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La Musica Sacra nel Culto Cattolico (Il canto gregoriano, gli Inni)

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2012 16:27
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[SM=g1740733] La prova che quando si vuole si può....

20 MARZO 2010
Cantare la Liturgia della Passione del Signore
Rovereto TN - S.Maria del Carmine
Coro interparrocchiale della zona Pastorale della Vallagarina. Interventi corali del "Passio" composti dal maestro Daniele Lutterotti.



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I maestri della Cappella Musicale Pontificia
Un soprano al comando

Nel 1878 Domenico Mustafà è nominato direttore della Sistina


di MARCELLO FILOTEI

Leone XIII non era tipo da derogare dalle regole imposte dai suoi predecessori. Anche per questo qualche anno dopo essere stato eletto dispose che fosse rimosso dall'incarico il cantore ammogliato Giuseppe Brucchietti. Le norme vanno rispettate, ma è prerogativa dei Pontefici modificarle. E proprio quel licenziamento può essere visto come il segnale che qualche cosa andava cambiato alla Cappella Musicale Pontificia.

L'incaricato della riforma fu Domenico Mustafà, uno degli ultimi cantori evirati, che in realtà era stato nominato direttore perpetuo della Sistina da Pio IX, ma svolse il suo mandato sotto Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, che avrebbe regnato fino al 1903. Leone XIII aveva le idee chiare e la voglia di dare impulso sia alle esecuzioni, sia alle riforme, ma entrambe le attività non procedettero senza intoppi. Uno dei punti deboli della Cappella è stato storicamente la poca abitudine alle prove. Nel lungo periodo di interregno tra la morte di Giuseppe Baini, nel 1844, e la formalizzazione dell'incarico al suo successore, nel 1878, le cose non potevano migliorare. Inoltre la nomina di Mustafà non fu accettata tra i cantori senza qualche mal di pancia. Il nuovo maestro, pur apprezzato da molti, non era unanimemente riconosciuto come un direttore all'altezza del suo predecessore. Inoltre la sua nomina rappresentava uno strappo alla regola. Baini, era un basso, e sembrava quindi naturale che salisse sul podio, visto che per tradizione l'attacco veniva dato proprio dal più anziano dei bassi. Mustafà, invece, era una sopranista, ruolo generalmente ricoperto da cantori più attenti ai propri virtuosismi che all'andamento d'insieme.

Ma le consuetudini, come le regole, sono fatte per essere infrante e, a nomina fatta, il nuovo maestro cominciò a riorganizzare la Cappella. Tanto più che Leone XIII amava ascoltare la Sistina anche in privato, e non sembra fosse tenero nei giudizi se sentiva qualcosa che non lo soddisfaceva.
Le prove ripresero con una certa costanza nel 1880 e il coro tornò ad approfondire con regolarità il repertorio di tradizione, soprattutto quello eseguito nelle festività solenni. Mustafà si scontrava però con la carenza di voci, divenuta cronica. I cantori non erano in numero sufficiente, né erano distribuiti egualmente tra i vari registri. Si faceva spesso ricorso a ospiti, provenienti principalmente dalla Giulia, e tra i soprani, cominciarono a comparire sempre più frequentemente dei fanciulli. Paradossalmente proprio un sopranista come Mustafà, che in futuro avrebbe dato dimostrazione di non essere d'accordo con l'esclusione degli evirati dal coro, diede inizio di fatto a quel processo che porterà alla sostituzione delle voci acute maschili con quelle di bambini. Il percorso, però, sarà portato a termine, non senza difficoltà, da Lorenzo Perosi.

Il problema degli "aggiunti", come si chiamano oggi, è sempre lo stesso: per quanto siano bravi non possono evitare che un ensemble perda la sua specifica personalità. Il suono è una cosa che si costruisce con il tempo, grazie al lavoro del maestro. La condizione necessaria, ma non sufficiente, è che ci siano sempre le stesse persone a cantare o a suonare, così da creare uno speciale affiatamento che porta a un timbro originale. La Sistina era già in difficoltà, ma da quando fu autorizzata la partecipazione "anche degli estranei per supplire all'attuale deficienza delle voci necessarie per i concerti", nel luglio del 1881, perse anche di riconoscibilità.
Mustafà pare ce la mettesse tutta per ristrutturare la Cappella, ma i risultati non arrivavano. Il metodo che il maestro adottò alla fine dell'Ottocento per farsi ascoltare fu quello di annunciare le dimissioni e di ritirarsi a Montefalco, dove sarebbe morto, ma molti anni dopo nel 1912.

