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Insegnanti di Religione Cattolica (IRC) e lo Stato laico

Ultimo Aggiornamento: 11/09/2009 18:53
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lunedì 17 agosto 2009

inserirò a seguire una serie di articoli ed interventi di padre Giovanni Scalese che condivido pienamente sulla questione degli Insegnanti di Religione Cattolica e la situazione attuale con lo Stato laico....dal suo Blog SENZA PELI SULLA LINGUA



Ferrara, l'IRC e l'America

L’altro giorno Giuliano Ferrara, prendendo spunto dalle recenti polemiche sull’ora di religione, ha lanciato da Il Foglio una interessante proposta. La Chiesa, dovrebbe, secondo lui, restituire allo Stato i “privilegi”, che le sono stati riconosciuti col Concordato, in cambio della piena libertà di educazione, sul modello americano: «Il Papa restituisce allo stato le sue prerogative concordatarie in materia di insegnamento religioso, o almeno quelle che oggi suonano come rendite di posizione anacronistiche, e lo stato spezza il monopolio culturale antiliberale costituito dalla scuola unica pubblica e dal suo mito».

La proposta mi sembra interessante per il suo carattere provocatorio, che ci induce a riflettere, ma difficilmente realizzabile, perché non si tratta di un “aggiustamento” dei vigenti accordi fra Chiesa e Stato, bensí di una vera e propria “rivoluzione” costituzionale. Oltre tutto, discutibile. Andiamo per ordine.

Che l’attuale ordinamento dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) sia il frutto di un compromesso, è stato evidente fin dal momento della firma dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense (1984). Che ci siano delle contraddizioni, non può essere negato da nessuno: si tratta di un insegnamento opzionale non confessionale, affidato a insegnanti pagati dallo Stato, ma nominati e controllati dalla Chiesa. Se l’insegnamento non è confessionale, ma culturale, non si capisce perché debba essere opzionale; si capirebbe la sua non obbligatorietà se si trattasse di una forma di catechesi (ma questa viene categoricamente esclusa). Se gli insegnanti (si badi bene, di un insegnamento non confessionale) sono pagati dallo Stato, non si vede perché debbano poi dipendere dall’autorità ecclesiastica, che ha la facoltà non solo di nominarli, ma anche di rimuoverli. Inoltre, non è stato mai chiarito l’inserimento di tale disciplina nel contesto scolastico: se ha la stessa dignità delle altre materie, dovrebbe essere in tutto equiparata a quelle (nella metodologia, nella valutazione, ecc.) e gli insegnanti dovrebbero godere degli stessi diritti-doveri degli altri docenti; ma sappiamo che tutto ciò non avviene.

Appare dunque evidente che ci sia bisogno di un riaggiustamento, che non è certo quello prospettato dal TAR del Lazio (secondo il quale “un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”; lasciatemi dire, non hanno capito nulla). Secondo me si dovrebbe optare fra le due possibilità: o un insegnamento confessionale opzionale (una vera e propria catechesi), con insegnanti pagati e nominati dallo Stato (ma con il gradimento dell’autorità ecclesiastica); oppure un insegnamento non confessionale della religione cattolica, obbligatorio per tutti (tutti, anche i non credenti, hanno bisogno di conoscere la religione cattolica, se vogliono capire qualcosa della storia, della cultura e della civiltà italiana), con insegnanti pagati e nominati dallo Stato (senza alcun intervento dell’autorità ecclesiastica).

Personalmente, non saprei che cosa sia preferibile: forse sono piú incline verso la seconda soluzione, dal momento che mi sembra piú confacente al contesto scolastico; la catechesi trova il suo ambiente naturale nella parrocchia. Sia ben chiaro che, quando parlo di insegnamento non confessionale delle religione cattolica, non mi riferisco in alcun modo a una vaga “storia delle religioni”, ma a una disciplina che abbia come oggetto la conoscenza oggettiva della religione cattolica, senza alcuna finalità si indottrinamento. In ogni caso, mi pare che la cosa piú importante sia fare chiarezza. Ma capisco che non sempre è possibile essere cosí drastici, e il piú delle volte ci si deve accontentare di soluzioni intermedie di compromesso.

Non mi entusiasma affatto invece la proposta Ferrara. Non perché non sia d’accordo con la piena libertà di educazione (potete immaginare che cosa pensi in proposito uno che ha trascorso buona parte della sua vita nella scuola cattolica); ma semplicemente perché non mi convince il modello di società che viene proposto, entro il quale tale libertà di educazione dovrebbe trovare posto.

Non meraviglia che la proposta venga da Ferrara. Il suo punto di riferimento ideale (in questo momento) è il modello americano, un modello che viene considerato pressoché perfetto e al quale tutti dovranno, prima o poi, conformarsi. Non ci si accorge che si tratta di una posizione squisitamente ideologica, che oltre tutto non tiene conto della crisi in cui quel modello versa attualmente. Quel che piú meraviglia è che l’opinione di Ferrara è largamente condivisa, non solo nel mondo laico, ma anche in quello cattolico.

Avevamo già fatto notare, in altra occasione, come lo stesso Pontefice non ne sia immune. Provenendo dall’ambiente accademico, dove è data per appurata la distinzione fra la rivoluzione francese e quella americana, lui stesso ha fatto eco a tale tesi nel discorso rivolto alla Curia Romana il 22 dicembre 2005: «... Ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese» (anche Ferrara non poteva non notare questa simpatia per il «modello americano, abbracciato e lodato da Benedetto XVI nel suo recente e profetico viaggio in America»). Ora però un gesuita americano, Padre John Navone, ci fa notare che, in realtà, «la Rivoluzione americana ebbe una notevole influenza sulla successiva Rivoluzione francese, la quale, a sua volta, esercitò un forte influsso sulle rivoluzioni latinoamericane del XIX secolo e sulla nascita delle Repubbliche a cui esse diedero vita» (“Il nazionalismo americano”:
La Civiltà Cattolica, 16 febbraio 2008; un articolo che va letto per intero per la sua valutazione inedita del sistema americano, con un solo difetto: limita la sua analisi fino agli anni Novanta del secolo scorso, ignorando i successivi, certo non irrilevanti, sviluppi).

Che il sistema americano sia l’ideale di società autenticamente laica (e non laicista) è pura mitologia. Corrisponde a realtà la descrizione che fa Ferrara di tale sistema: «Quel paese costruitosi nella fuga dall’Europa delle guerre di religione, quello spirito repubblicano, quella forma del moderno, nascono come sappiamo da Toqueville all’insegna della libertà di credere, dell’autonomia dei culti, del riconoscimento pubblico dello spazio religioso, ma nella divisione piú rigorosa del campo dello stato e quello delle chiese. Lí Dio non è bandito dalla società o oscurato dall’oblio di massa, la società è ultrasecolarizzata come quella europea, ma il Creatore che legittima ogni diritto è anzi un invitato istituzionale permanente al banchetto delle idee, dei giuramenti, delle questioni non negoziabili che riguardano la cultura della legge naturale». Il problema è: di quale Creatore si tratta? Del Dio dei nostri padri, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe... e di Gesú Cristo, o del Grande Architetto dell’Universo (che, a quanto mi consta, non è stretto parente del Dio vivente rivelatosi in Gesú Cristo)?

Ferrara critica, forse a ragione, la «strana religione repubblicana, religione della Costituzione, buona per il laicismo parrocchiale di serie B che sommerge la cultura italiana»; ma non si accorge che la presenza del Creatore al banchetto americano delle idee, dei giuramenti, ecc. fa parte di una altrettanto strana religione civica, forse meno provinciale di quella italiana, ma pur sempre estranea alla vera religione. Con una differenza: che lí vige una assoluta separazione fra Chiesa e Stato (cosa che non mi sembra poi un ideale da perseguire da parte di un cattolico), mentre in Italia, pur fra mille contraddizioni, ci si sforza di stabilire un rapporto di reciproco riconoscimento e valorizzazione, nel rispetto della distinzione dei rispettivi ruoli. E questo non mi pare poco, considerata la storia che abbiamo alle spalle (e che Ferrara descrive molto bene).

Questo non significa che allora tutto va bene, che possiamo dirci soddisfatti dei risultati raggiunti e riposare sugli allori. È evidente — come si faceva notare a proposito dell’IRC o della libertà di educazione — che ci sono problemi ancora aperti; è ovvio che c’è qualcosa da correggere nel nostro modello “concordatario”. Ma questo non significa che l’unico modello valido alternativo sia quello americano. Ci potrebbero essere altri modelli, forse piú validi di quello americano. Per esempio, io ho avuto la fortuna di sperimentare, negli ultimi anni, un modello che mi sembra migliore sia quello italiano che di quello americano, il modello filippino.

Ovviamente non verrà mai in mente a nessuno di rifarsi a un paese “del terzo mondo”, che si trova oltretutto a fronteggiare gravissimi problemi di carattere sociale, politico, economico e morale. Eppure, io sono rimasto ammirato per la naturalezza con cui, in quel paese, è vissuto il rapporto fra Stato e Chiesa (pur fra inevitabili tensioni). Forse perché i filippini non hanno alle spalle tutte le vicende esaurientemente elencate da Ferrara, ma per loro la presenza del fatto religioso nella società non costituisce alcun problema: il “riconoscimento pubblico dello spazio religioso” — per dirla alla Ferrara — è pacifico, non solo per la Chiesa cattolica (che pure svolge un ruolo di grande autorevolezza, per essere la religione della stragrande maggioranza dei cittadini), ma per qualsiasi altra confessione religiosa. Quello filippino non è uno Stato confessionale; è uno Stato laico nel piú positivo significato del termine; ma in esso le Chiese hanno pieno diritto di cittadinanza, e il loro ruolo è non solo riconosciuto, ma valorizzato e apprezzato dall’autorità civile.

