dall'isola di Patmo, tornò a vivere ad Efeso. Quando veniva chiamato, si recava anche nei territori delle popolazioni vicine per nominare i vescovi, organizzare intere comunità e scegliere come chierico uno di quelli designatigli dallo Spirito. 7. Giunto dunque in una città non lontana (il cui nome alcuni riportano 83), prese, fra le altre cose, a dare sollievo ai fratelli; indirizzando poi lo sguardo sul vescovo, capo dell'intera comunità, vide un giovane vigoroso nel corpo, bello a vedersi, d'animo ardente. Rivoltosi al vescovo, disse: "Lo affido alle tue cure alla presenza della Chiesa e di Cristo come testimoni". Il vescovo lo prese con sé, promettendo a Giovanni, con le stesse parole e di fronte agli stessi testimoni, che ne avrebbe avuto cura. 8. L'apostolo ritornò allora ad Efeso. Il presbitero accolse in casa sua il giovane che gli era stato affidato, lo allevò, lo educò, se ne curò, e infine lo battezzò. Dopo il battesimo lo liberò dal suo zelo e dalla sua tutela, poiché credeva di avere posto in lui il segno del Signore, difesa perfetta. 9. Allentata la custodia prima del momento giusto, alcuni coetanei, corrotti e dissoluti, ormai avvezzi al male, lo condussero alla rovina; dapprima lo portarono con loro in pranzi fastosi, poi di notte a rubare; infine pensarono bene fare qualcosa di ancora più grande. 10. Egli in poco tempo si abituò a tutto questo e, per la sua grande natura, allontanandosi dalla via della rettitudine come un cavallo indocile e vigoroso che morde il freno, sprofondava sempre più nel baratro. 11. Rinunziando alla salvezza in Dio, ambiva alla realizzazione non di piccoli progetti, ma di grandi disegni; e, poiché era ormai perduto per sempre, ritenne bene seguire la stessa strada degli altri suoi compagni.

82 II riferimento è a Domiziano, morto nel 96 d.C.

83 Smirne.

Radunatili, organizzò una banda, di cui fu degno capo, violentissimo, crudelissimo, spieiato. 12. Trascorso del tempo, presentandosene la necessità, fu chiamato Giovanni. Egli, quando ebbe sistemato le altre cose per le quali era venuto, disse: "Orsù, o vescovo, rendici il bene che io e Cristo ti abbiamo dato in cura alla presenza della Chiesa, di cui sei il capo e che ne è testimone". 13. Egli dapprima rimase colpito, credendo di essere accusato di avere rubato ricchezze che non aveva mai preso. Ma non poteva non credere a Giovanni per quelle cose che non aveva mai avuto e non prestare fede alla sua parola. Così Giovanni gli disse: "II giovane ti chiedo, e l'anima del fratello". Il presbitero, volgendo gli occhi in basso e scoppiando in lacrime, disse: "Costui è morto". "Come e di quale morte?". "E morto a Dio", rispose; "è divenuto infatti malvagio e dissennato, ma soprattutto brigante, e, invece di stare in Chiesa, se ne sta rintanato sui monti con una banda di uomini suoi pari". 14. L'apostolo, strappata-si la veste, gemette a lungo e, battutosi il capo, disse: "Bella custodia all'anima del fratello ho lasciato! Portatemi un cavallo e qualcuno mi faccia da guida per il cammino"; e parti da quella Chiesa così come era. 15. Giunto sul luogo, venne preso dall'avanguardia dei briganti, ma non tentò la fuga, ne implorò la propria libertà, ma gridò: "Conducetemi dal vostro capo, perché è per lui che sono venuto". 16. Questi lo aspettava armato e, riconosciuto Giovanni che entrava, preso da vergogna, cercò di darsi alla fuga. 17. Ma l'apostolo, dimentico della sua età, si mise ad inseguirlo con tutte le sue forze gridando: "Perché fuggi, figlio, da me, tuo padre disarmato e vecchio? Abbi pietà di me, figlio, non temere; hai ancora speranza di salvezza. Io chiederò venia a Cristo per tè; se necessario, morirò volentieri al tuo posto, come ha fatto il Signore per noi; per la salvezza della tua anima darò la mia. Fermati; credimi, Cristo mi ha mandato". 18. Uditelo, dapprima si fermò abbassando lo sguardo; poi gettò via le armi e, tremando, pianse amaramente. Abbracciò il

vecchio che si avvicinava a lui, implorando il suo perdono, come poteva, tra i singhiozzi e le lacrime, con le quali fu battezzato nuovamente; ma nascondeva la destra. 19. Giovanni, avvicinatesi, gli giurò che aveva trovato perdono per lui presso il Salvatore e, pregandolo in ginocchio e baciandogli la destra ormai mondata dal pentimento, lo ricondusse alla Chiesa. Supplicandolo con assidue preghiere, combattendo con lui in continui digiuni e affascinando la sua mente con Ì vari incanti dei suoi discorsi, non lo abbandonò, come si dice, se non prima di averlo restituito alla Chiesa, lasciando così un grande esempio di vero pentimento e di grande monito di rinascita, trofeo della resurrezione evidente a tutti" 84.

