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La Musica Sacra nel Culto Cattolico (Il canto gregoriano, gli Inni)

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2012 16:27
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I maestri della Cappella Musicale Pontificia

Quella nomina che cambiò la Sistina

di MARCELLO FILOTEI

Nei diari della Cappella Musicale Pontificia Giuseppe Baini viene indicato per la prima volta come "direttore" nel 1830. La nomina a direttore perpetuo, accompagnata a quella di "camerlengo", cioè di amministratore generale, risale invece al 29 novembre 1841, quando l'operato del maestro all'interno della Sistina era ormai da lunga data riconosciuto dai cantori. Secondo alcune ricostruzioni, si attese così tanto prima di formalizzare la sua posizione perché questa rappresentava una novità assoluta, fu la prima volta che si concesse una tale concentrazione di potere nelle mani di un solo uomo, per di più già affermato a livello internazionale.

Baini, che era nato nel 1775, aveva studiato musica fin da bambino e già all'età di venti anni era cantore della Sistina. Nel frattempo, oltre a finire i corsi in seminario per essere ordinato sacerdote nel 1798, si era dato molto da fare come musicista, approfondendo tra l'altro il contrappunto e lo studio dell'organo. Insomma aveva fatto quegli studi che, almeno nel coro, distinguono un buon esecutore da un musicista completo: l'esecutore, il cantore della Sistina in questo caso, eccelle nel suo specifico settore; il maestro è in grado di coordinare gli altri, di guidarli, di dare un senso al lavoro di équipe. Applicazione e talento portarono Baini a vedere il suo valore riconosciuto anche fuori dalla Cappella Pontificia, tra l'altro diventò esaminatore della Congregazione di Santa Cecilia, anche se non ne fu mai un membro a tutti gli effetti. Molte accademie in Europa lo ebbero inoltre come insegnante e collaboratore.


Anche i suoi studi musicologici ebbero successo. In particolare quelli su Giovanni Pierluigi da Palestrina. Baini ha sistematizzato la sua opera, l'ha catalogata, analizzata e poi ha deciso di esserne l'unico erede legittimo. E questo è un vezzo che in diversi avrebbero avuto anche nei decenni successivi. Troppo spesso qualcuno decide di essere il discendente solitario ed eroico della "scuola romana", quel movimento musicale attivo dal XVI secolo che vede in Palestrina il suo massimo esponente.

Ognuno però, per quanto ritenga di essere l'autentico portavoce dei secoli che l'hanno preceduto, si deve misurare anche con le questioni aperte nella propria epoca. E basterebbe seguire le orme proprio di Palestrina che, quando la polifonia era ritenuta indegna di entrare in chiesa, ha lavorato per dimostrare che l'arte contemporanea (a lui) poteva trovare strada per raggiungere i livelli dei maestri del passato (suo). Se il princeps musicae avesse ragionato come quelli che oggi lo ritengono l'unico compositore al quale ispirarsi, non sarebbe diventato il pilastro della polifonia, al massimo un ottimo emulatore del gregoriano.

Ai tempi di Palestrina, infatti, il problema principale era trovare il modo di affiancare in musica il processo di semplificazione introdotto dalla Riforma cattolica. Sul pentagramma questo si doveva tradurre, secondo i più conservatori, in un ritorno senza compromessi al canto gregoriano, che è monodico. Accadono però a volte episodi che cambiano il corso della storia. Uno di questi fa riferimento a Marcello II, al secolo Marcello Cervini, Papa dal 9 aprile al 1° maggio del 1555. Poche settimane durante le quali trovò il tempo di bacchettare il povero Palestrina, reo di avere proposto brani troppo ampollosi e virtuosistici il 12 aprile di quell'anno, Venerdì Santo, durante la cerimonia per l'elezione. Marcello non si fece impietosire dalle scuse e impose stile rigoroso e comprensibilità del testo come direttive per il lavoro del compositore. A queste direttive si attenne Palestrina nel comporre la Missa Papae Marcelli, che non è "per" ma "di" Papa Marcello, proprio perché costruita secondo i suoi dettami.

Ecco come uno dei pontificati più brevi ha dato vita a una delle messe più eseguite della storia. Ma c'è di più: la Missa Papae Marcelli ha cambiato per sempre la musica liturgica, dimostrando che comprensibilità del testo e dignità espressiva, volute dal concilio di Trento, non erano in contrasto con lo stile polifonico. Grazie a Palestrina la polifonia non fu bandita dalle chiese, e ancora oggi, a mezzo secolo di distanza, rappresenta la tradizione principale alla quale attingere. In pratica Palestrina ha salvato la musica contemporanea a lui e ora viene utilizzato da molti per combattere quella contemporanea a noi.

Ma siccome i geni non fanno altro che portare a un livello eccelso quello che gira nelle menti di quelli bravi, bisogna ricordare che Palestrina non era affatto solo a compiere questa rivoluzione. La cosiddetta scuola romana rappresenta la sintesi tra la tradizione della Sistina e lo sviluppo del contrappunto fiammingo, estremamente articolato, complesso e non di rado eccessivamente complicato. Al tempo stesso Palestrina, assieme agli altri che contribuirono a costruire l'eccezionale crogiolo di artisti che è andato sotto il nome di "scuola romana", furono influenzati anche da grandissimi musicisti che in quell'epoca scrivevano in modo diverso, primo tra tutti Luca Marenzio, autore di madrigali noti in tutta Europa.

Di questa tradizione Baini fu l'erede. Non era l'unico, ma si riteneva tale. Fece allora di tutto per evitare che si diffondessero studi su Palestrina diversi dai suoi e in gran parte ci riuscì. Divenne così il punto di riferimento principale per lo sviluppo della musica liturgica e il padrone incontrastato della Cappella. Raggiunto lo scopo si impegnò per riorganizzare la Sistina, che versava in condizioni difficili. Durante tutto l'Ottocento i provini per i nuovi cantori spesso non davano buon esito. I candidati non erano preparati, e molti furono ammessi con l'obbligo di approfondire gli studi.
Nei primi anni del secolo si cominciarono così a tenere in casa del maestro le cosiddette "accademie", in pratica delle sedute di prova che si ripetevano più volte a settimana. Solo nel 1838 la pratica divenne obbligatoria. Il livello artistico però non decollava, anche perché nell'impossibilità di ammettere cantori laici la Cappella si trovava ad avere un numero di candidati molto limitato e spesso non all'altezza.

La situazione rischiava di precipitare, non solo per il livello delle esecuzioni, ma anche per la tracimante pratica di inserire parodie di musica profana nella liturgia. Oramai le chiese risuonavano costantemente di brani tratti dal repertorio lirico e utilizzati rivestiti di testi sacri. Il paradosso fu che il maggiore esperto di Palestrina, compositore che aveva codificato con la Papae Marcelli uno stile polifonico rigoroso e limpido, si ritrovava a proporre lavori che slittavano sempre di più verso l'aria d'opera, con tutti i suoi vezzi virtuosistici.

Se ne preoccupò parecchio il vescovo di Jesi, il cardinale Pietro Ostini, che chiese a Gaspare Spontini di approntare un progetto di riforma. L'idea però non piacque a Baini, che sentiva invaso il suo campo da un musicista di rango, quindi pericoloso. Il maestro difese le sue prerogative con tutte le armi a sua disposizione. Scontro aperto.



(©L'Osservatore Romano 13 gennaio 2012)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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