Per quanto riguarda il problema specifico dell’insegnamento della religione cattolica e della libertà di educazione, non mi sembra che sia necessario procedere a una sorta di baratto: rinunciare all’IRC per avere in cambio la piena libertà di educazione, con conseguente scomparsa della scuola di Stato. Sinceramente, non vedo che cosa guadagnerebbero tanto la Chiesa quanto la società civile da tale soluzione. Il riconoscimento della effettiva parità per la scuola cattolica non comporta di per sé la scomparsa della scuola di Stato: le due realtà possono tranquillamente coesistere in un regime di libera concorrenza. Personalmente non credo che la scuola di Stato abbia fatto il suo tempo, e che si debba dare spazio unicamente alla libera iniziativa: questa è pura ideologia; è l’applicazione del liberalismo al campo educativo. La crisi in cui si dibatte il sistema capitalistico, che su quell’ideologia si fonda, dovrebbe farci capire che un intervento dello Stato, non solo in campo economico, ma anche educativo, non solo è possibile, ma forse, in qualche caso, auspicabile.

Meraviglia pertanto che una simile proposta giunga proprio in un momento in cui quel sistema è in piena crisi, sta mostrando tutte le sue debolezze e, diciamolo pure, sta rivelando il suo vero volto.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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mercoledì 19 agosto 2009

IRC ed ecumenismo

Ho dato un’occhiata alla sentenza del TAR del Lazio su “Insegnamento della religione cattolica ed attribuzione dei crediti formativi” (17 luglio 2009). Si tratta della risposta del tribunale amministrativo a due ricorsi (4297/2007 e 5712/2008) presentati da vari enti e associazioni contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana.

Non meraviglia rinvenire, fra le associazioni ricorrenti, la Consulta romana per la laicità delle istituzioni, l’Associazione XXXI ottobre per una scuola laica e pluralista, l’Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, ecc. E neppure meraviglia piú di tanto trovare nell’elenco l’Unione delle Comunità ebraiche italiane. Fanno il loro mestiere.

Ciò che meraviglia è leggere il nome di associazioni quali l’Alleanza evangelica italiana, la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, l’Unione italiana delle Chiese avventiste del 7° giorno, l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, la Tavola valdese, la Federazione delle Chiese pentecostali, la Chiesa evangelica luterana in Italia, il Comitato insegnanti evangelici italiani.

Se devo essere sincero, sembra di essere tornati a fine Ottocento, quando si fece di tutto per cancellare dal volto dell’Italia ogni traccia di cattolicesimo. A quell’epoca tutto veniva buono: non solo si cercò di diffondere il “libero pensiero” innalzando monumenti a Giordano Bruno, ma si tentò anche di fare dell’Italia un paese protestante disseminando nella penisola ogni sorta di chiese evangeliche.

Da allora ne è scorsa di acqua sotto i ponti: c’è stata la conciliazione fra lo Stato e la Chiesa; c’è stato il Concilio Vaticano II; la Chiesa cattolica si è impegnata in un sincero sforzo ecumenico, che sembrava corrisposto dalle altre comunità cristiane. Ci si sarebbe aspettati un atteggiamento piú costruttivo da parte delle Comunità evangeliche nei confronti della Chiesa cattolica. E invece, a stare ai ricorsi presentati al TAR, sembrerebbe che non sia cambiato proprio nulla: l’alleanza anticlericale rimane piú o meno la stessa. A quanto pare, per i nostri fratelli separati, ciò che conta non è il fatto di essere tutti cristiani (pur se con alcune, certo non irrilevanti, differenze); ciò che conta non è unire le forze per contrastare la secolarizzazione dilagante e cercare di diffondere il Vangelo; ciò che conta è dare addosso alla Chiesa cattolica; se necessario, anche alleandosi con gli atei e gli agnostici. Sembra che per loro sia piú quel che li unisce ai non-credenti (la lotta contro la Chiesa cattolica) che non ciò che li unisce alla Chiesa cattolica (la stessa fede cristiana). Ne prendo atto con un senso di profonda amarezza. Non voglio andare oltre. Ma non posso evitare di pormi una domanda: ha ancora senso continuare a insistere in un “dialogo ecumenico”, che sembra non produrre alcun risultato?


*****************************************

dice dunque padre Giovanni:


E invece, a stare ai ricorsi presentati al TAR, sembrerebbe che non sia cambiato proprio nulla: l’alleanza anticlericale rimane piú o meno la stessa. A quanto pare, per i nostri fratelli separati, ciò che conta non è il fatto di essere tutti cristiani (pur se con alcune, certo non irrilevanti, differenze); ciò che conta non è unire le forze per contrastare la secolarizzazione dilagante e cercare di diffondere il Vangelo; ciò che conta è dare addosso alla Chiesa cattolica; se necessario, anche alleandosi con gli atei e gli agnostici. Sembra che per loro sia piú quel che li unisce ai non-credenti (la lotta contro la Chiesa cattolica) che non ciò che li unisce alla Chiesa cattolica (la stessa fede cristiana).

 chi conosce il Difendere la Vera Fede dalla sua fondazione avvenuta nel 2001 sa bene che sono anni che, nel parlare di Ecumenismo, abbiamo spesso sollevato questo problema che sembrava essere inesistente per molti altri, specialmente per quanti sono chiamati a svolgere questo incarico.... Siamo naturalmente amareggiati di constatare che quanto riportavamo anni addietro non è altro che confermato da una penna, anzi da una tastiera, molto più magisteriale della nostra...ciò che conta per molti ecumenici ed anche per molti cattolici dal cuore anticlericale non è portare il Dio Vivo e Vero fra le genti, ma avanzare contro tutto ciò che porta alle direttive della Chiesa Cattolica....avanzare con un cristianesimo SINCRETISTA eliminando tutto ciò che a loro risulta scomodo....



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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giovedì 20 agosto 2009

Ancora su Ferrara e IRC

Un ex-alunno, David, mi ha scritto a proposito della proposta Ferrara. Vorrei condividere con voi il suo messaggio:


«
Confesso che l’idea dello scambio proposto da Ferrara mi fa molta paura: parlo come un cittadino che dai 6 ai 14 anni ha frequentato la scuola pubblica, dai 14 ai 19 la scuola cattolica e dai 19 ai 24 un’università non statale.

Il pericolo è una vera e propria “ispanicizzazione” della società, con una minoranza (magari pure corposa), che è stata formata da Opus Dei, Legionari di Cristo, Gesuiti, Barnabiti ecc., e una grande maggioranza completamente priva di formazione religiosa. L’idea che gli insegnanti di religione giochino ad armi spuntate solo perché non danno voti “pesanti” è contraria allo spirito di questi programmi: ci sono migliaia di docenti di religione che stimolano i loro studenti a una ricerca seria su sé stessi e sulla religione cattolica e certamente non ottengono migliori risultati perché i loro insegnamenti sono accreditati. Il problema non sono i crediti: è un’illusione pensare che gli studenti seguano meglio perché il corso porta profitto. Non scherziamo: potremmo fare un elenco infinito di corsi seguiti poco o male indipendentemente dai crediti!

Mi pare invece che i corsi di religione cattolica abbiano un solo limite: sono al limite della filosofia, come contenuti, mentre in realtà un vero corso di Catholic Studies deve riguardare la storia, la storia dell’arte, l’architettura, le scienze sociali ecc. Come possiamo parlare del cattolicesimo in Italia senza pensare alla sua eccezionale influenza artistica, per esempio? Ogni cattolico dovrebbe alzarsi in piedi col petto pieno di orgoglio perché in fondo i vari Caravaggio e Bernini, Michelangelo e Leonardo, Giotto e Cimabue sono “cosa sua”. La Chiesa non sarà “povera”, come certi sessantottini — ormai grassi e incanutiti — volevano ad ogni costo, ma offre a ognuno dei suoi figli lo spettacolo gratuito delle piú belle architetture barocche e gotiche, dei capolavori d’arte e degli organi piú possenti. E senza pagare il biglietto!»


(....condividiamo sia le lettera quanto la risposta di padre Giovanni 

La lettera su riportata non solo mi riempie di soddisfazione, perché David è stato, appunto, uno degli alunni, a cui ho insegnato religione per svariati anni (allora mi sembrava di perdere tempo; ma, a quanto pare, non è stato tempo sprecato), ma, oltre tutto, mi trova pienamente d’accordo.

Ferrara propone il modello americano, illudendosi che questo possa migliorare la situazione. In realtà, non farebbe che peggiorarla, portando alla polarizzazione ben descritta da David. Forse è per questo motivo che la Chiesa, edotta dalla sua esperienza plurisecolare e sempre con i piedi per terra, in certi casi accetta dei compromessi, che potranno pure lasciare a desiderare, ma che sono sempre meglio di altre soluzioni piú radicali.

È perfettamente vero che il seme gettato da tanti “disarmati” insegnanti di religione è un seme che, alla lunga, dà il suo frutto. Ed è forse proprio per questo motivo che gli anticlericali continuano a combattere l’IRC, nonostante la sua opzionalità: evidentemente si rendono conto della sua “pericolosità”.

Condivido l’osservazione di David circa il limite oggettivo dell’IRC cosí come esso è oggi impostato: lui dice che esso è “al limite della filosofia”. Ciò non è da disprezzare del tutto, in quanto, pur non essendo una forma di catechesi, esso stimola gli studenti alla riflessione sul significato dell’esistenza. Tale aspetto non può essere considerato estraneo alla formazione scolastica; anche altre discipline, quali la filosofia o la letteratura, perseguono la medesima finalità. Il problema è, dal mio punto di vista, la modalità di tale riflessione.

Personalmente ritengo che la scuola non possa essere confusa con un centro di esercizi spirituali; essa deve, sí, stimolare i giovani alla riflessione; ma la peculiarità della scuola è di fare questo trasmettendo la cultura. Penso che anche l’insegnamento della religione cattolica non possa sottrarsi a tale legge fondamentale della scuola. Esso dovrebbe, dal mio punto di vista, svolgere un ruolo “ancillare” di supporto alle altre discipline: se si vuole capire la storia, la filosofia, la letteratura, l’arte, in una parola la cultura e la civiltà italiana, non si può prescindere dalla religione cattolica. Non è questione di essere credenti o non-credenti — questo non c’entra nulla — è questione di essere colti o ignoranti. Per questo dicevo, secondo me, la religione cattolica dovrebbe essere un insegnamento non-confessionale obbligatorio per tutti.