24. lordine DEI vangeli

1. Ho riferito questo racconto di Clemente per il contenuto e per l'utilità che ne ricaveranno coloro che lo leggeranno.

Orsù, elenchiamo le opere indiscusse dell'apostolo Giovanni. 2. Per prima cosa si deve riconoscere autentico il Vangelo secondo Giovanni, noto a tutte le Chiese della terra. Chiarirò ora perché gli antichi, a ragione, gli hanno assegnato il quarto posto dopo gli altri tré. 3. Quegli uomini divini e veramente degni di Dio, dico gli apostoli del Cristo, che conducevano una vita proba e avevano ornato le loro anime di ogni virtù, inesperti di arte oratoria, ma coraggiosi per la potenza divina e miracolosa data loro in dono dal Salvatore, non seppero e non tentarono neppure di annunciare con persuatrice arte sofistica gli insegnamenti del Maestro, ma, forti della manifestazione dello Spirito divino che operava in loro e della sola potenza del Cristo operatrice di miracoli, che agiva per loro tramite, fecero conoscere a tutto il mondo il regno dei cieli, dandosi poco pensiero della bellezza stilistica.

8-1 Chi è il ricco che si salva?, 42.

4. Facevano questo perché erano preposti ad un servizio più grande e superiore alla condizione umana. Paolo pertanto, quantunque espertissimo nell'arte di elaborare discorsi e ingegnoso nei pensieri, non scrisse che brevissime lettere, sebbene avesse da dire mille cose, per di più ineffabili, che era stato reputato degno di udire quando aveva sfiorato la bellezza meravigliosa del terzo ciclo ed era stato rapito fin nello stesso Paradiso divino. 5. Delle stesse cose non furono privati neppure gli altri che avevano frequentato il nostro Salvatore: i dodici apostoli, i settanta discepoli e innumerevoli altri. Ma fra tutti coloro che furono vicini al Signore, soltanto Matteo e Giovanni hanno lasciato le loro memorie che, si dice, misero per iscritto perché ne avvertivano la necessità. 6. Matteo, che in un primo momento predicò la buona novella agli Ebrei, quando stava per andare anche presso altri popoli, compose nella lingua patria 85 il proprio Vangelo, sostituendo, con esso, la sua presenza presso coloro che lasciava. 7. Si dice che, quando Marco e Luca avevano ormai redatto i loro Vangeli, Giovanni, che aveva sempre predicato oralmente, decise di scrivere il suo Vangelo per il seguente motivo. Si dice che egli approvò i primi tré Vangeli già scritti e noti a tutti e anche a lui,, testimoniandone così la veridicità; decise poi di affidare alla scrittura soltanto d racconto delle azioni compiute da Cristo all'inizio della sua predicazione. 8. Ciò corrisponde a verità: si può infatti constatare che i tré evangelisti hanno dato inizio alla loro narrazione soltanto a partire da ciò che fece il Salvatore in un solo anno, dopo la detenzione in carcere di Giovanni il Battista. -

85 Alcuni studiosi, a partire già da A. von Wldmanstadt (1555), hanno avanzato l'ipotesi che la prima redazione di questo Vangelo fosse in aramaico. Presupposto ne era che l'ebraico non sarebbe più stato parlato ai tempi di Gesù. La scoperta dei manoscritti di Qumran, che sono tutti in ebraico, e la testimonianza di Papia, riportata da Eusebio a 39, 16, che attesta esplicitamente che il Vangelo di Matteo è stata composto nella lingua ebraica, hanno dimostrato l'infondatezza di questa supposizione


