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Echi tridentini in letteratura (da Messainlatino) IMPERDIBILE

Ultimo Aggiornamento: 30/10/2011 21:33
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26/11/2009 14:10
 
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Echi tridentini: Benson, Il dominatore del mondo


Un romanzo ambientato ai giorni nostri. Titolo: Il dominatore del mondo.

Antefatto e situazione di partenza: il rapporto fra l’umanità e il messaggio cristiano sembra gravemente, e definitivamente, incrinato. Le varie confessioni protestanti sono sparite o in via di sparizione, ma persino la Chiesa cattolica apostolica romana è in crisi fortissima, malgrado l’elevatezza morale e l’acuta intelligenza del sommo pontefice Benedetto XVI. Milioni, miliardi di uomini si allontanano da Dio, affermano di non aver bisogno di Cristo: la loro è la religione dell’uomo, un “umanitarismo” fondato sulla ragione, sulla scienza, su un’idea di fratellanza che prescinde da Dio e ne combatte la fede in nome della pace, della difesa dell’ambiente, di una sedicente tolleranza. Fra i diritti fondamentali e imprescindibili c’è quello al suicidio assistito: istituzioni pubbliche chiamate “Euthanasia” ne garantiscono l’esercizio per chiunque ne faccia richiesta. Anche gli ex-comunisti non esitano ad aderire alla religione dell’umanitarismo, sono anzi in prima fila. Il progresso scientifico-tecnologico (e soprattutto l’incredibile velocizzazione dei trasporti) ha reso il mondo molto più piccolo, facendone una sorta di villaggio globale. L’Europa è ormai un’unica nazione...

Cose risapute, anzi, un po’ banalotte, dirà qualcuno a questo punto. Salvo restare spiazzato, o allocchito se vi piace di più, verificando che l’autore di questo romanzo, un prete anglicano convertito alla fede cattolica, è nato nel 1871 e morto, all’età di 43 anni, nel 1914 [Robert Hugh Benson, nella foto a destra]. Il romanzo di cui ci stiamo occupando (edito in italiano nel 1920, presso Vallecchi, traduzione di Corrado Raspini) è originariamente apparso nel 1907, più di cent’anni fa. Come abbia potuto, Benson, prete cattolico sotto il pontificato di San Pio X, divinare – oltre a tutto il resto – il nome di papa Benedetto e il numero XVI, be’, cari amici, vedete un po’ voi.

La vicenda procede fra imprevisti, cambiamenti di prospettiva e colpi di scena. Protagonisti, un prete cattolico inglese di nome Percy Franklin, e un misterioso intellettuale e demagogo americano conosciuto come Giuliano Felsemburg; i due non si incontrano mai di persona ma – altro mistero non facile da decifrare – si somigliano, fisicamente, in modo incredibile. Percy sarà papa dopo la morte violenta di Benedetto XVI e la completa distruzione di Roma; Giuliano (come l’imperatore Apostata?) assumerà sempre più le caratteristiche del “dominatore del mondo” (di questo mondo, se ci capiamo). A lui è affidato il potere supremo di una sorta di repubblica mondiale, tra le fanatiche acclamazioni dei suoi seguaci adoranti. La persecuzione anticattolica diviene violentissima e generale, quale mai fin allora. Il papa, nascosto in un rifugio segreto a Nazareth, è in contatto clandestino con i dodici cardinali da lui scelti e consacrati. Uno di questi tradisce...

Il finale, permettetemi di non rivelarlo. (Il romanzo è edito – col titolo Il padrone del mondo – da Jaca Book, ma la versione di Vallecchi è scaricabile gratuitamente dal sito Totus tuus). [SM=g1740722]
Dirò soltanto che fra gli altri personaggi spiccano un ex-deputato comunista di nome Oliviero (no, tranquilli, il cognome non è Diliberto) e la giovane moglie di lui, Mabel.