Fraternamente CaterinaLD

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24/08/2009 18:09
 
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Lettera aperta del Patriarca Daniel sull'insegnamento nella scuola secondaria

L'ora di religione in Romania


Bucarest, 24. La religione deve diventare una materia obbligatoria nelle scuole secondarie in Romania:  questa la richiesta avanzata dal Patriarca ortodosso Daniel in una lettera aperta indirizzata, nei giorni scorsi, al Capo dello Stato Traian Basescu.
 
Nel messaggio del Patriarca, capo della Chiesa ortodossa di Romania, si sottolinea che "nel progetto per introdurre l'ora di religione nell'insegnamento delle scuole secondarie, proposto dalla commissione presidenziale per l'analisi e l'elaborazione della politica educativa, viene affermato che la religione non è una materia obbligatoria e non ha uno statuto ufficiale". Il Patriarca sottolinea, invece, che il libero accesso all'educazione religiosa è previsto in modo esplicito dalla Costituzione romena.

Secondo esperti di tematiche costituzionali, l'insegnamento della religione nelle scuole secondarie non può divenire obbligatorio nel quadro legislativo attuale e l'ora di religione potrà essere introdotta solo in modo facoltativo. Questo significa - si sottolinea- che il ministero dell'istruzione in Romania può introdurre nei programmi scolastici delle scuole secondarie una materia per l'insegnamento della religione ma essa non può essere resa obbligatoria. Sarà decisione dei genitori di ciascun allievo consentire, oppure no, che il loro figlio studi anche questa materia.

L'insegnamento dell'ora di religione nelle scuole primarie in Romania è assicurato dalla legge numero 272 del 2004. Questa normativa è in accordo con quanto viene affermato nella Costituzione che prevede il diritto all'educazione religiosa.

L'insegnamento della religione nelle scuole  primarie  è  organizzato  su base confessionale. Gli insegnanti di religione sono in gran parte sacerdoti ortodossi  subordinati  alle  direttive del   Ministero  dell'educazione  e  della ricerca e a quello per i culti religiosi.
 
Secondo le valutazioni di alcuni osservatori internazionali, non sempre l'insegnamento della religione nelle scuole primarie in Romania è rispettoso degli alunni le cui famiglie professano credi diversi. Spesso questi alunni vengono obbligati a partecipare a cerimonie e preghiere comuni proprie della liturgia ortodossa. Alcuni testi scolastici contengono frasi che potrebbero risultare offensive per i credenti di fedi diverse.

Ovviamente, il grado di tolleranza verso gli alunni che professano fedi diverse varia da istituto a istituto. A volte la stampa romena ha riportato episodi d'intolleranza nelle provincie dove è più radicata la tradizione ortodossa. Nelle grandi città, al contrario, in diversi istituti scolastici vi sono state iniziative didattiche per illustrare agli alunni i contenuti di fedi diverse e offrire loro una educazione basata sul rispetto delle fedi diverse.


(©L'Osservatore Romano - 24-25 agosto 2009)
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26/08/2009 19:28
 
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Il cardinale Urosa contro la legge che esclude l'insegnamento della materia

Appello in Venezuela
per l'educazione religiosa nelle scuole


Caracas, 26. L'arcivescovo di Caracas, cardinale Liberato Jorge Savino Urosa, difende il diritto dei genitori di chiedere che nelle scuole venezuelane si introduca il corso di religione e ha ammonito che esiste nello Stato una predisposizione a monopolizzare l'educazione, sia che si tratti di scuole pubbliche che di private.

"Il fatto è che esiste una tendenza - ha spiegato il porporato - e non dico che si trovi nella legge, da parte di  molti rappresentanti dell'educazione  dell'attuale Governo, a far sì che lo Stato  monopolizzi  le scuole e l'educazione e non si fa parola della libertà e del diritto  che hanno persone e associazioni di stabilire istituzioni educative".

Il cardinale ha sottolineato come il popolo venezuelano sia rimasto sorpreso da questo nuovo progetto di legge sull'educazione, di cui la società non è assolutamente a conoscenza, e che pone le basi per lo sradicamento dell'insegnamento religioso nelle scuole, sebbene la Costituzione garantisca il diritto dei genitori di pretendere che la formazione religiosa per i propri figli sia in accordo con le proprie convinzioni.
 
"Eliminare la religione dalle scuole - ha ammonito il porporato - andrebbe anche contro la costituzione nazionale. Con la scusa della laicità si vuole cancellare con un tratto di penna una storia antica di secoli, perché in Venezuela si insegna la religione nelle scuole da sempre".

Il cardinale ha ricordato che "una cosa è che lo Stato sia laico e che l'educazione sia laica, nel senso che non si favorisca una religione specifica, e altra cosa è che si elimini completamente l'aspetto religioso da quella che è la formazione integrale del bambino e del giovane adulto".

In questo senso, il cardinale ha ricordato che anche Simón Bolivar, menzionato varie volte dal presidente Hugo Chávez, sottolineò l'importanza della religione nella formazione dei popoli affermando che "la morale senza la religione è priva di fondamento. Questa - ha detto il porporato - è una massima immensa di Bolivar, che riflette la necessità che ha l'essere umano di elevarsi verso Dio".

Il cardinale ha espresso la sua meraviglia che il dibattito su questa nuova legge si svolga quando le scuole sono chiuse, per questo ha chiesto all'Assemblea nazionale di posporre la discussione dopo le vacanze estive, quando i maestri, responsabili dell'educazione, ritorneranno al lavoro nei loro istituti.

Il porporato, inoltre, non è d'accordo sul fatto che la legge riguardi tutte le scuole, comprese quelle cattoliche. Se l'iniziativa verrà approvata, non si potrà insegnare religione neanche negli istituti appartenenti a una qualsiasi denominazione religiosa. "Un'istituzione religiosa che ha il diritto di educare e che ha fondato delle scuole - ha spiegato - ha il diritto di trasmettere anche la sua religione ai bambini che vanno e frequentano questa scuola".

Più volte il cardinale ha chiamato i venezuelani a partecipare su questo tema. "Bisogna andare alle assemblee, alle riunioni e alle manifestazioni pacifiche sempre nel rispetto della legge e della costituzione cercando sempre la pace e l'unità. Non ci si deve accontentare delle promesse, ma occorre prendere coscienza che le leggi imposte dal Governo possono essere sottoposte a una revisione prevista dalla costituzione stessa con un referendum abrogativo".

Secondo il porporato, la recente legge è stata approvata dall'Assemblea nazionale senza prendere in considerazione i settori dell'opposizione e della società che chiedevano il rinvio della discussione per raggiungere un pieno consenso. Il cardinale ha pure deplorato il linguaggio conflittuale del Governo che "invece di cercare l'unità del popolo venezuelano, facilita lo scontro e la repressione di coloro che la pensano diversamente".

L'arcivescovo di Caracas ha anche respinto i recenti attacchi ricevuti dal vicepresidente dell'Assemblea nazionale, Saul Ortega.

"Possono dire di me che ho delle opinioni diverse - ha spiegato - ma non che io dica bugie alla gente. Una cosa è avere opinioni opposte dai componenti del Governo, un'altra è raccontare bugie".

"La Chiesa in Venezuela - ha osservato il cardinale - avrebbe comunque fatto tutto il possibile per portare avanti l'insegnamento religioso, nella misura in cui la legge lo consente, ma fuori dell'orario scolastico è quasi impossibile portare questa elevazione spirituale e morale ai bambini venezuelani. L'educazione religiosa è un diritto che è già stato consacrato e un'istruzione pluralista e nazionalista non può andare a detrimento di questi diritti".

La legge organica sull'istruzione prevede che il processo educativo sia assunto con una visione democratica basata su principi di libertà di coscienza, solidarietà, tolleranza, rispetto e giustizia. La legge cercherà di sottolineare l'educazione ambientale, linguistica, storica e geografica, perché secondo alcuni suoi sostenitori questi elementi "sono legati alla sovranità del Paese". Questa sensibilità democratica non sembra però riguardare la libertà di fede. Per questo il cardinale Urosa ha esortato a "mantenere l'educazione religiosa in base all'orientamento dei genitori e degli alunni che studiano in una determinata scuola. La legge attuale - ha ribadito l'arcivescovo di Caracas - non deve lasciare indietro quella conquista, che non è altro che il riconoscimento della necessità che il popolo venezuelano abbia una formazione religiosa".

Nella nuova legge sull'istruzione è importante che si tenga conto non solo del pluralismo democratico, dell'apertura della legge a tutte le correnti di pensiero, del diritto e della responsabilità della famiglia, ma anche che lo Stato non sia un fattore unico dell'istruzione, che non ci sia un monopolio dell'istruzione da parte sua. Allo stesso modo, il cardinale ha concluso esortando l'associazione venezuelana per l'educazione cattolica e tutte le istituzioni e le famiglie del Venezuela "a mobilitarsi e a manifestare il proprio desiderio che nella nuova legge sull'istruzione si mantenga l'educazione religiosa nelle scuole e all'interno dell'orario scolastico".


(©L'Osservatore Romano - 27 agosto 2009)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Intervento di Ratzinger per il Giubileo dei catechisti e dei docenti di religione del 2000


ROMA, domenica, 24 aprile 2005 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato dal cardinal Ratzinger sul tema “La nuova evangelizzazione" in occasione di una Conferenza dei catechisti e dei docenti di religione tenutasi il 10 dicembre 2000.