9. Dopo aver parlato del digiuno di quaranta giorni e della tentazione che ad esso seguì, Matteo precisa il momento da cui comincia ad esporre gli avvenimenti dicendo: Avendo saputo che Giovanni era sfato arrestato, si ritirò dalla Giudea in Galileo ab; 10. e così pure Marco: Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò in Galileo dc; e Luca, prima di dare inizio alla narrazione delle azioni di Gesù, da una notizia simile, dicendo che Erode chiuse Giovanni in carcere dd, aggiungendo così un altro male a quelli già compiuti. 11. Si dice perciò che l'apostolo Giovanni fu pregato di far conoscere col suo Vangelo il periodo omesso nel racconto dei precedenti evangelisti e le azioni compiute dal Salvatore in questo tempo (in quello cioè anteriore all'arresto del Battista). È lo stesso evangelista ad attestare ciò dicendo: Così Gesù diede inizio ai propn miracolide. E riferendo, tra le altre azioni di Gesù, il battesimo che egli ricevette dal Battista quando costui battezzava nella regione di Euon, vicino Salem, lo dichiara con chiarezza ancora maggiore dicendo: Cosi infatti Giovanni non era stato ancora rinchiuso in carcere ^. 12. Dunque Giovanni, nel suo Vangelo, riferisce le azioni di Cristo anteriori all'arresto del Battista, mentre gli altri tré evangelisti riportano gli avvenimenti successivi alla sua detenzione in carcere. 13. A chi conosce queste cose, non sembrerà più che i Vangeli discordino fra di loro, perché quello di Giovanni riferisce le prime azioni compiute da Cristo, gli altri quelle che egli fece negli ultimi anni della sua vita terrena. Pertanto Giovanni ha omesso di riportare la genealogia secondo la carne del nostro Salvatore, perché già riferita da Matteo e da Luca dh, ma cominciò dalla sua teologia 86, quasi fosse stata riservata a lui, come al migliore, dallo Spirito di Dio.

db Mt 4, 12 ac Me 1, 14 ad Le 3, 20 3,24 ^Mt 1, 1-17

aeGv2, 11

14. Circa la composizione del Vangelo secondo Giovanni basti quanto detto; ed ho già illustrato precedentemente 87 la causa che diede origine a quella del Vangelo secondo Marco. 15. Luca poi, all'inizio del suo Vangelo -", espone il motivo che presiede alla sua composizione, mostrando che, poiché molti altri si erano già adoperati alquanto sconsideratamente nel riferire quegli avvenimenti di cui egli invece si era pienamente informato, spinto da necessità, volendo allontanare da noi le loro dubbie narrazioni, ha tramandato un racconto accurato degli avvenimenti di cui aveva appreso la verità grazie alla frequentazione di Paolo e al contatto e dialogo con gli altri apostoli. 16. Su ciò basti quanto detto; tenterò a tempo debito 88 di illustrare con più precisione, tramite la testimonianza degli antichi, ciò che altri hanno riferito a questo riguardo. 17. Fra gli scritti di Giovanni, oltre al Vangelo, viene ritenuta autentica, sia dai contemporanei sia dagli antichi, anche la sua Prima lettera; le altre due invece sono oggetto di controversia 89. 18. Ma sull'attribuzione dell''Apocalisse ancora oggi molti nutrono gravi dubbi; anche su ciò riferirò al momento opportuno 9Q il giudizio dato dagli antichi nelle loro opere.

25. le sacre scritture RITENUTE DIVINE E QUELLE CHE NON LO SONO

  1. È bene a questo punto riepilogare gli scritti del Nuovo Testamento fin qui esaminati. Al primo posto si devono mettere le divine scritture dei quattro Vangeli, cui seguono gli Atti degli Apostoli', 2. vengono poi le Lettere di Paolo, alle quali seguono la lettera trasmessa come la Prima di Giovanni e la Prima di Pietro. A queste segue, se sembra bene, ^Apocalisse di Giovanni, su cui riferiremo al momento opportuno le diverse opinioni. 3. Questi sono gli scritti autentici. Tra quelli oggetto di controversia, ma noti ai più, sono tramandate la lettera attribuita a Giacomo, quella a Giuda, la seconda di Pietro, e le cosiddette seconda e terza di Giovanni, sia che esse siano da attribuire all'evangelista o ad un suo omonimo. 4. Tra gli scritti non testamentari sono da annoverare invece gli Atti di Paolo 91, il cosiddetto Pastore 92, Apocalisse di Pietro 93, la Lettera detta di Barnaba 94, la cosiddetta Didachè degli apostoli 95, e inoltre, come ho detto, V Apocalisse di Giovanni, se sembra il caso: alcuni, come ho detto, ne negano l'autenticità, altri invece la annoverano fra gli scritti autentici dell'apostolo. 5. Ormai fra questi ultimi alcuni hanno incluso anche il Vangelo secondo gli Ebrei 96, gradito soprattutto agli Ebrei che hanno accolto il Cristo.

ah Le 3, 23-38. -"Lei, 1-4

86 Sul significato di questo termine cf supra. I, n 8.

87 Cf supra, II, 15

88 Cf infra, VII, 25

89 Non è questo il luogo per trattare di una così lunga e complessa questione. Su di essa cf O. Cullmann, Introduzione al Nuovo Testamento, cit, pp 125-126 ^ Cf. n 88