E gli “echi tridentini”? Ho selezionato due citazioni, che trascrivo dall’ultima parte del romanzo (traduzione Raspini). L’autore assume qui il punto di vista di un prete fedele, che collabora in fede e semplicità, nel nascondiglio di Nazareth, con papa Silvestro.

*

«... parole udite come attraverso un velame che ne lasciasse passare unicamente il significato essenziale.
“Spiritus Domini replevit orbem terrarum. Lo Spirito del Signore ha riempito tutto l'universo, Alleluia... E questo, che tutto contiene, ha coscienza della sua voce. Alleluja, alleluja, alleluja!...
Exurgat Deus – e la voce diventava più alta. – Sorga il Signore, siano dispersi i suoi nemici e fuggano quei che lo odiano davanti a Lui.
Gloria Patri...”
Il prete alzò la testa: era davanti all'altare una figura trasumanata, avvolta nei paramenti rossi che sembrava non poggiare immobile a terra; ma fluttuare sospesa per aria tra il chiarore diffuso dai ceri, con le sottili mani distese e lo zucchino sui capelli bianchi. Un servente vestito di bianco stava inginocchiato sul gradino.
“Kyrie eleison... Gloria in excelsis Deo....”»

*

«Si volse di nuovo all'altare: là come ben sapeva, tra lo splendore dei ceri, tutto era in pace. Il celebrante, veduto come attraverso un liquido vetro, adorava con prece sommessa il Mistero del Verbo Incarnato, e cadeva in ginocchio nel passare davanti.
Tutto allora comprese pienamente; giacché il suo pensiero non procedeva più per atti successivi, ma con la intuizione immediata dei puri spiriti, tutto comprese, e, con un irresistibile impulso aprì la bocca al canto, siccome fiore che spiega per la prima volta le sue corone al sole:
O salutaris hostia.
quae coeli pandis ostium.
E tutti ora cantavano; perfino il catecumeno maomettano, accorso gridando un momento prima, cantava insieme con gli altri con il volto sparuto proteso in avanti e le braccia incrociate sul petto. Il piccolo tempio risuonava di quaranta voci, tremando il vasto mondo al di fuori....
Cantando parve al prete di vedere uno spirito distendere il velo sugli omeri del Pontefice; poi un muoversi, un ondeggiare di sembianze: le sole ombre intorno alla Sostanza verace.
...Uni Trinoque Domino....

(...)
Il cielo era passato da una oscurità carica di luce ad una luce sovraccarica di tenebre; dal barlume della notte al color rosso del dì dell'ira....
Da sinistra a destra, dal Tabor al Carmelo, sulle circostanti colline si distendeva l'enorme volta sanguigna; nessuna gradazione dallo zenit all'orizzonte nella misteriosa tinta cremisi, pari a quella di un ferro incandescente. Era come il colore che imporpora il tramonto dopo la pioggia, quando le nuvole, a mano a mano più diafane, trasmettono i raggi del sole che non possono assorbire,
Là, sul monte della Trasfigurazione saliva scialbo il disco del sole, e sull'estremo occidente, dove un giorno gli uomini avevano gridato a Baal invano, pendeva, in forma di pallida falce, la luna. Era tutto una luce colorata, come se passasse attraverso un vetro....

In supremae nocte coenae....
- cantavano ora miriadi di voci -
recumbens cum fratribus,
observata lege plene
cibis in legalibus,
cibum turbae duodenae
Se dat suis manibus.» (...)

[Le citazioni latine presenti nel primo brano sono tratte dall’introito della Messa di Pentecoste.]