* * *


La vita umana non si realizza da sé. La nostra vita è una questione aperta, un progetto incompleto ancora da completare e da realizzare. La domanda fondamentale di ogni uomo è: come si realizza questo diventare uomo? Come si impara l'arte di vivere? Quale è la strada alla felicità?
Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada - insegnare l'arte di vivere. Gesù dice nell'inizio della sua vita pubblica: Sono venuto per evangelizzare i poveri (Lc 4, 18); questo vuol dire: Io ho la risposta alla vostra domanda fondamentale; io vi mostro la strada della vita, la strada alla felicità - anzi: io sono questa strada. La povertà più profonda è l'incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria.

Questa povertà è oggi molto diffusa, in forme ben diverse sia nelle società materialmente ricche sia anche nei paesi poveri. L'incapacità di gioia suppone e produce l'incapacità di amare, produce l'invidia, l'avarizia - tutti i vizi che devastano la vita dei singoli e il mondo. Perciò abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione: se l'arte di vivere rimane sconosciuta, tutto il resto non funziona più. Ma questa arte non è oggetto della scienza; questa arte la può comunicare solo chi ha la vita, Colui che è il Vangelo in persona.

I. Struttura e metodo nella nuova evangelizzazione

1. La struttura


Prima di parlare dei contenuti fondamentali della nuova evangelizzazione vorrei dire una parola sulla sua struttura e sul metodo adeguato. La Chiesa evangelizza sempre e non ha mai interrotto il cammino dell'evangelizzazione. Celebra ogni giorno il mistero eucaristico, amministra i sacramenti, annuncia la parola della vita - la parola di Dio, s'impegna per la giustizia e la carità. E questa evangelizzazione porta frutto: dà luce e gioia, dà il cammino della vita a tante persone; molti altri vivono, spesso senza saperlo, della luce e del calore risplendente da questa evangelizzazione permanente. Tuttavia osserviamo un processo progressivo di scristianizzazione e di perdita dei valori umani es-senziali che è preoccupante. Gran parte dell'umanità di oggi non trova nell'evangelizzazione permanente della Chiesa il Vangelo, cioè la risposta convincente alla domanda: Come vivere?

Perciò cerchiamo, oltre l'evangelizzazione permanente, mai interrotta, mai da interrompere, una nuova evangelizzazione, capace di farsi sentire da quel mondo, che non trova accesso all'evangelizzazione "classica". Tutti hanno bisogno del Vangelo; il Vangelo è destinato a tutti e non solo a un cerchio determinato e perciò siamo obbligati a cercare nuove vie per portare il Vangelo a tutti.

Però qui si nasconde anche una tentazione - la tentazione dell'impazienza, la tentazione di cercare subito il grande successo, di cercare i grandi numeri. E questo non è il metodo di Dio. Per il regno di Dio e così per l'evangelizzazione, strumento e veicolo del regno di Dio, vale sempre la parabola del grano di senape (cfr Mc 4, 31-32). Il Regno di Dio ricomincia sempre di nuovo sotto questo segno. Nuova evangelizzazione non può voler dire: Attirare subito con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa.

No - non è questa la promessa della nuova evangelizzazione. Nuova evangelizzazione vuol dire: non accontentarsi del fatto, che dal grano di senape è cresciuto il grande albero della Chiesa universale, non pensare che basti il fatto che nei suoi rami diversissimi uccelli possono trovare posto - ma osare di nuovo con l'umiltà del piccolo granello lasciando a Dio, quando e come crescerà (Mc 4, 26-29). Le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo ed i movimenti di massa sono sempre effimeri. Nella sua visione del processo dell'evoluzione Teilhard de Chardin parla del "bianco delle origini" (le blanc des origines): L'inizio delle nuove specie è invisibile ed introvabile per la ricerca scientifica. Le fonti sono nascoste - troppo piccole. Con altre parole: Le realtà grandi cominciano in umiltà.

Lasciamo da parte, se e fino a che punto Teilhard ha ragione con le sue teorie evoluzioniste; la legge delle origini invisibili dice una verità - una verità presente proprio nell'agire di Dio nella storia: "Non perché sei grande ti ho eletto, al contrario - sei il più piccolo dei popoli; ti ho eletto, perché ti amo..." dice Dio al popolo di Israele nell'Antico Testamento ed esprime così il paradosso fondamentale della storia della salvezza: Certo, Dio non conta con i grandi numeri; il potere esteriore non è il segno della sua presenza. Gran parte delle parabole di Gesù indicano questa struttura dell'agire divino e rispondono così alle preoccupazioni dei discepoli, i quali si aspettavano ben altri successi e segni dal Messia - successi del tipo offerto da Satana al Signore: Tutto questo - tutti i regni del mondo - ti do... (Mt 4, 9).

Certo, Paolo alla fine della sua vita ha avuto l'impressione di aver portato il Vangelo ai confini della terra, ma i cristiani erano piccole comunità disperse nel mondo, insignificanti secondo i criteri secolari. In realtà furono il germe che penetra dall'interno la pasta e portarono in sé il futuro del mondo (cfr Mt 13, 33). Un vecchio proverbio dice: "Successo non è un nome di Dio". La nuova evangelizzazione deve sottomettersi al mistero del grano di senape e non pretendere di produrre subito il grande albero. Noi o viviamo troppo nella sicurezza del grande albero già esistente o nell'impazienza di avere un albero più grande, più vitale - dobbiamo invece accettare il mistero che la Chiesa è nello stesso tempo grande albero e piccolissimo grano. Nella storia della salvezza è sempre contemporaneamente Venerdì Santo e Domenica di Pasqua...


2. Il metodo

Da questa struttura della nuova evangelizzazione deriva anche il metodo giusto. Certo, dobbiamo usare in modo ragionevole i metodi moderni di farci ascoltare - o meglio: di rendere accessibile e comprensibile la voce del Signore... Non cerchiamo ascolto per noi - non vogliamo aumentare il potere e l'estensione delle nostre istituzioni, ma vogliamo servire al bene delle persone e dell'umanità dando spazio a Colui, che è la Vita.

Questa espropriazione del proprio io offrendolo a Cristo per la salvezza degli uomini, è la condizione fondamentale del vero impegno per il Vangelo. "Io sono venuto nel nome del Padre mio, e non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste" dice il Signore (Gv 5, 43). Il contrassegno dell'Anticristo è il suo parlare nel proprio nome. Il segno del Figlio è la sua comunione col Padre. Il Figlio ci introduce nella comunione trinitaria, nel circolo dell'eterno amore, le cui persone sono "relazioni pure", l'atto puro del donarsi e dell'accogliersi.

Il disegno trinitario - visibile nel Figlio, che non parla nel nome suo - mostra la forma di vita del vero evangelizzatore - anzi, evangelizzare non è semplicemente una forma di parlare, ma una forma di vivere: vivere nell'ascolto e farsi voce del Padre. "Non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito" dice il Signore sullo Spirito Santo (Gv 16, 13). Questa forma cristologica e pneumatologica dell'evangelizzazione è nello stesso tempo una forma ecclesiologica: Il Signore e lo Spirito costruiscono la Chiesa, si comunicano nella Chiesa. L'annuncio di Cristo, l'annuncio del Regno di Dio suppone l'ascolto della sua voce nella voce della Chiesa. "Non parlare nel nome proprio" significa: parlare nella missione della Chiesa...

Da questa legge dell'espropriazione seguono conseguenze molto pratiche. Tutti i metodi ragionevoli e moralmente accettabili sono da studiare - è un dovere far uso di queste possibilità di comunicazione. Ma le parole e tutta l'arte della comunicazione non possono guadagnare la persona umana in quella profondità, alla quale deve arrivare il Vangelo. Pochi anni fa leggevo la biografia di un ottimo sacerdote del nostro secolo, Don Didimo, parroco di Bassano del Grappa. Nelle sue note si trovano parole d'oro, frutto di una vita di preghiera e di meditazione. Al nostro proposito dice Don Didimo, per esempio: "Gesù predicava nel giorno, di notte pregava". Con questa breve notizia voleva dire: Gesù doveva acquistare da Dio i discepoli. Lo stesso vale sempre. Non possiamo guadagnare noi gli uomini. Dobbiamo ottenerli da Dio per Dio. Tutti i metodi sono vuoti senza il fondamento della preghiera. La parola dell'annuncio deve sempre bagnare in una intensa vita di preghiera.

Dobbiamo aggiungere un passo ulteriore. Gesù predicava di giorno, di notte pregava - questo non è tutto. La sua intera vita fu - come lo mostra in modo molto bello il Vangelo di s. Luca - un cammino verso la croce, ascensione verso Gerusalemme. Gesù non ha redento il mondo tramite parole belle, ma con la sua sofferenza e la sua morte. Questa sua passione è la fonte inesauribile di vita per il mondo; la passione dà forza alla sua parola.

Il Signore stesso - estendendo ed ampliando la parabola del grano di senape - ha for-mulato questa legge di fecondità nella parola del chicco di grano che muore, caduto in terra (Gv 12, 24). Anche questa legge è valida fino alla fine del mondo ed è - insieme col mistero del grano di senape - fondamentale per la nuova evangelizzazione. Tutta la storia lo dimostra. Sarebbe facile dimostrarlo nella storia del cristianesimo. Vorrei ricordare qui soltanto l'inizio dell'evangelizzazione nella vita di s. Paolo. Il successo della sua missione non fu frutto di una grande arte retorica o di prudenza pastorale; la fecondità fu legata alla sofferenza, alla comunione nella passione con Cristo (cfr 1 Cor 2, 1-5; 2 Cor 5, 7; 11, 10s; 11, 30; Gal 4, 12-14). "Nessun segno sarà dato, se non il segno di Giona profeta" ha detto il Signore. Il segno di Giona è il Cristo crocifisso - sono i testimoni, che completano "quello che manca ai patimenti di Cristo" (Col 1, 24). In tutti i periodi della storia si è sempre di nuovo verificata la parola di Tertulliano: È un seme il sangue dei martiri.