91 Cf n. 10.

92 Cf n 11. ^ Ci. n 7

94 Con Eusebio concorda anche Girolamo, Gli uomini illustri, 6 Lo scritto appartiene alla seconda metà del I secolo d C Per una trattazione più ampia cf M Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit, pp 38-39

95 L'opera, composta nel 50-60 d C (ma secondo altri nel 150), contie ne norme liturgiche riguardanti il battesimo, il digiuno, la preghiera, l'eucaristia, l'elezione dei vescovi e dei diaconi, e traccia un quadro della vita religiosa dei primi cristiani dopo la morte degli apostoli

96 Si tratta di un apocrifo Di esso parla Girolamo, Gli uomini illustri, 2, che ne curò una traduzione greca e latina Egli riferisce che esso era m uso presso i Nazareni, i giudeo-cristiani di Siria e Palestina di lingua ebraica, che lo ritenevano il testo aramaico originale del Vangelo di Matteo La presenza di stretti punti di contatto con quest'ultimo ha fatto supporre ai moderni che si tratta di una rielaborazione, e non dell'originale, del testo aramaico dell'evangelista.


6. Tutti questi sarebbero fra i testi controversi, che è stato necessario elencare per distinguere le opere autentiche, vere e accettate da tutti in base alla tradizione ecclesiastica da quelle che non soltanto non sono testamentarie, ma anche di discussa autenticità, e tuttavia note a gran parte degli scrittori ecclesiastici, per potere distinguere le autentiche da quelle redatte dagli eretici sotto il nome degli apostoli: i Vangeli di Pietro 97, di Tom-maso 98, di Mattia " e di alcuni altri oltre questi, gli Atti di An-drea 100, di Giovanni loi e degli altri apostoli102. Nessuno degli autori ecclesiastici che si succedettero nei tempi li ha ritenuti degni di menzione nelle proprie opere: 7. non solo il carattere in cui sono composti questi scritti, di gran lunga differente da quello apostolico, ma anche il pensiero e la dottrina in essi esposti, lontanissimi dalla vera ortodossia, rendono manifesto infatti che sono stati composti da eretici. Pertanto non devono essere annoverati neppure tra le opere non testamentarie, ma rigettati come completamente insensati ed empi.

97 Cf. supra, n. 5.

98 L'opera, risalente al II secolo e nota in diverse recensioni (greca, latina, siriaca, armena, georgiana, etiopica), racconta in modo alquanto leggendario la vita di Gesù fino al dodicesimo anno di età.

99 Lo scritto è di origine gnostica. È identifìcabile forse con le Tradizioni di Mattia, attestato in Clemente di Alessandria, Stremata, 2, 9, 4; 3, 4, 26; 7, 13, 82. Esso è andato perduto.

100 L'opera è di origine gnostica. Essa è giunta in stato frammentario e tramanda la storia di Andrea e Mattia nel paese degli Antropofagi e degli apostoli Pietro e Andrea, il martirio di Andrea e il discorso dell'apostolo nel carcere di Patrasso.

101 Scritto eretico con tendenze al docetismo. Rimangono solo tré frammenti negli Atti del secondo concilio di Nicea (787), contenenti un inno al Signore e una predica di Giovanni. 102 Filippo, Timoteo, Matteo, Bartolomeo, Marco, Barnaba.

26. il MAGO menandro

1. Proseguiamo nella nostra narrazione. Menandro, succeduto a Simon Mago, si rivelò con le sue azioni strumento della forza diabolica pari al suo predecessore. Era anch'egli samaritano e, giunto al più alto grado di magia, non inferiore a quello del maestro, fu prodigo di fandonie ancora più grandi, proclamandosi il Salvatore inviato dall'alto del cielo per la salvezza degli uomini da eoni invisibili, 2. e insegnando che nessuno, neppure fra gli stessi angeli creatori del cosmo, avrebbe potuto salvarsi se non si fosse prima sottoposto all'esperienza della magia da lui proposta e non avesse ricevuto il battesimo da lui impartito: coloro che ne sarebbero stati infatti resi degni avrebbero partecipato dell'eterna immortalità anche nella vita terrena e non sarebbero mai morti, ma sarebbero rimasti sulla terra giovani in eterno e immortali. Tutto ciò lo si può facilmente apprendere leggendo le opere di Ireneo 103.

3. Anche Giustino 104, dopo aver fatto menzione, nella sua opera, di Simone, spiega la dottrina di Menandro dicendo: "Sappiamo che un tal Menandro, anch'egli uomo di Samarla, del villaggio di Caparotta, discepolo di Simone, spinto, come il suo maestro, dai demoni, si recò ad Antiochia, dove trascinò nell'errore molti con la sua arte magica, persuadendo i suoi ascoltatori che non sarebbero mai morti; e ancora oggi esistono di coloro che, seguendo la sua dottrina, credono in ciò" 105.