Fino al 1891, in vari modi, il direttore si tenne lontano dal suo incarico per lunghi periodi, tornando di quando in quando per rispondere positivamente agli inviti che giungevano dalle sacre stanze. Una delle occasioni per ascoltarlo dirigere fu la messa del primo gennaio 1888, per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Un appuntamento al quale non si poteva mancare e che convinse Musfatà a comporre il mottetto Domine salvum me fac. Finita la festa si ritornò alla normalità, che consisteva nell'affidare la direzione ad interim a Innocenzo Pasquali. Qualcuno, come spesso era accaduto, pensò a fare ricorso a un maestro estraneo al mondo Vaticano, ma, come sempre è successo in questi casi, non se ne fece niente. Mustafà rimaneva inamovibile, attendendo la possibilità di realizzare la sua riforma. In caso contrario preferiva rimanere quanto più possibile lontano dal coro.

Finalmente il 7 marzo 1891, con un apposito decreto, la Sistina provò a mettersi al passo con i tempi, o almeno adottò le misure volute dal maestro. Fu promulgato un regolamento che affrontava sia questioni economiche (in sostanza venivano aumentati i compensi) sia questioni artistiche: il numero dei cantori veniva fissato a trentadue, otto per ogni registro vocale. Inoltre venivano aboliti l'obbligo della tonsura e del celibato, ma soprattutto si disponeva l'ammissione di fanciulli cantori. A questo seguiva l'obbligo di una certa regolarità nelle prove. Diritti e doveri, insomma, con attenzione all'arte: per esempio si disponeva che un membro del coro assente andasse sostituito con un cantore dello stesso registro, che potrebbe sembrare scontato, ma pare che nella prassi non lo fosse.

Malgrado tutto fosse stato messo nero su bianco, alle dichiarazioni d'intento stentavano a seguire i fatti. In primo luogo i cantori rimanevano in numero limitato, il che portava continuamente a invitare degli esterni con il conseguente declino del livello artistico. La situazione doveva essere grave se nel giugno del 1892 Mustafà si trovò costretto a comunicare che probabilmente non sarebbero stati garantiti i servizi a San Pietro visto che, a causa dello scarso numero di componenti, la Sistina non poteva assicurare un livello decoroso delle esecuzioni.

Qualche nota positiva però non mancava, in particolare nel 1894 per il trecentesimo anniversario della morte di Palestrina nella sala Clementina si registrò un'esecuzione molto apprezzata. Leone XIII scrisse a Mustafà congratulandosi per il buon esito del tentativo di "rimettere e conservare le insigni tradizioni della Sistina", invitando anche tutti i cantori a continuare nell'impegno in modo che "a giorni migliori possa il vostro Collegio riprendere parte che ebbe sempre sì splendida nel corso delle sacre solennità: si studii intanto di continuare assiduo nella palestra delle consuete esercitazioni". Insomma avete cantato bene, continuate a lavorare.

Le critiche però non mancavano ed erano incentrate sul repertorio antico più che su quello moderno. In pratica la Sistina veniva accusata di affrontare con scarsa cura i brani di Palestrina, mentre i lavori contemporanei erano apprezzati. Nel 1896 in occasione di festeggiamenti in onore di Guido D'Arezzo il periodico milanese "Musica Sacra" criticò aspramente l'esecuzione del Credo dalla Missa Papae Marcelli: "fu cantato tutto d'un pezzo come suol dirsi, ad eccezione dell'Incarnatus, con un forte da sbalordire. Perché in questo capolavoro sbandire la coloritura? Non si poteva rimediare in tal guisa a far risaltare le singole parti col temperare e moderare quelle troppo forti?".

I cantori sistini protestarono sostenendo che il giornalista non aveva nemmeno citato correttamente le opere eseguite. Chiesero una rettifica e ottennero una lunga replica, nella quale l'autore dettagliava i motivi dell'insoddisfazione: "non è certo malevolenza che mi fece scrivere in tal maniera, ma l'ardente desiderio che nutro affinché la Cappella Sistina possa nuovamente corrispondere alla fama che meritatamente godette fin ad un secolo fa. Non sono io il solo a lamentare l'indirizzo che ha preso da qualche anno la Cappella in materia di canto. Non parlo degli Offertorii, dei Postcommunio, ed anche degli Introiti martellati ed armonizzati per ottave, quinte e terze, e molto anche di seguito, che certamente non rivelano speciali tradizioni, ma vera imperizia nel canto gregoriano.

Di Palestrina poi, in questi ultimi anni, si eseguirono sempre le stesse e ben poche cose". L'ufficio pubbliche relazioni della Sistina non aveva funzionato a dovere. L'esito della protesta fu quello di ingigantire il rilievo della critica. Seguirono nuove proposte di riforma, che però sembravano riportare la Sistina indietro nel tempo. Mustafà ottenne nel 1897 una nuova ordinanza nella quale di fatto si riduceva il numero dei cantori attivi, ma si prevedeva tra l'altro la formazione di due "fanciulli evirati" che avrebbero servito come futuri sopranisti nella Sistina. Non sarebbe stato questo il futuro della Cappella Musicale Pontificia, un futuro che sarebbe cominciato di lì a pochi anni con l'avvento di Perosi.



(©L'Osservatore Romano 3 febbraio 2012)


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[Modificato da Caterina63 03/02/2012 20:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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