Sant'Agostino dice lo stesso in modo molto bello, interpretando Gv 21, dove la profezia del martirio di Pietro e il mandato di pascere, cioè l'istituzione del suo primato sono intimamente connessi. Sant'Agostino commenta il testo Gv 21, 16 nel modo seguente: "Pasci le mie pecorelle", cioè soffri per le mie pecorelle (Sermo Guelf. 32 PLS 2, 640). Una madre non può dar la vita a un bambino senza sofferenza. Ogni parto esige sofferenza, è sofferenza, ed il divenire cristiano è un parto.

Diciamolo ancora una volta con parole del Signore: Il regno di Dio esige violenza (Mt 11, 12; Lc 16, 16), ma la violenza di Dio è la sofferenza, è la croce. Non possiamo dare vita ad altri, senza dare la nostra vita. Il processo di espropriazione sopra indicato è la forma concreta (espressa in tante forme diverse) di dare la propria vita. E pensiamo alla parola del Salvatore: "...chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà..." (Mc 8, 36).



II. I contenuti essenziali della nuova evangelizzazione

1. Conversione


Quanto ai contenuti della nuova evangelizzazione è innanzitutto da tener presente l'inscindibilità dell'Antico e del Nuovo Testamento. Il contenuto fondamentale dell'Antico Testamento è riassunto nel messaggio di Giovanni Battista: Convertitevi! Non c'è accesso a Gesù senza il Battista; non c'è possibilità di arrivare a Gesù senza risposta all'appello del precursore, anzi: Gesù ha assunto il messaggio di Giovanni nella sintesi della sua propria predicazione: Convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1, 15).

La parola greca per convertirsi significa: ripensare - mettere in questione il proprio ed il comune modo di vivere; lasciar entrare Dio nei criteri della propria vita; non giudicare più semplicemente secondo le opinioni correnti. Convertirsi significa di conseguenza: non vivere come vivono tutti, non fare come fanno tutti, non sentirsi giustificati in azioni dubbiose, ambigue, malvagie dal fatto che altri fanno lo stesso; cominciare a vedere la propria vita con gli occhi di Dio; cercare quindi il bene, anche se è scomodo; non puntare sul giudizio dei molti, degli uomini, ma sul giudizio di Dio - con altre parole: cercare un nuovo stile di vita, una vita nuova.

Tutto questo non implica un moralismo; la riduzione del cristianesimo alla moralità perde di vista l'essenza del messaggio di Cristo: il dono di una nuova amicizia, il dono della comunione con Gesù e quindi con Dio. Chi si converte a Cristo non intende crearsi una autarchia morale sua, non pretende di costruire con le proprie forze la sua propria bontà. "Conversione" (Metanoia) significa proprio il contrario: uscire dall'autosufficienza, scoprire ed accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e dell'Altro, del suo perdono, della sua amicizia. La vita non convertita è autogiustificazione (io non sono peggiore degli altri); la conversione è l'umiltà dell'affidarsi all'amore dell'Altro, amore che diventa misura e criterio della mia propria vita.

Qui dobbiamo tener presente anche l'aspetto sociale della conversione. Certo, la conversione è innanzitutto un atto personalissimo, è personalizzazione. Io mi separo dalla formula "vivere come tutti" (non mi sento più giustificato dal fatto che tutti fanno quanto faccio io) e trovo davanti a Dio il mio proprio io, la mia responsabilità personale. Ma la vera personalizzazione è sempre anche una nuova e più profonda socializzazione. L'io si apre di nuovo al tu, in tutta la sua profondità, e così nasce un nuovo Noi.

Se lo stile di vita diffuso nel mondo implica il pericolo della de-personalizzazione, del vivere non la mia propria vita, ma la vita di tutti gli altri, nella conversione deve realizzarsi un nuovo Noi del cammino comune con Dio. Annunciando la conversione dobbiamo anche offrire una comunità di vita, uno spazio comune del nuovo stile di vita. Evangelizzare non si può con sole parole; il vangelo crea vita, crea comunità di cammino; una conversione puramente individuale non ha consistenza...


2. Il Regno di Dio

Nella chiamata alla conversione è implicito - come sua condizione fondamentale - l'annuncio del Dio vivente. Il teocentrismo è fondamentale nel messaggio di Gesù e dev'essere anche il cuore della nuova evangelizzazione. La parola-chiave dell'annuncio di Gesù è: Regno di Dio. Ma Regno di Dio non è una cosa, una struttura sociale o politica, un'utopia. Il Regno di Dio è Dio. Regno di Dio vuol dire: Dio c'è. Dio vive. Dio è presente e agisce nel mondo, nella nostra - nella mia vita. Dio non è una lontana "causa ultima", Dio non è il "grande architetto" del deismo, che ha montato la macchina del mondo e starebbe adesso fuori - al contrario: Dio è la realtà più presente e decisiva in ogni atto della mia vita, in ogni momento della storia. Nella sua conferenza di congedo dalla sua cattedra nell'università di Münster il teologo J.B. Metz ha detto delle cose inaspettate dalla sua bocca. Metz in passato ci aveva insegnato l'antropocentrismo - il vero avvenimento del cristianesimo sarebbe stata la svolta antropologica, la secolarizzazione, la scoperta della secolarità del mondo. Poi ci ha insegnato la teologia politica - il carattere politico della fede; poi la "memoria pericolosa"; finalmente la teologia narrativa. Dopo questo cammino lungo e difficile ci dice oggi: Il vero problema del nostro tempo è la "Crisi di Dio", l'assenza di Dio, camuffata da una religiosità vuota.

La teologia deve ritornare ad essere realmente teologia, un parlare di Dio e con Dio. Metz ha ragione: L'"unum necessarium" per l'uomo è Dio. Tutto cambia, se Dio c'è o se Dio non c'è. Purtroppo - anche noi cristiani viviamo spesso come se Dio non esistesse ("si Deus non daretur"). Viviamo secondo lo slogan: Dio non c'è, e se c'è, non c'entra. Perciò l'evangelizzazione deve innanzitutto parlare di Dio, annunciare l'unico Dio vero: il Creatore - il Santificatore - il Giudice (cfr il Catechismo della Chiesa cattolica).

Anche qui è da tener presente l'aspetto pratico. Dio non si può far conoscere con le sole parole. Non si conosce una persona, se si sa di questa persona solo di seconda mano. Annunciare Dio è introdurre nella relazione con Dio: Insegnare a pregare. La preghiera è fede in atto. E solo nell'esperienza della vita con Dio appare anche l'evidenza della sua esistenza. Perciò sono così importanti le scuole di preghiera, di comunità di preghiera. C'è complementarità tra preghiera personale ("nella propria camera", solo davanti agli occhi di Dio), preghiera comune "paraliturgica" ("religiosità popolare") e preghiera liturgica. Sì, la liturgia è innanzitutto preghiera; la sua specificità consiste nel fatto che il suo soggetto primario non siamo noi (come nella preghiera privata e nella religiosità popolare), ma Dio stesso - la liturgia è actio divina, Dio agisce e noi rispondiamo all'azione divina.

Parlare di Dio e parlare con Dio devono sempre andare insieme. L'annuncio di Dio è guida alla comunione con Dio nella comunione fraterna, fondata e vivificata da Cristo. Perciò la liturgia (i sacramenti) non è un tema accanto alla predicazione del Dio vivente, ma la concretizzazione della nostra relazione con Dio.

In questo contesto mi sia permessa una osservazione generale sulla questione liturgica. Il nostro modo di celebrare la liturgia è spesso troppo razionalista. La liturgia diventa insegnamento, il cui criterio è: farsi capire - la conseguenza è non di rado la banalizzazione del mistero, la prevalenza delle nostre parole, la ripetizione delle fraseologie che sembrano più accessibili e più gradevoli per la gente. Ma questo è un errore non soltanto teologico, ma anche psicologico e pastorale.

L'onda dell'esoterismo, la diffusione di tecniche asiatiche di distensione e di auto-svuotamento mostrano che nelle nostre liturgie manca qualcosa. Proprio nel nostro mondo di oggi abbiamo bisogno del silenzio, del mistero sopra-individuale, della bellezza. La liturgia non è l'invenzione del sacerdote celebrante o di un gruppo di specialisti; la liturgia (il "rito") è cresciuta in un processo organico nei secoli, porta in sé il frutto dell'esperienza di fede di tutte le generazioni.

Anche se i partecipanti non capiscono forse tutte le singole parole, percepiscono il significato profondo, la presenza del mistero, che trascende tutte le parole. Non il celebrante è il centro dell'azione liturgica; il celebrante non sta davanti al popolo nel nome proprio - non parla da sé e per sé, ma "in persona Cristi". Non contano le capacità personali del celebrante, ma solo la sua fede, nella quale si fa trasparente Cristo. "Egli deve crescere, e io invece diminuire" (Gv 3, 30).



3. Gesù Cristo

Con questa riflessione il tema Dio si è già esteso e concretizzato nel tema Gesù Cristo: Solo in Cristo e tramite Cristo il tema Dio diventa realmente concreto: Cristo è Emanuele, il Dio-con-noi - la concretizzazione dell'"Io sono", la risposta al Deismo. Oggi la tentazione è grande di ridurre Gesù Cristo, il figlio di Dio solo a un Gesù storico, a un uomo puro. Non si nega necessariamente la divinità di Gesù, ma con certi metodi si distilla dalla Bibbia un Gesù a nostra misura, un Gesù possibile e comprensibile nei parametri della nostra storiografia. Ma questo "Gesù storico" è un artefatto, l'immagine dei suoi autori e non l'immagine del Dio vivente (cfr 2 Cor 4, 4s; Col 1, 15).
Non il Cristo della fede è un mito; il cosiddetto Gesù storico è una figura mitologica, auto-inventata dai diversi interpreti. I duecento anni di storia del "Gesù storico" riflettono fedelmente la storia delle filosofie e delle ideologie di questo periodo.