4. A causa della potenza demoniaca che agiva in siffatti maghi, che si nascondevano dietro il nome di cristiani, il grande mistero della nostra religione correva il rischio di essere ritenuto opera di magia, e i dogmi della Chiesa sull'immortalità dell'anima e la resurrezione dei morti di essere diffamati a causa loro. Ma coloro che scelsero questi come salvatori hanno allontanato da sé ogni speranza di verità.-

103 Contro le eresie. I, 23, 5.

104 Su questo autore cf. supra, II, n. 50. ^51 Apologià, 26, 4.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 09/01/2004 10.36

27. L'ERESIA DEGLI EBIONITI

1. Il demonio, pur non riuscendo a distogliere alcuni dalla disposizione naturale che fa tendere l'anima al Cristo di Dio, li trasse ugualmente in suo potere, approfittando della loro debolezza. Gli antichi denominarono giustamente questi ultimi Ebioniti, perché avevano concezioni misere e meschine sul Cristo. 2. Lo ritenevano un uomo semplice e comune, che aveva perseguito la virtù migliorando il proprio carattere, generato dall'unione di un uomo con Maria. Avevano un bisogno assoluto di una religione basata sulla Legge, poiché non credevano che si sarebbero salvati solo grazie alla fede in Cristo e ad una vita ad essa conforme. 3. Ma altri, sebbene mèmbri anch'essi della stessa setta, rifiutavano la folle dottrina dei loro compagni, credendo che il Signore nacque da una Vergine e dallo Spirito Santo; ma non riconoscevano, come loro, la preesistenza di Dio Verbo e Sapienza, ritornando così nell'empietà dei primi, soprattutto per la valorizzazione dell'osservanza materiale della Legge, proprio come quelli. 4. Ritenevano che si dovessero rigettare del tutto le lettere dell'apostolo Paolo, che denominavano "apostata della Legge", e facevano uso soltanto del Vangelo detto secondo gli Ebrei106, tenendo in pochissimo conto gli altri; 5. e, come gli Ebrei, erano rispettosi del Sabato e di ogni altra usanza giudaica, ma osservavano le Domeniche a ricordo della resurrezione del Salvatore, quasi come noi. 6. Il loro comportamento da spiegazione del nome di Ebioniti, che attesta la povertà della loro intelligenza: "il povero" infatti viene designato nella lingua ebraica con il termine "ebionita".

106 Cf. supra, n. 96.

28. L'ERESIARCA cerinto

1. Sappiamo che in questi tempi capo di un'altra eresia fu Cerinto. Gaio 107, le cui parole sono state già prima da me citate 108, nella sua Ricerca, a noi pervenuta, scrive di lui: 2. "Ma anche Cerinto, dicendo il falso, sulla base di rivelazioni che sarebbero state scritte da un grande apostolo narra avvenimenti straordinari che gli sarebbero stati svelati dagli angeli, dicendo che, dopo la resurrezione, il regno di Cristo sarebbe venuto di nuovo sulla terra e che i cittadini di Gerusalemme sarebbero stati nuovamente schiavi dei desideri e dei piaceri. Ed essendo nemico delle Scritture di Dio, ingannava Ì suoi ascoltatori, insegnando loro che ci sarebbe stata una festa nuziale della durata di mille anni".

  1. E anche Dionigi 10<?, che ai nostri tempi detiene l'episcopato nella diocesi di Alessandria, riportando nel secondo libro delle Promesse, riguardo ^Apocalisse di Giovanni, notizie desunte dalla tradizione degli antichi, fa menzione dello stesso personaggio con queste parole: 4. "Cerinto, fondatore dell'eresia che da lui prese il nome di cerintiaca, volle dare ad essa un nome degno di fede. 5. Il dogma del suo insegnamento era infatti che il regno di Cristo sarebbe venuto sulla terra. E, da uomo incline ai piaceri del corpo e della carne, diceva che esso avrebbe avuto a fondamento ciò che egli desiderava, il pieno soddisfacimento dei piaceri del ventre e di ciò che sta sotto il ventre, cioè il gozzovigliare, il bere, l'avere rapporti non leciti, feste, sacrifici e immolazioni di vittime sacre, tutte cose che facevano ritenere la sua dottrina più encomiabile di ogni altra".

