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Echi tridentini in letteratura (da Messainlatino) IMPERDIBILE

Ultimo Aggiornamento: 30/10/2011 21:33
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08/02/2010 13:23
 
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Echi tridentini: Ippolito Nievo



«Di solito, mezz'ora innanzi la messa quotidiana, io era cercato per servirla a Monsignore, il quale intendeva darmi con ciò un segno della sua speciale deferenza, a scapito dei figliuoli di Fulgenzio. Ma io, che non mi sentiva gran fatto riconoscente di questa distinzione, sapeva prender le mie misure in modo che chi mi dava la caccia tornava il più delle volte colle mani vuote alla sacristia. Di consueto io mi rifugiava presso mastro Germano e non usciva dal suo buco se non quand'era sonata l'ultima campanella. In quel frattempo aveano già messo la cotta a Noni o a Menichetto, i quali coi loro zoccoli di legno correvano sempre il pericolo di rompersi il naso sugli scalini nel cambiar di posto al messale; ed io entrava in chiesa, sicuro di averla scapolata. Siccome poi queste mie arti furono in breve scoperte, così me ne toccarono molte ramanzine per parte di Monsignore dinanzi al focolar di cucina; ma io mi scusava della mia ripugnanza dicendo che non sapeva il Confiteor. E infatti, per giustificare questa mia scusa, le poche volte che era beccato, aveva sempre l'accorgimento di tornar a capo, una volta giunto al mea culpa; e per due tre e quattro volte ripeteva una tale manovra, finché Monsignore impazientato lo finiva lui. Quei giorni nefasti aveva poi la compiacenza di star chiuso in un camerino sotto la colombaia, col libricciuolo della messa, un bicchier d'acqua ed un pane bigio fino a un'ora innanzi i vespri. Io mi divertiva immollando il libro nell'acqua, e sminuzzando il pane ai piccioni; e poi, quando Gregorio, il cameriere di Monsignore, veniva a sprigionarmi, correva da Martino presso il quale era certo di trovare il mio pranzo. Peraltro durante quelle ore aveva il dispetto di udir la voce della Pisana che si trastullava cogli altri ragazzotti senza darsi melanconia pel mio carceramento; e allora mi prendeva una tal bile contro il Confiteor, che lo faceva in pallottole e lo gettava giù nel cortile sopra quei birboncelli assieme a quanti sassuoli e calcinacci potea raccattar nei canti e raspar dalla muraglia colle unghie. Talvolta anche squassava con quanta forza poteva la porta, e le dava addosso coi gomiti coi piedi e colla testa; e dopo un mezz'ora di tali strepiti il fattore non mancava mai di venir a ricompensarmene con quattro sonate di staffile. E questa dose si replicava la sera, quando scoprivano ch'io aveva tutto fradicio e guasto il mio libricciuolo.»

Ippolito Nievo (1831-1861; nella foto) è l’autore delle Confessioni di un italiano, romanzo importante, unanimemente considerato fra i migliori dell’Ottocento italiano; chi gli rimprovera uno stile non compiutamente definito e un andamento lento, frenato da troppe digressioni e inutili abbondanze, dimentica che morì a trent’anni senza avere il tempo di adoperare la lima. [Morendo a trent’anni il Manzoni avrebbe lasciato – in tutto – un’ode e quattro inni sacri, di fattura più volenterosa che compiuta. Ariosto, Machiavelli e Cervantes nulla di nulla. Shakespeare (forse) non molto più che un paio di testi teatrali: il Tito Andronico e l’Enrico VI...].
Al netto da ingenuità e incongruenze, Le confessioni di un italiano riescono tuttora a farsi leggere volentieri per la capacità di tenere insieme – cosa non frequente nella nostra letteratura nazionale – il romanzo di formazione, la storia picaresca, il viaggio interiore come scoperta di sé e del mondo, la grande vicenda d’amore (indimenticabile la figura della Pisana, l’anti-Lucia dell’Ottocento), in una cornice storica credibile e con un’intenzione palesemente educativa nella direzione di una religiosità civile non spregevole. La parte forse stilisticamente più compiuta è la prima, dedicata all’infanzia di Carlino, orfano e povero, allevato al castello di Fratta fra servi e signori, in un bizzarro universo concentrazionario interclassista che diviene una specie di luogo dello spirito. Da questa prima parte, e precisamente dal capitolo II del romanzo, abbiamo tratto la citazione riportata sopra.


Conclusa in pochi mesi la prima stesura, Nievo non fece in tempo a provvedere alla necessaria revisione, soprattutto a causa di impegni politici non lievi: fervente repubblicano, prese parte alla spedizione dei Mille, e non solo come combattente: il generale Garibaldi, nominandolo responsabile dell’Intendenza, gli affidò tutta la documentazione sull’uso dei fondi segreti (somme ingenti, soprattutto frutto della “generosità” del governo inglese, oltre che di ricche ricchissime sottoscrizioni: corrisponderebbero, oggi, a svariati milioni di euro). Cominciamo a capire meglio – si chiedeva ironico Vittorio Messori qualche anno fa – come fece realmente una banda di volenterosi volontari a conquistare un regno mettendo in fuga un esercito di centomila uomini bene armati, riportando appena 78 vittime sui 1162 partiti da Quarto? E capiamo meglio, anche, la dissennata e isterica politica anticattolica del rosso avventuriero e dei suoi inopinati e imprevedibili protettori? In questa situazione esemplare, il povero Nievo ci rimise la pelle: un sabotaggio provocò un’esplosione alle caldaie del piroscafo “Ercole”, su cui – con tutte le sue ricevute e pezze d’appoggio – era imbarcato il nostro Intendente, tornando da Palermo a Napoli al termine della spedizione.


Povero “Carlino”! Forse avrebbe fatto meglio – nel castello di Fratta – a imparare il Confiteor e servire la Messa a Monsignore...

[Il testo integrale delle Confessioni di un italiano è presente in libreria in svariate e ben curate edizioni anche economiche; ma è anche liberamente scaricabile dal sito liberliber.]



Giuseppe

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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