Non posso nei limiti di questa conferenza entrare nei contenuti dell'annuncio del Salvatore. Vorrei brevemente accennare a due aspetti importanti. Il primo è la sequela di Cristo - Cristo si offre come strada della mia vita. Sequela di Cristo non significa: imitare l'uomo Gesù. Un tale tentativo fallisce necessariamente - sarebbe un'anacronismo. La sequela di Cristo ha una meta molto più alta: assimilarsi a Cristo, e cioè arrivare all'unione con Dio.

Una tale parola suona forse strana nell'orecchio dell'uomo moderno. Ma in realtà abbiamo tutti la sete dell'infinito: di una libertà infinita, di una felicità senza limite. Tutta la storia delle rivoluzioni degli ultimi due secoli si spiega solo così. La droga si spiega solo così. L'uomo non si accontenta di soluzioni sotto il livello della divinizzazione. Ma tutte le strade offerte dal "serpente" (Gen 3, 5), cioè dalla sapienza mondana, falliscono. L'unica strada è la comunione con Cristo, realizzabile nella vita sacramentale. Sequela di Cristo non è un argomento di moralità, ma un tema "misterico" - un insieme di azione divina e di risposta nostra.

Così troviamo presente nel tema sequela l'altro centro della cristologia, al quale volevo accennare: il mistero pasquale - la croce e la risurrezione. Nelle ricostruzioni del "Gesù storico" di solito il tema della croce è senza significato. In una interpretazione "borghese" diventa un incidente di per sé evitabile, senza valore teologico; in una interpretazione rivoluzionaria diventa la morte eroica di un ribelle. La verità è diversa. La croce appartiene al mistero divino - è espressione del suo amore fino alla fine (Gv 13, 1). La sequela di Cristo è partecipazione alla sua croce, unirsi al suo amore, alla trasformazione della nostra vita, che diventa nascita dell'uomo nuovo, creato secondo Dio (cfr Ef 4, 24). Chi omette la croce, omette l'essenza del cristianesimo (cfr 1 Cor 2, 2).


4. La vita eterna

Un ultimo elemento centrale di ogni vera evangelizzazione è la vita eterna. Oggi dob-biamo con nuova forza nella vita quotidiana annunciare la nostra fede. Vorrei accennare qui soltanto ad un aspetto oggi spesso trascurato della predicazione di Gesù: L'annuncio del Regno di Dio è annuncio del Dio presente, del Dio che ci conosce, ci ascolta; del Dio che entra nella storia, per fare giustizia.

Questa predicazione è perciò anche annuncio del giudizio, annuncio della nostra responsabilità. L'uomo non può fare o non fare ciò che vuole. Egli sarà giudicato. Egli deve rendere conto. Questa certezza ha valore per i potenti così come per i semplici. Ove essa è onorata, sono tracciati i limiti di ogni potere di questo mondo. Dio fa giustizia, e solo lui può ultimamente farlo. A noi ciò riuscirà tanto più, quanto più saremo in grado di vivere sotto gli occhi di Dio e di comunicare al mondo la verità del giudizio. Così l'articolo di fede del giudizio, la sua forza di formazione delle coscienze, è un contenuto centrale del Vangelo ed è veramente una buona novella. Lo è per tutti coloro che soffrono sotto l'ingiustizia del mondo e cercano la giustizia. Si comprende così anche la connessione fra il Regno di Dio e i "poveri", i sofferenti e tutti coloro di cui parlano le beatitudini del discorso della montagna. Essi sono protetti dalla certezza del giudizio, dalla certezza, che c'è giustizia.

Questo è il vero contenuto dell'articolo sul giudizio, su Dio giudice: C'è giustizia. Le ingiustizie del mondo non sono l'ultima parola della storia. C'è giustizia. Solo chi non vuole, che sia giustizia, può opporsi a questa verità. Se prendiamo sul serio il giudizio e la serietà della responsabilità che per noi ne scaturisce, comprendiamo bene l'altro aspetto di questo annuncio, cioè la redenzione, il fatto che Gesù nella croce assume i nostri peccati; che Dio stesso nella passione del Figlio si fa avvocato di noi peccatori, e rende così possibile la penitenza, la speranza al peccatore pentito, speranza espressa in modo meraviglioso nella parola di s. Giovanni: Davanti a Dio, rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. "Dio è più grande del nostro cuore e conosce tutto" (1 Giov 3, 19s).

La bontà di Dio è infinita, ma non dobbiamo ridurre questa bontà ad una leziosa sdolcinatura senza verità. Solo credendo al giusto giudizio di Dio, solo avendo fame e sete della giustizia (cfr Mt 5, 6) apriamo il nostro cuore, la nostra vita alla misericordia divina. Si vede: Non è vero che la fede nella vita eterna rende insignificante la vita terrestre. Al contrario: Solo se la misura della nostra vita è l'eternità, anche questa vita sulla nostra terra è grande e il suo valore immenso.

Dio non è il concorrente della nostra vita, ma il garante della nostra grandezza. Così ritorniamo al nostro punto di partenza: Dio. Se consideriamo bene il messaggio cristiano, non parliamo di un sacco di cose. Il messaggio cristiano è in realtà molto semplice. Parliamo di Dio e dell'uomo, e così diciamo tutto.



[SM=g1740722]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola


Della Congregazione per l'Educazione Cattolica


CITTA' DEL VATICANO, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la lettera circolare sull'insegnamento della religione nella scuola inviata dalla Congregazione vaticana per l'Educazione Cattolica ai Presidenti delle Conferenze episcopali e datata 5 maggio 2009.

* * *

Eminenza/Eccellenza Reverendissima,

la natura e il ruolo dell’insegnamento della religione nella scuola è divenuto oggetto di dibattito e in alcuni casi di nuove regolamentazioni civili, che tendono a sostituirlo con un insegnamento del fatto religioso di natura multiconfessionale o di etica e cultura religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo che i genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle nuove generazioni.

Pertanto, con la presente Lettera Circolare, indirizzata ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, questa Congregazione per l’Educazione Cattolica, ritiene necessario richiamare alcuni principi, che sono approfonditi nell’insegnamento della Chiesa, a chiarificazione e norma circa il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni; la natura e l’identità della scuola cattolica; l’insegnamento della religione nella scuola; la libertà di scelta della scuola e dell’insegnamento religioso confessionale.

I. Il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni

1. L’educazione si presenta oggi come un compito complesso, sfidata da rapidi mutamenti sociali, economici e culturali. La sua missione specifica rimane la formazione integrale della persona umana. Ai fanciulli e ai giovani va garantita la possibilità di sviluppare armonicamente le proprie doti fisiche, morali, intellettuali e spirituali; ed essi vanno anche aiutati a perfezionare il senso di responsabilità, ad imparare il retto uso della libertà, e a partecipare attivamente alla vita sociale (cfr c. 795 Codice di Diritto Canonico [CIC]; c. 629 Codice dei Canoni delle Chiese Orientali [CCEO]). Un insegnamento che disconoscesse o emarginasse la dimensione morale e religiosa della persona costituirebbe un ostacolo per un’educazione completa, perché «i fanciulli e i giovani hanno il diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia a conoscere e ad amare Dio più perfettamente». Perciò, il Concilio Vaticano II ha chiesto e raccomandato «a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione di preoccuparsi perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto» (Dichiarazione Gravissimum educationis [GE ],1).

2. Una tale educazione richiede il contributo di molti soggetti educativi. I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, sono i primi e principali educatori (cfr GE 3; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio [FC], 22 novembre 1981, 36; c. 793 CIC; c. 627 CCEO). Per tale ragione, spetta ai genitori cattolici, curare l’educazione cristiana dei loro figli (c. 226 CIC; c. 627 CCEO). In questo compito primario i genitori hanno bisogno dell’aiuto sussidiario della società civile e d’altre istituzioni, infatti: «la famiglia è la prima, ma non l’unica ed esclusiva comunità educante» (FC 40; cfr GE 3).

3. «Tra tutti gli strumenti educativi, un’importanza particolare riveste la scuola» (GE 5), che è «di precipuo aiuto ai genitori nell’adempiere la loro funzione educativa» (c. 796 §1 CIC), particolarmente per favorire la trasmissione della cultura e l’educazione al vivere insieme. In questi ambiti, in conformità anche alla legislazione internazionale e ai diritti dell’uomo, «deve essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un’educazione conforme alla loro fede religiosa» (FC 40). I genitori cattolici «affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all’educazione cattolica» (c. 798 CIC) e, quando ciò non è possibile, devono supplirne la mancanza (cfr ibidem).

4. Il Concilio Vaticano II ricorda «il grave dovere, che incombe sui genitori, di tutto predisporre o anche di esigere», perché i loro figli possano ricevere un’educazione morale e religiosa «e in armonia con la formazione profana progrediscano in quella cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l’educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie» (GE 7).

In sintesi:

- L’educazione si presenta oggi come compito complesso, vasto ed urgente. La complessità odierna rischia di far perdere l’essenziale, cioè la formazione della persona umana nella sua integralità, in particolare per quanto riguarda la dimensione religiosa e spirituale.

- L’opera educativa pur compiuta da più soggetti ha nei genitori i primi responsabili dell’educazione.

- Tale responsabilità si esercita anche nel diritto di scegliere la scuola che garantisca una educazione conforme ai propri principi religiosi e morali.

II. Natura e identità della scuola cattolica: diritto ad un’educazione cattolica per le famiglie e per gli alunni. Sussidiarietà e collaborazione educativa

5. Nell’educazione e nella formazione un ruolo particolare riveste la scuola cattolica. Nel servizio educativo scolastico si sono distinte e continuano a dedicarsi lodevolmente molte comunità e congregazioni religiose, ma tutta la comunità cristiana e, in particolare, l’Ordinario diocesano hanno la responsabilità di «disporre ogni cosa, perché tutti i fedeli possano fruire dell’educazione cattolica» (c. 794 §2 CIC) e, più precisamente, per avere «scuole nelle quali venga trasmessa un’educazione impregnata di spirito cristiano» (c. 802 CIC; cfr c. 635 CCEO).
 