107 II riferimento è a Filone, per il quale cf. supra, II, 4, 2; 17-18, e n. 19. 1^ Ct.supra, II, 25, 6.

109 Discepolo di Origene, fu a capo della scuola catechetica di Alessandria dal 231 al 232 d.C. Per le opere da lui composte cf. infra, VI, 45, 46; VII, 4; 24; 26. Nell'opera Le promesse, di cui si conservano solo frammenti, negava l'autenticità Agl'Apocalisse di Giovanni. Di essa Eusebio cita un'ampia pagina (infra, VII, 25). Una trattazione più ampia in M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 130-132.



6. Questo dice Dionigi. Ireneo, dopo aver esposto nel primo libro del Contro le eresie alcune delle sue false dottrine più indicibili 110, riferisce nel terzo anche la seguente storia degna di ricordo, ripresa, come dice, dalla tradizione di Policarpo m. Un giorno l'apostolo Giovanni entrò in un bagno pubblico per lavarsi. Ma, saputo che dentro c'era anche Cerinto, fuggendo verso la porta, si allontanò da quel luogo, non sopportando di starsene sotto lo stesso tetto con lui, e consigliò ai suoi compagni di fare altrettanto dicendo: "Scappiamo, prima che il bagno crolli per la presenza di Cerinto, nemico della verità" 112.

29. nicola E COLORO CHE DA LUI HANNO DESUNTO IL PROPRIO NOME

1. Oltre a queste eresie si affermò, ma per poco tempo, anche quella detta dei Nicolaiti, ricordata anche nell’ Apocalisse di Giovanni ^. Costoro magnificavano Nicola, uno dei diaconi insieme a Stefano, designati dagli apostoli per il servizio ai bisognosi. Clemente di Alessandria, nel terzo libro degli Stremata 113, riporta su di lui questo racconto: 2. "Costui, biasimato dagli apostoli, dopo l'ascensione del Salvatore, per la gelosia che aveva verso la moglie, donna di esimia bellezza, condusse quest'ultima in mezzo a loro, offrendola in sposa a colui che la voleva.

a) Ap 2, 6, 15.

110 Contro le eresie. I, 26, 1.

111 Famoso martire cristiano, autore di alcune lettere a varie comunità. Su di lui cr. infra, IV, 14-15 e M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., p.37.

112 Contro le eresie. III, 3, 4.

113 Sugli Stremata e sulle altre opere di Clemente di Alessandria cf. supra. I, n. 79.

Dicono che egli accompagnò a questa azione la frase: "occorre disprezzare la carne". Coloro che partecipano alla sua eresia, fraintendendo ciò che egli fece e disse in modo semplice e puro, si prostituiscono senza pudore. 3. Ma io so che Nicola non si unì a nessun'altra donna se non a quella che aveva sposato; dei suoi figli le femmine si mantennero vergini fino alla vecchiaia, il maschio rimase sempre puro. Stando così le cose, il condurre fra gli apostoli la donna di cui era geloso simboleggiava il rifiuto di ogni passione, e il "disprezzare la carne" insegnava il dominio dei piaceri più desiderati. Non credo, infatti, che egli volesse, contro il comandamento del Signore, "servire due padroni", il piacere e il Signore. 4. Dicono pertanto che anche Mattia, non abbandonandosi affatto al piacere, abbia insegnato a combattere e disprezzare la carne e a far crescere l'anima con fede e conoscenza" 114.

Questo dunque basti su coloro che nei tempi che stiamo esaminando misero mano a falsare la verità, ma che scomparvero del tutto in men che non si dica.

30. gli APOSTOLI CHE SI UNIRONO IN MATRIMONIO

1. Clemente inoltre, subito dopo le parole che ho appena riferito, elenca, per confutare coloro che disprezzano il matrimonio, quegli apostoli che si legarono in vincoli matrimoniali, dicendo: "Forse che condanneranno anche gli apostoli?

dk 1 Cor 9, 12. 114 Stromata.m,^-^.


Pietro e Filippo infatti generarono figli, e Filippo diede le sue figlie in spose. Paolo poi non esita, in una lettera ak, a menzionare una donna a lui coniugata, che non aveva portato con sé per avere maggiore libertà nella sua missione" 115.

2. Dopo aver ricordato queste cose, non è disdicevole riportare anche un'altra storia degna di essere raccontata, riferita dallo stesso autore nel settimo libro degli Stremata con queste parole: "Dicono dunque che il beato Pietro, vedendo la sua sposa ormai vicina alla morte, gioì del fatto che essa veniva chiamata a far ritorno nel luogo da cui era venuta; e per incoraggiarla ed esortarla, la chiamò per nome e le disse: "Ricordati, cara, del Signore". Di tal natura era il matrimonio dei beati e la perfetta disposizione dell'anima di coloro che sono carissi-mi a Dio" 116.