[Nel secondo brano sono riportati squarci di due inni liturgici molto diffusi prima della riforma liturgica di Annibale Bugnini; gli squarci, anzi, sono molto più ampi di quanto qui non appaia: ho dovuto operare una selezione affinché non apparisse troppo evidente il finale del romanzo, avendo deciso di tenerlo (quasi) nascosto per invogliare i lettori a un approccio diretto. “O Salutaris Hostia” si cantava in apertura del rito della Benedizione Eucaristica, su melodie assai diversificate, sia medievali sia moderne. Si tratta – in realtà – delle due ultime strofe dell’inno “Verbum supernum prodiens”, attribuito a San Tommaso d’Aquino. La versione integrale dell’inno si cantava, fra l’altro, durante l’ufficio del Corpus Domini (ad Laudes). Ma nel mio ricordo personale di chierichetto precoce le due strofette avevano ormai assunto vita propria, e tutti (alfabeti e analfabeti) le cantavamo scivolando ignari e felici nel misterioso gioco di parole hostia-ostium-hostilia:
«O Salutaris Hostia
quae coeli pandis òstium:
bella premunt hostìlia,
da robur, fer auxìlium.

Uni Trinòque Domino
sit sempiterna gloria,
qui vitam sine tèrmino
nobis donet in patria. Amen.»
(O Vittima fonte di salvezza che apri la porta del cielo: le guerre nemiche ci opprimono, dacci forza, portaci aiuto. / Al Signore Uno e Trino sia gloria perenne: la vita perpetua Egli ci doni, nella patria celeste. Amen.)

Anche il “Pange lingua” era un inno attribuito a San Tommaso; anche in questo caso le due ultime strofe, con incipit “Tantum ergo”, erano notissime per il loro uso universale a conclusione della Benedizione Eucaristica. L’inno veniva peraltro integralmente eseguito in molte occasioni (per esempio, nei primi e secondi vespri del Corpus Domini, ma anche nella liturgia del Giovedì Santo).

«Pange lingua gloriosi
Còrporis mystèrium,
Sanguinìsque pretiosi,
quem in mundi pretium,
fructus ventris generosi,
rex effudit gentium.
Nobis datus, nobis natus
ex intacta Vìrgine,
et in mundo conversatus,
sparso verbi sèmine,
sui moras incolatus
miro clàusit òrdine.
In supremæ nocte cœnæ
recùmbens cum fràtribus,
observata lege plene
cibis in legàlibus,
cibum turbæ duodenæ
se dat suis mànibus.
Verbum caro, panem verum
verbo carnem èfficit:
fitque sanguis Christi merum;
et, si sensus dèficit,
ad firmandum cor sincerum
sola fides sùfficit.
Tantum ergo Sacramentum
venerèmur cèrnui:
et antìquum documentum
novo cedat rìtui:
præstet fides supplementum
sènsuum defèctui.
Genitori Genitòque
laus et iubilàtio,
salus, honor, virtus quoque
sit et benedìctio:
Procedenti ab utròque
compar sit laudàtio. Amen.»
(Celebra o lingua il mistero del glorioso Corpo e del Sangue prezioso che il Re delle genti, frutto di un ventre generoso, sparse per riscattare il mondo. / Dato a noi, nato per noi da una Vergine intatta, dopo aver vissuto nel mondo spargendo il seme della sua parola, concluse la sua dimora quaggiù con un mirabile disegno. / Nella notte dell’ultima cena, a mensa accanto ai fratelli, dopo aver pienamente osservata la legge sui cibi legali, al gruppo dei dodici diede in cibo se stesso con le sue proprie mani. / Il Verbo fatto carne, con una parola, trasforma in carne un pezzo di pane, e il vino diviene sangue di Cristo. Anche se i sensi vengono meno, a rassicurare un cuore sincero è sufficiente la sola fede. / Veneriamo dunque, in ginocchio, un sacramento così grande, e l’antico documento ceda al nuovo rito. Sia la fede a supplire all’inganno dei sensi. / Al Padre e al Figlio rivolgiamo lode e giubilo, ad essi salute, onore, virtù e benedizione; allo Spirito che da essi procede si renda identica lode. Amen.)]


Giuseppe
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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