6. Una scuola cattolica si caratterizza dal vincolo istituzionale che mantiene con la gerarchia della Chiesa, la quale garantisce che l’insegnamento e l’educazione siano fondati sui principi della fede cattolica e impartiti da maestri di dottrina retta e vita onesta (cfr c. 803 CIC; cc. 632 e 639 CCEO). In questi centri educativi, aperti a tutti coloro i quali ne condividano e rispettino il progetto educativo, deve essere raggiunto un ambiente scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, che favorisca uno sviluppo armonico della personalità di ciascuno. In quest’ambiente viene coordinato l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, di modo che la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dal Vangelo (cfr GE 8; c. 634 §1 CCEO).

7. In questo modo, è assicurato il diritto delle famiglie e degli alunni ad un’educazione autenticamente cattolica e, allo stesso tempo, si attuano gli altri fini culturali e di formazione umana e accademica dei giovani, che sono propri di qualsiasi scuola (cfr c. 634 §3 CCEO; c. 806 §2 CIC).

8. Pur sapendo quanto ciò oggi sia problematico è auspicabile che, per la formazione della persona, esista una grande sintonia educativa fra scuola e famiglia, così da evitare tensioni o fratture nel progetto educativo. È quindi necessario che esista una stretta e attiva collaborazione fra genitori, insegnanti e dirigenti delle scuole, ed è opportuno incoraggiare gli strumenti di partecipazione dei genitori nella vita scolastica: associazioni, riunioni, ecc. (cfr. c. 796 §2 CIC; c. 639 CCEO).

9. La libertà dei genitori, delle associazioni e istituzioni intermedie e della stessa gerarchia della Chiesa di promuovere scuole d’identità cattolica costituiscono un esercizio del principio di sussidiarietà. Questo principio esclude «ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali della persona umana e anche allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini, nonché a quel pluralismo, quale oggi esiste in moltissime società» (GE 6).

In sintesi:

- La scuola cattolica è vero e proprio soggetto ecclesiale in ragione della sua azione scolastica, in cui si fondano in armonia la fede, la cultura e la vita.

- Essa è aperta a tutti coloro che ne vogliano condividere il progetto educativo ispirato dai principi cristiani.

- La scuola cattolica è espressione della comunità ecclesiale e la sua cattolicità è garantita dalle competenti autorità (Ordinario del luogo).

- Assicura la libertà di scelta dei genitori cattolici ed è espressione di pluralismo scolastico.

- Il principio di sussidiarietà regola la collaborazione tra la famiglia e le varie istituzioni deputate all’educazione.


III. L’insegnamento della religione nella scuola

a) Natura e finalità

10. L’insegnamento della religione nella scuola costituisce un’esigenza della concezione antropologica aperta alla dimensione trascendente dell’essere umano: è un aspetto del diritto all’educazione (cfr c. 799 CIC). Senza questa materia, gli alunni sarebbero privati di un elemento essenziale per la loro formazione e per il loro sviluppo personale, che li aiuta a raggiungere un’armonia vitale fra fede e cultura. La formazione morale e l’educazione religiosa favoriscono anche lo sviluppo della responsabilità personale e sociale e le altre virtù civiche, e costituiscono dunque un rilevante contributo al bene comune della società.

11. In questo settore, in una società pluralista, il diritto alla libertà religiosa esige sia l’assicurazione della presenza dell’insegnamento della religione nella scuola, sia la garanzia che tale insegnamento sia conforme alle convinzioni dei genitori. Il Concilio Vaticano II ricorda: «[Ai genitori] spetta pure il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa (...). I diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa» (Dichiarazione Dignitatis humanae [DH] 5; cfr c. 799 CIC; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 24 novembre 1983, art. 5, c-d). Questa affermazione trova riscontro nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 26) e in molte altre dichiarazioni e convenzioni della comunità internazionale.

12. La marginalizzazione dell’insegnamento della religione nella scuola equivale, almeno in pratica, ad assumere una posizione ideologica che può indurre all’errore o produrre un danno agli alunni. Inoltre, si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e “neutro”. A questo riguardo, Giovanni Paolo II spiegava: «La questione dell’educazione cattolica comprende (...) l’insegnamento religioso nell’ambito più generale della scuola, sia essa cattolica oppure statale. A tale insegnamento hanno diritto le famiglie dei credenti, le quali debbono avere la garanzia che la scuola pubblica – proprio perché aperta a tutti – non solo non ponga in pericolo la fede dei loro figli, ma anzi completi, con adeguato insegnamento religioso, la loro formazione integrale. Questo principio va inquadrato nel concetto della libertà religiosa e dello Stato veramente democratico che, in quanto tale, cioè nel rispetto della sua più profonda e vera natura, si pone al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti e delle loro convinzioni religiose» (Discorso ai Cardinali e ai collaboratori della Curia Romana, 28 giugno1984).

13. Con questi presupposti, si comprende che l’insegnamento della religione cattolica ha una sua specificità riguardo alle altre materie scolastiche. In effetti, come spiega il Concilio Vaticano II: «il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla; ma dobbiamo affermare che esce dai limiti della sua competenza se presumesse di dirigere o di impedire gli atti religiosi» (DH 3). Per questi motivi spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce, di fronte ai genitori e agli stessi alunni l’autenticità dell’insegnamento che si trasmette come cattolico.

14. La Chiesa riconosce questo compito come suo ratione materiae e lo rivendica come di propria competenza, indipendentemente della natura della scuola (statale o non statale, cattolica o non cattolica) in cui è impartita. Perciò: «all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (...); spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d’azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su di esso» (c. 804 §1 CIC; cfr, inoltre, c. 636 CCEO).

b) L’insegnamento della religione nella scuola cattolica

15. L’insegnamento della religione nelle scuole cattoliche identifica il loro progetto educativo, infatti, «il carattere proprio e la ragione profonda della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici dovrebbero preferirla, consistono precisamente nella qualità dell’insegnamento religioso integrato nell’educazione degli alunni» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae, 16 ottobre 1979, 69).

16. Anche nelle scuole cattoliche, va rispettata, come altrove, la libertà religiosa degli alunni non cattolici e dei loro genitori. Questo non impedisce, com’è chiaro, il diritto-dovere della Chiesa «di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede a voce e per iscritto», tenendo conto che «nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri una coercizione o una sollecitazione disonesta o scorretta» (DH 4).

c) Insegnamento della religione cattolica sotto il profilo culturale e rapporto con la catechesi

17. L’insegnamento scolastico della religione s’inquadra nella missione evangelizzatrice della Chiesa. È differente e complementare alla catechesi in parrocchia e ad altre attività, quale l’educazione cristiana familiare o le iniziative di formazione permanente dei fedeli. Oltre al diverso ambito in cui ognuna è impartita, sono differenti le finalità che si prefiggono: la catechesi si propone di promuovere l’adesione personale a Cristo e la maturazione della vita cristiana nei suoi diversi aspetti (cfr Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi [DGC], 15 agosto1997, nn. 80-87); l’insegnamento scolastico della religione trasmette agli alunni le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, il Papa Benedetto XVI, parlando agli insegnanti di religione, ha indicato l’esigenza «di allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza della loro intrinseca unità che le tiene insieme. La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita». A tal fine concorre l’insegnamento della religione cattolica, con il quale «la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro» (Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009).

18. La specificità di quest’insegnamento non fa venir meno la sua natura propria di disciplina scolastica; al contrario, il mantenimento di quello status è una condizione d’efficacia: «è necessario, perciò, che l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline. Deve presentare il messaggio e l’evento cristiano con la stessa serietà e profondità con cui le altre discipline presentano i loro saperi. Accanto a queste, tuttavia, esso non si colloca come cosa accessoria, ma in un necessario dialogo interdisciplinare» (DGC 73).

In sintesi:

- La libertà religiosa è il fondamento e la garanzia della presenza dell’insegnamento della religione nello spazio pubblico scolastico.

- Una concezione antropologica aperta alla dimensione trascendentale ne è la condizione culturale.

- Nella scuola cattolica l’insegnamento della religione è caratteristica irrinunciabile del progetto educativo.

- L’insegnamento della religione è differente e complementare alla catechesi, in quanto è insegnamento scolastico che non richiede l’adesione di fede, ma trasmette le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, esso arricchisce la Chiesa e l’umanità di laboratori di cultura e umanità.

IV. Libertà educativa, libertà religiosa ed educazione cattolica

19. In conclusione, il diritto all’educazione e la libertà religiosa dei genitori e degli alunni si esercitano concretamente attraverso:

a) la libertà di scelta della scuola. «I genitori, avendo il dovere e il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza». (GE 6; cfr DH 5; c. 797 CIC; c. 627 §3 CCEO).
 

b) La libertà di ricevere, nei centri scolastici, un insegnamento religioso confessionale che integri la propria tradizione religiosa nella formazione culturale e accademica propria della scuola. «I fedeli facciano di tutto perché nella società civile le leggi, che ordinano la formazione dei giovani, contemplino nelle scuole stesse anche la loro educazione religiosa e morale, secondo la coscienza dei genitori» (c. 799 CIC; cfr GE 7, DH 5). Infatti, all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (cfr c. 804 §1 CIC; c. 636 CCEO).

20. La Chiesa è consapevole che in molti luoghi, adesso come in epoche passate, la libertà religiosa non è pienamente effettiva, nelle leggi e nella pratica (cfr DH 13). In queste condizioni, la Chiesa fa il possibile per offrire ai fedeli la formazione di cui hanno bisogno (cfr GE 7; c. 798 CIC; c. 637 CCEO). Nello stesso tempo, d’accordo con la propria missione (cfr Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 76), non smette di denunciare l’ingiustizia che si compie quando gli alunni cattolici e le loro famiglie vengono privati dei propri diritti educativi ed è ferita la loro libertà religiosa, ed esorta tutti i fedeli ad impegnarsi perché quei diritti siano effettivi (cfr c. 799 CIC).