E stato questo il momento opportuno di riferire queste notizie, perché strettamente congiunte ai fatti che sto esponendo.

•31. morte DI giovanni E DI filippo

1. Ho già trattato prima 117 del tempo e del modo in cui morirono Paolo e Pietro, e anche del luogo della loro sepoltura dopo la morte. 2. Si è già parlato anche del tempo di Giovanni 118. Il luogo della sua sepoltura è indicato in una lettera indirizzata da Policrate, vescovo della Chiesa di Efeso, a Vittore, vescovo di Roma, in cui si fa menzione allo stesso tempo di Giovanni, dell'apostolo Filippo e delle sue figlie con queste parole: 3. "Grandi astri si sono oscurati in Asia; essi risorgeranno l'ultimo giorno della venuta del Signore, quando egli scenderà dal cielo nella gloria e radunerà tutti i santi, Filippo, uno dei dodici apostoli, sepolto a lerapoli, e le sue fìglie, che si mantennero vergini fino alla vecchiaia. La terza figlia, vissuta sotto la guida dello Spirito Santo, è sepolta ad Efeso. Anche Giovanni, colui che posò sul petto del Signore, che fu sacerdote, indossò il pétalon 119 e fu maestro e martire, è sepolto ad Efeso". 4. Questo per quanto riguarda la loro morte. Nel dialogo di Gaio, menzionato poco sopra 120, Proclo, con cui era in disaccordo, riporta la stessa versione della morte di Filippo e delle sue fìglie, concordante con ciò che abbiamo fin qui riferito: "Dopo di lui, quattro profetesse, figlie di Filippo, giungono a lerapoli, città dell'Asia; qui si trova la loro tomba e quella del loro padre". Questo è quanto egli racconta. 5. Anche Luca, negli Atti degli Apostoli, ricorda le fìglie di Filippo, che vivevano insieme col padre a Cesarea di Giudea e che furono onorate del dono della profezia. Dice l'apostolo: Arrivati a Cesarea ci recammo a casa di Filippo l'evangelista, uno dei sette, da cui ricevemmo ospitalità. Questi aveva quattro figlie vergini, profetesse d1.

6. Ho passato in rassegna ciò che sapevo sugli apostoli, sui loro tempi, sugli scritti sacri che ci hanno lasciato, su quelli controversi, di cui tuttavia molti fanno pubblica lettura in moltissime Chiese, e su quelli non testamentari e lontani dall'ortodossia apostolica. Proseguiamo ora nella nostra opera passando alla narrazione degli avvenimenti successivi.

115 Stromata, III, 52-53. \\b cromata. VII, 63-64.

117 Cf. ^^11,25.

118 Cf. supra, 23,3-4.

•^21,8-9.

119 Lamina d'oro posta sopra la mitra del sacerdote ebraico.

120 Su di lui ci. supra, II, 25, 6-7 e n. 115.

32. il MARTIRIO DI SlMEONE, VESCOVO DI gerusalemme



1. Si racconta che dopo Nerone e Domiziano, sotto l'imperatore 121 del cui tempo ci stiamo ora occupando, in ogni città scoppiò, in seguito ad una rivolta popolare, la persecuzione contro di noi; sappiamo che durante questa Simeone, figlio di Cleopa, nominato, come abbiamo già detto 122, secondo vescovo della Chiesa di Gerusalemme, subì il martirio. 2. Di questo è testimone quello stesso Egesippo, delle cui parole anche in precedenza, in varie occasioni123, mi sono servito. Egli, parlando di certi eretici, racconta che Simeone, da loro denunciato in quel tempo, fu torturato per moltissimi giorni perché cristiano, colpendo enormemente il giudice e coloro che gli stavano intorno; morì infine allo stesso modo del Signore. 3. Ma è meglio cedere la parola all'autore, che racconta l'episodio dicendo testualmente: "Alcuni di questi eretici denunciarono Simeone, figlio di Cleopa, accusandolo di essere discendente di Davide e cristiano. Così, all'età dei centoventi anni, subì il martirio per testimoniare la sua fede in Cristo, al tempo di Cesare Traiano e del console Attico 12-^". 4. Lo stesso scrittore racconta che, mentre venivano ricercati i Giudei di stirpe regale, i suoi accusatori furono uccisi perché ritenuti appartenenti ad essa. Servendoci pertanto come prova della durata della sua vita e del fatto che i Vangeli ricordano Maria, figlia di Cleopa, del quale anche Simeone era figlio, come si è sopra detto, a ragione si può concludere che Simeone appartenne al numero di coloro che videro e ascoltarono il Signore. 5. Lo stesso scrittore dice che anche altri discendenti di uno di quelli che erano ritenuti fratelli del Salvatore, di nome Giuda, vissero fino al tempo del suddetto imperatore. E dopo la testimonianza, riferita già prima 125, della loro fede nel Cristo sotto Domiziano, scrive: 6. "Dirigono ogni Chiesa come testimoni e discendenti del Signore; e vissero fino al regno di Cesare Traiano, in un periodo in

cui regnava una pace profonda in ogni Chiesa; sotto questo imperatore il figlio dello zio del Signore, il già menzionato Simeone, figlio di Cleopa, fu denunciato dagli eretici e processato an-ch'egli per la stessa accusa al tempo del console Attico. Egli, sottoposto a tortura per molti giorni, rese la sua testimonianza di fede, facendo stupire, fra tutti gli altri, anche il console di come un uomo, dell'età di centoventi anni, potesse avere una simile resistenza. Si comandò poi di crocifiggerlo". 7. Inoltre lo stesso autore, raccontando ciò che avvenne nei tempi di cui stiamo parlando, riferisce anche che la Chiesa rimase fino a quel momento pura e casta come una vergine, poiché coloro che tentarono di distruggere la salutare regola dell'annuncio della salvezza, se ne esisteva qualcuno, rimasero nascosti fino ad allora nella tenebra più oscura. 8. Ma quando morirono in varie circostanze la sacra schiera degli apostoli e la stirpe di coloro che furono resi degni di ascoltare Cristo, saggezza divina, con le proprie orecchie, allora cominciò a sorgere l'empio errore per le falsità diffuse da maestri menzogneri che, approfittando del fatto che nessun apostolo era rimasto più in vita, cercarono, ormai a viso aperto, di sostituire una falsa conoscenza all'annuncio della verità.

121 II riferimento è a Traiano.

122 Ci.supra, 11. 12^ Cf supra, II, 23, 3ss; supra, III, 11; 16; 20, Iss.

124 Attico fu console in Giudea dal 99 al 103 d.C.

125 Cf. supra, 20, Iss.

33. traiano PROIBÌ DI RICERCARE I cristiani

1. In più luoghi scoppiò in quel tempo una così grande persecuzione contro di noi che Plinio Secondo 126, il più illustre fra i procuratori di Roma, colpito dal grande numero di martiri, riferì all'imperatore il numero di coloro che avevano dato la loro vita per la fede. -

126 Nipote dello scienziato Plinio il Vecchio, nacque a Como nel 61 o 62 d.C. Venuto ben presto a Roma, divenne discepolo di Quintiliano. Nel 100, per celebrare la propria nomina a console, compose il Panegirico, in cui esalta l'imperatore Traiano come il restauratore della libertà soppressa da Domiziano. Nel 110 divenne governatore di Bitinia. Fu anche autore di un importante Epistolario in dieci libri.


Gli rese noto anche che essi non venivano colti a dire qualcosa di empio ne a commettere qualcosa di illegale. SÌ alzavano all'alba, scriveva, per cantare inni al Cristo come ad un dio, ed erano per loro azioni empie commettere adulterio, uccidere e altri crimini simili. Gli disse inoltre che essi vivevano e si comportavano secondo le leggi 127. 2. A queste parole Traiano emanò un decreto, che ordinava di non ricercare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati. In parte perciò si spense la minaccia della persecuzione che ci incalzava violentemente. Ma non per questo a coloro che volevano nuocerci mancavano i pretesti per farlo; ormai infatti sia il popolo sia i comandanti di ogni singola regione macchinavano insidie contro di noi, così che, anche senza persecuzioni aperte, se ne svilupparono di parziali nella provincia, e molti fedeli andarono incontro a martiri di ogni tipo. 3. Il racconto di questi avvenimenti è stato desunto dall’ Apologetico di Tertulliano, scritto in latino, già menzionato sopra 128, che noi riportiamo: "Eppure abbiamo saputo della proibizione di darci la caccia. Plinio Secondo, governatore di una provincia, giudicò e condannò alcuni Cristiani; ma, sbigottito dal loro numero, non sapendo co-s'altro fare, scrisse all'imperatore Traiano, dicendogli di non aver trovato in loro niente di empio se non il rifiuto di adorare gli dei pagani. Gli disse anche che i Cristiani si svegliavano all'alba per innalzare un canto a Cristo come al loro dio, e che la loro dottrina proibiva di uccidere, fornicare, essere avidi, rubare e altre cose simili. A queste notizie Traiano rispose di non perseguitare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati" 129. Anche questi furono avvenimenti di quel tempo.

128 Cf. supra, II, 2, 4; 25, 4; supra, 20, 7.

129 Apologetico, 2,6-7.

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