Questa Congregazione per l’Educazione Cattolica è certa che i principi sopra richiamati possono contribuire a trovare una sempre più ampia consonanza tra il compito educativo, che è parte integrante della missione della Chiesa, e l’aspirazione delle Nazioni a sviluppare una società giusta e rispettosa della dignità di ogni uomo.

Da parte sua la Chiesa, esercitando la diakonia della verità in mezzo all’umanità, offre ad ogni generazione la rivelazione di Dio dalla quale si può imparare la verità ultima sulla vita e sul fine della storia. Questo compito non è facile in un mondo secolarizzato, abitato dalla frammentazione della conoscenza e dalla confusione morale, coinvolge tutta la comunità cristiana e costituisce una sfida per gli educatori. Ci sostiene, comunque, la certezza -come afferma Benedetto XVI- che « i nobili scopi […] dell’educazione, fondati sull’unità della verità e sul servizio alla persona e alla comunità, diventano uno speciale potente strumento di speranza» (Discorso agli educatori cattolici, 17 aprile 2008).

Mentre preghiamo l’Eminenza/Eccellenza Vostra di voler portare a conoscenza di quanti sono interessati al servizio e alla missione educativa della Chiesa i contenuti della presente Lettera Circolare, La ringraziamo della cortese attenzione ed in comunione di preghiere a Maria, Madre e Maestra degli educatori, ci valiamo volentieri della circostanza per porgere i sensi della nostra considerazione, confermandoci

dell’Eminenza/Eccellenza Vostra Reverendissima
dev.mi nel Signore

Zenon Card. GROCHOLEWSKI, Prefetto

+Jean-Louis BRUGUÈS, O.P., Segretario



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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11/09/2009 14:05
 
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Nessuno nella Chiesa vuole lo Stato catechista.

A respingere le critiche piovute dopo la diffusione della lettera della Congregazione per l'Educazione Cattolica sull'insegnamento della religione nelle scuole è mons. Angelo Vincenzo Zani, sottosegretario del dicastero.

In una intervista alla Radio Vaticana, il presule ha ribadito che ''c'è una netta distinzione tra la catechesi e l'insegnamento della religione cattolica''.

Anche se si tratta sempre di religione cattolica, ha spiegato Zani, ''la catechesi è un percorso finalizzato a far interiorizzare questi valori, nel senso di far fare una scelta e una maturazione di fede, dall'altra, questi contenuti, nell'insegnamento della religione cattolica, invece, si presentano innanzitutto sotto forma disciplinare, offerta a tutti, certamente non finalizzata ad un'adesione di fede, ma tuttavia non si puo' sottrarre alle persone la possibilità di conoscere quello che fa parte di una cultura''.

''L'insegnamento della religione cattolica offre un suo contributo specifico e il contributo sarà sempre più qualificato nella misura in cui l'insegnamento della religione è identificato, cioè non si perde in un insieme di principi confusi. Più oggi aumenta la cultura pluralistica, - ha spiegato mons. Zani - più abbiamo bisogno di avere proposte chiare, proposte che non si impongono, ma che si pongono come elementi fondamentali sui quali si può costruire effettivamente una persona matura in tutte le sue dimensioni''.


Fraternamente CaterinaLD

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La Congregazione per l'Educazione Cattolica

Il senso di una lettera sull'insegnamento
della religione nella scuola


Sulla Lettera circolare indirizzata ai presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo sull'insegnamento della religione nella scuola, in data 5 maggio e solo ora fonte di dibattito su molti media, "L'Osservatore Romano" ha chiesto alla Congregazione per l'Educazione Cattolica di puntualizzare il senso della sua iniziativa.

All'inizio del nuovo anno scolastico in Italia e nei Paesi dell'emisfero nord del pianeta, la stampa si è occupata di una Lettera circolare della Congregazione per l'Educazione Cattolica, datata 5 maggio 2009, e indirizzata ai presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo. L'interesse per la lettera è motivato dai contenuti, che riguardano la scuola e l'insegnamento della religione. Si tratta di un documento sintetico che intende richiamare alcuni principi, già approfonditi nel magistero della Chiesa, circa il ruolo della scuola nella formazione delle nuove generazioni, l'insegnamento della religione nella scuola e la libertà di scelta educativa di genitori e alunni. Tre ragioni fondamentali sono alla base della lettera.

La prima risiede nel servizio proprio della Congregazione per l'Educazione Cattolica, che è quello di sostenere e accompagnare in tutti i Paesi, quanti nella Chiesa hanno il compito di promuovere e governare le istituzioni educative cattoliche e di coloro che operano nel mondo della scuola e dell'educazione.

La seconda ragione è data dalla constatazione di profonde riforme, avviate in varie parti del mondo, dei sistemi educativi e scolastici, dei programmi e dei curricula. La terza riguarda la presenza dell'insegnamento della religione nella scuola, alla luce del carattere sempre più multiculturale e multireligioso che assumono le società contemporanee.

L'educazione si presenta oggi come un compito complesso, vasto e urgente. La complessità odierna rischia da una parte di far perdere l'essenziale, che rimane la formazione della persona umana nella sua integralità, in particolare per quanto riguarda la dimensione morale e religiosa; dall'altra "specializzare" l'educazione restringendola in specifici ambiti e istituzioni, deresponsabilizzando le famiglie. L'opera educativa, pur compiuta da più soggetti, ha nei genitori i primi responsabili e tale responsabilità si esercita anche nel diritto di scegliere la scuola e l'insegnamento conformi ai propri convincimenti etici e religiosi. La scuola cattolica e l'insegnamento della religione, assicurano per i genitori cattolici e per quanti condividono una tale prospettiva educativa e pedagogica, la libertà di scelta educativa. Il pluralismo non solo nella scuola, ma della scuola, è fondamentale contro ogni forma di monopolio educativo che contraddice ai diritti naturali della persona umana. Il pluralismo, così inteso, si iscrive in una corretta sussidiarietà.
 
Una parte della lettera è poi specificamente dedicata all'insegnamento della religione. Intorno al diritto di usufruire dell'educazione religiosa si è prodotto, a partire dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo, un generale consenso. Si tratta di un diritto che riguarda non solo le famiglie e la Chiesa, ma chiama in causa direttamente la scuola in quanto luogo naturale in cui avviene larga parte dell'opera formativa delle nuove generazioni. La presenza dell'insegnamento della religione costituisce così "un'esigenza della concezione antropologica aperta alla dimensione trascendentale dell'essere umano" (n. 10), per cui senza questa materia gli alunni verrebbero privati di un elemento essenziale per la loro formazione e il loro sviluppo personale. La libertà religiosa è il fondamento e la garanzia della presenza dell'insegnamento della religione nello spazio pubblico scolastico.
Da alcuni viene invocata come motivazione da opporre alla presenza dell'insegnamento della religione nella scuola il carattere personale della scelta di fede, che non può essere imposta, confondendo così l'insegnamento della religione con la catechesi. L'insegnamento della religione, pur essendo complementare alla catechesi, differisce da quest'ultima in quanto sono diverse le finalità che si prefiggono:  la catechesi si propone di promuovere l'adesione personale a Cristo e la maturazione della vita cristiana nei suoi diversi aspetti, mentre l'insegnamento della religione trasmette agli alunni le conoscenze sull'identità del cristianesimo e della vita cristiana.

A riguardo Benedetto XVI, parlando agli insegnanti di religione cattolica in Italia, ha indicato come tale insegnamento sia chiamato ad "allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei metodi loro propri e della reciproca autonomia", nella consapevolezza che la dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale (cfr. n. 17).

Nei documenti della Congregazione per l'Educazione Cattolica l'insegnamento della religione è puntualmente descritto come presentazione organica dell'avvenimento e del messaggio cristiano, nonché della vita cristiana. Nel Direttorio generale per la catechesi è illustrato il carattere proprio dell'insegnamento scolastico della religione, chiamato a penetrare nell'ambito della cultura e a relazionarsi con gli altri saperi. Si tratta così di una disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline, in un necessario dialogo interdisciplinare. Nella scuola cattolica, poi, l'insegnamento della religione ne qualifica il progetto educativo. In essa l'insegnamento religioso è pienamente integrato nel percorso educativo degli alunni (cfr. n.15).
 Il rispetto della libertà religiosa di alunni e famiglie viene assicurato non richiedendo l'adesione di fede, ma la condivisione del progetto educativo e dei principi che lo ispirano, ragione per la quale si sceglie liberamente una scuola cattolica.

Un'altra obbiezione che si rivolge all'insegnamento della religione confessionale è che esso non favorirebbe un autentico approccio interculturale. Con tale motivazione si tende a mettere in discussione la legittimità stessa dell'insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche. In questa direzione vanno, in alcuni Paesi, orientamenti legislativi delle politiche scolastiche tendenti a "condizionare" il contenuto dell'insegnamento religioso, a sottovalutare i diritti dei genitori e dei responsabili religiosi; come anche a spingere verso una deriva della concezione di una "religione comparativa" frutto di una "interdipendenza e complementarità delle religioni".

Invece è proprio il contesto odierno a richiede un insegnamento confessionale con profilo di qualità elevato, che sappia contribuire a creare identità forti e sicure e perciò dialoganti e rispettose. Un insegnamento della religione, posto come disciplina scolastica, in dialogo con altri saperi, non solo non è di intralcio a una autentica educazione interculturale, ma diviene strumento privilegiato per la conoscenza e l'accoglienza dell'altro.

La lettera si conclude indicando nella libertà educativa e nella libertà religiosa i due pilastri su cui deve reggersi un sistema educativo e scolastico, che voglia davvero promuovere la formazione integrale dell'uomo libero e responsabile. Non sempre e non dappertutto è così. La Chiesa non mancherà di esercitare la sua diakonia a servizio dell'educazione in ogni contesto, sostenuta dalla certezza che "i nobili scopi... dell'educazione, fondati sull'unità della verità e sul servizio alla persona e alla comunità, diventano uno speciale, potente strumento di speranza" (Benedetto XVI, Discorso agli educatori cattolici, 17 aprile 2008).


(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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